Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ___Page    26/01/2020    1 recensioni
Non era morto, la vivre card non lasciava spazio a dubbi. Continuava a bruciare, imperterrita, nella tasca dei suoi pantaloni ricongiunta al foglio originale, che avevano ritrovato abbandonato sull’isola dove quella macabra e snervante specie di caccia al tesoro aveva avuto inizio.
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«Cosa ci fai qui?»
Law si girò incredulo e lento, gli occhi che lanciavano schegge di ghiaccio, e si concesse un istante per studiarla con attenzione. Non l’aveva mai vista in vita propria e, sì okay, era consapevole di avere una faccia nota ma mica era una giustificazione per rivolgerglisi così.
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Avevano fatto qualcosa di avventato, avevano rischiato, se lo sentiva, glielo diceva l’istinto. Per fortuna lo spasmo allo stomaco era passato com’era venuto dopo pochi minuti, a tranquillizzarlo che la sua ciurma l’aveva scampata, almeno per il momento.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Koala, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Sono arrivata che Laine era qui già da una settimana. Da quello che mi ha raccontato, devono aver preso e spostato i bambini tutti insieme e in una sola volta»
«Ovviamente. La sparizione di un bambino si nota di più e mette più allerta di quella di un adulto» mormorò, fingendo di studiare le carte.
Koala sollevò un istante gli occhi dal proprio ventaglio di carte da gioco al proprio interlocutore, sguardo perennemente adombrato dal bordo del cappuccio.
«Ci sono tre luoghi in cui ha senso un’organizzazione di questo tipo» scartò per continuare a simulare la partita a un gioco che nemmeno  avevano concordato. «Divise uguali per tutti, sorveglianza stretta, momenti di collettività accuratamente scanditi. Le opzioni sono: ospedale, prigione e laboratorio» Koala si spinse i finti occhiali da vista sul naso.
«Escluderei la prigione visto che io e te siamo notoriamente due stinchi di santo» asserì Law, guadagnandosi un’altra occhiata, tra lo scettico e il divertito. Era lui quello che voleva tutte le informazioni e subito e poi si metteva a fare il sarcastico? Anche se, certo, non si sarebbe lamentata per questo. «Le attività di gruppo sono troppo dilatate nel tempo e si può parlare troppo liberamente. Sembra che vogliano mettere le persone a proprio agio, illuderle di non essere in trappola»
«Quindi è una prigione» gli fece notare Koala. 
«Sì ma con un fine diverso. Un ospedale o un laboratorio» la indicò con una mano tatuata, prima di lanciare una carta a caso sul tavolo, con un gesto secco ma rilassato.
«Ho riflettuto molto sull’ospedale, sull’opzione che si tratti di una struttura atta a contenere una qualche forma di contagio senza  provocare panico di massa. Spiegherebbe anche i caschi degli inservienti. Potrebbe esserci una zona isolata che non conosciamo, che ospita i malati più gravi e molti dei… come vogliamo chiamarci, detenuti o pazienti?»
«Detenuti» ribatté senza esitare Law.
«Okay. Molti detenuti vengono dallo stesso arcipelago, alcune miglia da qui»
Law si accigliò, guardandola da sopra le carte. «Con quanti di loro hai parlato scusa?»
«Nessuno, sono solo molto brava ad ascoltare e poi abbiamo triangolato con cura la posizione prima che partissi per la missione, le denunce di scomparsa arrivavano in gran quantità da una stessa zona» Koala sollevò le sopracciglia, mentre prendeva un sorso d’acqua. «Per cui, l’ospedale potrebbe avere senso »
«Ma…?» la invitò a proseguire. Sapeva che c’era un “ma”, lui stesso aveva un “ma” però voleva sentire il suo prima, era curioso. Era una spia tascabile, Koala.  
«Ma, a parte che io sono perfettamente sana e mi hanno portata qui lo stesso dopo un controllo preliminare, poi sei arrivato tu»
«Io sono un medico» le ricordò.
«A-ah e ti hanno fornito camice e fonendo a quanto vedo»
Law si trattenne dallo schioccare la lingua, le mani giunte davanti alle labbra. No, lo sapeva che non poteva essere un ospedale. Lo avevano preso a migliaia di chilometri di distanza da quel posto, il tempo di navigazione da lui accuratamente calcolato non lasciava spazio a dubbi. Lo avevano cercato, non era stato un caso e, se fosse stato lì come dottore o anche, perché no, come ex malato per studiarne gli anticorpi, non lo avrebbero lasciato mischiarsi agli infetti. A meno che…
«Potrebbero voler vedere se vengo infettato nonostante il mio frutto del diavolo» riprese in mano le carte, Law mentre Koala gli lanciava una strana occhiata. 
«E questo non lo chiami un esperimento?»
«Certo, ma un esperimento non fa dell’intera struttura un laboratorio»
«Io non ho niente»
«Ne sei così sicura?»
«Vuoi farmi un check up?» domandò Koala con un sorrisetto che lo prese sinceramente, ma non visibilmente da fuori, in contropiede. Law la fissò per un attimo, prima di tornare alle carte.  
Sapeva il fatto suo, comunque, non c’era che dire.  
«Falsa ingenua»
«Spirito di conservazione, faccio uno sporco lavoro. Ad ogni modo, ci sono altri indizi. Laine, per esempio non ha mai cercato un solo adulto in questa sala, né sua madre, né suo padre, uno zio, un parente qualsiasi» Law l’ascoltò attenta. «La sua famiglia non è qui, né quella di tutti gli altri bambini che per inciso sono suoi compagni di scuola. Non ci sono coppie, conoscenti tutt’al più, qualche amico. Perciò insomma, ho una malattia che voglio contenere, scremo sulla base di un esame preliminare e, per un caso fortuito, nessun nucleo familiare, completo o parziale, è stato colpito ma un’intera scuola sì?»
«Magari hanno operato una divisione in base allo stadio della malattia»
«Non ci credi neanche tu»
«No, non ci credo, hai ragione» concesse Law dopo un lungo attimo. Koala aveva ragione e per la legge dei grandi numeri era improbabile, quasi impossibile che nemmeno una coppia di fratelli, madre/figlio o compagni di vita non avesse contratto il morbo nello stesso momento. «Però quei caschi sembrano anti-contagio, lo hai detto anche tu»  
Koala si strinse nelle spalle. «Da dopo la Guerra dei Vertici in Marina non sono più tutti così ben disposti a collaborare con il Governo Mondiale e chi lo è non gradisce farlo sapere ai compagni d’armi. A volto coperto si ottengono più adesioni. O meno proteste, non è che puoi precisamente disobbedire a un ordine quando scegli la divisa bianca» si guardò un momento intorno prima di sporgersi verso di lui. «Guarda» reclamò la sua attenzione, senza neanche dargli il tempo di metabolizzare l’insinuazione, che detta da lei pareva una certezza fondata e inoppugnabile, che ci fosse il Governo Mondiale dietro a tutta quella strana faccenda. Law non ebbe comunque il tempo di ribattere quando Koala sollevò la manica della tuta, a mostrargli qualcosa nella zona interna del proprio avambraccio destro.
Girò appena il capo, gli occhi sul tatuaggio che le marchiava la pelle chiara.
C142.
«Che significa?!» domandò, dominando l’impulso di afferrarle il polso per esaminare meglio la scritta. Sperava di cuore che non fosse permanente.
«Numero identificativo» spiegò Koala mentre già riabbassava la manica. «Ce l’hanno tutti, anche Laine, sono progressivi e sono piuttosto certa che dipende dall’ordine di arrivo qui alla struttura. Ma non sono tutti uguali» riprese in mano le carte e si sporse ulteriormente sopra il tavolo, imitata da Law che ascoltava attento, lo sapeva Koala. «Il regolamento ci impone di tenerli coperti ma quando siamo aumentati di numero hanno cominciato a faticare a tenerci tutti sott’occhio e ho scoperto che alcuni sono segnati con la lettera F e sembrano statisticamente molti meno di quelli con la C»
«E suppongo tu ti sia già fatta un’idea del perché»
«Perché il ricambio è più rapido» rispose infatti senza esitazione. «Laine è molto brava a memorizzare i volti e si accorge subito se c’è qualcuno di nuovo» affermò e Law annuì. Ne sapeva qualcosa, decisamente. Era per quello che la piccoletta lo aveva puntato la sera prima. «Beh ogni tanto qualcuno sparisce e viene sostituito e la maggior parte dei nuovi  detenuti sono quasi tutti segnati con la lettera F quindi, a rigor di logica, dovrebbero essere di più delle lettere C ma non è così»
«Sento che vuoi arrivare da qualche parte ma mi sfugge dove» la informò il pirata, la sua preziosa pazienza, così accuratamente centellinata, che rischiava di sfuggirgli tutta di mano in una sola volta.
«E dire che le voci su di te ti dipingono incredibilmente intuitivo»
Law sollevò lentamente uno sguardo gelido su di lei.
Lo stava prendendo in giro?
La guardò sorridere e appoggiarsi allo schienale della sedia, alzando le carte per celare le proprie labbra piegate all’insù. Sì, decisamente lo stava prendendo in giro e, decisamente, era arrivato il momento di concentrarsi e non permettere alla preoccupazione di prendere il sopravvento. Non sarebbe stata una buona pubblicità per il Chirurgo della Morte e presso l’Armata Rivoluzionaria, niente meno. La reputazione era stata un effetto collaterale di quello che aveva dovuto fare ma ormai che ce l’aveva, tanto valeva salvaguardarla.  
«Quelli segnati con la lettera F sono persone chiave per qualsiasi cosa facciano qua dentro» rispose Law, lasciandosi infine andare a un ghigno di sfida. 
«Allora qualcosa di vero c’è!» non si trattenne Koala, che chiaramente non sapeva cosa fosse la soggezione, prima di piegare di nuovo il busto in avanti e appoggiare i gomiti al tavolo «Ma il punto è se sono così importanti, perché non assicurarsene di più, non rapire più persone chiave e meno persone C?» domandò, chiaramente retorica ma comunque in attesa di una risposta che non si fece attendere.  
«Perché le persone F hanno delle caratteristiche che sono più rare rispetto alle persone C»
«Bingo!» 
«La tua teoria riguardo a suddette caratteristiche?»
«Sono proprio carini quei braccialetti» mormorò Koala, indicando con un dito i due sottili monili che cingevano i polsi del pirata, su cui si spostò anche l’attenzione di quest’ultimo. «Io non ce li ho e, da quanto ho potuto vedere, nessuno di quelli marchiati con la C li ha, ma i pochi marchiati con la lettera F che sono riuscita a individuare li portano»
Law non ci mise che pochi istanti a incassare quell’informazione e metabolizzarla, per destabilizzante che fosse. Okay, non era un ospedale, se aveva ancora qualche dubbio quell’ultima informazione glieli aveva tolti tutti.
F e C potevano anche segnalare stadi differenti di una qualche presunta malattia, e il maggior ricambio poteva dipendere dal tasso di mortalità ma quale medico avrebbe permesso di mischiarsi a malati terminali e persone contagiate, sì, ma ancora relativamente sane? Persino lui, che di scrupoli ne aveva pochi, non lo avrebbe mai fatto. A meno che non fosse una specie di esperimento ma in quel caso sarebbe stata un’ulteriore conferma che l’opzione laboratorio era decisamente la più probabile e la lettera F stava per…
«Frutto del diavolo» sussurrò Law, parlando più a se stesso che a Koala che tuttavia annuì convinta. 
«Ne sono sempre più convinta»
«E la C…» tornò a guardarla, il pirata.
«Temo stia per cavia»
Law serrò la mascella. Non c’era che dire, Koala sosteneva senza esitazione le proprie opinioni, così convinte e ben argomentate da far venire voglia di crederle anche in presenza di un ragionevole dubbio, che per inciso nemmeno c’era.
Il concetto di cavia umana poteva non essere totalmente estraneo al suo vocabolario ma questo non significava che lo approvasse o ne facesse un uso non ben valutato. Quando a Punk Hazard aveva sostituito arti umani con appendici animali, lo aveva fatto su uomini privi di funzionalità motoria e i cento cuori consegnati alla Marina non avevano avuto nulla di sperimentale. Sapeva che poteva prenderli senza fatali conseguenze, almeno non per mano sua, ed era solo un metodo di cattura alternativo e più rapido, per ottenere più in fretta ciò che gli era necessario. Dopotutto, i deboli non potevano decidere come morire, era legge di natura.
La medicina e la scienza, però, erano altra faccenda e chi giocava a fare dio lo disgustava da sempre. 
«Tu non ce l’hai vero?» di nuovo, la voce di Koala tagliò in mezzo alle sue riflessioni, riportandolo alla realtà dell’immenso salone. Gli ci vollero circa cinque secondi per riprendere il filo e verificare, sollevando le maniche, che in effetti no, i suoi avambracci erano intonsi, a parte i tatuaggi che lui aveva scelto di fare anni prima.
Perché? Perché lui non aveva il numero identificativo?
La sensazione di essere trattato differentemente dagli altri non lo abbandonava, anche se l’apparenza lasciava intendere tutt’altro. Era una sensazione di pancia e la mancanza del numero identificativo la confermava, ma perché? Certo, si rendeva conto di non essere esattamente un prigioniero nella media ma, una volta giunto lì, in qualità di possessore di un interessante frutto del diavolo, non era uguale a tutti gli altri?
Che si fossero dimenticati, era impensabile e una calma, ferale furia prese a scorrergli nelle vene. Era già stato uno strumento da bambino, lo aveva scelto convinto di essere una bomba prossima all’esplosione ma aveva imparato dai suoi errori e, comunque, non accettava di venire usato senza consenso e per di più per scopi sconosciuti.
Cosa volevano da lui?
Si concentrò sul tempo trascorso nella stiva della nave, rievocando gli smozzichi di conversazioni origliate, nella speranza di ripescare un qualche dettaglio che, alla luce delle recenti scoperte, assumesse un nuovo significato ma non c’era molto, tranne forse…   
«Per caso hai sentito di un certo dottor Burkhard?» domandò, alzando gli occhi su di lei, che scosse piano il capo.
«Mai sentito! Chi è?»  
«Io lo conosco»  
Law e Koala si fissarono per un dilatato secondo, sapevano benissimo cosa l’altro stesse pensando. Il tempo delle speculazioni era finito ma non era come se potessero dirsi delusi o scocciati dalla cosa e se sul viso di Koala era scritto chiaramente, che l’arrivo di Laine la faceva felice, Law si concesse solo l’ombra di un ghigno ma era colpito dalla totale assenza di fastidio che provava.  Scostarono contemporaneamente le sedie e puntarono gli occhi sotto al tavolo, da cui Laine li guardava di rimando, con un sorrisetto sul mefistofelico che pure non le toglieva neanche un briciolo di innocenza.
Era un demonio incarnato, Law ne era sempre più certo e il ghigno si distese un po’ di più sulle sue labbra, mentre con gli occhi analizzava attentamente che nessuno stesse anche solo per sbaglio guardando verso di loro. Si spinse indietro, la schiena ben adesa allo schienale, e allargò le gambe per fare spazio a Laine, che si arrampicò sulla sedia e si appoggiò a lui, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia.
«Come mai lo conosci?» le chiese Koala, che intanto aveva fatto il giro del tavolo e si era seduta accanto a loro, per meglio proteggere Laine da occhi indiscreti.
«Oggi è venuto da noi, stamattina, per conoscerci ha detto. Non ha la faccia simpatica.  Sorride e sorride ma si vede che lo fa per finta e non mi piace» parlò seria e concentrata la bambina. «E poi non ho potuto inderagare come mi avevi chiesto» si girò con cipiglio corrucciato verso Koala, che la accarezzò sul viso con la delicatezza di una piuma.
«Non ti preoccupare, Laine»
«Comunque si dice indagare» precisò Law, guadagnandosi un’occhiata incredula e assassina dalla rivoluzionaria, a cui rispose con una perplessa. Che aveva mai detto?! «Quindi non era mai successo prima?» decise di lasciar perdere, tornando a “indagare” appunto, mentre sollevava la gamba fino a posare la suola sulla seduta, per coprire Laine dal lato scoperto.  
«No» negò anche con il capo la bambina e Koala le risistemò il cappuccio sulla testa prima che cadesse, mentre scambiava un altro sguardo di intesa con Law.
«E vi ha visitato?» fu il turno della rivoluzionaria di chiedere. «Vi ha ascoltato il cuore o fatto delle punture?»
«A-ah» negò di nuovo Laine. «Ha solo voluto parlare con noi. Uno per uno»
«Uno per uno. Cioè non tutti insieme?»
«Uno per uno»
Law perse lo sguardo nel vuoto prima di tornare a cercare, per l’ennesima volta, Koala. Che suddetto dottor Burkhard avesse fatto una mossa, si fosse anche solo comportato diversamente dal solito non era un buon segno. Che fosse proprio il giorno dopo il suo arrivo lo era anche meno. Che fosse partito dai bambini era lo scenario che entrambi gradivano meno, senza contare la stranezza dei colloqui privati.
Le informazioni erano ancora troppo poche per allarmarsi, a parte che un laboratorio/prigione con una zona adibita a ospitare dei bambini era allarmante di suo. Ma una cosa era certa e non dubitava che Koala stesse macinando il suo stesso identico pensiero.
Qualcosa si stava muovendo e loro dovevano sbrigarsi.
 

 
§

 
«L’arcipelago Pae?» domandò conferma Pen, studiando attento le carte nautiche che Bepo gli stava mostrando.
Clione aveva avvistato le isolette in mattinata, solo grazie al cielo particolarmente limpido e nel giro di poche leghe erano già diventate invisibili a occhio nudo ma Pen aveva voluto saperne di più. Si trovavano in quella zona perché lì gli indizi li avevano portati, e ogni atollo o lingua di terra abbastanza grande da fornire un attracco poteva essere il luogo che cercavano. O una perdita di tempo.
«Sono le isole di Manhu’ai, Mahalo e Kalakua» confermò, indicando con la zampona sulla cartina. «Questa zona del Nuovo Mondo ha un clima più mite e clemente, quindi è ben documentata Pen… ah eh, C-capitano» si corresse, gli occhi che già si perdevano nel vuoto per la gaffe. Pen sollevò la mano a grattarlo appena dietro un orecchio per calmarlo. Gli serviva sul pezzo e poi odiava vederlo mortificato.
«E questa?» indicò quella che poteva anche essere una macchia di caffè sulla pergamena tanto era piccola.
«Labula Island. Non è proprio un’isola, in realtà, ma nemmeno un atollo, è piccola ma non come Ramè» Bepo indico quello che stavolta sembrava davvero solo un segnetto lasciato per sbaglio. «Però data la distanza, Labula non viene neanche contata come parte dell’arcipelago. Comunque non fa molta differenza, è disabitata» si strinse nelle spalle l’orso.
«Okay» annuì Pen, rimanendo con gli occhi fermi sulla cartina ancora alcuni istanti.
Sì, okay. Ora sapeva che cos’aveva avvistato Clione. E quindi? Che tipo di informazioni gli dava quella scoperta? Come si sarebbero dovuti muovere?
Se c’era una cosa che proprio mancava loro, era il tempo. Il tempo per deviare dalla rotta prestabilita e permettersi di fare un altro buco nell’acqua. Sollevò piano la testa, puntando gli occhi verdi verso di lei, che assisteva all’altro lato del tavolo.
«Comunico le coordinate a Jean-Bart?» domandò e Pen stava quasi per lasciarsi andare ad un sorriso di sollievo quando Ikkaku aggiunse. «O proseguiamo secondo la rotta?»
Pen morse un’imprecazione tra i denti. Si era per un attimo illuso che Ikkaku stesse tra le righe dando il proprio parere e, francamente, trovava abbastanza fuori luogo sfruttare quella situazione per giocare alla “crescita psicologica del piccolo Penguin”. Sapeva che se ognuno avesse detto la propria si sarebbe generato il caos totale ma un consiglio glielo poteva anche dare, no?
Ma Pen sapeva anche che non c’era cattiveria nel suo comportamento, che Ikka, come Shachi e come tutti, aveva incrollabile fiducia nel Capitano e di conseguenza aveva incrollabile fiducia nelle ragioni che avevano spinto Law a sceglierlo come vice, tra cui apparentemente rientrava anche il suo presunto istinto.
E se né Ikka né Shachi parlavano, era per non influenzarlo, non certo per negargli un consiglio. D’altra parte Law credeva fermamente nel destino e tutti loro avevano imparato a fidarsi del suo fatalismo, che in effetti lo aveva sempre riportato sano e salvo a casa.
Solo che per Pen, stavolta, credere nel destino e nell’istinto risultava un po’ più complicato perché il destino e l’istinto erano lui. Lui che doveva scegliere e raramente veniva contraddetto, ma non è che le volte in cui lo avevano lasciato fare avessero portato a qualche svolta. Semmai qualche pallido e vago indizio, una caccia al tesoro fatta di enigmi che lui non era bravo a decifrare.
Non come Law, che quando prendeva una decisione tollerava i loro consigli non richiesti ma raramente li ascoltava e, puntualmente, dimostrava di aver avuto ragione.
Lui, d’altra parte non era Law, non era un capitano e, a dirla tutta, non fosse stato proprio per Law, non sarebbe stato neppure un pirata. Sarebbe rimasto un delinquentello da quattro soldi per tutta la vita e non avrebbe probabilmente mai lasciato Swallow Island, anche perché ci sarebbe morto dissanguato, se non fosse stato per Law.
Ma Ikka e Bepo e nessun altro di loro sembrava aver capito quella basilare informazione. 
Se solo… Dannazione, se solo Law fosse stato lì! Per potergli chiedere un consiglio o a fargli vedere dove sbagliava!
«…’tano! Capitano!» la voce di Ikkaku lo riportò indietro e Pen aprì bocca, senza sapere neanche lui cosa stava per ordinare, quando la porta si spalancò con un tonfo.
«Pen, la Marina!»
Il fiato gli si mozzò in gola mentre incrociava gli occhi di Shachi, che più di tutti, primo fra tutti, aveva insistito per iniziare a chiamarlo Capitano, nonostante i suoi divertiti tentativi di declinare, e ora lo chiamava per nome, chiamava suo fratello, con quella nota urgente nella voce di quando era imperativo decidere cosa fare e deciderlo in fretta, come quando da ragazzini si ritrovavano braccati e dovevano trovare un modo per uscirne, un modo che non contemplasse nel modo più assoluto di lasciarsi indietro o anche solo separarsi.
Pen conosceva bene quello sguardo e quella tensione. Pen sapeva cosa fare.
«Arrivo» annunciò senza esitare, aggirando veloce il tavolo, mentre sfilava la parte superiore della tuta, che aveva indossato quella mattina in uno slancio di nostalgia, legando le maniche intorno alla vita. In quattro falcate era fuori dalla sala comune interna, in pochi attimi aveva salito due rampe di scale, ancora qualche passo e si ritrovò sul ponte, a fissare a viso scoperto la corazzata di ridotte dimensioni che stava per incrociarli, la vela dell’albero maestro che, a differenza della loro, sfoggiava il gabbiano blu.
Per un momento, un moto di pura vergogna lo travolse, per aver fatto ridipingere il Polar Tang, per aver sostituito la vela nera con una anonima a righe, identica a quella di poppa e priva di Jolly Roger. Law si sarebbe indignato, ne era certo.
«Avviso Jean-Bart di prepararsi all’immersione» sussurrò Ikkaku che, neanche si era accorto Penguin, li aveva seguiti a ruota.
«No» rispose lapidario, senza staccare gli occhi dall’altra nave.
«Come?»
«Ho detto no»
«Pen, vuoi restare qua fuori a farti bers…»
«Ikka è un ordine, il mio» si girò verso di lei, che lo guardava scioccata e immobile sulla porta del castello di prua. «Immergendoci adesso, con una manovra d’urgenza, desteremmo molti più sospetti»
«Siamo in superficie con un sottomarino, non ti sembra che sia già abbastanza sospetto, Capitano?!» tornò indietro di due passi ma Pen non aveva né l’aria né l’intenzione di vacillare.
«Pen, Ikka ha rag…» fece per spalleggiarla Clione, solo per venire interrotto.
«Anche Pen» si fece avanti Shachi, mentre il rosso voltava nuovamente loro le spalle e avanzava fino al parapetto, ascoltando solo per metà Shachi che aggiungeva sottovoce: «Fidatevi di lui»
Era sempre stato così tra loro, in fondo. Shachi seguiva le tracce e indagava, lui li tirava fuori dalle situazioni più spinose, con faccia da schiaffi e trovate del momento.
E forse era solo un delinquentello di Swallow Island che sarebbe dovuto morire dissanguato ma il destino aveva messo Law sulla sua strada e ora era un pirata e forse non era il Capitano ma, in quel momento era un capitano, che doveva proteggere i propri fratelli e ritrovarne uno perduto, e come tale doveva comportarsi. Anche a costo di ridipingere il Polar Tang e nascondere il Jolly Roger.
«Tutto bene?!» una voce distante ma non troppo, portata dal vento, seguì lo sbracciarsi di uno dei marine.
Pen portò le mani a coppa intorno alla bocca e prese fiato. «Stiamo verificando un’anomali a uno dei motori! Sembra essere solo una piccola perdita, il nostro carpentiere è già all’opera!» urlò, restando poi in attesa che acqua e vento trasportassero il messaggio.
«Serve una mano?!»
«Siamo a posto!» ribatté subito senza esitare Pen. Altri marines stavano uscendo sul ponte e si rendeva conto che un sottomarino in superficie attirasse l’attenzione, Ikkaku non aveva protestato per niente. Lo stomaco prese a chiudersi, il coppino gli si imperlò di sudore. Sarebbe bastata una pioggia di granate per spedirli tutti sul fondo. «A meno che qualcuno di voi non sia diventato padre di recente e gradisca qualche Wapol Toys per il proprio pargoletto!»
Pen riabbassò le mani. Percepiva la tensione di Ikkaku, Shachi e Clione dietro di lui, così palpabile da poterla afferrare e sperava davvero che non stessero trattenendo il fiato. Se stavano dando loro la caccia e stavano solo prendendo tempo per un attacco a sorpresa…
«Mercanti della W.T.F. eh?! Non mi stupisce che giriate con un sottomarino, mi sa che il metallo ve lo mangiate anche a colazione! Se non riuscite a risolvere, comunque, a poche leghe da qui c’è l’arcipelago Pae!» indicò verso dove si trovavano più o meno le isole il marine mentre Pen si apriva in un sorriso.
Okay, sì, non era lo stile di Law ma lui non era Law, appunto, e ce l’aveva fatta. Ce l’aveva fatta anche stavolta.
«Grazie mille!» rispose, alzando un braccio in segno di saluto.
«Che il vento gonfi sempre le vostre vele!» rispose il marine mentre ormai la nave passava oltre, lasciandoli al loro galleggiare, che era durato già fin troppo.
Pen tornò con i piedi ben adesi al ponte, sia metaforicamente che non, lo sguardo duro come il diamante ora puntato verso le isole che non vedeva ma sapeva che c’erano.
«Comunicate a Jean-Bart le coordinate per raggiungere l’arcipelago» ordinò, tornando verso di loro per rientrare, senza realmente guardarli. Aveva bisogno di una doccia fredda e di recuperare un briciolo di autocontrollo, ora che il concreto rischio di venire bombardati e morire su quel fondale, conosciuto ma decisamente poco pericoloso del Nuovo Mondo, era rientrato. «Voglio essere là entro sera. Sbarchiamo a Manhu’ai e ci dividiamo in gruppi, Jean-Bart prosegue con il sottomarino e attracca a Kalakua, dove ci ritroveremo poi tutti. Noi intanto noleggiamo delle navi di piccola dimensione e ci fermiamo in ogni singolo centro abitato tra le isole principali, battiamo al tappeto l’intera zona, cerchiamo qualsiasi indizio. Tutto chiaro?»
Non erano arrivati fin lì per caso. Bivio dopo bivio, era vero, ma non per caso. E della bravura di Shachi di seguire le tracce, Pen non si sarebbe potuto fidare di più. Poteva esserci qualche indizio determinante, in una di quelle isole, glielo diceva l’istinto e Pen, una volta tanto, stava ascoltando.
A differenza dei suoi tre compagni forse.
Si girò, accigliato nel realizzare che non aveva ancora ricevuto una risposta.
«Sì, Capitano!» si mise sull’attenti Clione appena incrociò il suo sguardo interrogativo, in attesa di un segno che avessero sentito cos’aveva detto.
«Sì, Capitano» sorrise Shachi, con fraterno orgoglio, la bocca un po’ sghemba.
«Sì, Capitano…» soffiò Ikkaku a occhi spalancati.
Pen li osservò uno ad uno ancora un momento, prima di annuire e dirigersi verso il bagno.
 

 
§

 
Law era irrequieto.
Non che ci fosse niente di cui stupirsi, vista la situazione.
Era bloccato in quel luogo senza ancora un’idea di quanto stesse succedendo, Burkhard i bambini non li aveva certo fatti rapire per passatempo e forse si apprestava a muovere le prime pedine su quella scacchiera e, come se non bastasse, una brutta sensazione alla bocca dello stomaco lo aveva attanagliato quel pomeriggio.
Avevano fatto qualcosa di avventato, avevano rischiato, se lo sentiva, glielo diceva l’istinto. Per fortuna lo spasmo allo stomaco era passato com’era venuto dopo pochi minuti, a tranquillizzarlo che la sua ciurma l’aveva scampata, almeno per il momento.
Si chiese, mentre portava l’avambraccio sulla fronte, occhi grigi al soffitto della propria stanza, supino nella scomoda branda, cosa stessero combinando. Un mezzo sorriso fece capolino sulle sue labbra perché, nonostante tutto, era fiero di loro, fiero di Pen.
Sapeva che non sarebbero rimasti con le mani in mano e sapeva di averli affidati al migliore dopo di lui, capace di prendersene cura.
L’istinto, il suo istinto, non lo aveva mai tradito.
Era uno stratega, un calcolatore, ma anche nei suoi più dettagliati schemi c’erano sempre incognite e bivi, scenari imprevisti o previsti ma scartati e, in quei frangenti, persino lui si affidava alla propria impulsività. E al destino.
Law nel destino ci credeva. Lo aveva odiato visceralmente, ringraziato in segreto e mai ci si era piegato davvero. Semmai, con il fato lui ci collaborava, restando artefice della propria esistenza.
Certo, sarebbe stato più semplice potersi preoccupare solo per te stesso, non pensare di avere uno scopo lì, ma era inutile fingere che a tenerlo sveglio fosse solo il pensiero di come lui sarebbe riuscito a fuggire. C’era in ballo molto di più e Law non pensava proprio di essere disposto a lasciare che il Governo Mondiale continuasse a fare ciò che più gli aggradava, com’era capitato e capitava già troppo spesso.
Di sicuro, comunque, non gli avrebbe lasciato Laine, Governo o non Governo. Perché si rendeva ben conto di non avere prove concrete a parte l’opinione di Koala. Solo che lui, di Koala, si fidava.    
Era una sensazione a pelle, istintiva e Law, comunque, non poteva fare a meno di pensare che se lui, uno dei più grandi pirati della sua generazione, e uno dei migliori esemplari dell’Armata Rivoluzionaria si erano trovati in quel luogo, nello stesso momento, non era casuale.
Potevano farcela, non sapeva ancora come, e neanche cosa con precisione, ma se agivano insieme potevano farcela e Laine sarebbe stata al sicuro.
Lasciò scivolare il braccio sul materasso, gli occhi che gli si chiudevano per la stanchezza. Fece appena in tempo a rendersi conto che la direzione presa dai suoi stessi pensieri lo aveva rilassato, abbastanza da riuscire a prendere sonno, che già si stava addormentando.
   
  
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