Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: _Malila_Pevensie    07/02/2020    1 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 8
- QUESTIONE DI ABITUDINE, PARTE PRIMA: ARCO E FRECCE -


Quando Freya si risvegliò il sole non si era allontanato poi di tanto dall'orizzonte; probabilmente era trascorsa appena un'ora dall'alba. Nonostante il giorno prima fosse stato piuttosto pesante e la nottata fosse stata disturbata dalla visione, si sentiva piena di nuova energia e pronta per esplorare il castello e i suoi dintorni; sentiva l'assoluto bisogno di trovare un luogo dove poter respirare, di tanto in tanto, e non sarebbe stata del tutto tranquilla finché non lo avesse visto con i propri occhi. Dato che Mirea in persona l'aveva autorizzata a lasciare il perimetro del castello, tanto valeva dare un'occhiata ai boschi che lei stessa le aveva nominato.
Seppur restia a lasciare il calore delle coperte la giovane si alzò e si diresse al baule pieno di abiti. Avrebbe voluto indossare i propri vecchi indumenti per facilitarsi la cavalcata, ma il giorno prima Malia li aveva prelevati per farli lavare e rammendare, perciò non poteva far altro che cercare un vestito comodo e sperare che non la intralciasse troppo. Indossò quello più semplice che trovò: un abito di pregiato tessuto filato color ametista, con le maniche all'avambraccio bordate di un resistente merletto, così come lo scollo squadrato e il bordo che le sfiorava i piedi fasciati dai suoi stivali di pelle. Erano l'unica cosa ad esserle rimasta, insieme alle strisce di cuoio con cui si fasciava le mani quando aveva intenzione di usare a lungo il suo arco: se ne avesse avuta la possibilità si sarebbe anche allenata al tiro, perciò prese anche quelle. Per ovviare alla mancanza della sua giubba di pelle si procurò un mantello che, oltre a evitarle di patire il freddo del mattino, avrebbe protetto arco e faretra, ben assicurati alla sua spalla.
Infine uscì dai suoi appartamenti. I corridoi del palazzo erano deserti e così le fu più semplice dirigersi alle scuderie, dove sapeva di trovare Stellato, senza essere sottoposta alle occhiate curiose degli abitanti della corte. Non che ne avesse visti molti, fino a quel momento. Non appena mise piede fra le lunghe file di vani che ospitavano soprattutto i cavalli dei soldati, trasalì nel ritrovarsi la strada tagliata dal capitano Craius.
«Lady Freya» s'introdusse rispettosamente l'uomo, inchinandosi.
«Comandante Craius, sono lieta di rivedervi» asserì lei con cortesia, adeguandosi alla sua formalità.
«La Regina Mirea mi ha incaricato di aiutarvi nel caso doveste avere qualche problema e mi ha chiesto di mostrarvi dove è stato alloggiato il vostro stallone. Riteneva che avreste avuto voglia di cavalcare un po' per le terre attorno al palazzo» la informò il comandante, mentre le faceva segno di seguirlo. «Ha intenzione di lasciarvi una parte della libertà cui siete abituata.»
Domandarsi quale parte di libertà le sarebbe stata lasciata e quale tolta fu inevitabile. Giunsero in un angolo delle stalle un poco separato dal resto e, dalla pulizia anomala per quella che doveva essere una scuderia, Freya comprese che lì dovevano essere tenuti i cavalli della famiglia reale, sottoposti alle cure più attente. Dopo averlo individuato, corse impaziente verso il box dove era stato riposto lo stallone il giorno precedentee ne aprì il cancelletto; subito il cavallo le sbuffò il suo fiato caldo sul viso, felice di vederla.
«Ciao bello...» mormorò la ragazza con dolcezza mentre gli accarezzava piano il muso vellutato. Notò che Stellato era stato strigliato con cura e nutrito a dovere.
«Avete bisogno di aiuto per sellarlo, milady?» le domandò il comandante.
«No, ma vi ringrazio per la vostra premura, capitano» ribatté la giovane con gentilezza.
Craius s'inchinò ancora, asserendo: «Allora il mio compito è terminato, per ora.» Fece per voltarsi e andarsene, ma poi sembrò cambiare idea e aggiunse da sopra una spalla: «Accettate la mano che vi viene tesa, Lady Freya. Avrete molte più opportunità qui che dove siete stata fatta crescere. Ma non pretendete più di quanto siano disposti a concedervi.»
Freya rimase per un attimo immobile accanto allo stallone, le briglie inerti fra le mani. Era un avvertimento? Un brivido le corse lungo la spina dorsale, mentre cercava di capire che significato attribuire alle parole di Craius. Si riscosse solo quando Stellato scalciò, forse avvertendo il suo nervosismo. Non aveva senso rimuginarci; sapeva a cosa sarebbe potuta andare incontro, quando era partita, e ora sarebbe andata fino in fondo. C'era molto altro ancora da scoprire ad Errania, lo sentiva.
Finì di sellare Stellato e poi montò sulla sua groppa. Con la smania di uscire all'aria aperta e di poter riassaporare la pace della solitudine spronò il cavallo ad uscire dalle stalle. Percorse al trotto il cortile sul lato nord del castello e uscì diretta verso le pianure punteggiate di boschetti che circondavano il palazzo. Affondò con delicatezza i talloni nei fianchi di Stellato e il passo dello stallone si fece sempre più rapido. Non appena si ritrovò al di fuori dei possedimenti del castello, Freya sentì una sorta di pressione abbandonarla. Raddrizzò la schiena, lasciò scivolare le briglie sulla sella e aprì le braccia, mentre il cavallo continuava la sua corsa. Nonostante tutti i privilegi di cui avrebbe potuto godere, sentì che nulla avrebbe potuto compensare ciò a cui avrebbe rinunciato. Ogni scelta aveva però il suo prezzo e questo si faceva sempre più chiaro in lei; quanto sarebbe stato alto, l'avrebbe stabilito il tempo. Tornando alla realtà,  recuperò le briglie e così il controllo delle proprie emozioni.
Il bosco che aveva scelto come propria meta si profilava all'orizzonte come una frastagliata linea smeraldina, che Freya e Stellato riuscirono a raggiungere nel giro di un paio d'ore. Quando superò il primo gruppo di alberi il sole era già alto nel cielo. Rallentò l'andatura per stare più attenta ai rami bassi degli alberi e, come il giorno in cui aveva iniziato il suo viaggio con Stellato, Freya notò che il cavallo era sorprendentemente agile. Cullata dal suo passo regolare, si concesse tutto il tempo necessario per ammirare quel luogo.
Una volta in più, si ritrovò ad osservare come ovunque la natura riuscisse a dar vita alle proprie meraviglie e a dare sfoggio della sua imperturbabile magnificenza. Quel bosco non era vasto come le Foreste di Confine e gli alberi che lo componevano non erano grandi come le sue querce secolari, ma irradiava un senso di protezione che avvolse Freya nelle sue calde braccia. Respirò a pieni polmoni, cercando di immettere poi nel sospiro che lasciò le sue labbra tutta la tensione accumulata.
Vagò a quel modo fino a che non trovò un posto che le sembrò fare al caso suo; era una piccola radura muscosa nel cuore del bosco, custodita al suo interno come una perla rara. Fiori estivi ne contornavano il perimetro, dondolando alla brezza leggera che ora si era fatta calda e aveva costretto la giovane a togliersi il mantello. Quello era il posto ideale per proseguire il proprio allenamento solitario: gli alberi le avrebbero fornito ottimi bersagli a cui puntare e le grandi pietre coperte di muschio di cui era disseminata la radura avrebbero messo alla prova la sua agilità. Vi trascorse la parte restante della mattinata, tirando con l'arco come aveva progettato o anche solo restando sdraiata a terra con gli occhi chiusi, ascoltando in tranquillità i rumori che le si spandevano intorno e cercando di ricondurli alla propria fonte.
Ebbe finalmente il tempo di ripercorrere tutto ciò che era accaduto il giorno prima. Tentando di restare quanto più razionale possibile rivisse nella mente ogni singolo istante dell'incontro con la Regina, ogni parola che era uscita dalla sua bocca e iniziò a porsi le prime domande. Cos'era successo prima che Mirea arrivasse sul luogo dove suo padre aveva perso la vita? Quali erano gli eventi che si erano susseguiti in quel punto cieco della tragica storia della sua famiglia? E per quale ragione sua madre era scappata così, senza mai guardarsi né tanto meno ritornare indietro nemmeno quando i fautori dell'attentato erano stati catturati? Più di tutto era questo a tormentarla, come una spina sottopelle, perché non riusciva a capacitarsi di cosa avesse spinto Eleana a prendere la decisione di andarsene per sempre. Aveva forse avuto paura che Errania non fosse più un posto sicuro per crescerla?
Passò così un tempo interminabile, ma quando il peso di quello che le aveva raccontato Mirea si fece tanto schiacciante da arrivare a soffocarla, Freya decise cambiare il corso dei propri pensieri. Come si sarebbe dovuta aspettare, virarono inesorabilmente verso Aran. Per lunghissimi minuti rivide semplicemente i suoi occhi grigi, il suo viso e ogni emozione ed espressione che aveva visto attraversarlo; poi, passò a domandarsi come fosse stato possibile avere avuto tanta fiducia in un estraneo da parlare a cuore aperto come aveva fatto durante la loro lunga passeggiata, a come potesse avvertire quella strana familiarità ogni volta che pensava a lui; infine, si ritrovò a dover ammettere di non avere nessuna risposta razionale alle sue domande, solo lo strano desiderio di rivederlo ancora. Fu a quel punto che un inspiegabile calore le salì fino alla punta delle orecchie; dandosi della sciocca, si rimise in piedi, ripulì i propri abiti dai residui di muschio e corteccia e riprese la strada per il castello, imponendosi di non formulare più simili pensieri.
La cavalcata di ritorno fu più lenta di quella di andata, ma nel primo pomeriggio fu comunque nuovamente a palazzo. Il cortile era brulicante di vita e Freya si mosse veloce e silenziosa fra maniscalchi alle prese con la ferratura dei cavalli, servi che correvano recando otri piene d'acqua con cui rifornire le cucine e soldati tintinnanti nelle loro cotte di maglia appena lucidate. In ogni caso, erano tutti così indaffarati da fare ben poco caso a lei.
Riportò Stellato alle scuderie e si prese cura di lui con estrema attenzione, assicurandosi che fosse ben pulito e avesse cibo a sufficienza. Quando si decise a lasciarlo e si accinse a uscire, rimase sorpresa nel vedere Aran avanzare nella selva di vani. Aveva un'aria calma e rilassata e non appena la individuò, sorrise. Non si abbigliava come un nobile, notò Freya, ma come un semplice combattente; sembrava pronto per lanciarsi in un duello, in effetti. La giovane rispose al suo sorriso, mentre lui si avvicinava e posava con dolcezza una mano sul collo dello stallone.
«È un animale magnifico» commentò, perdendosi anche lui nello sguardo bruno e gentile di Stellato. «Ero riuscito a vederlo solo di sfuggita, il giorno in cui lo portarono qui dall'allevamento. Ora scopro a chi era destinato.»
«Allevamento?» domandò la giovane, incuriosita.
Aran annuì. «Gli stalloni di Riagàn provengono da un allevamento privato appartenente alla famiglia reale da molti secoli. Ricevere in dono uno di questi cavalli è considerato un grande onore. Sono i cavalli dei re» le spiegò.
Freya sgranò gli occhi. «Non ho mai dubitato dell'enorme valore di Stellato, ma non avrei mai immaginato nulla di simile» rispose, osservando tutta la sua possanza e maestosità.
Fu la volta di Aran di rivolgerle uno sguardo interrogativo. «Stellato?»
La ragazza annuì. «Sì, Stellato. Ha risposto immediatamente a questo nome.»
Come a darne conferma, l'animale diede un lieve nitrito e le si fece più vicino. Presto l'attenzione di Stellato fu però catturata nuovamente da Aran, che sembrava aver preso in simpatia. Dopo aver annusato con interesse il volto del giovane, gli sbuffò fra i capelli, arruffandoli, e Freya non poté trattenersi dal ridere. Aran non sembrò prenderla male, anzi; scoppiò anche lui in una risata divertita, continuando a lasciargli lievi carezze sul muso. Solo dopo qualche istante di piacevole silenzio il ragazzo parve ricordare il motivo per cui era andato a cercarla.
«Io e mio fratello stiamo per allenarci nella scherma e nel tiro con l'arco al campo di addestramento. Mi chiedevo se ti andasse di assistere» domandò, con la sua consueta cortesia.
Un altro sorriso illuminò il volto di Freya. «Accetto volentieri, ma solo se mi sarà consentito di partecipare.»


A quell'ora il campo d'addestramento era ancora gremito di soldati, nonostante la maggior parte di loro preferisse allenarsi nelle prime ore del mattino. Alcuni, notò Freya, erano già sfiniti e grondanti di sudore, reduci da lunghi turni di guardia soffocati nelle pesanti armature.
Aran la condusse verso un grande spiazzo, sul cui sfondo si allineavano perfettamente distanziati cinque bersagli. Darrah era già lì e con gesti secchi e quasi bruschi stava controllando che il suo arco fosse incordato. Non appena li notò il suo sguardo si posò critico su Freya e sull'arma che lei stringeva nella mano destra, come se dubitasse che fosse anche solo in grado di prendere la mira.
«Credevo che avreste solo assistito, Lady Freya» affermò con aria scettica, inarcando le sopracciglia.
Nonostante sapesse perfettamente di dover imparare a moderare i propri toni, a quella frase arrogante la giovane non poté trattenersi dal rimandare una risposta tagliente: «Perché non mi mettete alla prova, Lord Darragh?»
L'espressione che attraversò il viso di Darragh fece quasi scoppiare a ridere Aran, il quale si trattenne solo per non irritare il fratello; conosceva molto bene la sua suscettibilità. Doveva però ammettere che vedere qualcuno tenergli testa a quel modo fosse sorprendentemente piacevole.
Furono i due ragazzi a iniziare: mirarono entrambi, a turno, tutti e cinque i bersagli. Freya notò che Aran si destreggiava meglio di Darragh con l'arco, arma adatta a guerrieri capaci di pazienza, costanza e mira. Sospettava però che entrambi preferissero la spada. Nonostante questo, i bersagli furono tutti trafitti dalle loro frecce.
Quelle scoccate da Aran erano ancora conficcate nel legno coperto di stoffa quando Darragh tornò a rivolgersi a lei: «Vediamo se siete in grado di colpire l'esatto centro del bersaglio senza estrarre le frecce già tirate da Aran» la sfidò, un sorrisetto superbo a incurvargli le labbra.
Aran parve visibilmente contrariato dai modi di fare del fratello. Gli si avvicinò e disse: «Mi pare che tu stia dimenticando le buone maniere, quest'oggi.»
Darragh lo fulminò con un'occhiataccia, ma prima che potesse aprire bocca per ribattere Freya intervenne, un sorriso quieto in volto. «Non ti preoccupare, Aran, sarò ben felice di soddisfare la curiosità di tuo fratello.»
Dopo aver controllato che l'arco fosse ben incordato con gesti sapienti e delicati, la giovane studiò i cinque bersagli. Aran era stato piuttosto preciso: la maggior parte delle frecce era arrivata a colpire entro due anelli dal centro; l'ultima l'aveva colpito senza il minimo scarto. Era quella a rappresentare un potenziale problema, ma se si fosse concentrata avrebbe potuto anche farcela. Non si dava mai per vinta prima di aver tentato.
Prese posizione di fronte al primo bersaglio, estraendo dalla faretra una delle sue frecce dall'impennaggio color cenere. Con estrema concentrazione la incoccò e dopo aver tirato la corda fino alla guancia, tanto da sentir le piume solleticarle la pelle, iniziò a regolarizzare il proprio respiro. Inspirare ed espirare: le due azioni riempirono la sua mente, mentre davanti a lei si stagliava nitido solo il bersaglio dai colori sgargianti. A quel punto, si sforzò di percepire solo lo strumento fra le sue mani: il legno che stringeva fra le dita, lucido e intarsiato, la corda, le piume dell'impennaggio che le sfioravano il viso.
Tutto accadde nel giro di qualche secondo. Freya scoccò la freccia dritta verso il cuore del suo obiettivo, senza vacillare di nemmeno un pollice. Procedette poi a fare lo stesso con i restanti tre bersagli dal centro libero, senza minimamente curarsi dei due ragazzi ancora alle sue spalle o di qualsiasi altra cosa le stesse intorno. Quando si ritrovò davanti all'ultimo, si fermò. Aver centrato tutti gli altri non le garantiva di riuscire anche con quello, dal quale avrebbe dovuto tentare di scalzare la freccia già piantata. Ripetè perciò la solita procedura di focalizzazione, ponendovi ancora più energia e concentrazione, prima di lasciar andare per l'ennesima volta la corda tesa. La freccia sibilò nell'aria, mentre lei la seguiva con lo sguardo. Senza la minima deviazione, precisa come un pensiero, la freccia centrò quella già scoccata dal figlio di Mirea, tagliandola in sottili listelli che si aprirono come i petali di un fiore che sboccia alla luce del sole.
La stessa Freya non potè che lasciarsi andare a un sorriso meravigliato, stupita dalla propria stessa prova. Non avrebbe mai pensato di poter arrivare a raggiungere un simile risultato, eppure quella era la dimostrazione che anni di pratica stavano dando i propri frutti. Fu a quel punto che si ricordò della presenza di altri individui in quel luogo. Le guance le si imporporarono quando si rese conto che tutti avevano cessato le loro attività e, in un silenzio totale, fissavano i bersagli senza far nulla per celare la loro sorpresa.
Aran le si avvicinò a bocca aperta. «Devo chiederti davvero perdono per aver pensato che l'unica cosa che potessi fare fosse assistere. Sono stato presuntuoso a presupporre che tu non avessi mai impugnato un'arma e ti chiedo scusa, per questo» le disse, con un'espressione di stupore tale da farle avere la sensazione di poter guardare solo il suo viso tra tutti quelli presenti.
C'era qualcosa, in quella sua capacità di incuriosirsi ed entusiasmarsi in modo così sincero, che aveva il potere di incantarla. Scosse leggermente il capo per ritornare in sé, ancora una volta preoccupata per il corso che stavano prendendo i propri pensieri. Nel frattempo i soldati stavano ritornando alle loro attività, scuotendo ancora il capo per cercare di dissipare lo stupore e mettersi d'impegno per non farsi battere da una ragazza, per giunta più giovane di loro.
«Chi ti ha insegnato a tirare così?» proseguì il ragazzo, sempre con quel sincero interesse sul volto.
Lei sorrise, immersa nei ricordi. «Mia madre. Ricordo ancora quando la guardavo per ore mentre si allenava nel bosco. Alla fine, il giorno del mio sesto compleanno, uscii dalla mia stanza e davanti alla porta lo trovai, chiuso in una custodia» spiegò, accarezzando gli intarsi del legno con gentilezza. Le sue dita si soffermarono sul disegno di un drago inciso con perizia nel legno e proseguirono su tutta la lunghezza dell'arco, seguendo le foglie che ne fregiavano la superficie. Poi continuò: «Ci aveva lavorato moltissimo, per di più di nascosto da me. Solo dopo qualche tempo le chiesi il perché di tanta fatica e lei mi rispose semplicemente che meritavo un arco degno di questo nome.»
Freya alzò lo sguardo su Aran e, immergendosi nel suo, sentì che in qualche modo lui la capiva. La dolcezza che lesse in fondo a quegli occhi la fece avvampare, tanto che si sentì perfino costretta a fare un passo indietro e allontanarsi leggermente da lui e da quell'ondata di emozioni.
Fu Darragh a interrompere la loro conversazione. «Non posso fare altro che rivolgervi i miei complimenti e scusarmi, Lady Freya» l'apostrofò, un sorriso sardonico in viso che tradiva la sua apparente sincerità.
Molto probabilmente non la credeva capace di fare null'altro che mirare a bersagli immobili; anche quel "Lady Freya" con cui l'appellava sapeva decisamente di presa in giro, ma lei decise che avrebbe aspettato di vedere fino a che punto si sarebbe spinto il giovane Principe, prima di perdere la pazienza. Quando notò le sopracciglia di Aran inarcarsi nuovamente e intuì che stava per dire qualcosa al fratello, la ragazza lo precedette e ribatté con un sorriso: «Nulla di cui scusarsi, Principe Darragh», senza scomporsi minimamente. Sapeva quali erano le proprie capacità e non sarebbe stato certo il suo giudizio a farle perdere fiducia in esse.
L'allenamento al tiro occupò tutte le due ore successive. Freya si adattò abbastanza in fretta al loro metodo, seppur così diverso da quello a cui era abituata lei. Gran parte del suo addestramento erano state le prede che doveva cacciare per sopravvivere, oltre ai tronchi e ai rami degli alberi, bersagli molto differenti da quei cerchi di legno imbottito.
Aran sembrava entusiasta del suo modo di approcciarsi all'arco, tanto che spesso le chiese consiglio su come avrebbe dovuto fare per migliorare. Intavolarono una conversazione tanto fitta ed interessante da non accorgersi nemmeno del tempo che passava, almeno fino a che Darragh non si schiarì la gola e disse: «Mi spiace disturbarvi, ma sarebbe il momento di passare a cose più importanti.»
Fino a quel momento il ragazzo sembrava aver perso un po' del suo cipiglio arrogante, limitandosi a ignorare Freya e rivolgendosi solo di tanto in tanto al fratello. Ora però stavano per passare alla spada, campo in cui certamente lui la superava di gran lunga, cosa che bastò a fargli recuperare prontamente la sua aria di superiorità. Non appena Aran fu fuori portata, diretto all'armeria, Darragh aggiunse: «Sarebbe meglio che vi faceste da parte, a meno che non siate altrettanto abile con la spada, s'intende.»
Freya sapeva perfettamente di non esserlo: Eleana ne possedeva una e le aveva insegnato i rudimenti della difesa e dell'attacco, mettendole in mano una lama mezza arrugginita che avevano rinvenuto nella foresta, ma aveva presto scoperto di non avere particolare affinità con quel tipo di arma. Aveva lo stesso continuato ad allenarsi un po' da sola, giusto per avere un mezzo di difesa in più, ma di sicuro non sarebbe mai stata alla pari di qualcuno che per il combattimento si preparava da tutta la vita.
«Non lo sono affatto, ma vi ringrazio per avermi dato il beneficio del dubbio» rispose, ritorcendogli contro il suo stesso sarcasmo. «Il campo è tutto vostro.»
La calma che Freya stava riuscendo a mantenere sembrava irritare oltremodo Darragh, che si allontanò a grandi passi sulla scia del fratello. Chissà per quale ragione il Principe sembrava tanto deciso a esasperarla, si domandò lei, senza riuscire a trovare nessuna risposta. Esattamente come Gorman, il ragazzo pareva faticare ad accettare la sua presenza, come se in qualche modo lei lo stesse derubando del suo spazio a corte.
Una sensazione sempre più sgradevole iniziò a serrarle lo stomaco e Freya strinse saldamente l'arco fra le dita, tentando in qualche modo di ignorarla; forse si stava sbagliando, ma aveva l'impressione che Darragh non si sarebbe fermato lì.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: _Malila_Pevensie