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Autore: _Cthylla_    16/01/2020    1 recensioni
La Decepticon Justice Division, recatasi per vari motivi nella città-Stato più folle del cosmo, ha deciso di trascorrere lì qualche ora di vacanza.
Quale piega prenderà, tra notizie e incontri più o meno inaspettati?
Genere: Avventura, Commedia, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, DJD/Decepticon Justice Division, Nuovo personaggio, Tarn
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Generation I, Transformers: Prime
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Another Day (not off, Jumanji-like) To Repent
 
 
 

 
 
 
 
 
 
«Potresti essere più specifico, Kaon? “Un trip assurdo” non mi è molto di aiuto nel comprendere cosa ci troveremo davanti».
 
Tarn non riusciva a capire né immaginare cosa potesse esserci al di là di quell’arco, ma di una cosa era sicuro: se fossero riusciti ad andarsene dalla costellazione dello Scorpionokor -anzi, quando. Rifiutava l’idea del contrario- avrebbe acconsentito a rimettervi piede solo nel caso in cui Lord Megatron in persona gliel’avesse ordinato direttamente.
 
«Hai ragione, è solo che… è solo che è…» Kaon sembrava incapace di trovare le parole adatte, nonostante si stesse visibilmente impegnando «Dall’altra parte c’è…»
 
Vedendolo preda di tic nervosi che lo spingevano ad aprire e chiudere le mani a ripetizione, oltre a farlo impappinare in ogni tentativo di spiegazione, Tarn iniziò a pensare che per venirne a capo sarebbe stato costretto a dare un’occhiata personalmente.
 
«Dubito che quel che c’è di là sia tanto spaventoso» disse Tesarus rivolto al tecnico «Non è che sei diventato un po’troppo delicatino?»
 
«N-no, non è “spaventoso”, non è come invece sarebbe trovarsi davanti a, che ne so, un Lord Megatron infuriato che trasuda antimateria e vuole farci secchi tutti quanti, è solo che… ve l’ho detto che è un trip assurdo!» tornò a guardare l’arco, con un’espressione tale da far quasi pensare che avesse voglia di infilare nuovamente la testa lì dentro «In un certo senso è anche interessante, ma…»
 
Vos, borbottando qualche improperio riguardo la gente impressionabile nel suo vernacolo arcaico, si fece avanti. In quanto ex scienziato, dunque di mentalità più cinica e razionale di altri, riteneva di poter essere il più adatto a osservare e dare una definizione a quel che c’era oltre l’arco. Dopo aver detto ciò a Tarn, chiese e ottenne il permesso di fare un tentativo, chiedendo di essere tirato indietro dopo cinque secondi esatti.
 
Imitando Kaon, attraversò l’arco con la parte superiore del corpo.
 
«Pronti a tirarlo fuori in quattro, tre-»
 
Tarn non riuscì neanche a finire il conto alla rovescia: Vos tornò fuori da solo e iniziò a sbattere ripetutamente la testa contro l’arco come un invasato.
 
«Ehi! Vacci piano! Se ti spacchi la faccia poi non potrai più infilarla alle altre persone!» lo trattenne Helex «Si può sapere che c’è là dentro?!»
 
«Nulla che abbia un cazzo di senso! NULLA!»
 
«Momento- momento- momento: Vos ha appena parlato in neocybex?!» si stupì Nickel.
 
«Probabilmente il suo processore da scienziato è stato tanto sconvolto da fargli dimenticare di essere un purista del vernacolo arcaico e non conoscere la nuova lingua» le disse Kaon, cercando di reprimere una risata.
 
«Mi sono scocciato» annunciò Tesarus e, prima che chiunque potesse fermarlo, la sua testa scomparve oltre l’arco.
 
Ci fu un attimo di silenzio dovuto all’idea di avere a che fare con un simile bestione -il più grosso all’interno del gruppo dal momento che superava di poco Helex- in versione pazza furiosa.
Tarn da solo avrebbe potuto facilmente occuparsene, era vero, e non essendo da solo avrebbe faticato ancor meno, vero anche quello, però potendo avrebbero tutti evitato volentieri, specie perché Vos si stava ancora agitando urlando che quel che aveva visto “Non aveva senso”.
 
Tesarus tirò fuori la testa.
 
«Concordo con Vos, quel che c’è lì dentro non ha senso, però nessuno ha la faccia da venditore di colla di valvola. Sempre che quelle che ho visto siano facce, non sono sicuro».
 
«Lieto di vedere che il tuo processore è a posto, Tesarus» disse Tarn, completamente onesto.
 
Il Decepticon, dopo aver grattato via un piccolo cumulo di sporcizia dal grosso foro pieno di lame all’altezza del petto, fece spallucce.
A volte avere una mente semplice era una benedizione, sebbene nel suo caso “semplice” non fosse  sinonimo di “stupido”, già solo perché aveva buona memoria e la tendenza a non sottovalutare i suoi avversari in alcun caso.
 
Helex intanto teneva ancora fermo Vos. «Nickel, non puoi prendere a schiaffi anche lui?»
 
«No, il suo è più un caso da miscela calmante» diagnosticò la minicon «O semplice attesa, ma così potrebbe impiegare anche un’ora intera».
 
«Da quando abbiamo la miscela calmante nella Peaceful Tiranny?» domandò Kaon.
 
«Da… mai» sospirò Nickel.
 
«Io però non posso restare qui a tenerlo fermo per un’or- Tess, che fai?» si interruppe Helex, vedendo il compagno di squadra tirare fuori una lunga e robusta catena color ruggine da uno scomparto.
 
«Risolvo il problema» replicò il Decepticon, iniziando a legare Vos come un salame.
 
«Ma quella non è una delle catene che Hallow ha usat…» avviò a dire Helex, salvo decidere di non terminare la frase dopo aver dato un’occhiata a Tarn.
 
Era dell’idea che il suo capo fosse già venuto a conoscenza di troppi dettagli quando aveva trovato lui e Tesarus in ricarica e col bacino mezzo rotto, dunque pensandoci bene si era reso conto di non essere particolarmente desideroso di aggiungere altro; Tarn, dal canto suo, la pensava allo stesso modo sul non voler sapere di più.
 
«Eh! Se ne avete qualcun’altra possiamo usare le catene per legarci uno all’altro quando saremo lì dentro!» esclamò Kaon.
 
«A tal proposito, credo sia tempo che io dia un’occhiata oltre quell’arco» disse Tarn, rassicurato dalla (non) reazione di Tesarus.
 
Nickel gli diede una breve occhiata. «Cerca di non andare fuori di cervello, per favore, altrimenti l’astronave rotta sarà l’ultimo dei nostri problemi».
 
Tarn, sapendo che Nickel aveva ragione, non ribatté.
 
“Togliamoci il pensiero”.
 
Aggrappato saldamente a una colonna, infilò la testa oltre l’arco.
 
Non ci furono accecanti luci bianche nel passaggio, non ci furono attimi di buio né altre cose del genere: un attimo prima era in un luogo rurale ma sensato, mentre quel che aveva davanti ai sensori ottici in quel momento non era sensato agli occhi qualsivoglia legge della fisica, non era sensato agli occhi di niente.
 
Quando aveva un altro nome e un’altra identità, Tarn aveva frequentato la Jhiaxian Academy of Advanced Technology,  un istituto il cui nome derivava da quello di un famoso scienziato e che aveva sfornato buone menti, in certi casi perfino eccellenti.
Era passato del tempo, ma non abbastanza perché Tarn potesse dimenticare le nozioni apprese ed essere graziato dall’ignoranza ora che si trovava di fronte a un cumulo di paradossi caotico e disturbante come mai avrebbe potuto immaginare.
 
Capiva la reazione di Vos, eccome se la capiva.
 
Era come annegare in un incubo -magari derivato da un trip di chissà quali sostanze blasfeme provenienti da quella bolgia che era Pettinathia- di un gruppo di studiosi specializzati in architettura e discipline geometriche, anzi, era come se il cervello di suddetti studiosi avesse fatto indigestione d’informazioni per poi vomitarle tutte quante in una brodaglia di caos primordiale.
Strade, edifici, cielo e terra si intrecciavano tra loro come se qualcuno avesse svuotato centinaia di cybertroniani di tutte le loro componenti interne e ne avesse fatto un gigantesco gomitolo.
Rampe di scale provenienti dal nulla portavano ovunque e in nessun posto,  a volte fondendosi tra di loro in un saliscendi inconcepibile, e gli abitanti -sempre se davvero si trattava di loro- correvano su di esse mutando nell’aspetto gradualmente fino a diventare decorazioni di forma incomprensibile, senza che queste aumentassero di numero né la processione di corridori avesse mai fine; piccole piazze che sembravano cambiare a ogni occhiata in forma e dimensione erano circondate di edifici dalla geometria inspiegabile e contorta; acquedotti aggrovigliati tra di loro trasportavano acqua di lago che non tendeva a scendere, bensì a fluttuare in aria ribollendo fino a unirsi all’acquedotto stesso, pietrificandosi e divenendone parte.
I sensori ottici di Tarn e il suo processore non comprendevano dove tutto avesse inizio e avesse fine, né di quali colori fosse tutta quella follia, così come il Decepticon non comprendeva se ai suoi recettori uditivi stesse giungendo una cacofonia insopportabile o un silenzio come mai ne aveva uditi.
 
Sotto il peso del tutto e del suo contrario, di tutto ciò che non avrebbe potuto e dovuto esistere e invece era lì davanti a lui, il suo processore cedette per qualche attimo.
 
Non vide più nulla se non una miriade di luci, per un tempo indefinibile gli parve quasi di volare tra galassie infinite di infiniti multiversi, poi iniziarono a giungere scene più o meno chiare che avevano come protagonista lui stesso -o forse certe sue versioni alternative.
 
In una si vide annientato, assieme alla sua squadra, da una versione di Lord Megatron diversa nell'aspetto da quella che lui conosceva; in un’altra vide un se stesso vivo e vegeto, nervoso per colpa delle mani di una seeker sconosciuta del colore del fuoco -sentì quel se stesso lì sbottare un “KORNELIA!”- incollate in senso letterale al suo posteriore; in un’altra ancora stava facendo dei movimenti inconsulti, forse una sottospecie di danza, di fronte a un’altra femme sconosciuta, allibita, con l’occhio destro coperto da una benda. A un certo punto sentì quel se stesso chiamarla “Bloody”.
Dell’ultima scena non vide le immagini, sentì solo l’audio, ma sembrava intento a rimproverare l’undicesimo dei propri dodici figli. Tra tutte era l’alternativa più assurda dato che non aveva mai pensato di averne, tantomeno di averne dodici,  né aveva una donna con cui farne.
 
All’improvviso ci fu un forte impatto e tutto finì.
 
Tarn rotolò di lato, aprì lentamente i sensori ottici e comprese tre cose…
 
“La prima è che mi sono ripreso, e questo è un bene. La seconda è che sono precipitato con tutto il corpo all’interno di quest’assurdità” pensò “E la terza è che…”
 
«Ho la nausea. Questo posto mi disturba, mi disturba e mi disturba» affermò Nickel, per poi zittirsi e portarsi una mano davanti alla bocca nel tentativo di non rimettere.
 
«Come siete finiti qui?!»
 
«Quando hai infilato la testa qui dentro abbiamo messo in pratica l’idea di Kaon, quella di legarci uno all’altro con le catene» spiegò Helex a Tarn «Pessima scelta. Caduto tu, siamo caduti tutti! O forse siamo stati risucchiati, la stazza mia e di Tesarus difficilmente avrebbe consentito che “cadessimo” giù» si guardò attorno «Perlomeno gli edifici di Pettinathia avevano un capo e una coda… e ho qualche dubbio sul fatto che qui troveremo il componente che serve».
 
Nickel si guardò attorno. «Io voglio solo uscire da qui, anzi lo pretendo, e subito! Da dov’è che siamo entrati?!»
 
Kaon si guardò attorno a sua volta. «Io non vedo né entrate né uscite. Non vorrei dirvelo ma mi sa che siamo in trappola, anche se- un momento! Vos non è qui! Quando si riprenderà magari troverà il modo di tirarci fuori, se riuscirà a slegarsi!»
 
«Troppi “se” e “magari”» fu l’unico commento di Tesarus.
 
Un rumore distinto rispetto agli altri, per la precisione
rumore di batter d’ali, li spinse tutti a voltarsi verso destra.

Scoprirono che si trattava di una henn come quelle che avevano visto prima, vestita però come un “postino” della cybertron dei tempi che furono, e proprio come uno di essi stava porgendo a Tarn un messaggio ripiegato su se stesso.
 
Kaon avrebbe voluto esclamare “henn postina”, però non riusciva ad andare oltre un “henn post-IHIHIH”.
 
La henn volò via appena Tarn prese il messaggio. Notò che era stato vergato a mano -scelta molto bizzarra e anacronistica secondo lui- su un materiale nero, setoso e flessibile di fibre tecnorganiche. Le frasi impresse su di esso rilucevano dello stesso chiarore verde brillante che illuminava anche il palazzo delle sorelle di Stiria, lasciandogli dunque pochi dubbi sulle mittenti.
 
«“Stranieri, siate i benvenuti a Berg des Sees”» lesse Tarn «“La vostra perspicacia nel non venire a romperci le scatole a casa durante l’ora di cena-”»
 
«L’hanno scritto seriamente?» sbuffò Nickel.
 
Tarn annuì, poi si schiarì la voce. «“La vostra perspicacia nel non venire a romperci le scatole a casa durante l’ora di cena ci ha dissuase dal seguire la nostra idea iniziale, che qui non esponiamo, in favore di un’altra più divertente. Un gioco”».
 
«Quale gioco?!» allibì Helex.
 
«“Entrare a Berg des Sees è semplice, uscire lo è un po’meno. Il paesino è diventato bizzarro da quando il campanile non può più far suonare la propria campana, caduta in fondo al lago e trattenuta in un palazzo subacqueo da creature poco intenzionate a restituirla. Il vostro scopo nel gioco sarà trovare le tre chiavi che servono ad entrare nel palazzo, recuperare la campana e rimetterla al suo posto”».
 
«Io rifiuto di fare da fattorino per delle streghe» dichiarò Tesarus.
 
«“Se riuscirete nell’impresa potrete uscire da Berg des Sees e andare dove vi pare. Nel caso in cui rifiutiate di giocare, cerchiate di distruggere il paese o non riusciate a vincere, diventerete abitanti di Berg des Sees perdendo progressivamente la memoria e le vostre caratteristiche fisiche. Molti ci ringrazierebbero per un simile epilogo ma, visto che a noi dei ‘molti’ non frega una mazza, non è una partita persa in partenza. Questa lettera si trasformerà in una mappa appena finirete di leggere. In bocca al luponoide per la nostra primissima edizione di Shaulmanji!”. Pare che questo gioco sia stato organizzato appositamente per noi, signori» fu il commento atono di Tarn mentre la lettera si ingrandiva e si trasformava in una mappa.
 
Odiava la magia.
Non gli era mai piaciuta neppure quando si chiamava ancora “Damus” o “Glitch” ma adesso che lui e la sua squadra erano in balia dei capricci di una strega e della sua gemella, oltretutto sorelle maggiori della piccola stronza che aveva detto loro di recarsi lì, la odiava con ogni fibra del proprio essere in maniera onesta e profonda.
 
«E questa mappa è vuota per la maggior parte» aggiunse poi «Al momento non saprei neppure dire come arrivare fino al lago, e dire che prima di entrare eravamo praticamente sulla costa!»
 
«Spesso in questo tipo di giochi funziona così, capo, la mappa si rivela un po’per volta» disse Kaon, avvicinandosi per dare un’occhiata «Man mano che uno avanza di livello. Ci sono vari giochi online simili ma solitamente sono meno, eeeh, immersivi».
 
«Sembri più divertito di quanto dovresti, Kaon».
 
«No, no! Assolutamente» negò spudoratamente il tecnico, per poi notare un particolare che lo indusse a distanziare la mappa «Visto, Nickel? Tu hai sempre da ridire sul fatto che i giochi come questo sono per le protoforme, ma avrei voluto vedere se tu al posto mio avresti notato l’indizio!»
 
«Non so di che parli» ribatté Nickel, avvicinatasi a Kaon e Tarn assieme ai due colossi.
 
«Mappare questo disastro sarebbe impossibile» disse Kaon, indicando con un cenno l’ambiente circostante «Quindi è rappresentato come il groviglio che è. Ma nel groviglio sono stati inseriti dei “punti fermi”, probabilmente in modo approssimativo, che secondo me ricordano un po’troppo la costellazione in cui ci troviamo, posizionata al contrario...»
 
«Come nel murale che ho visto a Pettinathia. Forse non hai torto» riconobbe Tarn, costretto ad ammettere a se stesso che lui, in quella situazione, non sapeva come muoversi. Non ritenendo i giochi online un passatempo “serio” non li aveva mai provati.
 
«Io sono dell’idea che dovremmo andare quaggiù» disse Kaon, indicando un punto sulla mappa che ne precedeva altri tre, distanziati tra loro in senso orizzontale «Alias dove ci troviamo noi. Il pianeta su cui siamo atterrati si trova nei dintorni della stella A’ntares e, guarda caso, dopo A’ntares ci sono questi punti» rispettivamente le stelle che per un terrestre si sarebbero chiamate “Graffias”, “Dschubba”, e “Vrischika”  «Che sono tre, come le chiavi che dobbiamo trovare! Sono un cazzo di genio!»
 
«Non montarti la testa, non sappiamo nemmeno se sia l’interpretazione giusta!» lo rimproverò Nickel.
 
«È anche la sola che abbiamo» sospirò Helex.
 
«A me basta uscire di qui, mi sono già stufato» disse Tesarus «Cosa si fa, Tarn?»
 
«Faremo come ha detto Kaon, tra noi è quello che capisce di più certe cose» decise, anche perché come Helex aveva giustamente osservato non avevano altre piste «Stringiamo meglio le catene e viaggiamo in formazione compatta, niente distrazioni. Destinazione “A’ntares”».
 
Fecero come Tarn aveva detto, cercando di orientarsi in quel guazzabuglio di paradossi senza lasciare che lo sguardo vi indugiasse ossessivamente. Tarn e Nickel in particolar non avevano voglia di trovarsi di nuovo ad avere le visioni o la nausea.
 
Nel corso del viaggio notarono che effettivamente, in quel paese, degli abitanti c’erano sul serio.
Alcuni erano proprio quelli che Tarn aveva visto correre e diventare decori, altri sembravano un miscuglio tra robot e creature organiche acquatiche, altri ancora avevano un aspetto quasi normale e, incuranti di tutto, leggevano libri poco euclidei seduti su pavimenti e panchine dallo schema prospettico indefinibile.
A un certo punto ebbero l’impressione di aver incrociato un bug, perché svoltando in un vicolo si erano ritrovati in un incubo frattale nel quale c’erano infinite femme -sempre la stessa- che, trattenute da altre infinite femme, urlavano contro infiniti cybergatti di colore bianco intenti a guardare del cibo con aria confusa.
 
Nickel, nuovamente vittima di un principio di nausea, fu costretta a chiudere gli occhi. Per fortuna Tesarus la stava facendo stare nel grosso foro che aveva sul petto, quindi poteva permetterselo senza rischiare di fare qualche passo falso. La sola cosa buona era che in teoria ormai non mancava molto ad “A’ntares”.
 
«Questo è solo un incubo, sì? Mi risveglierò tranquilla nella mia cuccetta, sì?»
 
«No» disse Tesarus.
 
«Lo so» sospirò Nickel «Lo so».
 
Helex le diede un’occhiata. «Questo posto fa venire qualche giramento di testa, è vero, però nonostante l’assurdità e la sensazione di star salendo e scendendo scale a vuoto poteva essere molto peg-»
 
«NON DIRLO!» gridò Kaon, interrompendolo «Non si dicono mai certe cose in questi giochi! Se lo fai poi succede sempre che-»
 
Un rullo di tamburi ritmico, lungo una manciata di secondi, coprì qualsiasi cosa Kaon avesse cercato di dire; tuttavia, quando la danza svelta e ubriaca di strade, scale, edifici e cielo divenne il moto di una folla spaventata e arrabbiata -arrabbiata proprio con loro, per la precisione- Tarn intuì cos’avrebbe voluto intendere.
 
“Succede sempre che il tutto si complica per colpa di qualche ostacolo improvviso”.
 
Fatta sparire la mappa in uno scomparto, Tarn e il resto del gruppo iniziarono a correre come dei forsennati, saltando da un punto all’altro di quel groviglio peggiore delle budella di Mortilus, gridando imprecazioni e maledizioni -Nickel in particolare- e cercando sia di non perdersi, sia di non intralciare gli altri ai quali erano legati con le catene.
 
«Il ponte!» gridò Tarn indicando un ponte ricurvo a poca distanza da loro «Vedo qualcosa di fermo oltre il ponte!»
 
«Hai ragione!» esclamò Kaon, raggiungendo il suddetto come tutti gli altri e correndo sopra di esso «Cerchiamo di-»
 
Ancora una volta non gli fu concesso finire la frase: una serie di colonne lo colpì con tanta violenza da rompere la catena e farlo precipitare in una spirale di scale che si attorcigliavano tra loro come amanti focosi.
 
«KAON!» urlò Helex «È precipitato!»
 
«Faremo una fine analoga se non ci muoviamo» disse Tarn, duro, sebbene avesse un po’la morte nel cuore -ergo, Scintilla- e stesse maledicendo con ancor più vigore tutta la famiglia di Stiria «Non possiamo fare niente per lui».
 
«I Decepticon non abbandonano i loro compagni…» ribatté Tesarus.
 
«Non dire mai, mai a ME» a lui, che dopo Megatron si riteneva il più Decepticon tra i Decepticon, senza eccezione «Cosa i Decepticon fanno e non fanno. Hai compreso? E ora muoviamoci».
 
Il tono di Tarn fu tale che nessuno proferì altro verbo.
 
A lui per primo non era piaciuto essere stato costretto a una scena simile, ma se la scelta era perdere un membro della squadra o rischiare di perderne di più nel tentativo di salvare qualcuno che era caduto in un groviglio di scale semoventi, o per la troppa lentezza, la scelta diventava difficile quanto ovvia. Essere leader significava anche questo.
 
Il ponte iniziò a rompersi sotto i loro piedi ma ormai erano quasi arrivati e, adesso che erano vicini, poteva vedere un arco simile a quello che avevano attraversato quando erano entrati in quell’inferno.
 
«Saltate… ORA!»









Sì, ho visto Jumanji l'altro ieri.
No, non mi pento di niente.
Nel caso ve lo siate chiesti, sì:  nelle visioni di Tarn vengono citati personaggi non miei (Kornelia e "Bloody") appartenenti rispettivamente a MilesRedwing e Neferikare :D
Volevo dire altro ma non mi ricordo, quindi vi saluto!

_Cthylla_ 
 
 
 
   
 
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