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Autore: Star_Rover    20/01/2020    5 recensioni
Un valoroso soldato nella sua impeccabile divisa che marcia con orgoglio a testa alta. Una figura imponente, un volto severo e due iridi smeraldo che caratterizzano uno sguardo intenso e impenetrabile.
Il detective Eric Dalton ricorda così il maggiore Patrick O’ Donnell. Era soltanto un ragazzino quando aveva assistito ai festeggiamenti per la fine della guerra civile, al tempo quell'uomo era apparso ai suoi occhi come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Nell’autunno del 1936, tredici anni dopo quel primo e fatidico incontro, Patrick O’ Donnell ricompare nella vita del giovane investigatore in un modo del tutto inaspettato. Infatti è proprio il suo nome ad apparire tra le pagine di un pericoloso fascicolo.
Eric accetta il caso, ma è intenzionato ad indagare a fondo prima di portare a termine l’incarico più difficile della sua carriera, ovvero condannare l’eroe di una Nazione.
Genere: Drammatico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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5 marzo 1923.
L’incidente di Fenit: ieri notte dieci prigionieri repubblicani sono morti a causa di un’esplosione
La notte scorsa dieci prigionieri repubblicani sono morti a causa di un’esplosione nei dintorni del villaggio di Fenit.
I detenuti, sotto la custodia del maggiore Patrick O’ Donnell, avevano il compito di smantellare una barricata repubblicana quando una mina è esplosa accidentalmente.
L’ufficiale ha dichiarato di aver autorizzato l’operazione a seguito dei recenti eventi avvenuti a Knocknagoshel. O’ Donnell ha commentato l’accaduto con le seguenti parole: “i nostri avversari hanno deciso di combattere una guerra spietata e senza regole, è nostro dovere riportare ordine e pace in Irlanda, questo è l’unico motivo per cui abbiamo deciso di adottare metodi più severi nei confronti dei detenuti. Dobbiamo difendere il popolo irlandese e limitare il numero di vittime tra i nostri uomini. La morte dei dieci prigionieri di Fenit è solo una delle tante conseguenze di questa sanguinosa guerra, la quale è stata causata e portata avanti dagli stessi ribelli”.
Il comandante dell’Esercito Richard Mulcahy ha definito la tragedia come un terribile incidente, al più presto saranno condotte delle indagini per accertamenti.



Dalton mostrò all’ex sergente McCarthy l’articolo di giornale: «perché non ha parlato di questo nella sua dichiarazione?»
John non parve particolarmente interessato alla questione.
«Come le ho già detto io non ero presente sul luogo della tragedia. Quella notte in caserma avvertimmo l’eco dell’esplosione, ma in quel periodo cose del genere accadevano molto spesso. Solitamente si trattava di falsi allarmi o semplici errori di distrazione commessi dai nostri uomini di guardia ai depositi…anche io conobbi la notizia dai giornali, in ogni caso non avrei potuto testimoniare a riguardo»
«In questo articolo la morte dei repubblicani è definita come un incidente, è questa la versione ufficiale fornita dall’Esercito?»
«Già, il maggiore O’ Donnell aveva deciso di utilizzare i prigionieri repubblicani per liberare i sentieri dalle mine lasciate dai ribelli dell’IRA. Un metodo crudele, ma lecito in guerra. Il governo aveva già approvato la legge marziale e il comandante Mulcahy appoggiò questa decisione»
«Che cosa può dirmi a riguardo degli eventi di Knocknagoshel?»
McCarthy deglutì a vuoto: «i militanti uccisero quattro soldati del National Army, i loro corpi furono ritrovati in un fosso. Avevano tutti un foro di proiettile nel cranio, ciò significava che i militari erano stati giustiziati dopo la resa»
«Lei crede che O’ Donnell abbia deciso di vendicarsi su quei prigionieri?»
«Purtroppo questi episodi contribuirono ad alimentare l’odio e violenza nei confronti dei repubblicani»
«Lei ha affermato che quella notte il prigioniero Sean Lehane non era nemmeno in grado di camminare»
«E’ vero, il suo interrogatorio fu particolarmente…intenso»
«Inoltre aveva una mano fratturata, dunque per lui sarebbe stato impossibile compiere qualsiasi genere di lavoro»
«Suppongo che le sue deduzioni siano esatte»
Dalton rifletté qualche istante: «ripensando alla sua testimonianza mi è sorto un altro dubbio. Lei ha descritto i soldati del National Army che giunsero a prelevare i prigionieri come degli estranei»
McCarthy annuì.
«Quella caserma era sotto il controllo delle Guardie, insomma…perché avrebbe dovuto definire i suoi commilitoni come sconosciuti?»
«Quei soldati non erano miei commilitoni, venivano da Tralee, forse erano dei servizi segreti…non lo so, ad essere sincero non ricordo. Mi spiace, ma ormai è passato del tempo»
«D’accordo, non si preoccupi. Lei mi sta aiutando molto con la sua testimonianza»
«Purtroppo non mi sono più interessato alla questione dopo il mio ritorno a Dublino, quindi non posso informarla sulle successive indagini»
«Un’ultima cosa, lei ricorda qualcosa di particolare a riguardo del prigioniero Tim Sullivan?»
McCarthy scosse la testa: «no, quel nome non mi dice nulla»
 
 
Dopo esser tornato dall’ex-sergente Dalton si presentò all’Hynes pub, dove lo attendeva il secondo interrogatorio della giornata. Robert era più nervoso del solito, probabilmente aveva già intuito le intenzioni del detective, in fondo sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.
«Suppongo che lei voglia chiarire i miei rapporti con l’IRA»
«In effetti questa è la principale ragione per cui ho voluto incontrarti, ma non sono qui solo per questo»
O’ Neil abbassò lo sguardo: «avrebbe potuto arrestarmi fin dall’inizio, in fondo sapeva la verità già nel momento in cui le ho consegnato il rapporto di McCarthy»
«Ho deciso di fidarmi di te»
«Per quale motivo?»
«Perché entrambi vogliamo la stessa cosa: la verità»
«Quando questa storia sarà finita mi stringerà le manette ai polsi?»
Dalton scosse la testa: «se avessi intenzione di arrestarti non sarei qui a parlartene»
Robert rimase alquanto stranito e confuso dalla situazione.
«Se vuoi puoi considerarlo una sorta di accordo»
«E il tenente McGowan? Anche lui conosce i miei legami con i repubblicani» chiese con apprensione.
«Ti prometto che nemmeno lui ti denuncerà, hai la mia parola. Sei al sicuro, ma d’ora in poi dovrai collaborare con noi, non potrai più avere segreti con l’IRA»
O’ Neil sospirò: «io non sono un militante, i repubblicani mi hanno sfruttato per utilizzarmi come infiltrato durante le indagini»
«Lo immaginavo. Loro non si fidano di te, per questo ti controllano, ma sanno anche che sei indispensabile per la loro missione»
«Il loro obiettivo è condannare O’ Donnell, vogliono che lo Stato ammetta le proprie colpe e riconosca i crimini commessi dai soldati del National Army»
Il detective manifestò la propria frustrazione: «non posso risolvere questo caso collaborando con dei criminali!»
«Ad essere sincero non vedo alternative»
Dalton fu costretto ad accettare quella situazione, al momento la sua priorità era trovare la verità.
«I militanti credono che lei sia dalla loro parte, se per qualche motivo dovessero sospettare un suo tradimento non esiterebbero a…»
«Ad uccidermi?» concluse Eric con amarezza.
Robert si prese la testa tra le mani: «la sua vita è in pericolo e…dannazione, è tutta colpa mia!»
Il detective tentò di calmarlo: «ero consapevole dei rischi che avrei dovuto affrontare accettando questo caso. Inoltre i militanti dell’IRA non sono gli unici a vedermi come una minaccia»
O’ Neil comprese in fretta la situazione: «che cosa dovremmo fare?»
«Per il momento dobbiamo continuare le indagini, senza sapere la verità non possiamo prendere alcuna decisione»
Robert si limitò ad annuire, lasciando però trasparire la sua preoccupazione.
 
Dalton riprese in mano i suoi appunti: «la seconda ragione per cui ho voluto incontrarti è per scoprire qualcosa in più su questa vicenda»
O’ Neil bevve un lungo sorso di birra: «che cosa vuole sapere?»
«Raccontami di tuo padre, in fondo hai detto di essere qui per lui»
Il giovane esitò: «a dire il vero non ricordo molto di mio padre. Egli decise di unirsi ai ribelli del Kerry quando avevo circa tre anni. Era il periodo della guerra d’Indipendenza, trascorreva sempre tanto tempo lontano da casa per combattere al fronte contro gli inglesi o per nascondersi sulle montagne insieme ai suoi compagni. Ovviamente io ero troppo piccolo per comprendere, sapevo solo che mio padre era un soldato e per questo non poteva restare con noi. La storia continuò anche quando scoppiò la guerra civile, una notte i soldati del National Army perquisirono la nostra casa, fu la prima volta in cui sentii dire che mio padre era un criminale. Avevo cinque anni, ai miei occhi egli restava sempre un eroe, ero certo che ci fosse stato un errore. Mia madre cercò di fare del suo meglio per proteggermi, non posso incolparla per avermi mentito. Lei ha sempre difeso mio padre, lo amava davvero, nonostante tutto rimase al suo fianco fino alla fine»
Robert si fermò per una breve pausa prima di riprendere il discorso.
«Quando mio padre fu ucciso io avevo sei anni, i miei ricordi sono nebulosi e frammentati. Nella mia mente è rimasta impressa l’immagine del corteo funebre, c’erano davvero tante persone, molti erano sconosciuti che si erano presentati per manifestare il loro supporto alla causa repubblicana. Quella fu anche la prima volta in cui vidi il comandante O’ Ryan, al tempo era un giovane militante. Soltanto più avanti scoprii che egli era stato un amico di mio padre, fu lui a raccontarmi tutta la verità»
«Dunque è stato O’ Ryan a trascinarti negli ambienti repubblicani?»
«Sì, lui era convinto che volessi unirmi all’IRA come mio padre. Invece delusi le sue aspettative quando gli rivelai di voler diventare un poliziotto»
«Suppongo che tu non sia mai riuscito a chiudere definitivamente i rapporti con il passato»
«Già, quando O’ Ryan mi propose di indagare sulla morte di mio padre fui costretto a scendere a compromessi. Volevo scoprire la verità e l’unico modo per farlo era diventare un infiltrato dell’IRA»
Eric tentò di analizzare la situazione, non poteva incolpare quel giovane per le sue scelte.
Robert estrasse una vecchia busta dalla tasca della giacca e la ripose sul tavolo: «prima di giudicare questa faccenda le chiedo di leggerla»
Dalton prese tra le mani la carta ingiallita e rovinata dal tempo.
«E’ l’ultima lettera scritta da mio padre»
 
Alla mia adorata moglie.
Dovrei scrivere questa lettera per confessare le mie colpe e pentirmi per i miei sbagli, ma anche in questo tragico momento sono convinto di aver fatto il mio dovere. Sognavo un’Irlanda libera senza più guerre e ingiustizie, nonostante tutto continuo a credere che quel giorno prima o poi arriverà.
Voglio che tu sappia che ho fatto tutto questo soltanto per il bene della nostra famiglia.
Quando giungerà il momento dovrai raccontare al piccolo Bobby la verità. E’ un bambino sveglio e intelligente, penso all’uomo che diventerà e non posso che esserne orgoglioso. Il mio unico rimpianto è quello di non essere stato un buon padre per lui, spero che un giorno possa comprendere e perdonarmi.

 
Eric interruppe la lettura e riconsegnò il prezioso foglio nelle mani di Robert: «capisco perché questa storia sia così importante per te, non ho intenzione di biasimarti per le tue scelte»
«Non posso ignorare il fatto che mio padre sia stato un criminale, nonostante tutto non riesco ad odiarlo per quello che ha fatto…»
Dalton tentò di confortarlo: «sono convinto che tuo padre ti abbia sempre voluto bene e che abbia cercato di fare del suo meglio per garantirti un futuro migliore»
Robert non disse nulla, ma apprezzò le sue parole.
 
***

Il detective era appena tornato nel suo ufficio quando qualcuno bussò alla porta. Si trattava del tenente McGowan appena tornato dal quartier generale della Garda.
«Allora, ci sono novità?» chiese Eric con impazienza.
L’ufficiale rispose in modo poco rassicurante: «ho una notizia buona e una cattiva»
«Mi chiedo come le cose possano peggiorare più di così…»
Colbert si avvicinò: «purtroppo non sono riuscito a parlare con l’agente Beckett, quindi non ho idea di quali possano essere le sue intenzioni. Per la buona notizia invece devo ringraziare un amico di mio padre, egli era un agente di polizia che partecipò alle indagini nel Kerry. Ho parlato con lui e mi ha rivelato che al tempo la Garda aveva trovato delle discordanze nelle testimonianze di alcuni ufficiali»
«Di certo quei documenti sono nelle mani dei servizi segreti»
«Già, ma noi abbiamo la possibilità di interrogare nuovamente uno dei testimoni»
«Quel poliziotto ti ha rivelato il suo nome?»
McGowan sorrise con aria soddisfatta: «per una volta sono riuscito a sfruttare le amicizie di mio padre per una buona ragione»
Dalton fu piacevolmente sorpreso dalle doti investigative del suo amico.
«C’è anche dell’altro. Vuoi sapere chi fu il responsabile del caso O’ Donnell?» continuò McGowan.
Eric si limitò ad annuire, pur sospettando di conoscere già la risposta.
«Il Generale Richard Mulcahy»
«Dunque fu lui a insabbiare questa faccenda?»
«L’Esercito ebbe modo di sabotare le indagini, per questo non furono trovate prove»
Il detective decise di progredire con prudenza: «forse stiamo formulando con troppa facilità queste accuse»
«Se O’ Donnell fosse davvero innocente allora perché nascondere la verità?»
Eric non rispose, preferì tornare a discutere del caso.
«Dunque chi sarebbe il nuovo testimone?»
«William Kavanagh, ex-tenente del National Army. Dopo aver lasciato l’esercito ha avuto numerosi problemi con la legge, a quanto pare è un tipo piuttosto violento. Nel 1934 è stato arrestato per aggressione e tentato omicidio, al momento sta scontando la sua pena nel carcere di Cill Mhaighneann»
«La questione è interessante»
«Credi che quell’uomo potrebbe essere disposto a parlare?»
«Be’, di certo dovremo patteggiare per un interrogatorio»
«I detenuti di Cill Mhaighneann non hanno vita semplice, sono sicuro che sarà più che disposto a parlare in cambio di qualche favore in prigione»
«Spero che tu abbia ragione»
 
Eric si sentì a disagio nell’attraversare il lungo corridoio della prigione, un brivido di gelo e inquietudine attraversò il suo corpo. McGowan invece era più tranquillo, l’idea di trovarsi faccia a faccia con un pericoloso criminale non pareva turbarlo particolarmente.
I due entrarono nella stanza degli interrogatori accompagnati da una guardia, il detenuto era ammanettato al tavolo.
Dalton non rimase sorpreso da quell’incontro, Kavanagh aveva proprio l’aspetto di un avanzo di galera. Egli aveva conservato quell’atteggiamento rigido e severo tipico dei soldati. Il volto inespressivo era sfregiato da una profonda cicatrice, l’uomo guardava fisso davanti a sé con lo sguardo vacuo e spento.
Il carcerato si decise a parlare con i poliziotti soltanto dopo aver chiarito i termini del loro accordo.
Eric iniziò l’interrogatorio con una certa titubanza.
«Dunque lei conosceva il maggiore O’ Donnell?»
Kavanagh annuì: «sì, era il comandante della mia unità a Tralee»
Dalton rimase perplesso: «O’ Donnell era stato assegnato alle caserme di Fenit»
William sorrise: «non mi sto riferendo al suo incarico ufficiale, ma al suo ruolo nel Comitato di visita»
Il detective scambiò uno sguardo con il suo compagno, anch’egli parve colto alla sprovvista da quella rivelazione.
«In che cosa consisteva questo Comitato?» domandò McGowan.
«Era un’unità speciale del National Army, i soldati che ne facevano parte erano addestrati con lo scopo di rintracciare i militanti dell’IRA e i collaborazionisti repubblicani. Durante la guerra collaboravamo con i servizi segreti per rintracciare i sospettati»
«E’ noto che l’Esercito abbia condannato anche dei sospettati che non erano colpevoli»
William alzò le spalle: «se i loro nomi erano finiti sulla nostra lista un motivo doveva esserci. La legge marziale permetteva all’Esercito di giustiziare anche i collaborazionisti»
Il detective poté constatare che il suo interlocutore non provava alcun rimorso per ciò che aveva fatto. Dalton prese un profondo respiro prima di continuare il suo interrogatorio.
 
***

Co. Kerry, febbraio 1923.
Nel mezzo della notte un convoglio di militari giunse in una fattoria nelle campagne di Bahaghs. Dopo aver dato una rapida occhiata nei dintorni i soldati si avvicinarono all’abitazione fermandosi sulla soglia.
Il maggiore O’ Donnell bussò con insistenza, poiché nessuno rispose ordinò ai suoi uomini di irrompere nell’edificio. I due fratelli Dwyer furono svegliati dal rumore dei passi sulle scale, nel momento in cui si resero conto di ciò che stava accadendo i militari sfondarono la porta.
I due giovani obbedirono agli ordini dei soldati, i quali li strattonarono con forza trascinandoli fuori dalla cascina, dove trovarono O’ Donnell ad attenderli.
L’ufficiale ordinò ad entrambi di schierarsi contro il muro, dopo un’accurata perquisizione iniziò con le domande. Nel frattempo i soldati pensarono a perquisire la casa, stavano cercando un militante della 3° Kerry Brigade che, secondo i loro informatori, si era nascosto in quella fattoria.
Le risposte dei fratelli furono alquanto vaghe e poco convincenti. Immediatamente il maggiore fu certo del loro coinvolgimento. Nonostante la sua insistenza però non riuscì ad estorcere alcuna confessione.
Poco dopo il tenente Kavanagh uscì dall’abitazione confermando che avevano trovato tracce di una terza persona.
A quel punto O’ Donnell non esitò a puntare la pistola alla testa di uno dei due sospettati: «non ho tempo da perdere, se vi rifiuterete di collaborare sarete giustiziati all’istante!»
Il ragazzo impallidì nell’udire quelle parole, tremava dal terrore, eppure era ancora deciso a tenere la bocca chiusa.
Il fratello però non esitò a protestare: «non avete il diritto di trattarci in questo modo!»
O’ Donnell rispose con estrema calma: «in realtà vorrei aiutarvi, tutti coloro che sono accusati di aver collaborato con i repubblicani sono destinati ad essere condannati a morte. Sono disposto a fare un’eccezione, se voi confesserete avrete salva la vita. Mi sembra un buon compromesso»
Il giovane avvertì il cuore battere all’impazzata nel suo petto, doveva prendere una decisione in fretta. Il fratello invece rimase impassibile, avrebbe preferito morire piuttosto che tradire la sua promessa.
Il maggiore iniziò a perdere la pazienza: «d’accordo, allora non mi lasciate altra scelta»
L’ufficiale ordinò al giovane di inginocchiarsi. In quel momento l'altro abbandonò ogni sua convinzione, la sua unica preoccupazione fu salvare la vita del fratello. Così si decise a parlare.
«Aspettate, non sparate! E’ vero, quell’uomo è stato qui…è fuggito in direzione di Cahirciveen» confessò tra i singhiozzi.
L’ufficiale gettò a terra il suo ostaggio, ripose l’arma e con una smorfia di disprezzo tornò sui suoi passi. I suoi uomini lo seguirono in silenzio.
 
Sulla strada di Cahirciveen i soldati del National Army riuscirono a catturare tre militanti in fuga, tra di loro c’era anche il loro principale indiziato.
Dopo esser stati perquisiti e interrogati i repubblicani furono radunati davanti a un furgone.
Kavanagh mostrò un sorriso deforme: «avanti ragazzi, andiamo a fare un giro!»
Dopo aver detto ciò ordinò ai prigionieri di salire sulla camionetta.
Il furgone prese la strada verso Tralee procedendo lentamente nell’oscurità, la quiete della campagna era interrotta soltanto dai botti del motore e qualche breve sussurro.
All’improvviso la camionetta dell’Esercito si fermò a lato del sentiero, i militari costrinsero i prigionieri a scendere in strada. O’ Donnell ordinò ai militanti di schierarsi con ordine, si accese una sigaretta e con calma camminò davanti ad ogni prigioniero.
Quando arrivò in fondo alla fila prese la sua decisione: «sono un uomo onesto, dunque ho scelto di giocare rispettando le vostre regole. Quando ero un militante dell’IRA seguivamo una legge fondamentale: una vita per una vita. Dunque, voi avete ucciso tre dei miei uomini a Bahaghs, quindi siete in debito di tre vite»
I repubblicani rimasero impassibili, pronti ad affrontare il loro destino.
O’ Donnell ordinò ai giovani di inginocchiarsi, due di loro obbedirono, il terzo fu spinto a terra dal tenente Kavanagh.
Il maggiore ignorò le loro ultime preghiere, aveva smesso di provare pietà ormai da molto tempo.
I soldati erano pronti a giustiziare i militanti, l’ufficiale rimase impassibile davanti a quella scena.
Tre, due, uno…e tutto finì all’istante.
O’ Donnell si chinò accanto ad uno dei cadaveri, il sangue macchiò la punta dei suoi stivali.
Per qualche istante rimase ad osservare quel corpo inerme, poi si rialzò e senza dire nulla tornò all’interno del veicolo. I soldati gettarono i cadaveri in un fosso e ripresero il loro viaggio verso la città.
 
***

Dalton rimase particolarmente colpito da quel racconto, scrisse le ultime parole con le mani tremanti.
Kavanagh diede il suo ultimo giudizio.
«Il maggiore O’ Donnell era disposto a uccidere a sangue freddo, eppure non ci avrebbe mai permesso di premere il grilletto senza un valido motivo»
 
Tornando al commissariato Dalton rimase in silenzio per tutto il tragitto.
«Mi dispiace che le tue convinzioni sul maggiore O’ Donnell siano state distrutte, ma è meglio scoprire la verità piuttosto che credere in una menzogna» constatò McGowan.
«Già, hai ragione. Eppure non riesco a credere che O’ Donnell abbia ucciso quei militanti soltanto per vendetta»
«Perché no?» chiese il tenente.
«Perché i conti non tornano»
McGowan gli rivolse uno sguardo perplesso.
«I repubblicani uccisero a Knocknagoshel quattro soldati, mentre i militanti nelle prigioni di Fenit erano dieci»
«Forse O’ Donnell ha deciso di non seguire più le regole»
Dalton fu costretto a considerare anche quell’eventualità.
 
 
Quella sera il detective rientrò nel suo appartamento trovando la porta aperta, appena varcò la soglia notò le ante e i cassetti aperti e gli oggetti sparsi a terra in disordine.
Egli prosegui cautamente lungo il corridoio: «Aileen, sono a casa!»
Sua moglie era seduta sul letto, appena lo vide corse tra le sue braccia.
Eric si accorse che la giovane stava tremando: «tesoro, stai bene?»
Lei annuì: «temevo che non saresti tornato»
«Che è successo?»
«Sono stati loro, cercavano qualcosa…hanno messo a soqquadro il tuo studio e hanno portato via tutti i documenti…»
«Loro chi? I repubblicani?» chiese con apprensione.
«No, erano agenti del G2, erano in divisa e mi hanno mostrato i distintivi»
Dalton parve tranquillizzarsi, non si preoccupò per quelle scartoffie, i veri fascicoli erano nascosti al sicuro in una stanza dell’Hynes pub.
«Che cosa volevano da te?»
«Mi hanno solo posto delle domande su di te e sul tuo caso, io…non so che cosa volessero veramente»
Eric prese il suo volto tra le mani e la guardò negli occhi: «mi dispiace che ti abbiano coinvolta in tutto questo. In ogni caso non devi preoccuparti, l’agente Beckett vuole soltanto spaventarmi per indurmi ad abbandonare le indagini»
«Hanno detto che potrebbero accusarti di essere un collaborazionista dell’IRA» disse Aileen tra i singhiozzi.
Dalton tentò di mascherare la sua preoccupazione: «se avessero potuto arrestarmi probabilmente l’avrebbero già fatto»
«Non puoi continuare ad occuparti di questa faccenda!»
«Non ho altra scelta»
«Credi davvero di poterti opporre al volere del governo?»
«E’ il mio lavoro, ho il dovere di trovare la verità»
«Hai sempre posto la verità prima di ogni altra cosa e io ti ho sempre ammirato per questo, ma questa volta è diverso. Non pensi alla tua famiglia?»
«E’ anche per questo che lo sto facendo. Non potrei mai crescere mio figlio con la consapevolezza di aver tradito i miei ideali»
Lei poggiò la testa sul suo petto: «io sarò sempre disposta a sostenerti, ma ti prego, stai attento»
Eric la strinse a sé: «ti chiedo solo un po’ di tempo, presto questa storia sarà finita»
Aileen non era certa di poter credere alle sue promesse, ma nonostante tutto in quell’istante si sentì al sicuro, così si abbandonò a quell’abbraccio in cerca di speranza e conforto.
 
 
   
 
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