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Autore: Doux_Ange    20/01/2020    0 recensioni
Ancora una volta, con una citazione dalla fiction - stavolta del PM - i nostri Anna e Marco, con un finale diverso per la loro storia, nelle varie puntate. Il titolo potrebbe variare. Grazie sempre a Martina per il brainstorming!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO
 
Anna’s pov
 
Sono passate un paio di settimane da... da quel giorno.
Quello che avrebbe dovuto essere il più bello della mia vita, e invece si è trasformato in un incubo.
Ho sperato di svegliarmi e scoprire che non fosse reale non so quante volte.
Cerco di concentrarmi sul lavoro e non pensare, ma anche quello è complicato, perché vedere Marco in continuazione non mi aiuta.
Di sicuro, quello che non migliora la situazione è trovarmi anche l’altra in ufficio.
Già, lo so chi è.
Merito, o colpa, di Cecchini: in uno dei tentativi di arginare il danno, si è lasciato sfuggire il nome, svelandomi l’identità della donna con cui Marco è andato a letto.
Sara Santonastasi, la Procuratrice Capo.
Ecco perché in ufficio ha detto che si conoscevano già.
E pensare che io l’avevo pure invitata al nostro matrimonio! Definendola carina.
Carina!
Quel... quel traditore non ha avuto il coraggio nemmeno di dirmelo.
 
Le mie giornate scorrono combattendo per trattenere le lacrime e mostrarmi forte, ma di notte quelle terribili parole mi perseguitano e non mi lasciano dormire. Quelle lacrime non riesco più a bloccarle, per quanto mi sforzi. La mattina, dopo non aver quasi chiuso occhio, è sempre più difficile.
Ogni cosa, in casa, mi ricorda Marco. Impedire a tutti quei momenti trascorsi insieme di tornarmi in mente è impossibile.
È una sensazione orribile... se vado avanti così, finirò per impazzire.
Ma non voglio chiedere né tantomeno accettare l’aiuto di nessuno. Né del maresciallo, che mi scruta in continuazione nella speranza che gli lasci uno spiraglio per permettergli di parlare, né di mia madre, partita per un viaggio con le sue amiche nel frattempo, che non fa altro che chiamarmi per chiedere come sto.
Dannatissimo orgoglio.
Perché la verità è che non sono così forte come faccio finta di essere.
Anzi, mi sto riscoprendo più fragile di quanto pensassi.
Perché, perché l’ha fatto? Proprio lui, che ci è passato?
 
Le domande mi tormentano. Mi chiedo se davvero non sia colpa mia, in qualche modo. Se... se me la sono cercata, vista la questione di Islamabad, o forse prima, se c’è stato qualcosa che lo ha portato a cercare altrove, non so...
Cosa ho fatto per meritarmi di essere tradita, e per giunta scoprirlo arrivata all’altare?
 
Mamma ha informato anche Chiara - ha dovuto per forza di cose.
Lei è sempre via per lavoro, viaggia in continuazione tra l’Italia e qualche paese europeo, quindi ci siamo solo sentite per telefono, al momento. Ha cercato di consolarmi, tirarmi su, ma non ha potuto fare granché. Anche lei è rimasta senza parole alla notizia.
In questa settimana, però, è a Milano e ha approfittato della relativa vicinanza per costringermi ad andare a una festa con lei. Io non volevo andarci, non ho voglia di uscire, anche se mi farebbe bene visto che casa è troppo piena di ricordi, ma alla fine mi ha praticamente costretta.
Quindi eccomi qui, alla festa.
Ma di mia sorella nemmeno l’ombra.
Provo a chiamarla, e dopo qualche tentativo andato a vuoto finalmente risponde.
Quello che mi dice mi fa venire voglia di urlare, come se già non fossi troppo nervosa di mio.
“Chiara, che vuol dire, che hai incontrato un tizio in autogrill?! Che significa, che cosa stai cercando di dirmi? Che non ci vieni! ... Eh, beh, fine! Bastava dirlo! Ciao! Complimenti, bella sorella!”
Le chiudo il telefono in faccia senza troppo rimorso, tornando alla mia macchina in tutta fretta.
Ed ecco che torna il dolore. Un’ondata di rabbia sotto forma di lacrime che minacciano di cadere, ancora.
Perché certe volte mia sorella non la capisco. Avevo davvero bisogno di passare un po’ di tempo con lei, che ha tanto insistito perché uscissi, mi ha obbligata a venire in questo posto e alla fine nemmeno si è presentata.
E mi viene da piangere anche di più se penso che l’unico motivo per cui sono uscita, per cui sono qui, in un posto che con me non c’entra nulla, è Marco.
 
Perché a quest’ora avremmo dovuto essere a casa, insieme, sul finire della cena forse... a goderci i nostri primi giorni da marito e moglie.
E invece no, ha dovuto rovinare tutto.
Con un gesto rabbioso tiro fuori le chiavi della macchina, intenzionata a buttarmi sul letto senza nemmeno cambiarmi e riprendere la routine delle lacrime, quando mi ritrovo immobilizzata contro lo sportello.
Due uomini mi hanno aggredita, e uno mi tiene stretta, avvicinando le mani dove non dovrebbe per costringermi a star ferma, mentre l’altro mi intima di consegnargli la borsa.
Sono paralizzata.
Non riesco a fare niente. È come se la mia mente si fosse azzerata.
Niente.
Proprio io, che sono cintura nera di judo, mi ritrovo inerme e vittima di due ladruncoli, senza riuscire a reagire.
Ho soltanto paura.
Una voce mi riporta alla realtà.
“Lasciala! Ti ho detto lasciala, ora!”
Un ragazzo sbuca fuori dal nulla, tentando di far fuggire i due.
Per fortuna è abbastanza per farmi tornare in me.
Mi sblocco, riuscendo a liberarmi dalla presa dell’uomo che mi stava trattenendo, mentre il ragazzo se la vede con l’altro aggressore.
I due per fortuna fuggono.
Nonostante ciò, io sono terribilmente scossa, e non riesco a far altro se non appoggiarmi all’auto.
Il ragazzo mi si avvicina, preoccupato.
“Tutto bene?”
“Sì...”
“Sicura?”
Dopo avergli confermato che sto bene, mi aiuta aprendo per me la portiera e dandomi una mano a salire.
“Ce la fai a guidare fino a casa?”
“Sì... Ehm, io non... veramente-” Non riesco nemmeno a parlare, ma lui sembra non farci caso.
“No, non devi ringraziarmi...” minimizza. “Ciao, buonanotte.”
Solo dopo qualche istante mi rendo conto che non so nemmeno come si chiama.
 
Rimango ancora per qualche minuto in macchina. Chiusa dentro, per la precisione.
Il cuore in gola.
Lo sguardo perso nel vuoto.
La scena che ho appena vissuto ha del surreale.
Io, cintura nera di judo, che tengo regolarmente corsi di autodifesa - anche per i miei stessi uomini - non sono riuscita a reagire.
Ero paralizzata dalla paura.
Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se quel ragazzo non fosse arrivato in mio soccorso.
Lo stesso terrore che mi ha attraversata quando ho creduto di morire schiacciata da una pressa torna a pervadermi.
Come allora, l’istinto mi porta ad afferrare il cellulare, cercando disperatamente in rubrica l’unico numero che mi viene in mente di chiamare in una circostanza così, come quella volta.
Sto per avviare la telefonata quando la dura realtà mi piomba nuovamente addosso come un macigno.
Non posso chiamare Marco, stavolta. Non posso. Non devo.
Il male che lui mi ha fatto è stato molto, molto peggio di quello che io ho subito pochi minuti fa.
Chiudendo di nuovo la mente, metto in moto l’auto, avviandomi verso casa.
 
Marco’s pov
 
Anna non mi parla da settimane.
Settimane che sembrano anni, davvero.
Ma me lo merito, ha tutte le ragioni del mondo, per odiarmi. Anche se dubito mi odi più di quanto faccia io stesso.
Non c’è notte passata ormai sullo scomodo divano di Cecchini che non sia insonne, in cui non mi maledica per quello che le ho fatto.
In ogni momento, in ogni istante mi torna in mente il viso di Anna quando le ho confessato di averla tradita.
L’ha capito ancora prima che pronunciassi quelle parole.
Gli occhi traboccanti di lacrime.
La sua fuga.
Inutile dire che è scoppiato il caos, nessuno capiva cosa stesse succedendo.
Adesso di sicuro lo sanno.
Io però non so che fare. Sono talmente disperato che sono disposto a seguire perfino gli assurdi consigli del maresciallo, che finora non hanno avuto esito positivo, naturalmente.
A proposito di Cecchini, è lui che fa da mediatore tra di noi, per adesso, e proprio da lui ho saputo che Anna stasera sarebbe uscita con Chiara, e quindi avrei dovuto occuparmi io di Patatino.
Sto proprio rientrando dalla sua passeggiata quando noto l’auto di Anna arrivare al solito parcheggio. Mi avvicino istintivamente.
Quando scende, noto in lei uno strano comportamento.
Il mio cuore si ferma per un istante.
Ha il viso bagnato di lacrime, il passo incerto. Sembra sconvolta.
Non ci penso nemmeno a quello che sto facendo, e la raggiungo, pronto a proteggerla, come sempre.
“Anna...” tento di chiamarla, ma lei spalanca gli occhi e si ritrae. Oserei dire che ha paura... ma... di me?
Con un tempismo perfetto, ecco che arriva Cecchini. Anche lui si rende conto dello stato in cui è Anna, e senza esitare un attimo, le si avvicina e la accompagna fin su al suo appartamento.
 
Faccio le scale di corsa, rientrando da Cecchini, consumando quasi il pavimento per quante volte lo percorro avanti e indietro, al culmine della preoccupazione.
Mi serve tutta la forza dii volontà che posseggo per non correre da lei.
Quando il maresciallo apre finalmente la porta, ha un’espressione tetra in volto.
Dopo una leggera esitazione, si decide a dirmi cosa è successo: Anna è stata aggredita da due uomini.
Non è accaduto niente soltanto perché un ragazzo se n’è accorto e ha fatto fuggire i due. E lei ha naturalmente avuto paura.
Un’altra ragione per maledirmi.
Non le sarebbe mai successo se io non avessi perso la testa, quella notte.
Ed è anche peggio, adesso, perché so che non accetterà mai di essere aiutata. Soprattutto non da me.
 
La mattina, dopo l’ennesima notte insonne aggravata dal pensiero di Anna, terrorizzata, e dalla facciata cinica che mostrerà in caserma, mi ritrovo a seguire Cecchini in un terreno di campagna per andare... dalla Madonna dei Disperati.
“Mi scusi, ma era proprio necessario costringermi a venire qui alla Madonna dei Disperati? Guardi che Anna è forte, capirà poi la situazione com’è andata e mi perdonerà, dai... Le passerà, insomma,” tento di minimizzare, anche se io per primo so che non è così semplice come vorrei tanto credere. Anzi. Anna è forte, è vero, ma il mio gesto l’ha devastata, lo so, e lei non è una che perdona gli errori tanto facilmente.
“Ma noi non siamo venuti qua mica per Anna, siamo venuti per Lei!” mi contraddice il maresciallo, e su questo non posso dargli torto. “È la Madonna dei Disperati, più disperato di lei...! Due fallimenti di matrimonio, chissà quanti altri fallimenti...”
“Lasciamo andare, non metta il dito nella piaga! Io però sono un po’ scettico, scusi, non voglio mancarle di rispetto... Ma questa cosa qua secondo Lei funziona?” Io non ci credo molto, a questa cosa dei miracoli, a essere sincero.
Però... però ho visto nevicare, quel 15 agosto. Me lo ricordo bene, quel giorno. Eccome.
Lui si lancia in un racconto di un suo cugino che, a detta sua, avrebbe ricevuto la grazia, anche se io ho i miei dubbi.
In ogni caso, nient’altro ha funzionato, e tentar non nuoce... Tanto, peggio di così, come? Al massimo non accade nulla.
 
Anna’s pov
 
“Come va?”
Gran bella domanda, maresciallo, davvero. Siamo al cimitero in cui si è consumata un’aggressione ai danni di un uomo, ferito gravemente da un colpo di arma da fuoco.
Cecchini come al solito si impiccia.
“Come va?! Sono furiosa!” è la mia risposta secca.
“Guardi che Nardi è pentitissimo...”
“Non me lo deve nemmeno nominare, ha capito? Per me non esiste!” Esclamo, ancora più arrabbiata. Quel... quello non voglio nemmeno sentirlo. “Io sono furiosa con Lei!”
“Con me?!”
“Me lo doveva dire prima che finissi sull’altare, che era andato a letto con un’altra...” Mormoro, rabbiosa.
Se penso che io...
“Ma scusi, si metta nei miei panni... io ho cercato per il Suo bene-”
“Ha sbagliato! Se me lo diceva prima, io accettavo il lavoro della mia vita, e non dovevo stare qui con Lei, con Nardi... e con Don Matteo!”
Doveva dirmelo. Avrei accettato l’incarico ad Islamabad e avrei sfogato il mio dolore lì, lontana da tutti. Soprattutto da lui.
Meglio un lavoro in un posto pericoloso ma che mi avrebbe impegnato la mente, piuttosto che intrappolata qui.
“Secondo me è meglio così...”
Lo fulmino con lo sguardo, chiudendo poi i pensieri in un angolo. Devo pensare al lavoro.
 
Scopro che l’uomo aggredito si chiama Sergio La Cava, un pregiudicato, assassino, uscito di carcere proprio ieri dopo sei anni.
Mi reco comunque in ospedale per parlarci, ma quando apro la porta della sua stanza, per poco non mi prende un colpo.
È l’uomo che mi ha salvato dall’aggressione ieri sera.
“Tu sei Sergio La Cava?” chiedo, esterrefatta.
Lui scoppia a ridere, irritandomi subito.
“E tu sei un Capitano dei Carabinieri?! Scusami ma... ma non lo immaginavo!”
Quante possibilità c’erano che fosse lui, una su un milione? Ecco, questo dimostra quanto sono fortunata.
“Io non immaginavo che fossi appena uscito dal carcere...”
“Eh già... Quindi sai tutto?”
“So quello che hai fatto sei anni fa, sì. Ha a che fare con quello che è successo stanotte?”
Provo a interrogarlo, ma lui non collabora, anzi, capisco che sta palesemente mentendo. “Smettila.” gli dico, infastidita, ma quello continua.
“Ahh, che dolore, è difficilissimo continuare a parlare, sa, Capitano...!” Mi prende in giro, con una ben poco credibile espressione dolorante, e un sorrisetto che gli cancellerei volentieri dalla faccia.
Che razza di sfacciato!
Sembra quasi lo stesso sorrisetto menefreghista che mi sono trovata davanti il giorno che ho conosciuto Mar-
No!
Mi impongo di non pensarci.
Basta! Ma perché deve sempre portami tutto a lui? Perché?
Quando capisco che Sergio non ha intenzione di collaborare, faccio per andar via, bloccandomi però sulla soglia.
Mi volto verso di lui.
“Grazie per ieri sera.” Per quanto sia insopportabile, mi ha pur sempre salvata.
“Se avessi saputo che eri un Carabiniere, non so se l’avrei fatto, eh...” Mi risponde lui, con un tono stavolta gentile. Per qualche assurda ragione, il suo commento mi fa arrossire.
Vado via il prima possibile.
 
Dovrò fare da sola per risolvere il caso, come sempre, a meno che non arrivi Don Matteo prima, visto che sta sempre in mezzo ai piedi. Chi ha trovato Sergio? Lui, naturalmente!
A quest’ora sarei potuta essere in Pakistan, a fare ciò che avevo sempre desiderato, e invece per colpa del maresciallo che sapeva e non mi ha detto nulla, sono ancora qua a Spoleto. Col prete, il traditore e Cecchini pure che lo aiuta!
Mi impongo di darmi una regolata. Devo pensare al lavoro.
Lavoro.
Vado a parlare con la famiglia di Sergio, e tornando il caserma Cecchini tenta di convincermi a parlare con Marco.
Acconsento per esasperazione, ma non è che abbia intenzione di farlo.
Né di stare ad ascoltare. Non ha giustificazioni.
 
Marco’s pov
 
Per il momento, sono ancora ospite di Cecchini. Mi ha offerto di restare da lui finché le cose con Anna non si sistemano.
Se si sistemano. Non so se a questo punto ci speri più lui che io, perché io inizio ad avere molti dubbi. Più passano i giorni, e più Anna mi evita, ogni tipo di messaggio passa attraverso il maresciallo.
Sto per entrare in casa sua quando la porta alle mie spalle si apre, e Anna esce dall’appartamento con Patatino al guinzaglio.
Questo basta a farmi tornare alla mente i giorni felici con lei, a portare il nostro cane a passeggiare, e noi due mano nella mano... Per certi versi, oserei dire che Patatino abbia iniziato a preferire Anna a me, ma non è possibile... mi è sempre stato fedele, lui.
La saluto, ma lei non ricambia, restando impassibile.
“Ah, bene, ti stavo cercando!” afferma soltanto, il viso una maschera di ghiaccio.
“Ehh, no, sono qua perché mi ospita il Maresciallo, perché non ho un posto dove andare... Anch’io volevo parlarti, assolutamente...” tento di approfittare di questi istanti, ma il suo sguardo mi fa perdere il filo del discorso.
“Ci sono i regali di nozze da restituire. Ci pensi tu?” Dice, e non ha l’aria di essere una domanda. Ma no, non può davvero chiedermi questo!
“No, scusami, no, è una roba tremenda, non mi sento proprio di-” Ancora una volta, il suo sguardo mi terrorizza più dell’idea di restituire i regali. Torno immediatamente sui miei passi. “Sì, posso farlo io perché ho già una dimestichezza... secondo me viene più pratico...”
In effetti, dimenticavo: oltre al record degli abbandoni sull’altare, ho anche quello delle figure di cacca con i parenti, perché la restituzione tocca sempre a me in qualsiasi caso.
“Meglio, sì. C’è anche un’altra cosa.” Prosegue Anna, senza darmi il tempo di far nulla, rientrando a casa a prendere qualcosa. Io tento di aprire il discorso che più mi preme.
“Però io volevo parlare un secondo... io ti ho fatto una carognata, Anna,” la imploro quasi,  “lo so e ti chiedo scusa in ginocchio... Però tu devi pensare che è successo quando noi non stavamo più insieme... Non possiamo parlarne una volta per ben-”
“Ne stiamo già parlando!” mi interrompe. “Questa roba è tua?” Chiede, accennando alla scatola che tiene in mano.
“Sì!” E lei lo sapeva benissimo senza chiedere, che è roba mia. Ci sono i miei vestiti, dentro.
Guardandomi fisso negli occhi, Anna gira la scatola sottosopra, riversando l’intero contenuto sul pavimento, ai miei piedi.
“Scusa, lo scatolo mi serve.”
Si volta per riportarlo in casa, mentre io mi trattengo dallo sbottare. Mi torna in mente una scena simile: il mio rientro dopo il primo matrimonio mancato, quando ho aperto l’armadio e mi sono ritrovato tutti i vestiti tagliuzzati. Perlomeno Anna me li ha lasciati interi, sebbene avrei preferito di gran lunga un finale diverso per noi.
Mi faccio coraggio. Ho capito.
“Va bene, d’accordo, ho recepito il messaggio...” Abbasso la testa, e lei fa per andar via senza aggiungere nulla, afferrando il guinzaglio di Patatino.
Su questo però la fermo. “No, aspetta aspetta aspetta... Patatino - dico male? - viene con me!” Le dico, un po’ più convinto. Il cane è mio, almeno quello!
Anna, naturalmente, non abbandona lo sguardo di sfida.
“Tieni!” Mi dice, sarcastica, sollevando il guinzaglio e lasciandolo cadere a terra prima che io possa afferrarlo.
“Ah, grazie...!” Rispondo, infastidito. Perché deve fare così?! Cerco di far finta di niente. “Patatino, vieni, bello... Oh!” Esclamo, esterrefatto, quando lui si alza e raggiunge Anna, scodinzolante. “Ma perché?!”
Anna, che si era abbassata per accarezzare il cane, si rialza e mi lancia uno sguardo altezzoso. “Perché? Perché è lui che mi sceglie, Marco! Perché mi prendo cura di lui... lo porto fuori a fare pipì, gli do da mangiare...”
Tengo a bada la rabbia veramente a stento, lanciando poi a Patatino uno sguardo furibondo.
“Tu sei un traditore, lo sai?”
Mi rendo conto con un secondo di ritardo di quello che ho detto, perché Anna si blocca e si gira verso di me, un’espressione sdegnata sul bel viso. Il pollice alzato come a dire ‘Ottima scelta!’.
Questa cosa mi manda in bestia.
“No, dai, l’ho detto così per dire, non stavo alludendo a niente, Anna... però! Non posso più dir niente!”
Lei mi volta le spalle senza più degnarmi di uno sguardo, portando con sé Patatino, che la segue felice.
Peggio di così? Ma perché ogni cosa che faccio mi si ritorce contro? Cos’è, il karma?!
 
Rientro da Cecchini, che trovo sul divano. Mi sfogo con lui, disperato.
“Mi vuole morto, adesso! Mi ha buttato i vestiti fuori dalla porta di casa, il cane se l’è preso lei e mi tocca andare a riportare i regali di nozze a uno a uno... ma che idea ha avuto?!”
Gli dico, urlando quasi. Se non gli avessi dato ascolto, se non gli avessi detto nulla, a quest’ora tutto questo casino non sarebbe successo. Forse.
“Calma, calma, questo è un buon segno!”
“Ma che buon segno è?!”
“Un buon segno perché vuol dire che la odia...” Afferma, e io crollo seduto sul divano. Ah, bene! Mi odia! Che buon segno può essere mai, questo?! “Uso questa parola ora e non la userò più. La odia, perché... è come dice la canzone... ‘Ti odio, ti odio, ti odio... Ti amo, ti amo, ti amo’. Sono parole parenti tra di loro, capito? La cosa più brutta è l’indifferenza!”
“Maresciallo, non mi perdona più, Anna, è finita...” biascico. Sono un grandissimo idiota, ho commesso la cazzata più grave della mia vita. Ho perso l’amore della mia vita.
“Calma! Non non dobbiamo soffrire, noi non dobbiamo avvilirci!”
“Noi, chi?”
“Lei! Noi la soluzione ce l’abbiamo, e si chiama ‘Madonna dei Disperati’!”
E ti pareva.
Ha deciso che deve avere quella statua, e ha pensato di fare una colletta. La prima vittima sono io, mi tocca pure sborsare cento euro. Glieli do sconsolato, nella speranza che almeno servano a qualcosa.
“No, ma io come faccio con Anna...?” Torno a deprimermi, la voce che trema. Non ce la faccio. Non ce la faccio. Sapere che mi odia...
“Lei deve espiare! Perché adesso Anna si vendicherà... Lei espii!”
 
Quando finalmente mi lascia solo, ho il tempo di pensare.
Davanti agli occhi ho solo immagini confuse di queste settimane caotiche: Anna, bellissima nel suo abito da sposa, che scende dall’auto e mi sorride, noi che non vediamo l’ora che arrivi il momento del ‘sì’, il maresciallo che la trascina in sacrestia, la confessione, e di nuovo lei, che mi volta le spalle e fugge via, una scia bianca a lacerarmi il cuore.
Io che tento in tutti i modi di parlarle, nei giorni successivi, di spiegarle, e lei che si rifiuta di ascoltarmi. Che alza un muro tra di noi.
Io sono davvero disperato, ma so che anche Anna lo è.
La conosco troppo bene, so che quando soffre, ci mette un attimo a tirar su una corazza spessissima dentro cui si chiude senza possibilità di breccia.
Fa la dura, la cinica, ma so che sta soffrendo quanto e più di me.
Si è già buttata a capofitto nel lavoro per pensare il meno possibile.
Io non ne sono capace. Non più.
Dopo aver scoperto il mio migliore amico a letto con Federica, ero convinto che non mi sarei più fatto fregare. Anche io avevo indossato la mia armatura, credendomi invincibile. Invulnerabile. Mi ero ripromesso che non avrei amato mai più.
E invece nella mia vita era arrivata Anna. Come un fulmine a ciel sereno, mi aveva stravolto la vita nel modo più bello possibile.
È il mio opposto in tutto, ma proprio per quello è perfetta. La mia metà.
E mi ero convinto che tutto, ogni momento vissuto, ci avesse condotti a incontrarci, quella mattina in piazza davanti alla caserma.
Cecchini continua a dire che ho bisogno di un miracolo, ma io ai miracoli non ci credo più.
Sì, la neve ad agosto e tutto, ma allora perché il piccolo Cosimo non ce l’ha fatta?
Io non ho bisogno di un miracolo.
Io ho bisogno di cambiare, come avevo iniziato a fare, grazie ad Anna.
Forse avevo ragione, ci sono alcune cose in cui entrambi vogliamo cambiare da soli.
Ma nemmeno di questo sono più capace. È diventato talmente naturale, nel tempo, cambiare insieme alla mia Anna, che adesso non so più come vivere senza di lei. Mi sento perso. Non ho niente, non ho più niente, se non ho lei...
Ed è stata proprio questa consapevolezza, di avere un bisogno disperato di lei, a portarmi a commettere l’errore più grande della mia vita: tradirla.
Dannata paura.
Perché è per paura, ancora, che è successo tutto questo.
Perché se mi sono fatto da parte, quella sera, lasciandola, è stato solo per paura.
Perché temevo che, implorandola di restare con me, mi avrebbe detto di no.
Vorrei solo poter tornare indietro, ma non posso.
Vorrei spiegarle, ma non me lo lascia fare.
E ha ragione.
Ripenso a quello che le ho detto prima, sul pianerottolo.
Le ho fatto una carognata, e parole simili le ha dette a me Simone, quando ha cercato di giustificarsi per il suo gesto ignobile e io non ho voluto sentir ragione.
Lo stesso gesto che io ho finito per compiere.
E non importa se accompagnato o meno dai sentimenti, non importa se Simone e Federica si erano innamorati, mentre io e Sara non abbiamo nessun tipo di legame.
Il tradimento resta. L’errore resta.
Non so più che fare, se non rassegnarmi a sperare che, forse davvero per miracolo, una delle strambe idee del maresciallo vada finalmente in porto.
 
Anna’s pov
 
Ho portato Patatino a fare una passeggiata, anche se forse avevo più bisogno d’aria io di lui. Poco importa.
Adesso che sono rientrata, e lui se ne sta accucciato in soggiorno, io cammino distrattamente per casa.
Di nuovo immersa in quell’ambiente che stavamo pian piano costruendo insieme per farlo diventare nostro. Il futuro che lui ha distrutto.
Il mio sguardo si posa su una nostra foto poggiata davanti alle altre, su una mensola della libreria.
L’ha scattata Chiara durante una gita in campagna, fatta per far svagare Cecchini dopo la perdita della moglie.
Una delle giornate più belle della mia vita.
C’erano tutte le persone che amo: la mia famiglia di sangue, con mia madre e mia sorella, la mia famiglia acquisita, con Cecchini, perché sì, è diventato come un padre per me, e c’era Marco. L’uomo con cui ero pronta a passare il resto della mia vita. Il mio grande amore.
Pochi giorni prima di scattare quella foto mi aveva chiesto di diventare sua moglie. Non avremmo potuto essere più felici, in quel momento.
Adesso, guardare quell’immagine mi fa soltanto male.
È un dolore sordo che non mi abbandona mai. E peggiora in fitte lancinanti quando qualcosa di particolarmente importante mi torna alla mente.
La afferro di scatto, per poi gettarla con rabbia nel cestino. Un rumore di vetri rotti accompagna la sua caduta.
“Ti sta bene!” mormoro tra me. Noto appena che Patatino solleva la testa, incerto su cosa mai stia facendo.
Adesso parlo anche da sola.
Sto già iniziando ad impazzire.
Il mio sguardo passa all’abito da sposa, appoggiato a una sedia.
Lo prendo tra le mani, mentre il magone torna prepotente in gola.
L’abito bianco che ‘non indosserai mai, perché gli uomini li farai scappare!’.
Le parole di mia madre riecheggiano nella mia testa.
Stringo la stoffa tra le dita.
Vorrei farlo a pezzi, distruggerlo, non lasciare più traccia del suo passaggio.
O almeno, è quello che vorrebbe fare la parte più razionale di me.
Il mio cuore non è convinto, invece.
Esita.
Sussurrandomi di ripensarci, perché non sarebbe il vestito, che finirei per lacerare, ma me stessa.
Con un tempismo sempre perfetto, sento la serratura scattare, e un ‘Biscottina’ che mi gela.
Il maresciallo è entrato in casa mia come se niente fosse e parla al telefono con mia madre. Di me, naturalmente.
Giuro, uno di questi giorni cambio la serratura.
Mi affretto a nascondere l’abito nell’armadio, anche se non riesco a sistemarlo come vorrei, e raggiungo Cecchini, infastidita.
“Dai, Biscottina, stai tranquilla, le faccio compagnia io! Stai tranquilla, ci penso io, non resterà mai sola, le faccio compagnia io appena- eh... Sua mamma.”
Tenta di passarmela, ma io ho altre idee. Ho evitato le sue chiamate per tutto il giorno. Così è una costrizione!
“Non ci voglio parlare... non ci voglio parlare, non ci voglio parlare!” Sussurro al maresciallo, leggermente in panico. Lui, sia mai che mi dia ascolto?
“Un minuto, che sta dando da mangiare al cane... te la passo subito!”
Afferro il telefono, furibonda. “Mamma, ciao... sì, sto bene... Non ti preo- no, non c’è bisogno che vieni, stai tranquilla... Sì, certo, lo tratto bene il maresciallo...” mormoro, apatica, prima di mettere una mano davanti al microfono del cellulare quando vedo che lui ha recuperato la foto dal cestino. “Si deve fare gli affari suoi!!” gli intimo prendendogli la foto di mano e buttandola di nuovo insieme alle cartacce prima di tornare, malvolentieri, a parlare con mia madre.
Lei insiste sul fatto che devo pensarci, che devo calmarmi, riflettere...
Io la ascolto per metà, assecondandola più per abitudine che per reale intenzione di seguire i suoi consigli.
Una volta chiusa la chiamata, riconsegnato il telefono e convinto il suo proprietario a lasciami da sola - perché non ho proprio voglia di restare in compagnia di Cecchini, e quella di non lasciarmi mai sola suonava più come una minaccia - finalmente torno alla mia routine serale.
Tentare di non piangere.
 
Marco’s pov
 
“Furto d’auto, truffa aggravata, violazione di domicilio...” Elenca Cecchini in ufficio, la mattina seguente, leggendo il fascicolo sull’indagato.
“Senza contare la storia del bambino...” Aggiungo. “È proprio una bella personcina, questo Sergio La Cava!”
Anna mi rivolge uno sguardo astioso. “Almeno lui ha pagato per quello che ha fatto!” Esclama, correndo in difesa di quel delinquente, con una frecciatina a me.
“Esatto!” La risposta di Cecchini non può mancare.
Anna però sembra non essere d’accordo.
“Guardi che anche Lei rischia un’accusa per favoreggiamento...” gli dice, infastidita. “Lo so che lo sta ospitando!”
“Vabbè, mi dispiaceva, un povero disgraziato!”
Giuro, quando fa così mi verrebbe voglia di strangolarlo.
“Che disgraziato, maresciallo, ma scusi...”
Cerco di fare l’indifferente, ma la realtà è che sto malissimo.
Mi dà fastidio che Anna difenda quel... quello in questo modo.
Sì, sono geloso. Posso esserlo, ne ho ancora il diritto, no?
Lei è davvero troppo coinvolta nella storia di questo ragazzo, quasi voglia aiutarlo a tutti i costi per sdebitarsi di averla salvata dall’aggressione.
E questa è una cosa che non sopporto.
Io amo Anna, e l’errore che ho fatto lo sto pagando a caro prezzo, com’è giusto che sia.
Ma vederla mostrare tanta passione per un altro uomo mi distrugge.
Non può aver cancellato tutto quello che c’è stato tra noi in così pochi giorni, no? Lo sta solo aiutando come forma di ringraziamento... vero?
“Espii...” è la replica piccata del maresciallo, che mi intima con un gesto di stare zitto.
Va bene, va be-
“Si può?”
Perfetto, ci mancava la Procuratrice.
“Ecco, siamo a posto...”
Ora sì che il quadretto è completo.
Perché, come se non fossi già abbastanza nei guai, Cecchini ha anche rivelato ad Anna con chi l’ho tradita, quando io avevo fatto di tutto per non darle questa ulteriore sofferenza.
Posso urlare?
Sara ignora la tensione, iniziando a spiegare il motivo della sua visita. “Come il Dottor Nardi vi avrà detto, quando un ex-carcerato è coinvolto in un delitto, la Procura ci va con i piedi di piombo...”
Ah. Ecco cosa mi ero scordato di riferire.
“Mh, è che il Dottor Nardi ultimamente dimentica molte cose...”
Anna, ti prego.
Queste sue frecciatine, più che irritarmi, mi fanno male. So che me le merito tutte, ma non per questo sono meno dolorose.
Cecchini, come al suo solito, decide di approfittare del momento, secondo lui per stemperare la tensione, per chiedere alla PM un contributo per salvare la Madonna dei Disperati.
Lei, senza esitare, tira fuori una banconota da cento euro.
Se gli sguardi potessero uccidere, il maresciallo sarebbe a quest’ora un mucchietto di cenere, visto quello che gli ha rivolto Anna al suo commento, “È anche generosa!
Lo avrei volentieri ammazzato anch’io.
“Posso parlarle un momento in privato?” Chiede poi Sara, una volta passato il momento.
Io sospiro pesantemente, alzandomi. “Certamente...”
“Io veramente vorrei parlare con il Capitano...”
Anna ha tutta l’aria di una che vorrebbe essere da tutt’altra parte.
Immagino di sapere anche dove: Islamabad, a seimila chilometri da me.
 
Io e il maresciallo usciamo dall’ufficio del Capitano, e mi siedo accanto a lui alla sua scrivania, più scoraggiato che mai.
“Ma che si stanno dicendo? Non si capisce ‘na parola...”
“Non lo so maresciallo, però secondo me... niente di buono.”
Cosa ci può essere di positivo in una conversazione privata tra la donna che amo e quella con cui l’ho tradita? Niente!
“Ahhh, invece ce l’ho io una buona notizia!” Esclama lui, con una nota di speranza. “La Capitana, l’abito da sposa lo ha conservato! L’ho visto io, lo ha conservato.”
“Perché, cos’è, una cosa buona, questa?”
“Certo che è una cosa buona! Se lei non se ne libera, vuol dire che ancora sta pensando, riflettendo, nel suo cuore... non si sa mai, diciamo così... Mia madre lo sa come diceva? Finché c’è il vestito, c’è speranza!”
Io non ne sono così convinto.
 
Anna’s pov
 
“Possiamo darci del tu, da donna a donna?”
È così che esordisce Sara, quando la invito a sedersi.
Io faccio appena un cenno.
Darci del tu. Noi. Ah.
“Mi dispiace per quello che è successo...” dice. “Non sapevo che Nardi si stesse per sposare con te. Volevo solo mettere in chiaro che tra me e lui non c’è niente.”
“Per me non fa alcuna differenza.” Riesco a rispondere, nel tono più neutro che riesco a tirar fuori.
“Sì, lo immaginavo... però volevo solo sincerarmi che quello che è successo non crei problemi tra di noi, a livello lavorativo...”
Che coraggio che ha.
“Non ho nessun problema con te...” nego. “Per me l’unico colpevole è Nardi. So gestire i miei problemi personali. Non ci saranno conseguenze.” Spiego, con la mia miglior facciata cinica, che mi riesce sempre bene, alzandomi poi in piedi e porgendo la mano alla dottoressa.
Lei la stringe, con un sorriso.
“Tra donne ci si capisce!” Afferma in tono compiaciuto, apparentemente convinta, prima di andare via.
Evidentemente potrei avere una carriera come attrice in alternativa alla divisa, se volessi, perché se non fossi stata in caserma e in servizio, Sara a quest’ora sarebbe ridotta a un mucchietto di coriandoli. Fatta a pezzi, come la matita che tenevo in mano e che ho appena spezzato con un colpo secco, l’unico sentimento che provo un odio profondo.
Ma come si permette? A dirmi quelle cose?
Ma cosa ne sa, lei, di cosa si prova? È lei quella che è stata tradita, che l’ha scoperto il giorno del matrimonio?
No, lei è solo complice di quel traditore.
È in momenti come questo che maledico Cecchini. Lui sapeva, sapeva tutto, eppure non mi ha detto nulla. È anche colpa sua se ho perso l’incarico di caposcorta a Islamabad.
Meglio quel lavoro pericoloso che stare qui a soffrire nella quotidianità che mi affligge.
 
Detesto dover odiare Marco.
Perché io lo amo, ancora, profondamente.
Ma se penso a quello che mi ha fatto, l’unica cosa che provo è la rabbia, ed è più facile continuare ad odiarlo che cercare di trovare un senso a tutta questa storia.
Perché non ce l’ha più. Niente ha più senso.
 
Marco’s pov
 
Quando rientro da Cecchini, la sera, trovo tutti i regali di nozze poggiati sul tavolo, pronti ad essere restituiti.
Sento una fitta di dolore alla sola vista.
Cerco di smorzare il dolore come posso, notando un altro oggetto sul tavolo.
“Vabbè, almeno il casco me l’ha lasciato...” Commento, prendendolo. Quello, però, mi si divide tra le mani.
Spezzato a metà.
Metafora perfetta, amore mio.
“Ma che è, la versione estiva? Sono due?” Chiede Cecchini, rientrato anche lui col suo solito tempismo.
Cerco di ridere, anche se fa malissimo. “Eh, è concepito come versione unica; questa è una proposta di Anna, diciamo...”
“Senta, dobbiamo fare qualcosa!” Preme di nuovo lui, ma io sono stanco.
“Più di così cosa devo fare? Non so, espiare più di così, mi dica Lei...” dico, di nuovo disperato. Sto già espiando abbastanza per i miei gusti: vedere la donna che amo odiarmi ogni istante di più mi sembra più che sufficiente. So che ha ragione a farlo, ma non nascondo che spero ogni attimo che lei cambi idea.
Ma so bene che è inutile.
Io ho passato giorni a odiare il genere umano, settimane a odiare il gentil sesso, per quello che Federica e Simone mi avevano fatto. E non importa se nel mio caso è stato un errore di una notte, da ubriaco, per disperazione. Non è meno peggio di un tradimento di più lunga data, come quello della mia ex.
Il maresciallo continua a borbottare qualcosa, esasperandomi.
“Cosa, devo tornare dal suo ex e dirgli ‘Torna con Anna!’...? Che devo fare?”
Almeno nel suo caso, col voto di castità, Anna non avrebbe corso il rischio di essere tradita così.
Mi ritornano in mente le mie stesse parole, sulla strada di ritorno dal monastero, per Anna: che Giovanni fosse stato un pazzo a lasciarsela scappare.
Ironia della sorte: chi è ora il pazzo, l’idiota?
Eh... risposta esatta.
“No no no, non stavo dicendo questo...” nega però lui. “Dobbiamo fare qualcosa per la Madonna dei Disperati!”
“No, basta maresciallo, con tutti i problemi che c’ho secondo Lei io ho tempo di occuparmi di questo? Mi lasci stare, veramente.”
“Va bene, non mi vuole aiutare, va bene. Questo è il ringraziamento per la mia ospitalità, per averlo tenuto qui a casa e avergli fatto risparmiare migliaia e migliaia di euro...”
Pure! Ma perché, perché?!
Dopo un battibecco in cui io gli dico che è meglio che me ne vada e lui che mi chiede di restare, continua, “Mi aiuta, anche perché le fa bene! Anche perché che fa, qua, così... non ci pensi, al suo fallimento, sta vivendo così squallidamente...”
Sì, mi serviva proprio tornare in argomento!
“Anche se me lo scordo per un secondo, non c’è problema perché me lo ricorda Lei, è un promemoria fantastico in questo...”
“Anche per passare una serata diversa... all’aria aperta.”
“Ecco, quello ci vuole.”
Quello che non ci voleva è il modo in cui passiamo la ‘serata diversa’.
Perché il suo piano prevedeva di andare con Pippo al terreno di Cocozza a rubare la Madonna dei Disperati.
Non so nemmeno perché accetto.
Peggio, sulla strada di ritorno, incrociamo Zappavigna e un altro carabiniere di pattuglia, che chiedono cosa ci sia nella carriola, mentre io mi sono nascosto: ci mancherebbe solo questa!
Cecchini mi mette in mezzo, dicendo che ci sono io, che mi sono ubriacato - e dire che vorrei tanto essere astemio, da un po’ di tempo a questa parte - e che mi stanno portando a casa. Mi ritrovo costretto ad ascoltare le parole di compatimento dell’appuntato, giusto per migliorare la mia fama in giro.
Rientriamo dal maresciallo, mentre io mi chiedo se non sono davvero impazzito.
Rubare una statua, ma si può?
Se Anna lo scopre, perderò anche quella fievole speranza che ho di farmi perdonare.
La statua giunge sana e salva fino all’appartamento. Una presenza un po’ inquietante da incontrare nel cuore della notte, visto che Cecchini me l’ha posizionata proprio accanto al divano, nemmeno dovesse vegliare su di me.
Disperato sì, ma fino a questo punto?
... Sì.
 
Anna’s pov
 
La mattina, decido di andare a trovare Sergio in ospedale, nella speranza di riuscire a convincerlo a collaborare. So che nasconde qualcosa, e vorrei capire di che si tratta.
Busso per avvisarlo del mio ingresso, ma quando apro la porta lo trovo intento a cercare di infilarsi la camicia.
“Scusa...” mormoro con un leggero imbarazzo.
“No, che scusa, figurati...” minimizza lui, “anzi, potresti darmi una mano, ti dispiace? È che il mio braccio dovrei infilarlo qui senza...” mi spiega. Per via della ferita, non può fare movimenti bruschi.
Mi ritrovo ad assecondarlo senza nemmeno rendermene conto e, con la maggiore delicatezza possibile, lo aiuto a indossare l’indumento senza fargli male. Il mio sguardo coglie la catenina che porta al collo.
Lui volta il capo verso di me, portandosi ancora più vicino. “Guarda un po’, saresti un’infermiera perfetta, e invece...” mi prende in giro.
Io faccio istintivamente un passo indietro.
“Smettila, o ti sbatto dentro per oltraggio a pubblico ufficiale!”
“Scusa... alzo una sola mano, così l’altra...” continua lui, e la cosa mi provoca ulteriore fastidio.
Ma perché dev’essere così esasperante?
Perché li devo incrociare tutti io, quelli fatti così? Il suo tenermi testa mi irrita da morire, ma mi attira allo stesso tempo, inspiegabilmente.
No, non è vero, una spiegazione c’è, per quanto la detesti.
Mi sembra di avere davanti Marco. Ogni cosa, in Sergio, mi ricorda lui. Come se non facesse già abbastanza male così.
La verità è che Marco mi manca, e per sopperire al vuoto, la mia mente lo cerca in ogni situazione, in ogni cosa.
Mi manca stare con lui, mi manca parlargli, anche al lavoro.
Soprattutto lì, è un continuo farsi dispetti a vicenda, io non faccio altro che tentare di fargliela pagare, ma lui non è da meno, e questo rende difficile per entrambi restare concentrati come dovremmo, e lavorare al caso.
Soprattutto a questo, dove io dovrei cercare di restare imparziale, e invece mi accorgo che mi sto lasciando coinvolgere più del normale, forse per via di quanto successo al parcheggio con Sergio.
Lei si lascia commuovere, mi aveva detto Marco, quel giorno.
Ma era bastato poco perché cambiasse idea, affermando che si era già accorto che non ero il tipo da lasciarsi condizionare da fattori personali e di saper distinguere il lavoro dalla vita privata.
Anch’io lo pensavo, ma ultimamente non credo di esserne più capace.
E non solo per le battute poco felici tra noi, ma perché non riesco ad essere imparziale in niente.
Mi viene da piangere ad ogni notizia che ricevo, che sia di un bambino ucciso sei anni fa, o un ferimento ai danni di un delinquente.
A tal proposito, la sua voce mi riporta alla realtà.
“Allora, a cosa devo questa visita?” chiede, sempre col suo tono velatamente sarcastico.
“Sappiamo che non è stato Alfiero a spararti, sappiamo però che gli Spada posseggono una pistola dello stesso calibro di quella che ti ha sparato, pistola che non si trova... sappiamo che sai chi ti ha sparato.” affermo, senza esitare.
“Sapete un sacco di cose... e allora non vi servo, giusto?” mormora, prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la porta, che apre e attraversa.
Mi sento interdetta.
“Che fai, te ne vai?”
Mi lancia un’occhiata divertita. “Sono un uomo libero o no?”
La frecciatina velata non ha l’effetto che lui vorrebbe. Mi avvicino.
“Senti... a me non interessa quello che hai fatto prima, né quello che gli altri pensano di te. Sto solo cercando di capire chi ti ha sparato, e lo scoprirò... con o senza il tuo aiuto.” gli dico, piantando lo sguardo nel suo, che non abbassa.
“Bene, in bocca al lupo allora... Capitano!” sottolinea con leggera ironia. Il sottotesto del mio grado mi fa sempre vacillare, senza che riesca a spiegarmi il perché.
 
“Allora, Sergio La Cava non collabora, dobbiamo vedercela da soli. Abbiamo novità?” affermo, una volta rientrata in caserma.
Sono nel mio ufficio insieme a Cecchini e Zappavigna. Il traditore ancora non si vede, e accetto volentieri la tregua, che però dura troppo poco.
Eccolo.
“Buongiorno a tutti!” saluta, una punta di fastidio nella voce.
“Come mai a quest’ora?” si impiccia il maresciallo, come al solito.
“Scusatemi per il ritardo... Volevo ringraziarti per il casco.” dice, rivolgendosi a me con un sorriso che non ha nulla di felice.
Giusto per farmi innervosire subito, insomma. “Figurati! Non vorrei mai che ti si rompesse la testa...” rispondo, ricambiando il sorriso - il mio però è volutamente cattivo.
“Perché deve fare così...” mormora lui, chiudendo gli occhi per trattenersi.
Cecchini corre in suo aiuto. “Calma! Oh! Calma... deve espiare!” lo mette in riga, e non potrei essere più d’accordo.
“Dice-” Il maresciallo tenta di parlare, ma quello lo blocca di nuovo.
“E allora, volevo ringraziarti per il pensiero gentile... e se volessi disintegrarmi anche delle altre cose, non sentirti trattenuta, mi raccomando, eh...”
“Molto volentieri!” è la mia replica, e giuro, finisce che disintegro qualcosa di ben preciso già adesso, se non la smette. “Abbiamo novità?” sbotto, cercando di chiudere il battibecco.
Siamo in caserma, e dovremmo lavorare.
Questa situazione mi innervosisce. Perché io amo battibeccare con Marco, la nostra storia è nata così, ma... non c’è più alcuna storia, tra noi, adesso.
Ed è tutta colpa sua.
Però... nonostante lui mi abbia risposto per le rime, nel suo sguardo non c’è più l’umorismo di sempre, la reale intenzione di scherzare, no.
Tutto quello che sono riuscita a leggerci, è ciò che anch’io cerco di nascondere: lacrime, tristezza, disperazione.
Anche se stessi piangendo... Anna, è normale. E non perché sei donna, perché anche gli uomini piangono. Anche i carabinieri. E pure i PM, tanto... te lo dico per esperienza.
Le sue parole, ancora, tornano prepotentemente a farsi sentire nella mia testa.
Forse anche lui sta piangendo, come me, per quello che è successo.
So che sta male per quello che ha fatto, e non perché mi chiede sempre scusa dicendomi che gli dispiace, ma per i suoi gesti.
Marco è un libro aperto, per me.
Ma se fino ad ora aveva anche lui alzato un muro e cercato di far trasparire il meno possibile, per darsi coraggio forse, stamattina sembra che non ci riesca più.
Inizio a dubitare della battaglia estenuante che sto portando avanti contro di lui.
Marco ha sbagliato, lo sa e sta pagando per il suo errore. So che sta soffrendo terribilmente anche lui, lo vedo, anche se fingo che non sia così e che non mi importi.
Lo so che è davvero pentito, che è stato lo sbaglio di una notte da ubriaco, e che anche lui che è l’artefice del tradimento sta male, non solo io che ne sono la vittima.
Cerco comunque di estraniarmi dai miei problemi e concentrarmi sul lavoro, quando arriva la telefonata per avvisarci di una rapina avvenuta nella gioielleria della famiglia di Sergio.
Ci precipitiamo lì.
 
Appena entrati, troviamo il corpo di Egidio Spada privo di vita.
Mi basta un’occhiata per capire che non è stato preso niente.
“... Non è un furto.” affermo, prima di accorgermi di un oggetto per terra, accanto a Spada.
“Cos’è?” chiede Cecchini, ma io rispondo solo con un profondo sospiro.
Conosco quella catenina, so chi l’ha persa.
“Dobbiamo trovare Sergio La Cava.”
 
In giornata non riusciamo a rintracciarlo.
Quando rientro a casa, come sempre i miei pensieri tornano a Marco, a quanto successo in caserma stamattina.
Al suo sguardo, il dolore che ha lasciato trasparire per la prima volta dopo la confessione in sacrestia.
Ai dubbi che mi hanno pervasa subito dopo. Che non voglio più avere.
Perché niente cambia ciò che è stato.
 
Prendo il mio abito da sposa dall’armadio in cui l’avevo malamente riposto, insieme a un paio di forbici.
Pronta a distruggerlo come ho fatto col casco. Come Marco ha fatto con la nostra storia.
Pronta a ridurlo a brandelli, come lui ha fatto col mio cuore.
Eppure... non ci riesco, a decidermi.
Resto a fissarlo per diversi secondi senza capire come mi senta.
 
“Sei sicura?”
Per poco non mi prende un infarto.
“Mamma...! Come sei entrata?” chiedo, i battiti a mille, le forbici abbassate.
“Nino mi ha dato le chiavi...” mi risponde con ovvietà. “Sono qui per te.”
“Non dovevi, te l’ho detto, non dovevi.” rispondo, cercando di tenere la voce ferma.
Lei mi rivolge uno sguardo che mi fa capire di non credermi affatto.
Va a sedersi sul divano, invitandomi a fare altrettanto.
Accetto di malavoglia.
La mia facciata forte però dura solo un attimo, perché so che a lei non posso nascondere nulla.
Abbasso la testa trattenendo a stento le lacrime che, ancora una volta, sfuggono al mio controllo un tempo ferreo.
“C’è poco da fare, mamma...” mormoro. La maschera da cinica ormai caduta.
“Oh, certo... ma dipende da te.” replica però lei. “Allora, io sono venuta qui a dirti che... anche tuo papà mi ha tradita. E io... io ero furibonda, lo sono stata per tanto tempo...”
Io spalanco gli occhi, sentendo il cuore incrinarsi ancora di più.
Mio... mio padre, il mio adorato papà... l’ha tradita?
È la notizia più orribile che avrebbe potuto darmi, che probabilmente nemmeno lei avrebbe mai condiviso con me se non fosse successo tutto questo casino.
Ma il tono che lei ha usato, noncurante quasi, mi fa arrabbiare ancora di più. Perché lei ne sta parlando come fosse una cosa da nulla, ma non è così. Non è così...
Non sa cosa vuol dire, in ogni caso.
Non sa cosa significhi per me il tradimento di Marco.
Perché solo io conosco tutta la storia, dall’inizio alla fine. Solo io so della sua ex e del suo migliore amico, di cosa hanno fatto, di come lui si è sentito.
Sono certa che nemmeno Cecchini ne sia a conoscenza, avrebbe fatto qualche riferimento se così fosse. E invece no.
Nessuno può capire come mi sento.
Marco sa cosa si prova. Lui per primo è stato tradito, ci è passato.
Eppure non è servito a niente.
“Perché me lo stai dicendo? Che... che cosa mi stai dicendo? Che gli uomini tradiscono... e basta? Questo, è così?” Mormoro, rabbiosa.
Quello che mia madre mi dice, però, mi lascia interdetta ancora una volta.
“No. Che nonostante questo errore, tuo papà resta l’uomo meraviglioso che hai conosciuto e che ho amato perdutamente per quasi vent’anni... Può succedere in una vita, Anna, si può sbagliare... l’importante è che nelle persone che abbiamo davanti, che amiamo, non vediamo solo gli errori, ma il cuore!”
“Quand’è successo?” le chiedo, secca.
“Prego?”
“Prima... o dopo il matrimonio?”
Lei sembra sorpresa dalla mia domanda. “Dopo.”
“Non è la stessa cosa, allora...” sussurro. Dopo il matrimonio, con dei figli, si ha tutto l’interesse di sforzarsi di tornare sui propri passi. Ci sono motivi in più. Ma noi avremmo dovuto sposarci. La nostra vita insieme doveva ancora iniziare. “Non puoi capire, non puoi...”
La mia voce si spezza, e le lacrime rompono nuovamente gli argini.
Penso sempre di non averne più, per quante ne ho versate, ma evidentemente non è ancora abbastanza.
Mamma cerca di frenare la loro corsa asciugandole con le dita.
“Anna, pensaci...” mi suggerisce in tono dolce, lasciandomi poi da sola a riflettere.
 
Mi ritrovo nuovamente a piangere sul mio vestito da sposa, che non riesco a strappare. Le forbici abbandonate da qualche parte sul divano.
Ripenso alle parole di mia madre. Non sul tradimento di papà, ma su ciò che l’ha spinta a perdonarlo.
E se avesse ragione?
Tutti sbagliamo, in fondo, più o meno gravemente.
Non sempre la razionalità basta, a volte l’inconscio controlla tutto più della ragione, e si commettono errori pur non volendo. Non necessariamente per mancanza di controllo.
E io so bene che Marco è il primo a comportarsi così, a lasciarsi sopraffare dall’istinto e i sentimenti, senza pensare un attimo a quello che fa.
Ha sempre fatto così, come quando voleva accusare a tutti i costi Simone, di un reato che non aveva commesso, per vendetta.
Perfino io quella volta gli ho detto che capita a tutti di sbagliare.
Ma il tradimento non è un errore qualsiasi.
E il cuore dove sta, in tutto questo?
Nemmeno quello si può controllare. E l’amore non può svanire da un giorno all’altro. Nessuno in questo momento lo sa meglio di me.
Ripenso agli occhi di Marco, stamattina.
Il nostro amore è ancora lì, lo so. Quel filo invisibile che ci ha sempre legati non si è ancora spezzato, e so che non lo farà tanto facilmente, perché io per prima non riesco a romperlo, se sento sempre una fitta al cuore al solo pensare a lui.
Se seguissi il cuore, so che non avrei dubbi.
Perdonerei Marco in un attimo, correrei da lui e gli concederei quella seconda possibilità che non darei a nessun altro.
Ma non ce la faccio.
Il mio cuore non regge.
Non sono così indistruttibile come sembra.
Mi sento come un fragile vaso di cristallo che al minimo tocco rischia di rompersi in mille pezzi, dopo aver già subìto un brutto colpo che non lo ha ridotto in cocci solo per puro caso.
Ho già sofferto troppo.
Ed è per questo che lascio decidere la testa, come sempre.
Non voglio distruggere il mio abito da sposa, ma non sopporto l’idea di tenerlo, né di vedermelo sempre davanti.
Così lo metto in vendita su Internet.
 
La mattina dopo, ricevo una chiamata dalla caserma riguardo al test dello stab.
Decido di dirlo subito a Cecchini, anche per capire se ‘il suo amico’ gli ha dato qualche dritta che può tornarci utile, visto che sa sempre tutto di tutti.
Mi auguro solo di non vedere qualcun altro.
Busso, chiamando Cecchini a gran voce dal pianerottolo.
“Maresciallo, ho novità!”
Sento strani rumori provenire dall’interno, e una risposta ancora più strana.
“Un attimo, un attimo, sono in accappatoio, arrivo!"
Faccio finta di crederci, attendendo che apra la porta.
“Mi scusi, ero in accappatoio e ho dovuto cambiarmi velocemente-” blatera, ma io lo blocco.
“Non mi interessa. Hanno chiamato dalla caserma... lo stab sul corpo di Egidio Spada è positivo. È stato lui a sparare a La Cava.” spiego, gettando un’occhiata alle sue spalle e cogliendo la vista di qualcosa che non mi piace.
“Ma quindi La Cava c’ha il movente?” chiede lui.
“Secondo Lei ha lasciato Spoleto?”
“Un amico mi ha detto che c’ha una figlia, qua a Spoleto. È venuto apposta, e probabilmente è ancora in paese.”
Ecco la risposta che volevo.
“Mh. Glielo dice Lei a quell’essere?” dico poi, accennando a quel dannato qualcuno che è buttato sul divano, con una coperta addosso.
“Quale essere?” chiede Cecchini, stranito. Come se potesse fregarmi.
“Quell’essere che sta facendo finta di dormire.” affermo, secca.
“Ah, il Dottor Nardi, si sta coprendo tutto perché sente sempre freddo... glielo dico io.”
“La aspetto in caserma. Dobbiamo trovare la figlia di La Cava.” chiudo la conversazione, scendendo di corsa le scale.
Ho dovuto ingoiare la nostalgia a forza.
Fosse per lui, girerebbe sempre in bermuda e ciabatte.
Così, d’improvviso come sempre, mi ripiomba addosso una scena frequente tra noi, provocandomi una fitta di nostalgia.
Anche in pieno inverno, Marco ha sempre il vizio di stare in quel modo a casa, non c’è temperatura che tenga.
Non ho mai capito come fa... io ho sempre freddo.
Una delle cose per cui, se da un lato mi prendeva in giro per le mie lamentele in merito, dall’altra mi sorrideva in quel suo modo che mi scioglie il cuore, per poi prendermi tra le braccia e stringermi a sé per attenuare i brividi.
Brividi che aumentavano soltanto, ma per ragioni diverse.
Perché era lui a provocarmeli.
Ricaccio indietro le lacrime perché non è proprio il momento di piangere.
 
Nel frattempo rintracciamo Sergio, che si trova insieme a Don Matteo presso una casa di cura, in cui hanno accolto un’anziana signora, seduta su una panchina insieme a una bimba.
Probabilmente sua figlia.
Cercando di non farmi coinvolgere, scendo dall’auto insieme agli altri agenti, avvicinandomi poi a lui.
“Sergio La Cava, devi seguirci in caserma.”
Lui mi rivolge quel suo solito sorrisetto irritante. “Cos’è, un appuntamento?”
Sinceramente avrei preferito lo fosse, visto il motivo per cui sono qui.
“Egidio Spada è stato ucciso.”
 
Marco’s pov
 
“Questa è tua, vero? Era sul luogo del delitto.” Chiede Anna, sollevando una catenina.
Siamo in caserma, e stiamo interrogando La Cava. Che, come al solito, non collabora.
Anzi, mormora qualcosa che non capisco.
“Come, scusa?”
Lui mi rivolge uno sguardo irriverente. “Dico, pensa te dov’era finita...”
Tanto basta a innervosirmi. “Fai meno lo spiritoso, però. Ieri sei stato visto entrare dagli Spada in un orario compatibile con quello del delitto.”
“È stato Egidio a spararti, vero?” Preme Cecchini.
“Eh, non mi ricordo...” è però la risposta di La Cava. Niente, quel tono che usa non fa altro che irritarmi.
Interviene Anna. “Hai ucciso tu Egidio Spada?” gli chiede soltanto, guardandolo dritto negli occhi.
Lui non abbassa lo sguardo né esita a rispondere. “No.”
È Anna a puntare gli occhi in basso, stavolta. E la cosa mi dà fastidio.
Basta, il teatrino mi ha stancato.
“Adesso ti dico cosa penso: penso che Egidio ti abbia sparato e tu l’hai ucciso per vendetta.”
Lui non risponde. Anna torna a parlare. “È andata così?”
Perché gli fa queste domande così semplici? Perché non insiste?
La Cava non cambia atteggiamento. “Ditemelo voi com’è andata e fatemi sapere, va bene?” commenta, con un altro sguardo strafottente a me.
“Va benissimo, te lo facciam sapere subito, guarda... Sei in stato di fermo.” Affermo io, gelido.
Lui non sembra sorpreso, anzi. Fa per alzarsi, rivolgendo però un sorrisetto ad Anna. “Ci vediamo... Capitano.” La saluta in tono sommesso, con una sfumatura nella voce che mi fa montare una gelosia senza precedenti.
 
Lo seguiamo giù fin quando gli altri agenti non lo fanno salire in macchina.
Lui e Anna si scambiano un lungo sguardo, un’altra volta.
Non so come riesco a trattenermi dall’attaccare briga con quel delinquente.
“Maresciallo, sembra che non vedesse l’ora di tornare in carcere...” mormora lei con voce incerta.
“Perché è colpevole!” esclama il maresciallo con ovvietà.
“No, non penso...” nega però lei. “I colpevoli abbassano lo sguardo... gli occhi non mentono.”
Il suo commento mi esaspera e basta.
Se gli occhi non mentono, a quest’ora mi avresti già perdonato.
Non riesco più a controllarmi, e sbotto.
“Anna, io vorrei ricordarti che quello è un delinquente, e probabilmente, visto che t’ha salvata dall’aggressione, tu hai subito un transfert nei suoi confronti...”
“Sì sì sì, un transfert...” Mormora lei, dandomi stranamente ragione.
“Sì, un transfert, una cosa che capita-”
“Non sono io quella con i transfert!” mi interrompe però, lanciandomi uno sguardo di fuoco prima di rientrare in caserma in tutta fretta, inviperita.
“Un poco c’ha ragione, eh...”
Certo, non sia mai che il maresciallo si esima dal dire la sua.
Me ne torno all’appartamento di Cecchini per tentare di sbollire la rabbia ed evitare di fare cose che non vorrei.
Ho odiato vedere Sergio rivolgersi con quella disinvoltura ad Anna.
L’ha salvata, certo, e di questo gli sono infinitamente riconoscente, ma non deve allargarsi.
Lui e Anna non hanno nulla in comune.
Lui è solo un delinquente, Anna è un Capitano dei Carabinieri.
E poi, osservandoli, è stato quasi come vedere me stesso parlare con lei.
Lo stesso modo, lo stesso tipo di interazione.
Forse è per questo che Anna si sente tanto coinvolta, non solo perché vuole ricambiare il favore.
Perché Sergio le ricorda me.
O almeno è quello che spero.
Perché vederla difendere a spada tratta un pregiudicato dalle mie accuse è stata una pugnalata al cuore.
Anzi, una pugnalata probabilmente mi avrebbe fatto meno male.
 
Anna’s pov
 
Dopo qualche minuto si presenta in caserma Cocozza, che strilla che Cecchini gli ha rubato la statua della Madonna dei Disperati.
Cerco di calmare le cose, inutilmente, ma il furto mi sembra un’accusa esagerata.
Anche perché, il maresciallo non la voleva comprare? E poi, che se ne fa di una statua?
Certo, da lui c’è da aspettarsi la qualunque, non mi sorprendo più di niente, con lui, ma da qui a rubarla... si può essere così disperati da compiere un gesto del genere?
A pensarci bene, una persona evidentemente disperata c’è: Marco.
Mi sorge un dubbio. Non è che Cecchini ha rubato la statua per - o con - Marco, vero?
Cocuzza insiste per controllare a casa del maresciallo, che inizialmente non vuole ma poi desiste.
Mentre siamo da lui, dove non troviamo nulla, sentiamo uno strano rumore.
Cecchini borbotta a proposito di qualcosa che ha mangiato, ma non mi frega.
“No no no no no, veniva dal mio appartamento, maresciallo!”
“Andiamo a vedere!” salta su Cocuzza
Apro la porta di casa mia, e ci trovo dentro l’ultima persona che avrei voluto vedere in questo momento.
Marco.
Mi affretto a mettere su un’espressione arrabbiata.
“Ciao, scusa, che cosa fai a casa mia?!”
Lui sembra senza parole per qualche istante, poi sembra ridestarsi. “... Sì, sono venuto a prendermi questo. È mio, mi manca, tanto, e me lo porto da me.”
Tra tutte le cose che avrebbe potuto volere... proprio il pouf.
Sono talmente spiazzata che la mia maschera si incrina senza che me ne renda conto.
“Potevi chiederlo.” mormoro, la voce che trema.
“Scusa... per tutto.” fa lui, con uno sguardo che non riesco completamente a decifrare.
“Figurati... non c’è niente da vedere, forza, andiamo, andiamo...” dico, spingendo quasi a forza Cecchini e Cocozza fuori dal mio appartamento e seguendoli, ma non prima di aver rivolto uno sguardo carico di delusione a Marco, ancora fermo in soggiorno col pouf tra le braccia.
 
Tra tutte le scuse che avrebbe potuto usare, proprio quella!
Il pouf. Gli manca il pouf.
Mando giù il groppo in gola.
Lo so che ci tiene, a quel coso. Tanto.
Come se non lo sapessi... attorno a quel pouf ruota tutta la vita di Marco, dall’esperienza con la sua ex per cui ha iniziato ad aver paura di cambiare, fino all’inizio della nostra storia d’amore, quando ci siamo detti di amarci dopo essere venuti allo scoperto a causa di esso. Insieme, abbiamo cambiato il significato di quel coso, trasformandolo da un ricordo doloroso all’emblema dei nostri momenti felici.
Lui stesso me l’ha confermato, la sera che abbiamo finito di portare le sue cose al mio appartamento.
Quel pouf è il simbolo della nostra storia.
Se Marco ci tiene tanto e gli manca, significa che gli manco anch’io... no?
Vorrei tanto urlare per la frustrazione.
Perché Marco deve rendere sempre tutto così difficile?
 
Marco’s pov
 
Cecchini e Cocozza vanno via insieme ad Anna.
Lo sguardo che lei mi rivolge prima di chiudere la porta mi devasta.
Perché ci sono dentro dolore, delusione, rabbia... odio. Nostalgia.
Perché, tra tutte le scuse che avrei potuto trovare, ho scelto proprio il pouf?
D’accordo, forse non l’ho fatto a caso.
E so che Anna l’ha intuito, cosa avrei voluto dirle.
Ma so che questo ha peggiorato le cose, perché non era affatto felice, anzi.
Il mio sguardo viene catturato dall’armadio, chiuso male, da cui sbuca una stoffa bianca che conosco bene.
È l’abito da sposa di Anna.
Sospiro pesantemente: so che l’ha messo in vendita, ho letto l’annuncio, ma evidentemente nessuno l’ha ancora acquistato.
“Sono veramente il più stupido della terra...” mormoro, alzando gli occhi al cielo per impedirmi di piangere.
Quanto aveva ragione Chiara, a dire che se me la fossi lasciato scappare sarei stato un idiota.
E in questo momento, detengo il titolo di certo.
 
Recupero Pippo, nascosto in bagno insieme alla statua, e insieme cerchiamo di riportarla all’appartamento di Cecchini.
Ma questa ci sfugge dalle mani, finendo in frantumi.
E, con essa, le mie speranze con Anna.
Se non fosse già stato chiaro, questo sembra il segno che conferma che non mi perdonerà mai.
 
Anna’s pov
 
Sono seduta sulla poltrona a osservare per l’ultima volta il mio abito da sposa.
Ho trovato un acquirente, a breve riceverò il denaro e lo darò via.
Spero solo che chi lo ha comprato sia più fortunato di me, con i matrimoni.
Io ho decisamente chiuso.
Chiudo gli occhi per un istante, mentre mi concedo di ripensare a quel giorno in atelier, insieme a mia madre, quando l’ho scelto.
Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ma ero incredibilmente emozionata.
Se ero lì, era perché finalmente io e Marco ci saremmo sposati.
Avevamo stabilito la data, e iniziato a prenotare il ristorante, i fiori, la chiesa...
Era arrivato anche il momento del vestito bianco.
Non sapevo nemmeno cosa chiedere alla commessa, ma per una volta mia madre non aveva messo bocca, lasciando che trovassi da sola quello che faceva per me.
L’ho riconosciuto subito, quando l’ho visto.
Ho capito che era il mio abito non appena ci ho posato gli occhi sopra.
Quando l’ho indossato, ne ho avuto la conferma.
Il mio abito da sposa.
Quello con cui avrei raggiunto Marco all’altare.
Ho desiderato che quel momento arrivasse il prima possibile.
Adesso, avrei preferito che quel giorno non fosse mai arrivato.
Accarezzo distrattamente la stoffa per l’ultima volta, prima di metterlo l’abito nella scatola per poi spedirlo domani mattina, quando mi accorgo di qualcosa seminascosto sotto al divano.
Mi abbasso, tirando fuori... una mano. Di gesso.
Chiudo gli occhi, imponendomi di non dare di matto.
Perché mi rendo conto di essere stata una scema.
Marco era qui a casa mia, oggi, e ho trovato strano il suo entrare così di soppiatto, senza dirmi nulla.
Adesso capisco perché.
Ha... davvero aiutato Cecchini a rubare la statua. Probabilmente il maresciallo l’avrà avvisato dell’arrivo di Cocozza, e lui ha pensato di portarla per qualche minuto da me.
Evidentemente il trasloco non è andato così bene, però, se le ha (hanno? Dubito fosse solo) amputato un braccio.
Non so più che pensare.
È davvero così disperato da fare un gesto del genere? Rubare una statua? Perfino forse chiedere un miracolo?
Non pensavo sarebbe addirittura arrivato a tanto.
Forse è davvero pentito, forse ci tiene veramente al mio perdono.
Forse mia madre ha ragione, dovrei concedere a Marco almeno la possibilità di riscattarsi.
 
“Ma Lei che pensa, che è stato lui a uccidere Egidio?” mi chiede Cecchini l’indomani, in caserma, riferendosi al figlio di Spada.
“No, è escluso, era a scuola.”
“Posso dire quello che penso, senza offesa?” fa allora lui, alzandosi. “Secondo me è stato Sergio La Cava. Voleva ricattare Egidio per non fargli rivelare che era stato Stefano a sparargli.”
Io non sono d’accordo. “Che fa, lo ricatta e non prende neanche un gioiello? No, non è stato lui.”
“E allora perché non parla, perché non si difende?”
“Perché sta nascondendo qualcosa, o qualcuno per cui è disposto a finire in carcere e a perdere sua figlia.” spiego, convinta della mia idea. Sono sicura che Sergio è innocente. Devo solo capire perché si comporta così.
“No...” nega il maresciallo, nonostante ciò.
Io lascio correre, cambiando argomento. “Ah, a proposito di nascondere... guardi cosa ho trovato sotto al divano...” dico, prima di tirare fuori da sotto la scrivania il pezzo di gesso.
Lui si illumina. “Ahh, la mano della Madonna...” mormora, prima di rivolgermi uno sguardo incerto.
“Se Cocozza la denuncia, rischia la divisa...” lo avviso, preoccupata. Lui si rigira il frammento di statua tra le mani. Io ne approfitto per prendere una busta sotto i fascicoli, per poi porgergliela. “Il mio contributo per la Madonna.”
“Non servono più.” Mi dice, abbacchiato.
“Non li voglio. Li prenda Lei, li dia ai poveri, non li voglio.” ribatto però io, obbligandolo ad accettare. Ne faccia quello che vuole, quei soldi non mi appartengono.
Lui dà un’occhiata all’interno, sbarrando gli occhi per la sorpresa. “Ma quanti sono?!”
“740 euro.”
“Quasi un milione e mezzo delle vecchie lire!”
“... Ho venduto l’abito da sposa.”
Cecchini sembra sconvolto. Di più, terrorizzato. “L’ha venduto?!”
“Sì, su Internet! Che faccio, me lo tengo nell’armadio?” rispondo, in tono eloquente.
Lui blatera qualcosa su un possibile uso futuro perché non si sa mai, ma io lo ascolto appena.
So che lo riferirà a Marco quanto prima, ma non mi importa.
Non è necessario resti un segreto.
Anzi, forse è meglio che lo sappia.
 
Marco’s pov
 
Abbiamo risolto il caso. A sparare a Sergio è stato il nipote, per via dell’omicidio del fratellino. Scopriamo anche che Sergio è innocente, non è stato lui a uccidere il piccolo Lorenzo sei anni fa, ma la sorella Sabina. Un incidente fatale, ma lui si è assunto tutte le colpe per proteggerla.
Certo che è un folle, quel ragazzo... disposto a tutto per le persone che ama.
Non siamo così diversi, in questo. Anch’io, per chi amo, farei qualunque cosa.
Non ho perfino rubato una statua per un miracolo che in tutta probabilità mai riceverò?
 
In caserma, mi soffermo a guardare Anna, seduta alla sua scrivania, da dietro la vetrata.
Così vicina, eppure così distante.
Non mi odierò mai abbastanza per quello che le ho fatto.
Mi si avvicina Cecchini.
“L’animale mi vuole denunciare.”
“Chi è?”
“Chi è l’animale... Cocozza!”
Accenno una risata. “Ah! Strano, sono stupito proprio.”
Lui cambia di colpo espressione, passando dall’infastidito al triste nel giro di un attimo.
“Senta... le debbo dare una notizia che forse non le fa piacere...”
“Cioè?”
“... Ha venduto l’abito da sposa.” mormora, affranto, con un cenno in direzione di Anna.
Abbasso lo sguardo, sorridendo appena.
È ovvio che la notizia non mi faccia piacere, anche se sapevo già tutto. Compreso che avesse trovato un acquirente. Ma questo non fa che confermare quello che in realtà ho sempre saputo.
“Gliel’ho detto, no? I miracoli non esistono, sono illusioni che noi ci facciamo, e non c’è speranza.”
Non esistono, questi eventi. O comunque, capitano una sola volta nella vita, e io il mio l’ho avuto, e l’ho sprecato. Perché non avrei potuto ricevere miracolo più grande di una nevicata il quindici di agosto, con la mia Anna tra le braccia, finalmente liberi di amarci.
E adesso non mi resta più niente. Niente.
Ed è solo colpa mia.
“Marco, hai un minuto?” La voce di Anna che mi chiama piano dal suo ufficio mi ridesta dai miei pensieri. Annuisco, mentre il maresciallo mi incita ad andare e raccontargli dopo cosa succede.
Ma io so già di non avere speranze.
E se dev’essere un addio tra di noi, voglio poterle parlare una volta per tutte come si deve. Non per giustificarmi, perché non avrebbe senso, ma per aprirmi a lei e dirle tutto ciò che provo, consapevole che sarà l’ultima volta in cui potrò farlo.
 
“Siediti.” mi invita, accennando al divanetto accanto a quello su cui sta lei.
“Anna, io ho bisogno di parlarti, non ce la faccio...” tento di dirle, ma lei mi ferma.
“No, ti prego, lascia parlare me, per favore. Tu mi hai fatto male, Marco. Molto male...”
“Lo so, e tu hai tutto il diritto di odiarmi, lo so, e fai bene...” scuoto la testa, devastato. “Io mi odio, mi odio non sai quanto per quello che ho fatto, figuriamoci te in una cosa del genere...”
“È questo... Io non ti voglio più odiare!” Esclama però Anna, lasciandomi interdetto per un attimo.
“Cioè?”
“Basta! Basta rappresaglie, basta le battutine, basta le tensioni... dobbiamo lavorare insieme. Lo possiamo fare civilmente. Ce la facciamo, no?”
Il mio cuore si rompe per l’ennesima volta.
Lavoro. Vuole che il nostro rapporto si limiti al lavoro.
“... certo.”
Non sento più il suo battito.
“Non voglio più stare male per te, né per la tua amica.”
“Non è una mia amica, Anna...”
“Sì, lo so.”
Niente. Non sento più niente.
Mi alzo in piedi, e faccio per andar via quando cambio idea.
Tanto, più di così, cosa mi resta da perdere?
“Anna, ti prego di ascoltarmi solo per un attimo... Ho bisogno di parlarti, ma ti prometto che dopo questa non ti importunerò più. Non apriremo mai più l’argomento se non vuoi, ma... ti prego, lasciami parlare.”
Anna mi inchioda addosso i suoi occhi verdi. La osservo riflettere, comprendere: sa quanto è difficile per me aprirmi, in certi momenti.
Annuisce.
Inspiro a fondo.
“Non voglio darti giustificazioni, perché non ne ho. Non ho scusanti, né attenuanti per quello che ti ho fatto. Vorrei solo spiegarti quello che è successo quella sera, quello che ricordo, almeno... spiegarti come mi sentivo. Non so nemmeno cosa provavo di preciso, era un misto di... rabbia, delusione, amore, paura... soprattutto paura. Paura di perderti, di non vederti più, di essere solo un ostacolo per te e i tuoi sogni, di non essere alla tua altezza. Non lo sono mai stato, in realtà, e niente me l’ha fatto capire più di quel momento. Tu... tu ti meriti di essere felice, di essere amata, assecondata nelle tue scelte professionali. Hai fatto tantissimi sacrifici per poterci arrivare, e io... so che potrei starti a fianco in questo percorso, ma allo stesso tempo ho sempre avuto paura di non essere abbastanza, per te. E mai fino ad ora mi ero reso conto di quanto non sia sempre giusto seguire il cuore e l’istinto. L’irrazionalità fa commettere errori che non sempre possono essere aggiustati, e io ho le prove di ciò... come quel casco diviso a metà... come il mio cuore la mattina dopo lo sbaglio più grande della mia vita. Quando mi sono svegliato, quella mattina, e mi sono reso conto di quello che avevo fatto, io... avrei desiderato chiudere gli occhi e non riaprirli più.”
Anna non fiata, gli occhi sbarrati, luccicanti di lacrime.
“Perché non sarebbe mai dovuto succedere. Tu sei l’amore della mia vita, la donna che amo, quella per cui avevo finalmente deciso di cambiare, pur consapevole che fosse una strada tutta in salita. Ma non importava, non è mai importato, perché il tuo amore era il dono più prezioso che la vita mi avesse regalato, e lottare ogni giorno contro le mie paure era un sacrificio che ero pronto ad affrontare per il resto dei miei giorni, pur di averti al mio fianco... Quella mattina, invece di svegliarmi nel nostro Paradiso, come ogni giorno, ho capito di essere piombato all’Inferno. Non passa istante in cui non mi maledica per ciò che ho fatto. Per il dolore che ti sto causando. Io lo conosco, so come ci si sente, e so di meritarmi ogni singolo atto di vendetta che mi stai infliggendo, ma ero pronto a patirli tutti se questo significava avere una speranza di essere perdonato da te. Ma capisco dalle tue parole di poco fa che non accadrà. E non me la sento di andarti contro, perché mi merito anche questo. E... per quanto sia difficile per me anche solo l’idea di andare avanti come se tra noi non fosse mai successo nulla... per te, sono pronto a provarci comunque. A non farci più la guerra, a lavorare mantenendo rapporti civili. Per te farei qualsiasi cosa, anche andare bendato su un ponte. Perché ti amo. Amo te, solo e soltanto te. E farei qualunque cosa per vederti felice. E se la tua felicità è questa, mantenerci distanti, se è questo ciò che vuoi... allora lo farò.”
Non attendo un minuto di più, mandando giù il dolore di averle detto addio, scendendo le scale della caserma più in fretta che posso.
 
Anna’s pov
 
Sono ancora bloccata su questo divanetto.
Immobile, pietrificata dalle parole di Marco.
Nessuno mi aveva mai fatto una dichiarazione d’amore simile, nemmeno lui stesso quando mi disse di amarmi la prima volta.
Mi rendo conto che quello che avevo davanti fino a qualche istante fa non è lo stesso Marco di allora, e io lo so.
Marco è cambiato, in questi due anni insieme, si è impegnato ogni giorno per diventare la persona giusta per me, come io ho cercato di fare per lui. Non pensavo però che lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, un giorno.
Sentirglielo dire mi ha colpita.
Ho sentito il cuore iniziare a battere sempre più forte, sempre più veloce, come non lo sentivo più fare da settimane.
Come se avesse ripreso a vivere, dopo tutti quei giorni di torpore.
Per te farei qualunque cosa, anche andare bendato su un ponte.
Bel modo di amare!’, mi aveva detto quella volta.
Per amore si possono fare le cose più assurde’, gli avevo risposto io.
Ed era proprio quello che aveva fatto lui, quella sera, quando aveva capito che avevo scelto il lavoro.
La cosa più assurda che avrebbe mai potuto fare.
Mi aveva lasciata andare. Si era fatto da parte.
Permettendomi di inseguire i miei sogni pur di vedermi felice.
Ha lasciato che le sue paure vincessero e prendessero il sopravvento su di lui, tutte in una volta.
Si è annullato, per me.
Fino a diventare un uomo diverso, e a compiere un gesto che il vecchio Marco non avrebbe mai fatto.
Lui no, ma il mio Marco sì.
L’amore è follia, mi ha detto il maresciallo appena qualche settimana fa, e nessuno è stato più folle di noi due in questi anni, ad andare avanti nonostante i litigi, nonostante i pregiudizi sul fatto che, lavorando insieme, non saremmo mai potuti andare da nessuna parte.
Eppure... ce l’avevamo quasi fatta. Eravamo quasi arrivati alla meta, senza sapere che non era ancora giunto il momento.
L’importante è che nelle persone che abbiamo davanti, che amiamo, non vediamo solo gli errori, ma il cuore.
Anche le parole di mia madre tornano a risuonarmi in mente.
Quanto è difficile ammettere che aveva ragione anche stavolta, ma... è così dolce capire che è così.
Poco fa, ho visto davvero il cuore di Marco. Non si era mai messo tanto a nudo con me come in quel momento.
E come la prima volta che avevo potuto vederne uno scorcio, di quel cuore, ecco che adesso me ne sto di nuovo innamorando.
Non che io abbia mai realmente smesso.
Ma finalmente, l’odio che ho provato in queste settimane nei suoi confronti si sta rapidamente dissipando.
Come faccio a saperlo?
Facile.
Non sono più impietrita su quel divanetto nel mio ufficio.
Sto correndo a perdifiato giù per le scale della caserma, e ancora su per la scalinata in piazza, che Marco ha percorso per metà, per andare via.
Lo fermo, tuffandomi fra le sue braccia senza un pensiero in più.
Il mio cappello che rotola via senza che io ci presti attenzione.
E bacio Marco come non ho mai fatto in vita mia.
Mi abbandono completamente a lui quando lo sento stringermi forte a sé, incurante di tutto il resto.
Amore, odio, paura... di perdersi, ritrovarsi e ferirsi nuovamente.
Ma non importa. Non importa.
Perché solo insieme possiamo provare a ricucire le ferite che ci siamo inflitti.
Solo insieme possiamo rialzarci dopo questa caduta.
Perché l’abbiamo sempre fatto.
E adesso non sappiamo più farlo se non insieme.
 
Marco’s pov
 
È stata allo stesso tempo la giornata più brutta e più bella della mia vita, quella appena trascorsa.
Sono arrivato a un passo dal perdere per sempre la donna che amo, e invece me la sono ritrovata tra le braccia quando tutto sembrava finito.
Anna sta provando a perdonarmi.
Sì, è vero, abbiamo parlato, e quel bacio è stato quanto di più vicino a toccare il Paradiso possa esistere, ma la conosco.
So che non sarà facile, che la corazza che si è costruita addosso è dura, e che prima di rischiare di soffrire di nuovo, ci andrà con i piedi di piombo. Ma a me basta.
 
Ho saputo conquistarla una volta, adesso sono disposto a riprovarci in ogni modo.
Farò di tutto per dimostrare di meritarmi la seconda possibilità che mi ha concesso.
Questo miracolo.
Perché questo è stato.
Perché come la statua della Madonna dei Disperati è di nuovo tutta intera, anche il mio cuore e quello di Anna stanno rimettendo insieme i cocci, a uno a uno, con cautela. Ma ce la faremo.
Il piano strampalato del maresciallo ha di nuovo avuto il suo lieto fine.
 
La statua è tornata al suo posto, e io sono rientrato a casa Cecchini.
Anna mi sta perdonando, certo, ma abbiamo deciso di andar piano, di prenderci tutto il tempo necessario affinché tutto torni come prima. Senza correre.
Sono a un banco di prova importante, ma sono disposto a tutto per espiare le mie colpe.
 
Sul tavolo, in soggiorno, trovo la scatola che aspettavo.
La apro, rivelandone il prezioso contenuto: l’abito da sposa di Anna.
Sì, sono io ad averlo comprato.
Volevo che quel vestito meraviglioso restasse solo ed esclusivamente suo e adesso, alla luce di quanto accaduto, si è riaccesa in me la speranza che un giorno, forse non troppo lontano, possa vederlo di nuovo indossato dalla mia Anna.
Dopo averlo salutato come fosse il più bel regalo del mondo - e per me lo è - lo ripongo di nuovo nella scatola.
Se ci impegniamo, ce la faremo.
Arriverà il giorno.
 
 
Ciao a tutti!
Beh, questo secondo episodio è stato uno strazio per tutti. Vedere Anna e Marco così distrutti ha devastato anche noi.
L’unico modo per addolcire tutto era questo... far sì che Marco dicesse ciò che avrebbe voluto, in caserma, alla fine, senza accettare passivamente la presa di distanza di Anna.
Forse, se l’avesse fatto, sarebbe andata così.
Grazie sempre a Martina per uno dei migliori brainstorming di sempre.
In attesa di vedere cosa combinerà la piccola Ines.
A presto,
 
Mari
 
 
   
 
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