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Autore: amirarcieri    19/12/2019    0 recensioni
Verso la rotta del Nuovo Mondo, ma distante abbastanza da distanziarsene, si trova un'isola che prende il nome di Fourteenth Mark.
Qui alberga una leggenda che l'ha resa famosa e sopratutto meta della maggior parte delle flotte di pirati in cerca di rari tesori: si racconta che vent'anni prima a sopraggiungervi fu un pirata fuggiasco e che questo seppellì in qualche angolo occulto dell'isola uno tra i più potenti frutti del mare esistenti.
Ma quanto di vero c'è in questa storia? Di che frutto del mare si tratta?
E se qualcuno l'avesse già trovato e lo tenesse tutto per se? E perché ai possessori dei frutti del mare è vietato mettere piede sull'isola?
Ace e la sui ciurma dei Pirati di Picche approderanno qui durante una delle loro tante traversate verso il Nuovo Mondo. Riusciranno a trovare il leggendario frutto del mare? Cosa ne faranno? Ma, se forse, magari invece di un frutto del mare aggiungeranno solamente un nuovo membro al loro equipaggio?
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PERFECTLY BLUE

 

Capitolo Tre

 

Anonima anima straziata”.


 

 

La ragazza, si trovava all’interno dell’intelaiatura di un sogno.
Tutto intorno era oscuro e privo di suoni, tranne che per una luce in fondo al tunnel infinito che si estendeva davanti a lei.
La luce le si avvicinò gradualmente, passo dopo passo, rivelando un fuoco amico dalla sagoma umanoide incapace di scottare e anzi confortevole quanto l’abbraccio di un tenero amante.
Ayako se ne accertò quando lasciandosi circondare da quelle lingue di fuoco simili a braccia, calò le palpebre, permettendogli di farsi cullare dolcemente come se fosse su un’amaca sospesa al centro di un palpitante e sinuoso oceano.
D’un tratto però, ogni cosa si capovolse, annerì, provocandogli un intenso disorientamento.
Il pacifico fuoco amico si dissolse. Il buio la sovrastò fino togliergli il fiato
Qualcosa - forse una mano che cercava di stritolargli il cuore, forse voleva strapparglielo rozzamente via dal petto – la fece accasciare a terra, distesa in un posizione fetale, preda di una singhiozzante crisi di pianto.
Perché? Perché proprio io devo subire questa tortura? Perché proprio io devo possedere questa capacità?” diceva a mascella serrata mentre cercava di sopprimere, espellere quel dolore estraneo lontano dalla sua ampliata percezione.
Perché? Perché io?” strillò con le lacrime che gli inibivano il respiro.”

 

Le sue stesse urla la riscossero da quell’incubo soffocante.
Ayako si sveglio di scatto, drizzando la schiena e sbarrando febbrilmente i bulbi.
Portandosi una mano in mezzo al petto, constatò che fosse tutto normale - Sempre se di normalità si poteva parlare - come ogni mattina in cui si destava dalle sue fantasie subconscie.
Nessun dolore aggiuntivo e stordente stava cercando di straziargli il cuore mediante il rigetto convulso delle lacrime.
«Non capisco» mormorò fra se, rendendosi ora conto di essere avvolta nelle coperte violette del suo letto, mentre dalle tende ametista tirate, notava il fulgore accecante del sole fluttuare nella mattina già sbocciata da un pezzo.
«Chi era la persona con la quale le mie capacità empatiche mi hanno fatto avere un contatto? Condividere parte della sua sofferenza?»
Come poteva esistere qualcuno in grado di contenere nel suo nucleo interiore un dolore così spietato e lugubre?
La ragazza aveva trovato quelle emozioni grondanti di rabbia e negazione, comparabili ai suoi, ma anche ineguali, poiché evoluti in una sorda paralizzazione.
Sollevando le gambe, ci poggiò il gomito per coprirsi un lato della faccia con la mano sinistra.
Immediatamente, avvertì un bruciore pungente all’altezza della guancia su cui aveva deposto il palmo.
Era fasciata da capo a piedi, ma seguendo la protezione di stova, tastandosi con l'indice, percepi uno strato gonfio e ben delineato sulla pelle.
Ayako sentì screpolarsi per la miliardesima volta, un altro strato della sua anima.
Conosceva quei penalizzanti solchi indelebili. Ci aveva imparato a convivere ogni singolo attimo di ogni giorno della sua vita.
Dandosi lo slancio, era stata sul punto di alzarsi e fare emergere il suo peculiare esiguo aspetto sulla superficie specchiante dell’oggetto da lei mortalmente ripudiato in passato, quando la sorellina Aya apparì davanti alla soglia della sua stanza con un vassoio tenuto ben saldo nella minuscole manine.
«Sorella!» esclamò la piccola facendo cadere il vassoio a terra per tuffarsi sulla pancia della maggiore.
«Ti sei svegliata» schiamazzò avviluppandosi serratamente al suo costato.
Dalla gola di Ayako fuoriuscì un fievole pigolio. Un secondo bruciore la lenì alla schiena.
«Già, ma così mi riporti in coma tu però» Aya sollevò il capo allentando la presa.
«Scusami, è che sono felice di vederti sveglia» si giustificò con un orgoglioso rossore sulle guance. Ayako allargò le labbra in un comprensivo sorriso materno.
«Si anche io sono felice di rivederti tutta intera» gli disse affondando le dita nei capelli della sorella per accarezzargli la testolina.
Vederla indenne da graffi superflui e singulti convulsivi, la ripagava di ogni crudeltà subita o che avrebbe dovuto subire. Ancora.
«Vado a chiamare mamma e papà» la avvertì Aya sgusciandogli fuori dalle braccia per galoppare velocemente al piano di sotto.
Nell’attesa Ayako scostò le tende – attigue al letto – lasciandosi accarezzare il viso dai tiepidi raggi di sole. Ogni muscolo irrigidito del suo corpo si distese.
Quel leggiadro contatto però, gli riportò inevitabilmente nei pensieri il fuoco amico dalla sagoma umanoide.
«Ma chi era?» continuava a tartassarsi con quella domanda.
Un secondo dopo, la testa di Ayako fu invasa dal trillò di un’assordante intuizione.
E se qualcuno si fosse preso il carico di condurla a dovuta destinazione?
Le altre volte si era trascinata fino all’ospedale più vicino grazie alla cruciale riserva di forze rimastagli, ma non stavolta.
Il combattimento aveva seguito una dinamica talmente massacrante da fargli lasciare campo libero al nemico con la sua perdita di conoscenza.
«Un’altra umiliazione da incassare» sospirò scoraggiata.
Ayako comunque continuava a pensare logicamente che un’anima pia se l’era portata in spalla dal punto in cui aveva perso i sensi alla porta di casa.
«Si, ma chi?» Ayako si rattristò. Possibile che quel plumbeo dolore appartenesse realmente ad una persona?
«Chissà se ti riconoscerò quando ti vedrò. Chissà cosa starai facendo adesso, anonima anima straziata» cercò di invocarne il ricordo.
Quell’iniziativa, in ogni caso, fu stimolatrice di un’altra valente ipotesi.
E se, Magari, nientedimeno, stava seguendo la pista di un ragionamento malfatto?
E se si fosse trattato del suo dolore?
Se quello non fosse atri che un sogno premonitore messaggero di un avvertimento ?
Nella sua pericolante vita, sarebbe sopraggiunta una mano astrusa responsabile dell'estinzione totale della sua utopica illusione?
La sagoma umanoide infuocata avrebbe dovuto essere un lapalissiano indizio, ma lei non riusciva comunque ad associarla a nessun conoscente o simpatizzante dell’isola.
L’aveva già incontrata? O sarebbe accaduto nei mesi, anni a venire?
E poi Il fuoco non doveva per forza raffigurare un particolare genetico come la temperatura sopraelevata del corpo, poteva anche essere un rompicapo allegorico.
Ayako si dondolò nel letto innervosita.
«Chi mai potrà essere?» non riusciva proprio a venirne a capo.
L’unica cosa assodata, si disse, era che avessero stabilito un fugace contatto durante il suo stato di incoscienza e che lei non possedesse alcuna generalità della sua fisionomia.
«Ayako piccola mia!» la sottoscritta saltò fuori dal suo guscio meditativo e si voltò pacatamente verso l’uscio della porta.
La madre e il padre avevano fatto irruzione nella camera come due purosangue da corsa che gareggiavano per disputarsi la vincita del suo epico abbraccio trofeo.
«Come ti senti, amore?» domandò quest’ultima poggiandogli una mano sulla spalla destra e l’altra sotto al mento per sollevarglielo.
«Bene» rispose indolente.
«Ne siamo orgogliosi e ricompensati» la riverì il padre scrollandogli la chioma riccioluta. Lei emise un sorrisone compiaciuto.
«Hai fatto presto a riprenderti» una terza voce forestiera si svelò all’udito di Ayako.
Ne fu talmente spaventata, dallo scattare in piedi nel letto e assumere la posizione aggressiva della guerriera cazzuta.
«Chi..» vociò intimidatoria. Tuttavia la sua tenacia si dissipò quando il cristallo oculare delle sue ambre guardinghe, mise a fuoco l’individuo tipizzato con il quale era tornata la sorellina.
Nel cassetto chiuso a chiave dei suoi oggetti strettamente personali, tre le altre cose, aveva insabbiato sotto due voluminosi tomi, le insigne taglie dei pirati più famigerati degli ultimi tempi.
Vista da un occhio esterno poco incline all’osservazione, questa sua stranezza, sarebbe stata in un chiaro indizio della professione di cacciatrice di taglie alla quale era promessa, ma la verità era che si trattasse, semplicemente, di una segreta ammirazione.
Ayako, ammirava i pirati fin dagli albori della sua tenera nascita.
Li ammirava e li invidiava contemporaneamente.
Lei e Akira, nelle lunghe e caldeggiate giornate di agosto, avevano sognato di prendere il mare in maggiore età, assemblare una loro coesistente ciurma e riportare alla luce tutto quello che ancora doveva essere scoperto.
Disgraziatamente però, i due migliori amici che si amavano come due fratelli, non avevano messo in conto la parte oscura della vita nel loro destino.
Quella parte oscura che esisteva per portarti via in un solo, immodificabile, odioso attimo ogni legame e sogno che fino ad allora avevano alimentato le tue singolari giornate.
E quella sera di sette anni fa, Ayako aveva perso entrambe le cose.
«Mi complimento con te. Sei una tipa tosta» la esaltò Deuce amichevolmente.
Se ne era avvicinato disinvoltamente e non sembrava affatto preoccupato di poter essere prossimo al ricevere una calcagnata in fronte.
Tornata con i piedi per terra, Ayako gettò la spugna, ricadendo mosciamente nel letto a gambe incrociate.
«Allora come la trovi dottore?» domandò la sorellina mettendosi accanto alla paziente. I quattro membri della famiglia erano accalcati in quel letto di una piazza scomodamente stretti, ma contenti della presenza reciproca in quella stanza.
«Mi sembra in ottima forma» dedusse Deuce mettendoci un punto interrogativo invisibile alla fine per sollecitare una conferma dall’interessata. Erano passati tre giorni quindi per quanto ne sapeva e lei si muoveva poteva anche togliersi le bende.
«Lo sono» avvalorò lei tornando a ispezionare le fattezze di quel dottore anticonformista.
E seppe con precisione di non essersi sbagliata.
L’identikit fotografico del manifesto – la peculiarità della maschera blu che gli fasciava gli occhi, il lungo taglio dei capelli ciano e il vestiario vistoso– era inconfondibilmente identico al tizio davanti a lei che si stava prendendo la libertà di scherzarci come se fossero cugini.
Masked Deuce. Membro della ciurma dei pirati di Picche, capitanata da.
Ayako si ricordò solo allora del nome e identità del loro capitano.
Portgas D. Ace. Soprannominato “Pugno di fuoco”.
A quel punto Ayako fu colta dall'intensità di un’illuminazione.
Il suo sogno. Lui. Era stato lui e la sua ciurma a soccorrerla?
Il suo potere empatico, Aveva seriamente instaurato un contatto con la sua anima dopo che lui se l’era caricata in spalla?
Oh, merda.
Internamente, Ayako era andata in totale escandescenza.
Avvertendo un alveare di api pungergli lo stomaco, non seppe come sentirsi in merito: sconcertata? Affrancata? Onorata?
«Loro. Sono stati loro. È lui» si disse senza condividerlo ad alta voce.
Ma prima di dare per risolto il caso avrebbe dovuto accreditare i suoi sospetti.
E l’affare, gli donava un’inspiegabile senso di codardia.
«Qualcosa non va, Ayako?» chiese il padre accigliato.
«Le ferite ti provocano dolore?» si informò la madre in apprensione.
«No, per niente» liquidò la faccenda con freddezza.
Giusto in quel momento stava notando un fattore collegato al mestiere che il medico – pirata anticonformista aveva esercitato su di lei.
«Tu...sei stato tu...tu mi hai medicata? Tu hai visto...hai visto» farfugliò imbarazzata. Non era certo avvampata per la maschile presenza di Deuce nella sua camera, ma bensì un’altra ragione che per lei equivaleva ad un’incolmabile vergogna.
«E’ stato inevitabile» disse Deuce usando l’intonazione lapidaria di un chirurgo dopo un intervento. Ayako scosse seccamente il capo a destra e sinistra.
«Io non mi stavo riferendo a quello...io mi riferivo a...»
«Lo so..» la rassicurò lui compassato.
«Appunto per questo...» Deuce decise di essere sincero con lei fin da subito perché sapeva che avrebbe incassato quel doloroso colpo con lodevole risolutezza.
L’aveva constatato tre giorni fa durante quell'estenuante scontro con il tenente e lo vedeva tuttora che da quando la sua schiena si era staccata dal letto, non aveva mai lamentato di nessun bruciore alle ferite o piagnucolato disperata.
Quella ragazza possedeva uno spirito eminentemente incrollabile revocatore dell’irrefrenabile istinto di versare una lacrima generata in rimpianto al suo passato. E Deuce l'ammirava sconfinatamente.
«Credimi io ho fatto il possibile, ma, non ho potuto fare niente per evitare le due cicatrici che ti rimarranno sulla pelle.»
«Dove?» chiese avendolo già intuito dalle fitte martellanti che provava sulla spalla e la guancia.
«Sono una sulla spalla e l’altra sulla guancia sinistra» a quel punto il raro cuore di Ayako si sarebbe dovuto spaccare in mille insanabili pezzi, ma non accadde nulla di questo.
Le orecchie non gli fischiarono in ripercussione alle palpitazioni nervose.
Ayako non aveva perso la facoltà di provare le emozioni, ma solo temprato il cuore al dolore.
Si era sentita dire così tante volte quelle parole da averle rese vuote, inefficaci.
Quindi ciò che fece fu quello che stava precedentemente facendo al suo risveglio: posizionarsi davanti allo specchio.
Fu un processo lento e interminabile, ma alla fine Ayako riuscì a sciogliere tutte le bende di cui era stata fasciato il suo corpo.
La prima cicatrice, Ayako la vide immediatamente. Impossibile da non adocchiare: uno sfregio gonfio e rosato ancora in fase ci cicatrizzazione che andava dall'inizio della palpebra e ne seguiva il delicato tratto della mascella.
Dandosi forza, Ayako si morse il labbro inferiore, evitando di descrivere l’immagine replicata sulla superficie di cristallo.
La prima volta che aveva saputo che una cicatrice si sarebbe incavata sulla sua gamba destra, non si era data al dramma, dicendosi di poterla nascondere con dei jeans lunghi.
Però, quando le cicatrici cominciarono ad aumentare e l’estate ad arrivare, per lei era diventato pressoché impossibile occultarle agli sguardi impiccioni della gente.
Irrisa dalle ragazze e malamente rifiutata dai ragazzi, Ayako aveva rischiato di avere un dannoso crollo mentale, di distruggere ogni specchio esistente sulla terra, ma a salvarla da quel punto di non ritorno furono le parole amabili di Akira.


Qualsiasi cosa accadrà o qualsiasi cosa ti diranno, ricordati che tu sei speciale poiché dotata di una bellezza interiore che ne oscura quella esteriore. Possiederai anche un aspetto ricercato, però si tratta sempre di qualcosa che non potrà mai eguagliare la meraviglia prodigiosa che detieni dentro di te”.

 

Così Ayako aveva lavorato in termini di livelli fisici e spirituali riuscendo ad accettarsi e amarsi nel giro di pochi anni, infischiandosene beatamente se nessuna amica gli avrebbe mai dato un consiglio su quale colore di vestito risaltasse meglio i suoi occhi o se nessun ragazzo l’avrebbe stretta appassionatamente a se.
«Okay» sussurrò. Senza battere ciglio Ayako passò senza indugio alla seconda cicatrice.
Sollevando la maglietta fin sopra le spalle – lasciando il davanti coperto - e voltatasi a tre quarti, identifico il mostruoso sfregio inciso sulla schiena: in fase di cicatrizzazione anche questo era lungo dalla scapola destra alla parte bassa del fondo schiena sinistro e spesso quanto due suoi indici.
«Oh, bambina mia» la madre si coprì il viso con entrambe le mani per non mostrargli l’espressione sofferente.
«Sorellona, io...» la piccolina di casa sembrava indecisa sul cosa dire.
«Ayako» si pronunciò il padre, sostituendola. Alzatosi per confortarla, aveva boccheggiato in cerca di una frase convincentemente favorevole.
Ayako che però non voleva essere compatita, fermò il suo discorso raccapezzato sul nascere.
«Fa niente» disse con voce evacuata di emozioni.
L’impatto di quella orrida vista avrebbe devastato la forza trascendentale di qualsiasi creatura umana del pianeta, Ayako tuttavia, non era una creatura qualsiasi, ma la creatura più pregiata del pianeta che non solo governava il soffio vitale e virtù di una guardia imperiale, ma riusciva perennemente a trasmettere quell’energia cosparsa di rettitudine al resto degli altri.
«Meglio essere sfregiata che morta, no?» recitò dandosi un’aria serena mediante lo sfoggio del suo instancabile sorriso radioso.
«Si» affermò Deuce, rimasto ancora una volta spiazzato da lei. Quella ragazza gli piaceva. Decise ufficialmente.
Se fosse stato il capitano della sua ciurma non ci avrebbe pensato neanche due secondi a portarla con se a viaggiare per i mari.

«Beh, io ho fame» notificò questa, schiaffeggiandosi la pancia.

«Che ne dite di prepararmi una nutriente colazione?» pretese come se fosse una principessa viziata che lo chiedeva ai suoi camerieri di corte. Era uno degli aspetti che più amava della sua famiglia. Gli piaceva vederli tutti e tre indaffarati a ideare la ricetta di una colazione amorevolmente dedicatagli.
«Oh, si certo. Provvediamo subito» scalpitarono i tre famigliari, dileguandosi dalla camera in un unico blocco.
Ayako ridacchiò e dislocò apertamente lo sguardo su Deuce.
Per dei secondi nessuno dei due conversò. Rimasero a studiarsi rabboniti dalla sputata curiosità di collocare la relativa personalità.
Infine, inaspettatamente, fu Ayako a sbloccare la situazione, con un garbato inchino.
«Vi ringrazio per avermi soccorsa e medicata. Sono in debito con voi per il resto della vita»
«Oh, non c’è di che e non preoccuparti» pattuì il medico - scrittore.
«Fiera ed educata. Somiglia sempre più a lui» Deuce non riuscì a celare un sorriso divertito.
Ayako acconsentì e fu per andarsene a rinfrescarsi, ma Deuce aveva già trovato il modo per farla sdebitare dei favori offerti.
«Però, Ayako. Se vuoi davvero esserci riconoscente, non ringraziare me, ma il nostro capitano. A lui farà sicuramente piacere» Deuce era a conoscenza delle manchevolezze affettive di Ace.
Di quanto disarmante bisogno avesse di essere elogiato, apprezzato e beneamato, e se quella ragazza che sembrava avere più di una concomitanza con lui avrebbe riconosciuto in lui anche uno solo di questi pregi, Ace ne sarebbe stato legittimamente gratificato. Anche se in maniera velata.
«D’accordo. Sarà fatto» assicurò sparendo dietro la soglia.
A seguito di una doccia rigenerante, Ayako lasciò i capelli mori liberi di asciugarsi con le temperatura naturale del sole.
Poi facendo una veloce corsetta, si infilò nella sua camera, su cosa decidere d’indossare.
In primis però, chiamò la madre e gli chiese di aiutarla a fare il cambio con le bende, che rimise nella parti del corpo dove erano state meticolosamente fasciate.
Non ne aveva bisogon, ma prevenire era sempre meglio che curare. 
In quanto al vestiario, per quella giornata tremendamente afosa, optò per una minigonna a fantasia scozzese grigia e lilla, degli stivali argento che ne toccavano la caviglia e una maglietta corta sopra l’ombelico grigio cenere.
Ormai erano passati i tempi in cui si faceva condizionare dalle cicatrici, vestendosi in base a quanti strati di pelle avrebbe potuto coprire.
Non avrebbe permesso mai più a nessuno di ferirla o limitarla.
Consapevole della sua pregevolezza interiore, era tornata raggiantemente a mettere i capi che più gli piacevano quando e per andare dove voleva. Malgrado la madre fosse portata a pensare ancora il contrario.
Voltandosi verso i raggi di sole. Ayako si sgranchì le spalle in modo da trovare la calma desiderata.
Poi, senza riuscire a trattenersi, si mise a fissare l'affresco raffinato fatto da lei e la sorella nella parete centrale della camera.
Per abbellirla aveva scelto un letto a una piazza dalle lenzuola lilla abbinate alle pareti grigie e bianche, una scrivania al lato sinistro del letto, un armadio alla sua sinistra e nient’altro.
Tutti gli avevano detto che fosse una camera squallidamente smorta.
Ma lei lo amava perché ne rappresentava una stato mezzano. Né mai troppo felice, né mai troppo triste. Era parte di entrambi e in qualsiasi momento poteva scegliere quando essere totalmente uno dei due. Esattamente come lei.
Ayako fece un passo verso la parete disegnata, governata da un'istinto di nostalgia.
Quell'affresco gessato di bianco sulla parete, l’aveva proposto la madre.
Uno sprazzo di luce in mezzo a quei nuvoloni porta malinconia”.
Ci avevano messo mesi, lavorandoci con un’assiduità coinvolgente, e tutto sommato, vista complessivamente, l’opera d’arte era venuta abbastanza suggestiva: una gigantesca farfalla bianca – in memoria di Akira – dalle grandi ali all’interno delle quali sguazzava uno sconfinato banco di carpe, simbolo di anticonformismo, perseveranza e il coraggio di abbattere le sventure della vita.
«Si, mamma. Hai ragione. Mi si addice proprio» pensò abbozzando un sorriso.
Rilassatasi a sufficienza, Ayako prese il corridoio centrale, scese al piano di sotto, quindi entrò dalla porta sul retro dell’albergo – ristorante di famiglia.
Ritrovatasi accanto al bancone principale, notò la solita parapiglia di clienti, seguiti dal tintinnio dei piatti accompagnato dalla musica calmante che subentrava nel vasto atrio come una boccata d’aria fresca.
Guardandosi intorno, ad Ayako non ci volle molto per rivelare la festosa quanto chiassosa brigata di pirati.
Avevano occupato tutta la parte destra del ristorante e si stavano godendo quel momento salottiero alla grande.
Erano tutti soggetti di altri mondi, ma alcuni spiccavano sugli altri per l’aspetto fisico singolare allacciato ai modi di fare: un tizio con un cappello di seta e degli occhiali, stava mostrando le pagine di un libro ingiallito alla sua sorellina.
Un altro con la maschera a forma di teschio tracannava da un boccale della spumante birra.
Deuce il medico di ciurma, sedeva alla sinistra di un tizio – svenuto? Collassato di sonno? - sul tavolo.
Aveva la faccia completamente spalmata sul piatto riempito di riso alla marinara, ma il capello arancione da Cowboy con la corona circondata da una collana di palline rosse e due faccine - una triste, l’altra felice - al suo esatto centro, non le lasciarono dubbi su chi fosse: Ace pugno di fuoco.
Senza cercare di svignarsela coprendosi il volto con un libricino del menù, si indirizzò da loro adoperando un passo svelto e lungo.
Perché tutte le si poteva dire, tranne che fosse un pauroso coniglietto.
Così facendo, si portò davanti al loro tavolo, schiarendosi la gola per attirare la loro assoluta attenzione.
«Ecco, io...» disse, ma non appena le ventine di teste si voltarono verso di lei, riconoscendola, questa fu magnificata da degli amichevoli schiamazzi.
Ayako, sollevò un sopracciglio mortificata da quella loro esuberante accoglienza, specialmente perché nonostante il trambusto creato, pugno di fuoco perdurava a rimanere un busto di marmo senza sangue nelle vene.
Si chiese se prestargli una manovra di soccorso o ridersela anche lei.
E poi che si crucciava a fare se il suo medico di bordo gli era seduto accanto?
Se fosse stata una situazione di emergenza gli avrebbe dato assistenza, anziché ignorarlo. Giusto?
«É...» pronunciò, nessuno però parve capirla. Ayako dovette indicarlo con un cenno del mento per fargli presenti i suoi dilemmi.
«Ah, lui?» gli chiese il tizio che stava facendo leggere un suo libro alla sorella.
«Non preoccuparti. È normale. Vedrai che tra pochi secondi si risveglierà di colpo e riprenderà a mangiare come niente fosse» la informò parlando con leggerezza.
E così accadde.
Inconcepibilmente, pugno di fuoco si raddrizzò di scatto sulla sedia come se qualcuno l’avesse pizzicottato, navigò con gli occhi offuscati in cerca di un grembiule in cui asciugarsi la bocca e non trovandolo riprese a mangiare come nulla fosse successo.
Tutto questo sotto lo sguardo sconcertato di Ayako.
«E’ proprio un tipo fuori dal comune non c’è che dire.» commentò divertita.
«Ma adesso...» Ayako si accorse di dover cogliere la palla al balzo.
«Emh...» ruggì per richiamare la sua attenzione correntemente rivolta a un cosciotto di carne.
Ace si bloccò e la guardò in attesa.
Il pirata non si spiegò perché l’averla lì di fronte lo rendesse nervosamente impaziente. Forse perché aveva già compreso quanto in comune avessero nei fattori esperienze e caratteriali. L'interagirci quindi sarebbe stato un po' come farlo con se stesso.
«No, ecco vedi, io….»
«Oh!» dissero contemporaneamente, accavallando così le proprie parole. Ayako ammutolì nel vederlo alzarsi, assumere una posizione eretta – braccia incluse – e protendersi in un inchino educato.
«Piacere io sono Ace. Capitano dei pirati di Picche»
«Io sono...» balbettò lei imbarazzata. Era passato così tanto tempo da quando un ragazzo gli si era presentato in maniera così garbata.
Quel giovane pirata aveva certamente dei modi di fare assurdamente illogici, ma che lo rendevano un pezzo unico nel suo genere.
Ace, sembrava essere proprio il frutto nato dalla notte d’amore di un’audace pirata e una dolce principessa dotata da un cuor di leone.
«Ayako» dichiarò il suo nome ormai noto.
«Ecco, io volevo ringraziare» prosegui, malgrado lì per li non seppe se essere sincera e confessargli che sapeva benissimo chi fossero e non gliene fregava niente della loro cattiva reputazione.
L’avevano salvata dopo che era stata quasi ridotta in fin di vita e questo soltanto aveva dimostrato a sufficienza che la sua ammirazione per loro era stata ben riposta.
«Te e la tua ciurma di pirati per avermi difesa e soccorsa» Sul viso di Ace si dilatò uno splendido sorrisone.
«Figurati è stato un piacere. Si mangia benissimo qui da voi» rispose facendogli capire che ne era davvero valsa la pena.
«E fidati, lui se ne intende dato che ha girato tutti i ristoranti dell’isola» se ne beffò Skull.
«A scrocco» tossicò un pirata ai margini della sala sicuro di non essere sentito.
«Quindi suppongo che hai assaggiato anche il nostro piatto forte» Ayako gli parlò con innata naturalezza.
«Si. Ottimo tutto. Non avrei mai smesso di mangiare» un compagno pirata di Ace fece una battuta su di lui e lui se ne aggregò ridendo svagato.
«Eppure a vederlo pare essere così felice e sereno» Ayako stava rivalutando la sua teoria sul sogno premonitore, ma quando partì a esaminarlo fissamente, capì di averlo trovato.
Quei suoi capelli corvini e mossi fin sul collo che si mescolavano perfettamente al suo tipo di carnagione chiara.
Quelle lentiggini spruzzate sulle guance estimatrici di un viso ilare.
Il tatuaggio nel braccio sinistro, la camicia lime sbottonata che gli attribuivano il valore della fermezza.
Ma c’erano gli occhi che se pur brillassero di ambizione e schietta serenità, tradivano una minuscola rifrazione di insoddisfacente mestizia.
«Somigli molto alle faccine del tuo cappello. Somigli un po’ anche a me. Sei come il sole , Ace»
Ace era come un sole mortale che dispensava sorrisi calorosi ai suoi simili per scaldarne gli appositi cuori addolorati, ma non sciogliere il suo freddo dolore.
«Ne sono certa, sei tu. Non posso sbagliarmi»
Non c’erano più dubbi, l’anonima anima straziata, La sagoma umanoide infuocata, era lui.
Ayako l’aveva supposto e confermato nel giro di pochi minuti.
«Ayako i ragazzi volevano andare a vedere il dirupo della memoria e la scalata del poeta» la informò la piccola Aya stringendosi ai suoi fianchi. La maggiore sussultò colta a vagare nei suoi pensieri. Successivamente, ne ricambiò l’affetto incrociando le braccia sulle sue minute spalle.
«Volete andare a vederlo?» nella sua domanda c’era stata della palpabile angoscia.
«Si. Perché? Ce lo sconsigli?» la torchiò Deuce.
Ace assomigliò lo sguardo senza pronunciarsi.
«Ci hanno detto che sei tu la specialista del posto e abbiamo deciso di aspettare la tua ripresa per permetterti di farci da guida. Ma se non te la senti, possiamo recarci da soli» gli spiegò Skull.
«Si, possiamo capirlo» assicurò Deuce.
Ayako fu incerta sul da farsi.
Però, di cosa si stupiva d’altronde?
Era prevedibile che dei pirati fossero attratti da un posto in cui albergava la leggenda di un tesoro senza eguali.
Tesoro che tra l’altro non si trovava più dove era stato seppellito. Lei lo sapeva bene.
«Ma che sto facendo. Non devo sospettare di loro»
Una fitta di colpa gli brontolò allo stomaco. Forse non doveva diffidare.
In fondo avevano dimostrato di essere dei pirati dignitosamente onesti e non avrebbe avuto alcun senso usarla per arrivare al frutto dopo averla aiutata.
Escludeva che l’avrebbero costretta a confessare la verità di quella notte come stava facendo da ormai anni quel maledetto tenente della marina.
Non doveva confondere delle coerenti intenzioni con delle ruffiane allo stesso modo del confondere l'oro con il piombo.
Li stava giudicando erroneamente. Loro erano tipi a posto. Il loro capitano lo era e lo sapeva perché in quel breve contatto non aveva sentito alcun sentimento opportunista o fasullo.
«No, è vero. Io faccio da guida turistica una volta al giorno a chi vuole vedere le rovine artistiche di quel posto» tranquillizzò cordiale portandosi le ciocche sinistre dietro la schiena.
«Sapete avete avuto un’ottima idea. In genere è una gita che mi faccio ragionatamente pagare, ma stavolta adotterò il metodo deluxe. Sarà un modo per sdebitarmi con voi» disse e si voltò per controllare l’orologio sito sopra il bancone d’ordinazione.
«Sono quasi le due. Siamo in perfetto orario. Mangio qualcosa e poi si parte»
«Agli ordini Miss» dissero i pirati in coro sollevando i boccali pieni fino all’orlo.
Così chi doveva mangiare, mangiò. Chi doveva fare un sonnellino antecedente alla scarpinata, sonnecchiò sulla sedia.
Svolta ogni faccenda e sistemato negli zaini l’indispensabile per “sopravvivere” alla mini gita, La piacevole combriccola partì verso le due e quindici con il sole scottante sulla testa, totalmente ignara di essere seguita da uno degli esponenti più menzogneri nella fattispecie della Marina.


NOTE DELL'AUTRICE: E rieccomi con un nuovissimo capitolo. 
Piaciuto? Che ne pensate di Ayako? Vi siete già fatti un'idea del suo potete speciale? Un'haki particolare no?
Detto questo come vi sembra l'evoluzione del tutto?
Ayako sa molto di più di quello che sembra sul frutto? 
Vi aspetto alla prossima e come al solito ringrazio i lettori silenziosi e chi mi aggiunge/rà alle preferite, ricordate, seguite. 

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