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Autore: _Lightning_    25/12/2019    4 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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.9.

Crepe


 
"There's a crack,
A crack in everything:
That's how the light gets in"

[Anthem – Leonard Cohen]
 


Gennaio 2019, Complesso dei Vendicatori

I suoi piedi tremanti lo portano in palestra nel cuore della notte, impazienti di abbattersi in una successione sfiancante sul tapis roulant. Vuole distruggersi la facoltà decisionale e inibirsi i neuroni, correre al punto di collassare di schianto. È scosso da brividi così forti che teme di sgretolarsi in mille pezzi tintinnanti. Ha la nausea, violenta, che gli risale lo stomaco contratto in attesa del liquido bruciante dal quale sta cercando di liberarsi con tutte le sue forze dopo esservici tuffato a capofitto.

Si artiglia la faccia a metà corridoio, con la porta della palestra che si spalanca sul fondo come una promessa di salvezza. Viene scosso da un conato che trattiene a malapena e si piega sulle ginocchia per contenerlo, per contenere la bestia affamata che ha posto la propria dimora dentro di lui. Sente il sapore della bile in bocca, ma riesce a trattenere la cena e muove qualche altro passo traballante, scoordinato. È una crisi violenta, tanto che neanche attorcigliarsi nelle lenzuola in una camicia di forza ha dato i suoi frutti. Sente il bisogno impellente di fare a pezzi qualcosa, o sfiancarsi, o stringersi a qualcuno, e tutte queste necessità si accavallano l'una sull'altra, caotiche, indistinguibili, spaventose perché c'è ancora cenere ovunque.

Pianta la testa contro il muro e gli viene da urlare, un urlo che strozza in gola per non far accorrere gli eroi più potenti della Terra – forse un tempo, ora non più – a rimettere a letto un relitto ambulante e smanioso d'alcol. Chiude gli occhi e la nausea aumenta, e lui non fa che strizzare di più le palpebre fino a farsi scoppiare gli occhi, sentendo il mondo che si rigira sottosopra attorno a lui, dentro di lui. 

Un suono si intromette nei suoi pensieri fluidi che scorrono verso la cucina e l'armadietto degli alcolici: dei piccoli tonfi regolari, secchi, quasi dei passi saltellanti. Schiude gli occhi annebbiati e si concentra su quella successione irriconoscibile, estranea: si stacca dal proprio corpo e la sente risuonargli attorno, ritmica, regolare. 

Un-due-tre, un-due-tre.

Il suo se stesso lucido e non febbricitante l'avrebbe presa per qualcuno che si diverte a saltellare casualmente qua e là, ma quella sua versione debilitata da febbre e astinenza vi riconosce un tre tempi cadenzato. Di quelli che sentiva risuonare eterei dal giradischi gracchiante a New York, nella magione di Long Island.

Stacca la fronte dal muro fresco e riprende la propria avanzata patetica, sentendosi torcere le budella. La porta della palestra è già aperta, e quando vi mette piede capisce perché. Scorge una sagoma affusolata, sinuosa, che attraversa l'ampio spazio in punta di piedi. Si libra leggiadra a mezz'aria, a un'altezza impossibile, poi ricade lieve sulle dita tese dalle ballerine, senza alcun suono se non un lieve picchiettio di pioggia primaverile. Dovrebbe ritrarsi nell'ombra del corridoio, invece si poggia cautamente allo stipite e rimane a guardarla, con la nausea che si attenua e gli occhi lucidi persi in coreografie che non comprende.

Battement tendu. Passé. GlissadeBrisé. Gli risuonano in testa termini tecnici che non sa associare ai loro corrispettivi reali, parole isolate fuse a quel poco, stentato francese che gli ha insegnato sua madre quando lui sapeva a malapena balbettare qualche frase di senso compiuto, e saltava fuori tempo sulle note dello Schiaccianoci suscitando le sue risate. [1] Non lo ricorda, ci sono solo un paio di foto sfocate di Jarvis a testimoniarlo. Ma per un istante si sente lontano da lì e torna nella stanza della musica a Long Island, con sua madre che faceva risuonare qualche accordo scherzoso in tre tempi solo per vederlo ridere e saltellare a piè pari deliziato, per poi stringerselo al petto e farlo volteggiare su passi dimenticati anche da lei, enunciandoli ad alta voce.

Batte le palpebre, riportato bruscamente al presente quando il ritmo dei passi di Natasha si interrompe. Si trova a vedersi trafitto dai suoi occhi, pericolosi e acuminati anche a distanza. Sono appena distinguibili nella penombra della palestra, illuminata solo dal riverbero della luna sulla neve oltre la vetrata. Si toglie le cuffie che le coprono le orecchie, lasciandole appese al collo, senza smettere di inchiodarlo sul posto con le sue iridi penetranti. Sembra un predatore indeciso se assalire una preda più grande di lui, sicuro di farcela, ma chiedendosi se ne varrà la pena.

Tony si schiarisce la voce, conscio di non essere in una posizione favorevole, e provando anche un lieve disagio per essersi fatto cogliere in flagrante a guardarla, anche solo per caso.

«Non ti stavo spiando, parola di boy-scout,» mette quindi in chiaro, muovendo un passo esitante verso di lei e segnandosi una blanda croce sul cuore con l'indice. «Non sono un maniaco, solo... un alcolista insonne.»

«Me ne sarei accorta, se mi avessi seguita,» ribatte lei con frigida altezzosità.

Tony non la contraddice, conscio che ha ragione e che probabilmente non ce l'ha con lui, ma con se stessa per essere stata poco accorta. Comunque sia, adesso dovrebbe andarsene... ma dopotutto lui ha diritto a stare lì, anche nel cuore della notte. E tornare a dormire... beh, non tornerebbe a dormire, questo è poco ma sicuro. Si avvicina cauto di qualche passo barcollante e Natasha non si ritrae, lo osserva solo con circospezione mentre riprende fiato. Tony sa di avere un aspetto devastato, ma non si nasconde, sapendo che gli occhi della spia lo scoverebbero in ogni caso.

«Sei... molto brava,» commenta, vacuamente. «Non che io ne capisca qualcosa, di danza,» scuote il capo, con una smorfia incerta.

Lei sbuffa appena e alza le spalle, in quella che lui prende come un'accettazione silenziosa del complimento. Tony serra le labbra. Poi parla, dando voce spontanea a quel pensiero infantile che è rispuntato dalla sua memoria:

«Per caso era, uh, Lo Schiaccianoci?» chiede in fretta con un cenno del mento verso le cuffie, per poi schiarirsi la gola pentendosi della domanda.

Natasha alza lo sguardo, e per una volta sembra averla presa in contropiede.

«Tu conosci Čajkovskij?» chiede, inarcando un sopracciglio, e Tony scrolla le spalle.

«Non ho idea di come si scriva, ma chi non lo conosce?» butta lì, a sviare la domanda implicita... per poi cedervi inclinando appena il capo: «Mia madre ha fatto danza classica, da bambina. Le era rimasta la passione per il balletto... che però con me non ha mai attecchito,» sbuffa appena, soffocando una risata un po' triste, e intreccia d'istinto le mani di fronte a sé come faceva da piccolo quando si vergognava per qualcosa.

Natasha sorride appena, ed è uno dei pochissimi sorrisi spontanei che le ha visto fare in vita sua. Rende più piene le sue guance, e le accende gli occhi di riflessi di solito opachi.

«La Bella Addormentata[2] enuncia poi, inaspettatamente, e il suo sorriso si torce appena in una piega dolorosa, distruggendo la patina serena del suo volto.

Tony la osserva e la vede più rigida, con del filo di ferro a tenderle gli arti.

«Eri... una ballerina al Bol'šoj, vero?»chiede cautamente, sentendo di camminare sulle punte quanto lei, solo con mille spilli sotto le piante dei piedi. [3]

Si aspetta una secca risposta di depistaggio e non le darebbe torto, invece Natasha fa solo un piccolo sospiro, incrociando i suoi occhi con sguardo rattristato.

«In un certo senso. È una storia lunga,» conclude, riportando con decisione le cuffie a coprirsi le orecchie.

Tony annuisce e torna al presente, venendo scosso da un brivido molesto che gli ricorda perché è qui, con le viscere annodate in cappi brucianti.

«Hai bisogno di un pubblico?» chiede, cambiando argomento, e Natasha scrolla perentoria la testa schivando di nuovo attivamente il suo sguardo. «Peccato. Allora mi dedico alle mie "distrazioni",» conclude, senza insistere e ritenendo di aver ottenuto anche più informazioni del dovuto.

Sale sul tapis roulant senza un'altra parola, con una velocità che dovrebbe farlo cadere a corpo morto entro pochi minuti garantendogli, spera, un blackout totale non appena toccherà il cuscino. Scorge con la coda dell'occhio Natasha che si riaggiusta lo chignon e riprende a danzare, ponendosi in un angolo cieco rispetto a lui, a meno di non voltare del tutto la testa. Tiene lo sguardo fisso davanti a sé, intravedendo solo il fantasma del suo riflesso nella vetrata, etereo contro il buio punteggiato da fiocchi di neve che sembrano sgraziati, rispetto alle coreografie seguita da Natasha. Sente, appena percettibile, il ronzio indistinguibile della musica emesso dalle cuffie, impostate a un volume decisamente troppo alto per essere salutare, ma, da persona che si è spaccata per anni i timpani a suon di rock, non è nella posizione più adatta a commentare.

Continua a correre su quella successione di pensieri, una falcata alla volta, e avverte una piccola fitta di nostalgia per quei pomeriggi passati a smontare e rimontare macchine e armature, con sottofondi tutt'altro che rilassanti che facevano impazzire Pepper ogni volta che tentava di dirgli qualcosa oltre assoli di chitarra e bassi spaccavetri. Lui rideva, fingeva di non capire e alzava il volume, finendo per far ridere anche lei. Si passa rapido un palmo sotto gli occhi subito lucidi e aumenta il ritmo della corsa, ignorando il dolore che gli pulsa feroce sotto lo sterno mozzandogli il fiato.

Corre molto più di qualche minuto e si ferma solo quando gli tremano i polpacci, per assicurarsi di non avere alcuna energia residua che possa alimentare sogni o pensieri troppo articolati. Vede che anche Natasha ha interrotto la sua sessione di danza, e si è seduta per terra per togliersi le ballerine. Sembra sfinita quanto lui, e ha perso il conto di quanti salti e piroette abbia fatto, quelle fugaci volte in cui l'ha intravista nel vetro.

«Va meglio?
» gli chiede senza preavviso quando le si avvicina, e Tony si sorprende nel sentirla parlare per prima.

Scuote la testa e cerca di pettinare alla buona i capelli troppo lunghi: la domanda di Natasha è come sempre a doppio fondo, oltre che superflua. Sa benissimo di avere gli occhi rossi, per tutti quei pensieri che non è riuscito a reprimere sul nascere e gli sono scivolati dalle ciglia. Non va affatto bene, né fisicamente, né mentalmente. Ma crede che sarebbe stato molto peggio se fosse stato da solo.

«Dipende dai punti di vista,» replica infine, senza scomporsi, e la sua voce suona roca. «Non sono esattamente un bijou, al momento,» aggiunge, e manda al diavolo il pudore asciugandosi il volto col davanti della maglietta, impaziente di ficcarsi sotto una doccia bollente e probabilmente addormentarsi in piedi là dentro.

«Neanch'io,» alza le spalle lei, sciogliendosi lo chignon e scuotendo la matassa scompigliata di capelli rossi ancora sopraffatti dal biondo. «Ma ci siamo visti in condizioni peggiori,» aggiunge, con una mezza allusione forse nostalgica, forse amara.

Tony si limita ad assentire con un cenno del capo, col pensiero ai rientri dalle missioni, quando erano doppiamente esausti e con molti più tagli, lividi e sangue ad aggiungersi ai semplici crampi e sudore. Ma la maggior parte delle volte erano anche soddisfatti, contenti di aver svolto il loro compito con successo. È un'emozione che stenta a ricordare. Non c'è spazio per quella quiete spontanea: solo per quella vuota e assoluta dell'assenza, della mancanza, che si ramifica sulle pareti spoglie del proprio petto come un'erba infestante.

Esita per un istante prima di lasciarsi scivolare a terra, in linea con lei ma con un buon braccio di distanza a separarli. Natasha lo adocchia sospettosa, ma non commenta, e Tony pensa che è fin troppo accomodante e troppo poco schiva. Inspira a fondo e rincorre parole che non è mai stato bravo a trovare. Gli è chiaro che qualcosa non va. Lo ha notato da giorni, da più di una settimana, ma gli mancano le basi per approcciare qualcuno e convincerlo a parlare senza risultare molesto e invadente come suo solito. È abile coi giri di parole, ma solo se vede gli altri come avversari da battere in arguzia... e nonostante la maggior parte delle sue conversazioni con lei si riducano a questa dinamica, non è quella che vuole innescare adesso. Vorrebbe un pizzico di sincerità, una volta tanto; ed è consapevole che lui è il primo ad evitarla, a incartare verità scomode in manifeste bugie che raramente indorano davvero la pillola, perché lei sa perfettamente quanto sia amara. Ma la fiducia si paga a caro prezzo, ed è convinto che entrambi l'abbiano imparato a proprie spese.
Vale troppo
 per donarla alla cieca.

«E tu, Romanov?» chiede infine, rinunciando ai giochetti psicologici e optando per un approccio più diretto quanto fallimentare. «Va meglio?»

Lei scuote la testa, e non sa se è un respingere in toto la sua domanda o un diniego alla stessa.

«Non va mai meglio,» sbotta poi, con inaspettata frustrazione, e scalza via la seconda ballerina con troppa veemenza per qualcuno di così controllato come lei.

Tony quasi trattiene il respiro a quella che è a tutti gli effetti una rivelazione, per i suoi standard, e si morde la lingua per non chiedere altro, sperando che porti avanti da sola il discorso. Ma lei tace, rivolgendogli un'occhiata quasi spaurita da sotto le ciglia arcuate e sigillando poi le labbra. Tony aspetta per quasi due minuti interi, prima che sia lei a spezzare il silenzio, non con le parole che avrebbe voluto sentire, ma con echi distanti delle proprie:

«Non voglio parlarne, Stark.»

Tony espira seccamente, annuendo appena, e fa per rimettersi in piedi.

«Legittimo. Sacrosanto, direi,» commenta, in cuor suo un po' deluso ma pronto a lasciarla ai suoi pensieri.

Con sua sorpresa lei lo trattiene a metà movimento, posandogli una mano sul ginocchio.

«Ho detto solo che non voglio parlare,» ripete, con una scrollata di spalle e inarcando le sopracciglia con un fare saputo che nasconde una richiesta semplice e molto esplicita.

Tony si lascia ricadere lentamente sul pavimento, tornando a sedersi accanto a lei a gambe incrociate. Si aspetta di sentire mille frasi che gli premono in gola, lottando per emergere: non ha un buon rapporto col silenzio. È pericoloso, cela tranelli in cui cade fin troppo facilmente, soprattutto ora che ha perso due persone in grado di riempirlo del tutto al posto suo, chi con i gesti, chi con le parole.

Invece ora lo asseconda con naturalezza, cercato, necessario. Lui che deve sempre colmarlo, disporre a falange le proprie parole in misura preventiva, attaccare prima di venire attaccato, parlare senza sosta fino a sfinirsi e sfinire gli altri spinto da un insensato horror vacui. Gli viene da ridere per l'improvvisa nota assurda che coglie in quella situazione, in Tony Stark che trova naturale chiudere il becco, una volta tanto. Sente le sue labbra che si incurvano senza riuscire a trattenersi. Natasha lo nota subito e lo fissa interrogativa.

«Rimanere zitto non è il mio forte, dovresti saperlo,» dice poi lui, a bassa voce, in un blando tentativo di tenersi stretta quell'identità sbiadita attraverso la quale ormai tutti riescono a vedere, soprattutto lei.

Natasha sbuffa appena aria dal naso e, sotto il suo cipiglio tetro, scorge una scintilla divertita.

«Almeno provaci, Stark,» gli intima, dandogli una secca spallata laterale e rimanendo poi più vicina, quasi poggiata a lui, in un avvicinamento spontaneo ma al contempo studiato.

Tony le offre sostegno inclinandosi appena, poi inspira a fondo e cambia posizione, stringendosi le ginocchia al petto. Vi poggia il mento, con lo sguardo puntato sulla nevicata incessante all'esterno.

«Farò uno sforzo solo perché sei tu, Romanov,» alza le spalle infine, con fare saccente, e intuisce la sua espressione rilassata.

Quel silenzio è ancora spaventoso, senza fondo, ma ora gli sembra un po' meno vuoto. Solo un po', quanto basta per non sentirsi del tutto solo.



 
 
© shilyss Note:

[1] Tony, stando alle scene a Monaco di Iron Man 2, mastica un po' di francese e riesce a comprenderlo. Il fatto che lo parlasse Maria e che gliel'abbia insegnato è un mio headcanon, così come il fatto che abbia studiato danza classica e tutti i riferimenti alla stanza della musica a Long Island, citata per la prima volta nella mia shot Sonata N°5, «Primavera» (o anche: I Love Rock 'n' Roll).
[2] La Bella Addormentata: il balletto di Čajkovskij meno noto in Europa dei tre da lui composti, ma il più amato e di successo nella natìa Russia. Per i curiosi, trovate il brano che avevo in mente in questa scena qui.
[3] Ricordo i flashback agghiaccianti di Natasha in Age of Ultron rispetto alla sua attività di "ballerina". Tony parla esclusivamente per deduzione e per ciò che ha letto nei dossier ufficiali su di lei, che non necessariamente riportano la verità. Il periodo nella Stanza Rossa è per lo più un mistero nel MCU, e così rimarrà anche in questa storia, eccezion fatta per la relazione canonica con Bucky e altre parentesi simili condite anche da miei headcanon.


Note dell'Autrice:

Ma Buon Natale!
Quale miglior modo di festeggiarlo, se non con un po' di sano angst? Passo in volata in una pausa pre-Cenone, lascio questa bomba atomica di feels indigesti quanto le pietanze che mi attendono, e vi auguro una bella serata, ovunque voi siate e con chiunque la passerete <3

Un grazie stratosferico a Miryel per le recensioni bellissime che mi ha lasciato di recente, a shilyss per il meraviglioso aesthetic che accompagna questo cpaitolo, e a tutti coloro che continuano a leggere, seguire e aggiungere la storia alle liste <3
Buone Feste a tutti,

-Light-
 
 




 
   
 
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