«Ciao»
sentì dire Noël ad una voce
sconosciuta alle sue spalle.
Il
cuore prese a batterle forte e la paura si impossessò di lei
come potrebbe
farlo con qualcuno che è appena stato colto nel bel mezzo di
un'infrazione
gravissima.
Quando
si volse, però, ciò che vide fu soltanto il volto
di un uomo sorridente.
I
capelli grigi sembravano incollati al capo, la pelle era scura e
consumata dal
sole, ma gli occhi erano pieni di vita, grandi e vivaci.
Ebbe
l'impressione di averlo già visto da qualche parte.
«Ti
piace?» chiese l'uomo con voce
roca, senza smettere di sorridere.
Lei
si avvicinò: «Moltissimo».
I
loro sguardi si incrociarono per qualche istante.
«L'ho dipinto
qualche anno fa,
quando ero ancora a Nancy.
Lì
non c'è il mare e un giorno avevo tanta voglia di
vederlo».
L'uomo
non si accorse che Noël stava trattenendo il respiro. Aveva
occhi soltanto per
il quadro.
«Così
decisi di dipingerlo io
stesso; in questo modo avrei potuto vederlo ogni volta che avessi
voluto».
L'uomo
sorrise ancora, senza mostrare i denti.
«Non ti
sembra di essere davvero
su quella spiaggia?» le chiese con occhi allegri.
La
ragazza annuì timidamente: credeva di aver appena compiuto
un reato, invece lo
sconosciuto pareva non essere per nulla infastidito dalla sua presenza.
Poi
le rivolse un ultimo sorriso, prima di spalancare una porta bianca che
si
confondeva con la parete.
Lei
lo fermò a metà strada.
«Allora...non
è arrabbiato?» gli
domandò con apprensione.
L'uomo
si volse, ma questa volta la sua espressione era molto seria.
«Perché
dovrei esserlo?» sussurrò,
«se ti piacciono, è giusto che li
guardi».
Fece
una pausa, sbattendo le palpebre.
«È
giusto che, almeno qualche
volta, tu faccia quello che ti va di fare».
Poi
scomparve dietro la porta.
Noël
rimase impietrita e sorpresa dalle parole dell'uomo.
Pensò
che a volte basta soltanto osservare le cose da un altro punto di
vista, e
tutto può cambiare.
Avrebbe
potuto entrare in quella bottega ogni volta che avesse voluto.
In
fondo, glielo aveva detto lui.
Mentre
se ne andava, improvvisamente ricordò: i suoi occhi, la
fiamma dell'accendino e
il fumo della sigaretta, settimane prima nella piazza.
Poi
si arrestò, rimanendo immobile sulla soglia, con occhi
spalancati.
La
prima volta che aveva messo piede nella bottega era stato grazie a
Samira.
E
ricordò che la ragazzina aggiunse che era di suo padre.
Il
cuore cominciò nuovamente a batterle forte e la testa a
girarle
pericolosamente.
Dopo
un attimo in cui tutto le parve buio, Noël riprese a
riflettere e varcò la
soglia con un avvincente sorriso stampato sulle labbra.
Ora
sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Bastava
soltanto percorrere la strada dei sogni.
~
Quando
Noël vide sua madre, quella domenica mattina, le
sembrò un fantasma con le
occhiaie e i capelli troppo lunghi per una donna di soli quarant'anni.
Le
andò vicino, la salutò, percependo un odore di
alcol e sigaretta uniti insieme,
creando una mistura decisamente disgustosa.
Si
sedette al tavolo e ingoiò due ciambelle con la ricotta,
sorseggiando del latte
dal sapore così forte da lasciarle un disgustoso retrogusto
in bocca per tutta
la mattinata.
Quel
giorno lo passò a casa, disegnando sul suo diario.
Abbozzò
una strada sterrata contornata da alberi verdeggianti e rigogliosi, e
intorno
al sentiero dei sassi, ciascuno con delle parole incise sulle
estremità.
Molte
non erano nemmeno visibili, ma nelle pietre più vicine si
potevano leggere
chiaramente dei nomi: Sofia, Jan, Marek e Stefan, e infine, negli
ultimi più
vicini Paweł ed Ewa.
Poi
disegnò una ragazza dai capelli rossi, immobile al principio
del sentiero.
Era
voltata di schiena e il viso non era visibile, ma Noël avrebbe
giurato che ci
fosse un velo di timore negli occhi.
Forse
aveva soltanto paura di intraprendere quella strada.
Forse
perché non voleva allontanarsi dalle pietre più
vicine.
Alla
fine del sentiero si intravedeva un cartello di legno.
Ci
mise tutta la mattina a disegnarla.
La
chiamò “La strada dei sogni”.
~
Quando
Denis incontrò Samira quel giorno, notò subito
un'aria stanca sul suo volto.
I
suoi occhi non brillavano più al sole, i capelli erano meno
lucenti del solito.
A
osservarli bene, erano proprio diversi; persino il colore pareva
cambiato.
«Ti devo
mostrare una cosa» gli
disse impaziente la ragazza, conducendolo oltre la piazza.
Il
cuore di Denis perse un battito ad intraprendere quella strada.
Ad
ogni passo, un ulteriore velo di sudore gli imperlava la fronte.
Bastava
arrivare fino alla casa rosa per scorgere la bottega.
Ancora
due passi,
pensò, solo due passi e ci
siamo.
Poi
oltrepassarono anche quella, e le paure di Denis si placarono.
«Benvenuto
nell'atelier di mio
padre» annunciò la ragazza con un sorriso stanco.
Denis
rimase immobile sulla soglia, fissandola con sguardo allibito.
«Tranquillo, puoi
entrare» lo rassicurò, «tutti possono
entrare qui» sorrise.
Poi
lo spinse dentro, mostrandogli gran parte delle tele.
Denis
le conosceva molto bene, ma ascoltare la loro storia era interessante.
Il padre
di Samira aveva cominciato a dipingere all'età di tredici
anni.
«I
suoi genitori erano appassionati di pittura e un giorno lo portarono a
Parigi,
in una galleria alle rive della Senna.
Lui
passò ore ad osservare i quadri degli artisti della
galleria, cercando un senso
alle loro opere, un significato particolarmente affascinante, ma
raramente
trovò qualcosa che lo affascinò.
Alloggiarono
due giorni a Montmartre, e lui ebbe modo di notare anche gli artisti
della
strada per la Basilica.
Sarebbe
rimasto ore e ore a guardarli dipingere, mescolare i colori,
spennellare
cautamente per dar vita anche solo al minimo dettaglio»
spiegò la giovane.
Quell'anno,
il padre di Samira si innamorò di moltissime tele.
Sentiva
l'eccitazione e la commozione degli artisti di strada scorrere nelle
vene e
nelle loro opere.
Poteva
quasi toccare il loro tormento interiore, e il loro orgoglio di
mostrarlo al
mondo.
Quando
tornò a Nancy, provò a dipingere.
Nel’arco
di un paio d'anni, raffigurò sulla parete della propria
stanza da letto un
quadro bellissimo.
Di
giorno lo nascondeva dietro al comodino e i genitori non se ne
accorsero mai.
Non
volle mai mostrarlo a nessuno e, nonostante l'avesse terminato ormai da
molto
tempo, era sempre insoddisfatto e lo ritoccava in continuazione.
Poi,
un giorno abbastanza vicino a quel sabato, volle andarsene da quella
casa e
ordinò che tutto venisse distrutto.
Ma
prima che la palla demolitrice buttasse giù il muro, Samira
fece in tempo a vederlo,
anche se per pochi istanti.
Quando
uscì, si chiese perché volesse distruggerlo.
Non
capì, ma non chiese mai una spiegazione.
Farlo
avrebbe significato confessare ciò che aveva visto, e sapeva
che lui non glielo
avrebbe mai perdonato.
Improvvisamente,
osservandola mentre raccontava, Denis si chiese perché
Samira non parlasse mai
della madre.
Pensò
alla donna del terzo quadro nella stanza accanto.
Poteva
essere lei quella donna misteriosa? Oppure la ragazzina era stata
soltanto un
errore di gioventù?
Lui
non conosceva suo padre, ma se lo immaginò con una sigaretta
in mano, a
dipingere quella tela bianca nel laboratorio accanto.
Immaginava
le mani sudate scorrere sul pennello sporco di colore, e un po' di
cenere cadere
sulla tela.
Quando
se ne andarono, il ragazzo lanciò un'occhiata al quadro
appeso alla parete in
alto, come per controllare se fosse ancora al proprio posto.
Era
sicuro che Samira non fosse a conoscenza della sua esistenza; il suo
campo
visivo non l'avrebbe contemplato comunque.
Così
se ne andò con la figlia di un pittore misterioso, oltre la
casa rosa, verso la
piazza.
Sapeva
che sarebbe tornato.
Ma,
questa volta, non avrebbe più osservato nulla.