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Autore: Stellato    02/02/2020    11 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Limiti 
 
 

 
Pollice, indice, medio, anulare, mignolo. Dita affusolate, da musicista, strette attorno al suo ginocchio in una presa dolce ma ferma, ad indicare intimità, possesso. 
Caro, poi. 
Col tono di un’effusione abituale, quotidiana, appena più dolce di come chiamava il suo nome al mattino. Perché dietro quell’ingenuo atto di insubordinazione alla linearità dell’esistenza c’era una persona così incapace di recitare una parte da risultare per paradosso talmente verosimile che avrebbe voluto credere lui stesso alla messa in scena. 
E adesso aveva il coraggio di star lì a guardarlo seria, la scintilla di divertimento ben nascosta nel recesso più profondo dei suoi occhi. 
Stava aspettando un suo contributo a quel gioco? Era impazzita? Regredita all’infanzia, a quel tempo brevissimo in cui avevano potuto davvero scherzare, prendere in giro le sue sorelle, inventare storie? 
Il senso dell’umorismo non le era mai mancato, ma crescendo Oscar aveva imparato a trasformare i suoi slanci in dignitoso sarcasmo, freddure pungenti di cui per altro era probabilmente lui l’unico testimone, che nulla avevano a che fare con questa buffonata. 
Aveva preso sul serio il suo “Fai tutto quello che ti passa per la testa”
Era forse una sfida? 
Lui non si sarebbe certo tirato indietro. 
 
Coprì con la propria la mano che gli aveva preso il ginocchio e la strinse delicatamente. 
Lei non ricambiava più il suo sguardo, ma intravide la risata trattenuta sulle sue labbra e un’ondata di candida felicità lo invase, come irradiata dalle loro mani congiunte. 
Questo gioco cominciava a piacergli molto. 
“Madame, siete dotata di un intuito più unico che raro! Sono sinceramente stupito del vostro spirito d’osservazione, come avete fatto a capirlo?” intervenne André, calatosi in un lampo nel ruolo del fidanzato perfetto. 
La signora era evidentemente deliziata, il marito per nulla. Si capiva che l’uomo dalla fitta zazzera corvina e con baffi ancor meno curati non attendeva altro che il momento per tornare al suo sonnellino in modo educato, guardandosi attorno vago, nonostante la piega succosa che avevano preso gli eventi nella carrozza e l’entusiasmo della sua consorte. 
“Ho un occhio per queste cose, credete! - si compiacque la donna dandosi un’aggiustatina alla parrucca - La lista di parenti e amici che hanno approfittato di questo mio dono per chiedermi consiglio o per trovare la propria metà è infinita… Gli innamorati poi si fa presto a scoprirli: hanno quell’aria che oscilla dal tormento all’estasi, si struggono anche quando non c’è motivo, come i cani che ululano alla luna. Nel vostro caso è stato molto semplice - si sporse verso Oscar come volesse garantirle una confidenza, che però sentirono tutti - questo giovanotto vi guarda come se non esistesse nulla di più bello al mondo; dubito che qualcuno cascherà per vostro il travestimento se continua così.” cinguettò amabile. 
 
Mancavano ancora quattro giorni alla fine del viaggio. Oscar aveva capito presto che non le piaceva affatto quel modo di spostarsi così lento, le soste continue, il disagio di condividere lo spazio della carrozza con degli sconosciuti. Soprattutto quest’ultimo aspetto le risultava estremamente faticoso; avrebbe preferito mille volte la spossatezza delle giornate a cavallo a quel senso di invasione costante. 
Ciò nonostante era lì a contraddirsi, a combattere con un discreto imbarazzo per lasciare di stucco André più che scherzare con quell’estranea svampita. 
Sì che gliel’aveva servita su un piatto d’argento, ma quello era il genere di sciocchezza che avrebbe improvvisato Sabine, non lei. La noia e il continuo rimuginare di quei giorni stavano avendo strani effetti, era evidente. 
Per di più, André non aveva per nulla accusato il colpo, tutt’altro; sembrava completamente a suo agio. 
Non restava che chiudere velocemente quello scambio ridicolo e lasciare la signora alle sue fantasie rosa, prima che iniziasse ad indagare oltre. 
 
“Avete ragione, madame. Dobbiamo proprio essere più prudenti.” dichiarò senza darle corda, e con un tono più perentorio che amichevole sfilò la mano dalla stretta da cui era partito tutto. 
Ma, inaspettatamente, venne riacciuffata subito. 
“Non è colpa mia se qualsiasi cosa indossiate siete sempre incantevole. Anche gli abiti maschili non possono nasconderlo.” Disse l’estraneo col volto di André, dandole del voi. E con un movimento fluido di consumata destrezza marziale a cui era stata applicata la galanteria, portò la mano in ostaggio alle labbra. 
Non la sfiorò neppure; fu solo il gesto, il calore di un respiro sulle dita, un guizzo seducente e ignoto nel verde conosciuto dei suoi occhi prima di lasciarla andare con un sorriso. 
 

 
Confusa, Oscar rimase a fissarsi la mano per un istante. 
Schiarì la gola per camuffare lo stupore e si accorse con qualche attimo di ritardo della signora che aveva continuato a insidiarli: elogiava le parole cortesi di André, il proprio intuito da sensale, la figura elegante di Oscar… parlava, parlava, parlava e André rispondeva, continuando la messinscena dell’innamorato con una naturalezza da attore navigato. Annuiva compiaciuto a quella raffica di complimenti rivolti a lei, come per rimarcarli, senza far caso all’imbarazzo crescente della sua vicina di posto, ormai del tutto pentita di aver dato vita a quello scenario che andava avanti da alcuni minuti. 
“… Ed è dotata di una costituzione talmente minuta che al massimo può sembrare un ragazzino, non vi pare? Una figura così sottile senza bustino è di per sé assai rara.” argomentò quella indicandole la vita. 
Oscar non sembrava in alcun modo intenzionata a commentare; doveva finirla lì, con una scusa qualsiasi, e segnalò la sua ritrovata indisposizione al dialogo con un’impercettibile gomitata al suo complice poco complice. 
“Ma ditemi, perché non vogliono che vi sposiate?” continuò imperterrita l’interlocutrice. 
Non fece in tempo a stroncare la domanda indiscreta che André intervenne: “Vedete madame, la nostra è una situazione difficile… per quanto sia intimamente convinto della vostra riservatezza e del vostro spirito caritatevole… preferirei evitare di entrare nei dettagli, vi chiedo perdono. Posso confidare nella vostra comprensione?” 
“Ma… neppure un accenno?” insisté quella, corrucciata. “Prometto di non chiedervi neppure i vostri nomi, rispetterò qualsiasi vincolo mi chiediate per garantirvi la segretezza, però ci terrei tanto a sapere cosa porta due giovani come voi a dover fuggire per far trionfare l’amore!” concluse con enfasi pestifera. 
Oscar, che aveva raggiunto l’apice dell’insofferenza, incrociò le braccia e chiuse gli occhi, lasciando quella patata bollente ad André, che sembrò disarmato dinnanzi ad un simile esempio di faccia tosta. 
Adesso cavatela da solo, monsieur loquacità. 
Lui si lasciò scappare un sospiro sconfortato. 
“Davvero, non saprei…” 
“Suvvia…” 
“Mi spiace, ma è meglio di no.” 
“Vi prego, potrei essere in grado di aiutarvi, magari se c’è bisogno di intercedere per qualcuno…” e in quella sfacciataggine si poteva scorgere la genuinità della donna. Impicciona, ma tenera a modo suo. 
“No, questo no, nessuno può farlo, madame.” dichiarò André improvvisamente serio. Una tensione diversa nella voce, una nota di amarezza nel fondo che risvegliò di colpo l’attenzione di Oscar. Lui chinò il capo, come gli fosse piombato un macigno invisibile sulle spalle. Continuò: “A meno che non vogliate convincere tutta la Francia che non è la differenza di rango a determinare la possibilità di amarsi tra due persone, non c’è molto da sperare.” Fissò a sua volta Oscar che lo guardava smarrita, disorientata dal cambio di registro; ormai era solo in quel gioco: “Per quanto io sia innamorato di lei da sempre, per quanto desideri votare la mia intera esistenza a starle accanto e a provare a renderla felice, comunque la si veda, agli occhi del mondo io resto solo un servitore e lei la mia padrona.” 
Non fu ciò che disse - tanti romanzetti d’ultimo ordine basavano la propria trama su quella stessa dinamica d’amore proibito - ma il modo. La disperazione all’ingiustizia che ne emergeva. 
Per un momento, persino la signora rimase senza parole. 
“Tognetta, vuoi lasciarli in pace?” sbottò seccato il marito della donna, che era rimasto muto e immobile fino a quel momento. “Hai fatto loro un interrogatorio… vedi di finirla; hanno i loro problemi.” 
La donna sembrava aspettarselo; roteò gli occhi infastidita a sua volta, ma la risposta arrivò dolce. 
“Va bene, va bene vecchio orso, lo so che devo farmi i fatti miei, ma li vedi anche tu questi ragazzi; sembrava avessero bisogno di una mano.” 
“Tognetta…” richiamò lui, cupo. 
“Non c’è niente da fare, sei proprio un vecchio orso.” si arrese lei. 
“Voi due, siete fin troppo educati.” disse ancora bruscamente il marito rivolgendosi ad Oscar e André, che non si aspettavano quella specie di rimprovero. Dopo ancora un istante l’uomo aggiunse: “Fate attenzione.” 
E il viaggio continuò in silenzio, fino alla successiva stazione di posta. 
 
*** 
 
Si era guardata bene dall’aprire di nuovo bocca. Anche al pranzo, Oscar non aveva che sfiorato il cibo per poi lasciare il tavolo con la scusa di sgranchirsi le gambe prima di rimettersi in carrozza. 
Nulla che André non si aspettasse, ma adesso era lui a sentirsi troppo scosso per far finta di nulla e commentare l’accaduto. 
Come lo aveva guardato. 
Oscar poteva essere ottusa a riguardo, ma stavolta aveva scorto nei suoi occhi un barlume di consapevolezza, di dubbio. Di panico. 
Di fatto, lo sfogo finale di André aveva suggerito un’ipotesi troppo reale, troppo vicina a una possibilità per non sentirne gli effetti collaterali di imbarazzo.  
Davvero era stato così patetico? 
Aveva capito qualcosa? 
Cosa diamine gli era preso? 
Erano settimane che il suo autocontrollo perdeva colpi, che cedeva alla voglia di avvicinarsi a lei, ad ogni occasione. 
Forse era iniziato anche prima, all’incirca da quando Sabine era entrata nelle loro vite; come se il caos che aveva portato questo nuovo elemento avesse in qualche modo danneggiato il fermo alla porta dei suoi desideri. 
Per quanto poteva continuare? 
Era in momenti come quello che le parole di sua nonna tornavano a tormentarlo e per lunghi istanti pensava davvero di scappare. 
La sedia che era stata occupata da Oscar venne spostata rumorosamente. André sollevò lo sguardo e si ritrovò dall’altro lato del tavolo l’uomo silenzioso della carrozza, con tanto di tovagliolo sporco di sugo rappreso ancora annodato accanto al collo. 
La moglie l’aveva paragonato a un orso, ma ad André ricordò per lo più un rapace; quegli occhi scavati e scuri sembravano puntare alle cose, anziché limitarsi a osservarle e ritrovarseli addosso senza preavviso non lo lasciò indifferente. 
“Prendi questi.” disse senza altre introduzioni, lanciandogli un sacchetto sonante delle dimensioni di un pugno. Erano soldi, e neppure pochi. 
“Cosa? Ma… perché?” 
Delle spesse sopracciglia dell’uomo se ne sollevò una sola, e un ghigno accennato simulò un sorriso. 
“Per il matrimonio. Auguri, ragazzo.” fece per andarsene, e solo in quel momento André notò la moglie che lo attendeva ad un tavolo dall’altro lato della locanda. 
“Perdonatemi monsieur! - lo fermò lui - Davvero non posso accettarli, ma vi ringrazio!” blaterò velocemente colmo di vergogna. 
Ci mancava solo questa. 
L’uomo non riprendeva il sacchetto né rispondeva; guardò solo la mano tesa che glielo porgeva e poi il volto di André, scrutandolo. Sembrava ponderare ogni sillaba delle poche che si lasciava sfuggire, era chiaro. 
Si decise a riprendere la borsa con il danaro e al suo posto mise un foglio piegato su cui si potevano riconoscere le stesse macchie di sugo che erano sul suo tovagliolo; doveva averlo scritto durante il pranzo. 
“Ascolta: se volete uscire dal paese e state andando in Italia, a Firenze puoi lavorare bene. Se sei uno sveglio, puoi. Qui c’è l’indirizzo di mio cognato, mostragli il biglietto e saprà che ti raccomando io.” 
E non aspettò nessuna risposta o ringraziamento, semplicemente si voltò per tornare al proprio tavolo, lasciando André con il foglio e il disagio misto a senso di colpa per l’accaduto. L’aspetto di quel tipo sembrava losco, ma a modo loro sia lui che la moglie erano stati estremamente generosi e la mortificazione di aver scherzato con due brave persone contribuì al magone che gli serrava la gola. 
Girò nel bicchiere ormai vuoto le ultime gocce del vino e portò ugualmente il calice alla bocca, provando a recuperarne il sapore da quella minima quantità. Con lo stesso meccanismo, sapeva che la sua fervida immaginazione gli avrebbe proposto l’intera sequenza di ciò che avrebbe potuto essere la sua vita con Oscar grazie a quei brevi istanti in cui aveva potuto giocare ad essere suo. Ridicolmente suo. 
Che sogno sarebbe stato. 
In fuga, innamorati, alla faccia del mondo. 
Come avrebbe potuto essere la loro storia senza le regole degli altri, se anche lei l’avesse voluto. 
Lo sguardo gli cadde sul biglietto che gli aveva lasciato il tizio della carrozza; provò a leggerne il contenuto, conciso come la parlantina del mittente, ma si rivelò un’impresa impossibile: non solo la grafia era un oltraggio alla nobile arte della scrittura, ma era proprio in un’altra lingua. Un misto tra il francese e l’italiano avrebbe detto, e collegò a quello lo strano accento e il modo in cui i due coniugi raddoppiavano consonanti a casaccio. 
Ripose il biglietto nella giacca e uscì a cercare Oscar, che con la sua stessa aria meditabonda se ne stava ad osservare un fiumiciattolo lì nei pressi. Dalla penombra delle rive saliva un gracidare di giovani rane, un chiasso estivo e confuso di cui non si vedevano le autrici, nascoste nella fitta vegetazione sottostante. 
 
“Pare che faremo un altro tratto di strada con loro, quei due sono ancora qui nella locanda.” 
Oscar annuì inespressiva, ma chiaramente non ne era affatto contenta. Di tutti i passeggeri con cui avevano condiviso la carrozza, non era ancora capitato di viaggiare con la stessa compagnia per più di una mattina. Doveva accadere proprio con quei due. 
“Ti immagini se scendessero a Grasse anche loro?” continuò André, e finalmente ottenne una reazione. 
“Per carità.” disse lei. 
“Ancora un giorno e la signora si proporrà come testimone alle nostre nozze, io te lo dico.” 
Il tentativo di alleggerire la tensione non funzionò, Oscar non diede cenni di gradimento. Raccolse un sasso tondeggiante e ne saggiò il peso, prima di scagliarlo nel fiume con forza, ammutolendo le rane. Sembrava ancora più nervosa di prima. 
Stava per raccontarle di come il tizio della carrozza avesse anche provato a donargli del danaro, ma lei scelse quel momento per affrontarlo con un umore peggiore del previsto. 
“Non ti sembra di aver esagerato, prima?” 
Senza riuscire a capirne il motivo preciso, si sentì infastidito a sua volta dal tono di Oscar. 
“Io? Stai dimenticando di aver cominciato tu quella storia?” 
“È vero che ho iniziato io a scherzare, ma ci sono dei limiti.” 
“E chi decide quali sono i limiti? Sempre tu, giusto?” 
Lei non mosse un muscolo del viso, con la stessa tensione si girò solo a fronteggiarlo, ad un passo da lui, faccia a faccia, come a sfidarlo a provare a ripetersi. 
“Scusa - continuò André, con ironia tagliente - ho esagerato di nuovo? Dovevo stare al mio posto, Oscar?”  
Doveva essere diventato folle. 
Sapeva perfettamente che l’avrebbe fatta arrabbiare ancora di più e si dirigeva esattamente in quella direzione, come una falena suicida alla fiamma. Perché voleva provocarla, quando lui stesso si pentiva di come erano andate le cose prima? 
“Ma che stai dicendo, André? Ti ho mai trattato come se dovessi stare al tuo posto? Non sai neppure che significa!” 
“E allora spiegami bene di cosa stai parlando, visto che tu vuoi provare ad essere diversa, puoi fare quello che ti pare, ma come risultato vengo assalito io per essere stato al gioco!” 
Gli occhi di Oscar erano fiamme azzurre puntate nei suoi. Lei era in imbarazzo, un imbarazzo furioso che non si aspettava di esser contraddetto, e quello sguardo, che solitamente aveva il potere di paralizzarlo, non fece altro che incendiare ulteriormente la ribellione alla razionalità di André.  
“Cosa ti ha infastidita, Oscar? Sentiamo.” 
“Sei arrivato ad inventarti quella storia…” sibilò lei guardando altrove. 
“Cos’aveva di strano?” 
Lei si portò le mani alla fronte, come se volesse bloccare un mal di testa. Era un dietrofront insperato, debole. 
“Nulla, va bene? Hai ragione tu, non hai esagerato, contento?” 
Ma André non era contento. 
Diede la colpa al viaggio, ai cambiamenti, al caldo, alla signora della carrozza, a sua nonna. 
La prese per le spalle, aspettando che lo guardasse ancora. Per qualche motivo misterioso lei non andò via; rimase immobile e svuotata dello spirito combattivo di poco prima. Così vicina. 
“Oscar?” 
Quel volto elegante restava teso, lo sguardo inafferrabile puntava altrove, denso di pensieri che non riusciva a indovinare, ma su cui continuava ad interrogarsi, portandolo a uno stato di inquietudine mai provato in sua presenza. 
Anche solo respirare gli costava fatica; inghiottì a vuoto senza accorgersi di fissarla da troppo tempo, completamente rapito. 
Le avrebbe detto tutto, lì e in quel momento. Avrebbe giocato a carte scoperte, per poi decidere del futuro a seconda delle sue reazioni. 
Perché i limiti esistevano per essere superati. 
 
“Anche tu, André… vorrei sapere che cavolo ti è preso, oggi.” disse infine lei, con insperata dolcezza. “Non voglio litigare.” concluse sottovoce. 
E l’audacia di André si sciolse come il ghiaccio ad agosto, completamente domato nel vederla così esposta, così… tenera. 
Doveva difenderla anche da se stesso. 
Era stato bellissimo vedere i suoi timidi segnali di apertura verso il mondo delle ultime settimane; lui doveva solo sostenerla. Proteggerla. Non era il momento di dichiarazioni senza speranza. 
“Neppure io voglio litigare, Oscar.” 


 
“Ehilààà!” chiamò la voce che avevano sentito fin troppo, quel giorno. Istintivamente, André lasciò la presa, colto in flagranza di reato. “Si riparteee!” urlò ancora la signora a squarciagola sventolando le braccia. 
Oscar commentò con un verso nauseato e portò ancora le mani alle tempie. 
“Senti, avevo promesso a mia madre di fare questo viaggio in diligenza, ma ne va della mia salute mentale. Ormai siamo a metà strada; se prendessimo dei cavalli accorceremmo i tempi di almeno un giorno, anche di più se facciamo poche soste. Il bagaglio può anche arrivare dopo, ma noi saremmo liberi di muoverci col nostro ritmo… cosa ne pensi?” 
André ridacchiò. “Se ti dicessi che me lo aspettavo?” 
La vacanza era appena iniziata, era il momento di continuare a sorprendersi. 
“…Vedrò di fare di peggio, allora.” 
 
*** 
 

 
Il piccolo centro abitato di Grasse se ne stava arroccato sulla cima di un colle, ma l’insieme di fioriture e campi coltivati, segno dell’intensa attività su quella terra baciata dal sole, si distendeva senza soluzione di continuo in tutta la valle, in un insieme di macchie ordinate di colore luminoso: i pendii pettinati di lavanda alternati al giallo carico del grano maturo. 
Oscar respirò l’estate, l’eco del cavallo di André accanto al suo nella cavalcata a perdifiato, la libertà di trovarsi in un luogo del tutto sconosciuto. Un istante così perfetto non accadeva da tanto, troppo tempo e ne ebbe quasi paura, perché le cose preziose hanno la tendenza a infrangersi. 
Arrivati in zona non gli ci volle molto per orientarsi: le indicazioni ricevute dai viandanti lungo la strada si rivelarono assai precise data la fama della Maison Florentin, e giunsero all’ingresso principale il mattino del sesto giorno, ancora prima del previsto. 
Rimasero entrambi sorpresi dalla costruzione, che non si limitava semplicemente ad una grande villa, come più volte avevano immaginato ascoltando i discorsi di Sabine; Maison Florentin poteva essere un paesino a sé. Attorno alla struttura principale, che era sì di dimensioni paragonabili a palazzo Jarjayes, ma assai meno ricercata, si ergevano una serie di dependance e poi capannoni, a perdita d’occhio giù per i pendii. La produzione della nota casa di profumi si sviluppava tra quelle mura e i campi fioriti e un gran via vai di gente si susseguiva in attività di ogni genere a loro ignote, e per un po’ Oscar e André rimasero lì, ipnotizzati dallo spettacolo, fin quando si sentirono richiamare. 
“Ehi, voi due!” la voce suonò allegra e senza cerimonie. 
Con gli abiti impolverati e scarmigliati dal viaggio di certo non avevano un aspetto molto signorile, ma quell’approccio informale li prese comunque in contropiede. 
“Cosa posso fare per voi?” domandò la donna di mezza età con un carretto colmo di rose, un’apparizione che fuori da quel contesto sarebbe stata quanto meno fatata. 
“Cerchiamo la baronessa de Plantier… è qui?” chiese Oscar improvvisamente in dubbio su un punto cardine. 
La signora annuì, per fortuna. Chiamò qualcuno per i loro cavalli e poi scrutò lo spiazzo del cortile principale, per puntare ad una bimba minuta e bionda che non doveva avere più di sei o sette anni. Con un ingombrante gatto grigio tra le braccia, il duo se ne stava talmente immobile da sembrar finto, una bambola inespressiva e un animale impagliato, su una panca assolata. 
“Magali, vuoi accompagnare questi ragazzi dalla baronessa?” 
La bimba non rispose subito. Non era propriamente ostile, ma di certo disinteressata ai due ospiti appena arrivati. Guardò la signora che l’aveva interpellata senza nessuna fretta. Il suo abitino di mussola sbiadita cozzava con quell’atteggiamento senza rigore che di norma non sarebbe stato concesso neppure ad una padroncina, soprattutto con degli ospiti. Ma pure se nell’aspetto ricordava la figlia di una domestica o un aiuto nelle cucine, era strano che si trovasse lì con le mani in mano, mentre attorno a lei il cortile brulicava di operosità. 
“Da Sabine?” 
“Sì cara.” 
La bimba dallo sguardo spento lasciò il gatto e si mise in piedi, e finalmente sembrò far caso ad Oscar e André. 
“Perché sei vestita da maschio?” chiese candida ad Oscar, dopo una sola occhiata. 
André si mise a sghignazzare, ma la signora che li aveva accolti sembrò mortificata e rimproverò blandamente le maniere di Magali che aveva dato voce ai suoi stessi dubbi in un modo tanto innocente. 
“Insomma, li accompagni tu o devo andare io? Su, su.” La spronò quella. E i due si incamminarono al seguito della strana bimba che continuava a squadrare Oscar con occhiate in tralice prive di entusiasmo. 
“Sei un’amica di Sabine?” chiese ancora Magali senza alcun timore. 
Oscar era a disagio; non era mai stata apostrofata con tanta confidenza da uno 
 scricciolo simile. Nella sua scarsa esperienza non poteva dire di cavarsela male, le riusciva facile piacere ai bambini… almeno fino a quel momento. 
“Sì, non la vedo da qualche tempo e lei non sa che sarei venuta a trovarla, quindi sono un po’ emozionata. - provò a rompere il ghiaccio. - Tu ti chiami… Magali, giusto?” 
“Anche io sono sua amica.” dichiarò la bimba con fare possessivo, ignorando il resto. 
 
Arrivati avanti uno dei capannoni, lo scricciolo scontroso fece loro cenno di aspettar lì all’ingresso e entrò da sola, ancora una volta senza un’ombra di cortesia nei loro confronti. 
“Bel caratterino, eh?” commentò André. 
“Spero che Sabine sia un po’ più contenta di lei di vedermi.” aggiunse Oscar. 
Non ci fu il tempo di aggiungere altro. Un turbine di abiti fioriti corse loro incontro, perdendo il fichu dalle spalle nella furia, i capelli al vento, le braccia tese. Si lanciò su Oscar chiamandola per nome e nella stretta senza se e senza ma in cui l’accolse disse solo più volte: 
“Grazie… Grazie di essere qui.” 
 
 
 

 

  
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