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Autore: BabaYagaIsBack    22/01/2020    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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64. Just a step away (2/2)

Arwen Calhum, seppur a qualche metro di distanza da lui, apparve come una specie di fantasma maligno venuto alla Villa per reclamare le teste di coloro che avevano osato sfidarlo - e Joseph, con il tradimento che aveva compiuto, sarebbe certamente stato sulla sua lista nera.

Ciò che più di tutto lo lasciò stranito però, non fu la presenza di quel licantropo, quanto più l'assenza della sorella al suo fianco. Il suo arrivo era stato previsto, quasi dato per scontato - anche se le tempistiche erano rimaste un dubbio fino a quel momento -, ma la mancanza di Aralyn invece no; non avrebbe mai pensato che potesse assentarsi a una simile occasione.

In lui si aprì una sorta di vuoto ricordando quel nome e, per un solo istante, temette che se si fosse trovata lì, in quell'enorme edificio saturo di morte, potesse essere già stata sopraffatta dai suoi confratelli; in fin dei conti solo un'eventualità del genere poteva giustificare il fatto che non c'era. Eppure, valutando attentamente l'atteggiamento dell'albino di fronte ai suoi occhi, il giovane notò una certa calma nel suo avanzare verso le stanze di Douglas, passi fin troppo ponderati per qualcuno che poteva aver perso la persona più cara al mondo. Quel modo di agire, si convinse, voleva dire solo una cosa: lei stava bene, o quantomeno era al sicuro.

Con la coda dell'occhio, Joseph scorse Gabriel avanzare di qualche zampata verso il nemico e, istintivamente, gli venne d'ammonirlo con un ringhio. Sapeva benissimo quanto il fratello desiderasse avere una rivalsa su quel mannaro, erano anni che non perdeva occasione per sbraitare ai quattro venti il suo odio nei confronti di quel tipo, ma se si fosse lanciato contro Arwen avrebbe dovuto fare prima i conti con Fernando - abbastanza piazzato e preparato da potergli tenere testa più di quello che avrebbe potuto immaginare - e ad affrontare l'Alpha nemico poi, sarebbe toccato a lui.

Non era una prospettiva capace di attrarlo, affatto, eppure sapeva essere più possibile di molte altre.

Ferire quel lupo, si ricordò amaramente, sarebbe stato come far del male ad Aralyn stessa e la sola idea gli face torcere in maniera innaturale le budella. Il suo corpo si ribellava ancor prima che la mente potesse mettere realmente insieme uno scenario tanto ripugnante, cosa che, volente o nolente, non avrebbe saputo come affrontare.

Se avesse trovato un modo per mettere fine a quello scempio però, avrebbe sicuramente fatto di tutto per portarlo a termine, ma ovunque si girasse non trovava vie di fuga.
Nonostante il suo desiderio di mettere fine al caos riversatosi nella Villa, sapeva che nessuno gli avrebbe dato retta: la pace era un'utopia a cui solo lui stava anelando, lì dentro. Né Douglas, né l'albino che a falcate lente si stava avvicinando, avrebbero mai deposto le armi. 
Le faide tra Puri e Impuri ormai imperversavano da fin troppo tempo e chi aveva la fortuna, o sfortuna, di nascere in un clan altolocato come il suo, si ritrovava a venir istruito all'odio ancor prima che a cacciare - e di conseguenza, le fazioni opposte imparavano a difendersi e contrattaccare con sempre più ferocia.

Dalle sue spalle, un suono roco avanzò per tutto lo spazio, facendosi strada fino ai due ospiti ormai sulla soglia dello studio. 
Joseph riconobbe la risata di suo padre senza nemmeno doversi voltare e seppe, con assoluta certezza, che quel vecchio non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione per sfidare la già labile pazienza del nemico - aveva un certo talento nel incrinare quella altrui.

«Guardate un po' chi si rivede... il principino bastardo ha deciso di tornare a infastidire i nostri occhi con il suo sudicio manto» e sicuramente, con la bocca, doveva aver fatto una smorfia schifata - non si sarebbe mai rivolto diversamente a uno della specie di Arwen. Persino nei confronti di Aralyn aveva dato sfoggio di una variopinta selezione di termini irrispettosi e volgari che più volte avevano fatto vacillare la maschera d'indifferenza del figlio.

L'altro non si mosse. Puntò con eccessiva intensità i suoi occhi dorati, molto più luminosi del solito, sulla figura di Douglas, ma non trapelò da lui altro che fastidio; stranamente, l'Alpha dei Menalcan non stava ottenendo il risultato sperato.

Fu Fernando, invece, a rispondere a tono al vecchio, ottenendo un suono gutturale direttamente da Gabriel che, come era giusto che fosse, tentò di mettersi in mezzo per fare il suo dovere di figlio, braccio destro e sottoposto.

«Almeno non puzziamo come voi. Cos'è, vi siete lavati il pelo con lo scarico del cesso? Vi informo che con Eau de Toilette s'intende altro...»

Solo in quel momento, spostando gli occhi nuovamente su di lui e fissandolo con più attenzione, Joseph notò come quel tipo apparisse strano rispetto a come lo aveva conosciuto nei mesi passati. Non era il suo corpo nudo, dai muscoli contratti e dai tatuaggi sbiaditi a sembrargli diverso, men che meno il tono con cui si stava rivolgendo all'avversario. In lui, dietro all'espressione fintamente feroce, si poteva scorgere una sorta di apatia se si aguzzava la vista, quasi in realtà non fosse lì - e, soprattutto, non gl'importasse di star rischiando la propria vita. Era la luce nelle sue pupille, tenue quanto una fiamma in procinto d'estinguersi, a donargli un aspetto differente e scostante. Non che potesse apparire poi tanto diverso, ora che si trovavano sui lati opposti di uno stesso campo di battaglia, eppure c'era dell'altro; cosa però, era difficile da immaginare.

E se fosse stata solo una strategia, invece? Stava forse cercando di destabilizzare i suoi avversari, mostrandosi così indifferente di fronte alle loro zanne sguainate?

Qualsiasi ragione si fosse nascosta dietro a quel comportamento comunque, non gli avrebbe permesso di evitarsi guai.

Certo, il giovane avrebbe preferito non doverli sfidare, ma non poteva nemmeno permettersi di arrendersi - sarebbe certamente andato incontro alla morte, visti i trascorsi. 
Con lui fuori dai piedi oltretutto, Gabe avrebbe certamente preso il potere sul loro casato e cercato vendetta. Una prospettiva ancor più fastidiosa, perché ciò che avrebbe fatto al Clan del Nord andava oltre a quello che invece Douglas aveva fatto in quegli anni.

Se suo padre era uno spocchioso assassino accecato dal potere, suo fratello era la primadonna del branco: doveva far "di più" - essere più minaccioso, più temuto; doveva versare più sangue e ottenere più controllo sui Menalcan e il Concilio stesso.
Il loro Alpha attaccava i nemici con criterio, valutando quanto guadagno avrebbe potuto ricavare dalla questione, mentre l'erede lo faceva al solo scopo di ottenere fama e rispetto dai confratelli - uccidere tutti quegli Impuri con brutalità e senza badare alle conseguenze era esattamente ciò che ci si doveva aspettare da lui.

Ma Aralyn era ancora viva e, finchè lo sarebbe stata, seppur a distanza e colpevole di averla spezzata, Joseph l'avrebbe protetta anche da quella sottospecie di famiglia che si ritrovava.

Se avesse dovuto scegliere tra lei e Gabe, non avrebbe esitato nell'uccidere l'uomo che condivideva il suo sangue.

Il pugno del vecchio dietro di lui colpì con rabbia la scrivania, catapultandolo con violenza alla realtà: «Profanate le mie terre, entrate in casa mia e osate mancarmi di rispetto... con che coraggio? Feccia siete e feccia rimarrete. Le vostre viscere non son buone nemmeno per concimare le piante qui intorno» disse con un tono del tutto inaspettato rispetto al gesto appena compiuto. Era meno teso di quanto si sarebbe potuto immaginare, ma soprattutto conservava ancora la superiorità che lo contraddistingueva da tutti gli altri mannari.

«Le tue invece sono perfette per l'orto della Tana!» La lingua di Fernando schioccò, forse evidenziando l'irrispettosità del commento o la soddisfazione nel riuscire a rispondere a tono a quel Nobile. Doveva sicuramente provare un certo compiacimento nello sfidare il nemico così apertamente, ma sfortunatamente per lui, invece che colpire l'orgoglio di Douglas, il suo gesto si tramutò in un segnale. Le orecchie del maggiore tra gli eredi dell'uomo si portarono all'indietro, decretando l'inizio dello scontro.

Gabriel balzò sugli ospiti a una velocità inaspettata e, involontariamente, il fratellino si ritrovò a fare altrettanto.

Arwen scartò di lato giusto in tempo per evitarsi una zampata sul muso, ma nel compiere quel movimento non fece altro che diminuire involontariamente lo spazio tra sé e Joseph.

Il ragazzo se lo ritrovò a nemmeno un paio di metri, così vicino da poter sentire il suo fiato uscire dalle fauci spalancate. 
Fu un attimo, poi se lo vide piombare addosso.

Menomato o meno, ai suoi occhi apparve come il più veloce animale con cui avesse mai avuto lo spiacevole onore di scontrarsi.

Gli dèi, imprecò in un lampo, avevano quindi deciso di non favorirlo più. 
Lo scontro era ormai inevitabile e, quindi, anche la frattura con lei.
Qualcuno sarebbe morto, ma chiunque fosse stato, non sarebbe stato in grado di proteggerla.

Joseph provò a evitare l'impatto, ma il suo scatto non sembrò abbastanza repentino. Il ringhio di Arwen tuonò contro i suoi timpani e in un istante seppe di non poter più aggrapparsi ad alcuna speranza.

Corse come una disperata senza mai guardarsi indietro, men che meno attorno. I suoi occhi non vedevano altro che il colore della paura: una sorta di bianco lattiginoso attraverso cui le immagini apparivano sbiadite. 
Si muoveva quindi per tentativi, sperando che all'ennesima svolta presa, le sue zampe l'avrebbero condotta nel posto giusto. Eppure lei macinava metri e metri, trovandosi sempre di fronte a vicoli ciechi.

Possibile che la Villa fosse tanto labirintica? Da fuori non le aveva mai dato l'impressione di nascondere un numero così elevato di stanze e corridoi - ma nonostante si stesse muovendo svelta, non ne vedeva mai la fine.

Chissà se Arwen era già giunto al suo obbiettivo. Chissà se stava ancora combattendo o la sua gamba lo aveva già tradito. Chissà se le sue fauci si erano già strette intorno alla giugulare di... No!
Fermò quel pensiero sul nascere, mettendosi a scuotere il capo con violenza.

Respirare le venne faticoso.

Non voleva nemmeno dare alito a quell'ipotesi.
La sua sopportazione era già eccessivamente al limite per riuscire a far fronte anche a quella raccapricciante idea - eppure doveva odiarlo, doveva desiderare la sua fine, ma non ci riusciva. Sapeva che quella era la cosa giusta da fare, quella che chiunque si sarebbe aspettata da lei, ma nonostante questo finiva sempre con l'arrancare.

Forse aveva smesso di combattere i suoi stessi sentimenti nel momento in cui Kyle le aveva donato la libertà o, forse, non sarebbe mai riuscita a contrastare il volere di coloro che li avevano messi al mondo - gli Dèi, quelle entità rarefatte che i licantropi sentivano accanto a sé, ma che non avevano mai visto. Dopotutto un imprinting non poteva essere altro che il capriccio di Aine e Fenrir, Loki, la Madre Luna e tutti gli altri. Quale essere, con un minimo di misericordia, altruismo e umiltà, poteva mai legare in modo indissolubile due persone? Nessuno, soprattutto sapendo la situazione in cui si trovavano - gli Dèi erano però gli unici a poter rispondere a quella descrizione.

Con un colpo di reni la lupa fece nuovamente dietro front e, arrivando all'imbocco del quinto vicolo cieco a cui era andata incontro, sentì il desiderio di tornare umana e iniziare a gridare dalla disperazione: non ce la faceva più - e se le sue urla avessero attirato le attenzioni sbagliate, poco le sarebbe importato in quel preciso momento.

Voleva mettere a tacere ogni cosa, dai rumori che sentiva giungere in lontananza, fautori di disperazione e furia, alle sensazioni scomode che le impedivano di gestire con lucidità la situazione.

Aralyn era letteralmente in balìa di ciò che non poteva controllare, ma subire e non evitare. Le sembrò di essere finita in un agghiacciante trip, un po' come quelli in cui le era capitato di ritrovarsi dopo aver partecipato ai riti antichi, appresi dal Duca e dai lupi più anziani, o il giorno della sua accettazione ufficiale nel clan - ed era così dannatamente sfiancante.

Lì, in mezzo a quel corridoio vuoto in cui sentiva riecheggiare i versi orripilanti dei licantropi al piano inferiore e dove strisciate di sangue scuro segnavano i percorsi dei morenti, la lupa si domandò quanto ancora avrebbe retto. Le sue gambe tremavano, il corpo si rifiutava di obbedirle a dovere e, nonostante non avesse ancora confutato o scongiurato qualsiasi tipo di tragedia, l'unica cosa che poteva dire certa era l'opprimente sensazione di essere lacerata dentro, al centro del petto, ma comunque sotto la carne; nei muscoli, nelle ossa, nel cuore.

Troppi errori e menzogne, così come troppe atrocità, l'avevano condotta fino a quel punto - e desiderò non esserci mai arrivata.

Per la prima volta, guardandosi attorno, Aralyn pregò Manàgmar di riprendersi la sua vita di lupo. Non la voleva più.

Se fosse nata umana, solo ed esclusivamente tale, non avrebbe dovuto far fronte a nulla di tutto ciò. Non una lotta per la propria vita né un omicidio; non una famiglia dimezzata né un amore indesiderato. Non un clan a cui dover dare tutta sé stessa e, soprattutto, nessuna condanna a vivere in eterno incompleta - sì, perché chiunque fosse morto quella sera, avrebbe lasciato in lei un vuoto incolmabile.

Se Arwen fosse sopravvissuto, Joseph sarebbe perito.

Se il figlio di Douglas avesse vinto il maggiore dei Calhum, lei sarebbe rimasta sola a combattere contro un mondo troppo meschino.
Eppure sapeva che la guerra tra il suo branco e i Menalcan avrebbe avuto fine solo con la vita di un Alpha - quale però, era ancora un'incognita.

Aralyn mosse qualche passo incerto verso l'ennesima direzione che le parve non portare ad alcuna destinazione, ma prima che potesse addentrarsi troppo in profondità, un guaito catturò la sua attenzione.
Era vicino, molto. Aveva una tonalità che le solleticò la mente e, muovendosi svelta tra i ricordi, fece riaffiorare un giorno di molti mesi prima, quando Fernando si era fatto male durante un allenamento. Uno strappo, nulla di ché, ma comunque dalle sue labbra ferine era uscito un suono fin troppo simile.

Si trattava di lui, ne fu certa, così con uno scatto tornò sui propri passi, indietro di qualche metro. Fu un corridoio lungo e spazioso ad accoglierla - una porzione di Villa che i suoi occhi avevano ottenebrato totalmente quando era passata di lì la prima volta e, infondo, quest'ultimi incontrarono la siluetta di un lupo seduto su una grossa scrivania. Aveva pelo striato, era vecchio e altri non poteva essere se non Douglas Menalcan.

Aralyn lo vedeva in quel momento per la prima volta e, persino da quella distanza, le fece sentire addosso un certo ribrezzo.
Era immenso, esattamente come qualsiasi Nobile Puro. Il manto sembrava essere nettamente più folto e morbido di quello di un qualsiasi licantropo come lei e i suoi occhi, due pozze nere quasi completamente prive di iride, si muovevano frenetici per la stanza in cui si trovava, seguendo qualcosa. 
La giovane provò un misto d'odio e schifo nei suoi confronti, ritrovandosi a combattere tra il desiderio di saltargli al collo e spezzarglielo e quello di andare via.

Se l'Alpha Menalcan era lì però, Arwen non poteva poi essere lontano.
Per un attimo rimase immobile a studiare la figura di quel mannaro, troppo confusa su cosa fosse meglio fare, ma alla fine fu un lampo a riportarla con i piedi per terra. Davanti al vecchio, in una sequenza di movimenti veloci, comparvero delle bestie altrettanto grosse, rabbiose.
La prima le mozzò il fiato per la violenza con cui si stagliava sul nemico, mentre la seconda le fece perdere un colpo al cuore.

Sgranò gli occhi tanto da sentirli bruciare e la vista, improvvisamente, tornò limpida.
L'unico a poterle generare una reazione simile era colui che aveva pregato di non rivedere più, ma che aveva sognato ogni singola notte da Novigrad - Joseph era lì, a solo qualche passo da lei.

Esattamente come la morte.

 
   
 
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