Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Star_Rover    10/01/2020    5 recensioni
Un valoroso soldato nella sua impeccabile divisa che marcia con orgoglio a testa alta. Una figura imponente, un volto severo e due iridi smeraldo che caratterizzano uno sguardo intenso e impenetrabile.
Il detective Eric Dalton ricorda così il maggiore Patrick O’ Donnell. Era soltanto un ragazzino quando aveva assistito ai festeggiamenti per la fine della guerra civile, al tempo quell'uomo era apparso ai suoi occhi come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Nell’autunno del 1936, tredici anni dopo quel primo e fatidico incontro, Patrick O’ Donnell ricompare nella vita del giovane investigatore in un modo del tutto inaspettato. Infatti è proprio il suo nome ad apparire tra le pagine di un pericoloso fascicolo.
Eric accetta il caso, ma è intenzionato ad indagare a fondo prima di portare a termine l’incarico più difficile della sua carriera, ovvero condannare l’eroe di una Nazione.
Genere: Drammatico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 


Il tenente McGowan entrò nell’ufficio del detective e richiuse la porta alle sue spalle. Con tono serio e preoccupato rivelò all’amico le sue constatazioni.
«A Drogheda due uomini ci hanno seguiti, sono stati abbastanza discreti, ma non erano spie del G2. A quanto pare i servizi segreti non sono gli unici ad essere interessati a questa storia…»
Eric tentò di nascondere la propria apprensione: «sei sicuro di quel che stai dicendo?»
«Certo, e ti dirò di più…quella recluta del sud non è stata affatto sincera con noi»
Il detective esitò, ma alla fine scelse di essere onesto nei confronti dell’amico, doveva avvertirlo dei pericoli a cui si stava esponendo.
«L’agente O’ Neil ha dei contatti con l’IRA» ammise con voce atona.
McGowan trasalì: «che cosa? E per quale motivo non l’hai denunciato?»
Dalton abbassò lo sguardo: «perché ho bisogno di lui per risolvere il caso»
«Tu sei pazzo! Quei criminali potrebbero decidere di spararti un colpo in testa da un momento all’altro!»
«Il mio compito è trovare la verità, l’IRA è decisa a condannare O’ Donnell per vendicare la morte di quei militanti mentre i servizi segreti vogliono evitare uno scandalo nazionale…ognuno ha le sue buone ragioni»
«Dannazione Eric, sai che accadrebbe se si scoprisse che il Governo irlandese ha aiutato l’esercito a nascondere i suoi crimini? Non puoi innescare una rivolta per amor della verità!»
«Dunque anche tu hai dei dubbi sull’innocenza di O’ Donnell…»
Il tenente iniziò a perdere la pazienza: «non si tratta del caso O’ Donnell, in gioco c’è la nostra pelle!»
«Nessuno ti obbliga a rimanere invischiato in questa faccenda»
«Di certo non posso abbandonarti in queste condizioni»
Dalton si prese la testa tra le mani: «sinceramente non so più che fare»
Colbert rifletté qualche istante: «per ora continua le tue indagini, ma non fidarti troppo del ragazzo, io penserò a chiarire la questione con l’agente Beckett»
«Davvero faresti questo per me?»
McGowan si limitò ad annuire, in realtà non sapeva esattamente per quale motivo fosse giunto fino a quel punto, forse per amicizia o lealtà…in ogni modo anch’egli era rimasto vittima del caso O’ Donnell.
 
***

Robert accompagnò il detective nel quartier generale di Phoenix Park.
«Ho cercato il fascicolo sul caso O’ Donnell fin dall’inizio delle indagini e ancora non sono riuscito a trovarlo» si lamentò Dalton incamminandosi lungo il sentiero.
«Non le era mai capitato niente di simile prima d’ora?» chiese O’ Neil.
«A volte non è semplice trovare delle vecchie prove, ma in questo caso ogni documento riguardante quelle accuse sembra essere scomparso nel nulla!»
«Crede che ci sia qualcosa di più dietro a tutto questo?»
Eric ripensò alle parole dell’agente Beckett: «purtroppo temo di sì»
I due giunsero all’antico fortino, dopo aver superato i controlli delle guardie poterono raggiungere il vecchio archivio.
«Non credo che tra queste scartoffie possa esserci qualcosa di utile» commentò il sottufficiale che li accompagnò nei sotterranei.
Dalton si occupò subito delle sue ricerche, Robert invece iniziò a vagare per lo scantinato polveroso con aria afflitta. Era consapevole di aver trascinato il detective in una situazione assurda e pericolosa, in parte si sentì responsabile. Dalton aveva fatto il possibile per aiutarlo, aveva deciso di proteggerlo anche quando aveva scoperto dei suoi rapporti con l’IRA. Il poliziotto sapeva che i ribelli non avrebbero esitato ad eliminare un elemento pericoloso nel caso in cui qualcosa non fosse andato secondo i loro piani. Doveva agire in qualche modo, non poteva continuare a lasciarsi manipolare come un’insulsa pedina e soprattutto non poteva permettere che accadesse qualcosa di male all’unica persona che aveva davvero preso a cuore l’omicidio di suo padre.
Era ancora oppresso da questi pensieri quando la voce di Dalton lo riportò alla realtà.
«Dannazione! Non è possibile!»
Il giovane si avvicinò: «che cosa è successo?»
Eric gli mostrò ciò che aveva scoperto, nel fascicolo di O’ Donnell mancavano proprio le pagine riguardanti il suo processo.
«Qualcuno deve essere arrivato qui prima di noi» disse Robert con amarezza.
Il detective sbuffò esternando la propria frustrazione, non aveva dubbi a riguardo, l’agente Beckett non aveva mentito sulle sue intenzioni.
 
Per il resto della giornata Dalton rimase nel suo ufficio a riflettere sulla situazione. Se i servizi segreti avevano deciso di sabotare le sue indagini significava che c’era davvero qualcosa da nascondere.
All’improvviso il cadetto Harris bussò alla porta: «signore, il maggiore Liam Sheridan è qui per lei»
Dalton sussultò: «come? Per quale motivo?»
«Ha detto solo che è qui per aiutarla»
Eric ordinò al ragazzo di far entrare il nuovo arrivato, ormai quella faccenda stava coinvolgendo l’intero Castello di Dublino. L’ufficiale varcò la soglia a passo sicuro e si presentò formalmente.
«Signor detective, il colonnello Murtagh mi ha riferito delle sue indagini, sono qui per semplificare il suo lavoro»
Dalton sospirò con rassegnazione: «se vuole consigliarmi di lasciar perdere devo avvertirla che altri l’hanno già preceduta»
Liam scosse la testa: «no, affatto! Io sono qui per testimoniare, a quel tempo ero soltanto un caporale del National Army, Patrick O’ Donnell era il comandante della mia brigata. Ora che io stesso ricopro la sua carica voglio difenderlo dalle accuse che gli sono state rivolte ingiustamente»
Il detective ascoltò le sue parole con interesse: «lei era presente a Fenit la notte in cui quei repubblicani persero la vita?»
Il maggiore negò: «no, fui ferito durante gli scontri nel Kerry, ero ancora ricoverato in ospedale durante quegli avvenimenti. Nonostante ciò voglio raccontarle cosa accadde durante la battaglia di Dublino»
Dalton assunse un’aria pensierosa: «in effetti la sua testimonianza potrebbe essermi utile, ma devo chiederle di essere il più obiettivo possibile e di non omettere assolutamente nulla nella sua deposizione»
Sheridan annuì: «certamente, ha la mia parola. Giuro su Dio di non dire altro che la verità!»
Eric prese in mano una penna: «bene, sono pronto ad ascoltarla»
Il maggiore iniziò il suo racconto: «O’ Donnell non era soltanto un mio superiore, eravamo anche buoni compagni, spesso si confidava con me.  Mi raccontava sempre della sua famiglia, per lui nulla era più importante…»
 
***

Patrick O’ Donnell sposò Elizabeth Keating nell’estate del 1921, appena dopo il suo ritorno a Dublino. Durante la Tregua la giovane coppia poté trascorrere un breve periodo di pace e tranquillità. In quei mesi Patrick ebbe la possibilità di riprendersi dalla terribile esperienza della prigionia, la guerra tornava spesso a tormentarlo nei suoi incubi, ma grazie all’amore della moglie riusciva a trovare conforto.
Elizabeth aveva abbandonato gli ambienti repubblicani, credeva sempre nei propri ideali, ma dopo il matrimonio aveva deciso di lasciarsi il passato alle spalle. O’ Donnell invece continuò a seguire le contrattazioni e gli accordi tra il nuovo Governo irlandese e l’Inghilterra attraverso le notizie dei giornali, spesso riceveva anche le visite di alcuni suoi commilitoni della Dublin Brigade.
Un pomeriggio si ritrovò a discutere della problematica situazione politica con il fratello di Elizabeth, ovvero il luogotenente Paul Keating.
Ormai i negoziamenti tra il parlamento e lo Stato britannico erano in corso da mesi e non sembrava che questi incontri stessero portando a buoni risultati. I membri dell’IRA erano divisi tra chi continuava ad avere fiducia nel loro leader e chi invece era stanco di cedere a compromessi. La tregua non era definitiva, in molti erano rimasti contrari agli accordi di pace.
«Non sappiamo ancora nulla di preciso, ma dobbiamo avere fiducia in Michael Collins» disse Keating con estrema fermezza.
Patrick concordò con lui: «sono certo che egli saprà gestire al meglio questa situazione»
«Tu invece che cosa farai? Hai intenzione di tornare nell’esercito?» domandò suo cognato.
O’ Donnell sospirò: «non lo so, la guerra è finita…dopo tutto quello che è successo voglio soltanto godermi un po’ di pace»
«Ti capisco, è solo che i ragazzi mi chiedono spesso di te. Hanno tutti un buon ricordo del tuo comando, per loro sei come un eroe»
Patrick abbassò lo sguardo: «ci sono molti altri ufficiali che meritano questi onori»
«Forse hai ragione, ma tu sei riuscito a conquistare la loro stima e il loro rispetto. Devi ammettere di essere stato un buon comandante, perfino Michael Collins si è congratulato con te!»
Egli sorrise con orgoglio, ma rispose modestamente: «mi ha solo stretto la mano durante un incontro a Crow Street, fu dopo l’assassinio dell’ispettore Redmond»
«Già…i mastini di Belfast non ci hanno più dato fastidio dopo la sua morte»
O’ Donnell ripensò al suo passato, provò una certa nostalgia nel ricordare i momenti trascorsi insieme ai suoi compagni, nonostante tutto non aveva alcun rimpianto.
Quella conversazione terminò tra vecchi ricordi e supposizioni sul futuro, per la prima volta Patrick considerò l’idea di tornare nell’esercito.
 
La firma del Trattato segnò irreversibilmente il destino di Patrick O’ Donnell. Il popolo irlandese si ritrovò diviso. Molti tra i militanti dell’IRA considerarono Collins come un traditore, si rifiutarono di riconoscere il nuovo Governo irlandese e affermarono di essere pronti a combattere.
Patrick si schierò dalla parte dei sostenitori del Trattato, era certo che Collins non avrebbe mai potuto ingannare il suo popolo. Le tensioni giunsero presto al limite, l’Irlanda aveva ancora bisogno di uomini coraggiosi e determinati a difendere la loro Patria, così O’ Donnell decise di tornare nell’esercito. Avendo già una buona esperienza come ufficiale della Dublin Brigade ed essendo un ex-membro della Squadra egli fu promosso a maggiore del neo-istituito National Army. O’ Donnell entrò a far parte delle Guardie, un corpo speciale composto principalmente da ex-militanti.
La prima volta in cui Patrick indossò la divisa da ufficiale del National Army provò una strana sensazione. Con esitazione si abbottonò la giacca verde scuro e si sistemò lo spesso cinturone di pelle in vita. Al primo momento si sentì a disagio, quell’uniforme gli ricordava troppo le figure dei soldati britannici.
Il giovane osservò la sua immagine riflessa, dovette ammettere che in fondo quell’aspetto severo e autoritario non gli dispiaceva. Si sentiva realmente orgoglioso di essere al servizio del nuovo Stato d’Irlanda, aveva intenzione di rispettare il suo giuramento.
In caserma l’integrazione forzata con gli inglesi non fu semplice da gestire, inizialmente O’ Donnell rimase diffidente e non accettò pienamente quella situazione, ma pian piano si dimostrò disposto a collaborare. Gli ufficiali inglesi erano esperti e competenti, così decise di adeguarsi e seguire i loro consigli.
 
Una settimana prima dello scoppio della guerra civile un lieto evento portò gioia e serenità ai coniugi O’ Donnell.
Il 20 giugno 1922 venne alla luce il loro primogenito, un bel maschio forte e in salute. I genitori decisero il nome del piccolo senza alcuna esitazione, egli fu registrato all’anagrafe come Michael O’ Donnell.
La nascita del figlio contribuì ad influenzare l’opinione di Patrick sul destino dell’Irlanda. Le tensioni erano ormai al limite, un’altra guerra avrebbe trascinato il Paese nell’ennesimo periodo di carestie e sofferenze. Avrebbe dovuto mettere fine a quella follia, per il bene dell’Irlanda e per proteggere le nuove generazioni dagli orrori che aveva appena vissuto.
Patrick era determinato a portare avanti la causa di Collins, desiderava sempre una Patria libera e indipendente, ma il momento non era ancora giunto. L’alleanza con gli inglesi era un compromesso difficile, ma tollerabile. Il nuovo Governo meritava sostegno e fiducia.
Quando Patrick prese per la prima volta il figlio tra le braccia promise a se stesso che avrebbe fatto tutto il necessario perché quella creatura così pura e innocente non dovesse mai vivere i dolori e le sofferenze della guerra.
 
Il 28 giugno le truppe dell’IRA guidate da Rory O’ Connor occuparono il Tribunale di Dublino, barricando le strade e appostandosi lungo le rive del Liffey. La guerra civile era iniziata.
I comandanti del National Army erano ancora riluttanti ad entrare in azione, al contrario gli inglesi avevano le idee ben chiare su come intervenire. Collins ricevette insistenti pressioni dal Governo britannico, ormai era giunto il momento di agire, il leader irlandese si decise finalmente a scendere in campo con due cannoni e più di duecento munizioni fornite dagli inglesi. Il comandante sperava ancora di riuscire a convincere i suoi vecchi compagni a rinunciare a quell’azione sconsiderata, ma anche quella volta ogni tentativo di dialogo non portò ad alcun risultato.
I militanti dell’IRA si erano barricati all’interno degli edifici, appostandosi alle finestre e creando una continua linea di difesa intorno al quartier generale. I ribelli erano armati con fucili, mitragliatrici e anche una piccola vettura corrazzata, la quale era stata parcheggiata strategicamente lungo la barriera. L’intera zona era stata disseminata di mine ed esplosivi.
Entrambe le fazioni erano pronte a combattere, il maggiore O’ Donnell ebbe l’ordine di appostarsi con le sue truppe sul lato nord del Tribunale. Dopo le prime incertezze e le trattative fallite gli artiglieri dell’Esercito ricevettero l’ordine di aprire il fuoco, il primo colpo di cannone causò l’esplosione di alcune mine. Un fragoroso boato e un’intensa nube di fumo segnalarono l’inizio della battaglia.
 
Il caporale Sheridan affrontò così il suo battesimo del fuoco, non aveva mai combattuto seriamente prima di quel momento. Il giovane seguì i suoi compagni tentando di mascherare la propria inquietudine. Il Lee–Enfield tremava tra le sue mani, il cuore batteva all’impazzata e la paura spesso prendeva il sopravvento impedendogli di poter agire razionalmente. Il maggiore O’ Donnell notò il suo nervosismo, in modo benevolo poggiò una mano sulla sua spalla e lo incitò con alcune frasi d’incoraggiamento. Sheridan apprezzò il gesto del suo comandante, pian piano riprese coraggio e si preparò all’imminente scontro.
 
Dublino fu avvolta dalle fiamme, ancora una volta la città fu devastata dalla guerra, distrutta dagli stessi irlandesi. In quello scenario di rovine e macerie i due schieramenti continuarono ad affrontarsi tra sparatorie ed esplosioni, la battaglia era soltanto all’inizio.
I combattimenti proseguirono ininterrottamente per tre giorni, i ribelli continuarono a resistere tra le fortificazioni, il filo spinato e le trincee. All’esterno i soldati del National Army non avevano intenzione di placare il fuoco: i fucili scaricavano piogge di proiettili e le mitragliatrici Lewis scoppiettavano incessantemente.
Le risorse dell’Esercito erano nettamente superiori e l’esito della battaglia sembrava scontato, eppure i militanti non sembravano disposti ad arrendersi.
Il caporale Sheridan si rannicchiò contro la barricata, riuscì ad abbassarsi appena in tempo per evitare una raffica di proietti che fendette l’aria sopra la sua testa. La sua unità aveva guadagnato terreno, ma era stata costretta ad affrontare un violento scontro contro le truppe del comandante O’ Malley.
Sheridan cercò riparo dietro a un veicolo abbandonato, strinse saldamente il fucile, dopo qualche istante di esitazione si decise a rispondere al fuoco. Sparò un colpo dopo l’altro finché non fu costretto a fermarsi per ricaricare. Nel momento in cui si sporse nuovamente dal suo nascondiglio qualcosa lo colpì al braccio, il fucile gli cadde dalle mani ed egli si accasciò a terra contorcendosi per il dolore.
Poco distante O’ Donnell si ritrovò coinvolto in un’intensa sparatoria con un cecchino appostato sul tetto dell’edificio. La sfida durò a lungo, tra le nebbia e il fumo era difficile individuare l’esatta posizione dell’avversario. Alla fine l’ufficiale sparò il colpo fatale e riuscì a liberare il passaggio per permettere ai soldati di avvicinarsi al nemico.
Sheridan si riprese nel mezzo della battaglia, al suo fianco giaceva un cadavere. Avrebbe voluto urlare, ma la voce rimase bloccata nella sua gola. Il dolore era insopportabile, calde lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso. La vista iniziò ad annebbiarsi, era certo che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti e che stesse per abbandonare quel mondo. Invece poco dopo qualcuno lo riportò alla realtà, era il maggiore O’ Donnell giunto in suo soccorso. Il giovane si sentì sollevare da terra, due braccia robuste sorressero il suo corpo trascinandolo al riparo. Sheridan si aggrappò al suo soccorritore, altre scene di combattimenti ed esplosioni si susseguirono davanti ai suoi occhi, le immagini però parvero sempre più confuse. Percepì una voce, ma non riuscì a distinguere le parole, dopo aver raggiunto le retrovie egli perse i sensi.
Patrick ordinò di portare al sicuro i soldati e i prigionieri feriti, ma non ebbe il tempo di preoccuparsi per loro, ben presto fu richiamato in prima linea.
 
Il maggiore O’ Donnell continuò a combattere sulla sponda opposta del fiume. Lo scontro proseguiva senza esclusione di colpi, entrambi i fronti resistevano pur essendo ormai stremati. All’improvviso una bomba colpì uno dei depositi, l’esplosione causò il crollo di una delle torri, un’enorme nube di fumo nero si innalzò fino al cielo. Le imponenti mura crollarono frantumandosi in mille pezzi, l’edificio fu avvolto dalle fiamme.
O’ Donnell fu scaraventato al suolo dalla violenta detonazione, quando riprese conoscenza si ritrovò disteso a terra e ricoperto dalla polvere. Non ebbe la forza di muoversi, ma provò un gran sollievo nello scoprire di essere ancora tutto intero. Intorno a lui poteva avvertire le grida dei feriti e il rimbombo delle altre esplosioni. L’aria era invasa dal fumo e dalla cenere, Patrick rimase immobile per un tempo che gli parve interminabile. L’eco degli spari rimbombava incessantemente nella sua testa, respirava a fatica ansimando e tossendo, in bocca sentiva l’amaro sapore del sangue.
Il maggiore venne tratto in salvo dai suoi commilitoni, i quali lo estrassero dalle macerie.
A causa di quella terribile esplosione che aveva causato un gran numero di morti e feriti i ribelli furono costretti ad arrendersi, la bandiera bianca fu esposta alla rossa luce del tramonto.
Al termine della battaglia Patrick si incamminò zoppicando insieme agli altri feriti, quelle dure giornate di combattimento erano state difficili da affrontare anche per un ufficiale esperto come lui. La città di Dublino era crollata davanti ai suoi occhi, polverizzata dai cannoni e inghiottita dalle fiamme.
 
O’ Donnell si riprese in fretta, fortunatamente in battaglia si era procurato soltanto ferite superficiali e lievi ustioni. Dalla contea di Limerick provenivano già nuovi venti di guerra, egli sapeva che presto sarebbe tornato a combattere, per queste ragioni durante gli ultimi giorni di licenza decise di trascorrere più tempo possibile con la sua famiglia.
Era una serata tranquilla, Patrick osservò il piccolo Michael dolcemente addormentato tra le braccia della madre, quella creatura inerme e innocente riuscì a distrarlo dalle sue preoccupazioni.
Elizabeth sistemò il neonato nella sua culla continuando ad intonare una dolce melodia. Il marito socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare anche lui come un bambino.
Purtroppo quel momento di serenità fu piuttosto breve e il giovane fu presto riportato alla realtà.
«Dunque è vero che presto dovrai partire?» chiese Elizabeth con tono preoccupato.
Egli annuì: «i repubblicani hanno conquistato le città di Limerick e Waterford, le truppe dell’ovest hanno bisogno di rinforzi»
«Sei davvero sicuro di voler combattere questa guerra?»
Patrick si voltò verso il figlio rivolgendogli uno sguardo colmo d’amore e tenerezza.
«Sono disposto a fare tutto il necessario per riportare la pace nel nostro Paese» rispose con estrema convinzione.
Elizabeth non riuscì a trattenere le lacrime e scoppiò in singhiozzi nascondendosi il viso tra le mani.
O’ Donnell non disse nulla per rassicurarla, era consapevole delle conseguenze di quella scelta, ma era anche convinto di star facendo il suo dovere.
 
***

«Il maggiore O’ Donnell mi ha salvato la vita su quel campo di battaglia, era un ufficiale onesto e leale, non avrebbe mai potuto macchiarsi di un crimine così atroce» affermò Sheridan.
Eric fu costretto ad essere obiettivo: «ho sentito molti racconti sulle imprese eroiche di O’ Donnell, io stesso ho sempre stimato quell’uomo…purtroppo la sua ottima reputazione nell’Esercito non può provare la sua innocenza»
«Le sue indagini sono insensate, lei sta accusando di omicidio l’eroe di una Nazione!»
Dalton sospirò: «mi creda, non sono affatto orgoglioso di ciò, ma è mio dovere trovare la verità»
Il maggiore Sheridan si rialzò con disprezzo: «le sue ricerche si riveleranno soltanto una perdita di tempo, O’ Donnell non è un assassino!»
 
Il detective rimase nel suo ufficio fino a tardi per trascrivere la testimonianza del maggiore Sheridan.
All’improvviso notò qualcosa di strano, avvertì dei passi e sentì bussare alla porta. Poiché nessuno rispose Dalton decise di andare ad aprire, in corridoio non vide nessuno, ma davanti all’entrata trovò un’altra lettera anonima. Eric non si stupì particolarmente, ormai aveva compreso i metodi dell’IRA. A dire il vero non capiva ancora perché i ribelli non si servissero di O’ Neil per i loro messaggi, forse non si fidavano di lui, oppure anch’egli era perlopiù ignaro del suo ruolo in quella faccenda.
All’interno della busta trovò due fogli: la prima pagina di un vecchio giornale e un indirizzo.
Il quotidiano era datato 6 marzo 1923, Dalton lesse il titolo: “L’incidente di Fenit: ieri notte dieci prigionieri repubblicani sono morti a causa di un’esplosione”
Il detective rimase perplesso, né il sergente McCarthy né Robert avevano mai parlato di un’esplosione. Con aria pensierosa prese tra le mani il secondo foglio.
 
Tim Sullivan, Ballymullen Farm, Co. Kerry.
 
Dalton era certo di aver già sentito quel nome, rapidamente recuperò l’elenco delle vittime di Fenit, Sullivan era l’ultimo della lista. Per quale motivo quel nome era così importante?
Il detective fu costretto ad ammettere che la sua alleanza forzata con l’IRA, seppur pericolosa, era anche piuttosto vantaggiosa. A quel punto l’unico modo per proseguire le indagini era recarsi sul luogo dei fatti, ma non prima di aver interrogato per bene O’ Neil.
 
 
Dalton si incamminò verso casa tormentato da quei nuovi dubbi, le strade erano ormai deserte, la fioca luce dei lampioni illuminava la città avvolta nebbia. Eric avvertì una strana inquietudine, ebbe la sensazione di essere seguito, ma quando si voltò non notò nessuno alle sue spalle. L’investigatore accelerò il passo, per precauzione infilò una mano all’interno del cappotto per prendere la sua Browning.
Rapidamente raggiunse l’incrocio e si intrufolò in un vicolo per depistare il suo inseguitore. Decise di prendere una scorciatoia per abbreviare il percorso e quasi correndo raggiunse la via di casa. Quando giunse nel vialetto pensò che probabilmente si era lasciato suggestionare un po’ troppo da quella faccenda, ma non poté affermarlo con certezza.
 
Quella sera Eric percepì qualcosa di insolito, come sempre trovò sua moglie ad aspettarlo, ma questa volta lei non si gettò tra le sue braccia.
Aileen rimase ferma davanti alla porta e si rivolse a lui con estrema serietà: «ho bisogno di parlarti, si tratta di una questione importante»
Dalton rimase perplesso, era la prima volta che sua moglie si comportava in quel modo.
La giovane tremava per l’emozione, era nervosa, temeva di non riuscire a trovare le parole giuste per svelare al marito la verità.
Egli notò la sua agitazione, così tentò di calmarla: «tranquilla, adesso sono qui. Cosa devi dirmi?»
La giovane lo guardò negli occhi: «presto avremo un figlio…aspetto un bambino»
Eric fu sorpreso da quella rivelazione: «sei incinta?»
Aileen annuì: «avrei voluto dirtelo prima, ma tu eri sempre così occupato ed io non riuscivo mai a trovare il momento giusto…»
Dalton abbracciò la moglie mostrando a pieno la sua felicità e il suo entusiasmo.
«E’ davvero una splendida notizia» commentò con sincerità.
Aileen si sentì sollevata, finalmente aveva potuto confidarsi con il marito, nonostante ciò non riuscì a liberarsi dalle proprie preoccupazioni.
«Eric, non ti ho mai chiesto nulla, ma stavolta è davvero importante. Ti prego, lascia perdere questo caso» lo supplicò.
Dalton poté comprendere le ragioni di sua moglie. Per la prima volta considerò realmente l’idea di abbandonare quella sporca faccenda per il bene della sua famiglia, in fondo però sapeva di non poter sfuggire al suo dovere.
«Mi spiace, ma non posso farlo»
Aileen si strinse a lui in cerca di conforto, Eric non osò farle promesse, l’accolse tra le sue braccia e la baciò per rassicurarla.
 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Star_Rover