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Autore: BabaYagaIsBack    10/02/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
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 1. War Leftovers

Più Joseph guardava il cadavere di Douglas, più cresceva in lui la consapevolezza di non provar nulla. Non era triste, men che meno arrabbiato con Aralyn o Arwen; era solo vuoto.

Nonostante gli insegnamenti, la convivenza e la parentela che li aveva da sempre legati, non riusciva a soffrire per la dipartita di suo padre - a dire il vero, negli anni dell'adolescenza, aveva sperato più volte che quel momento giungesse, ma ora, di fronte al corpo nudo dell'uomo, dove una ferita sottile e terribilmente profonda svettava con il suo rosso cangiante, non provava niente di ciò che ci si sarebbe potuto aspettare da lui. Nemmeno pietà.
Quando era morta sua madre, anni prima, il dolore aveva graffiato il suo torace. Erano stati sette giorni di lutto in cui aveva percepito realmente la sua definitiva fuga dalla Villa e dalla vita, ma con quello che era stato il suo Alpha, non vi era un solo briciolo di quei sentimenti.
Tutto ciò che lo preoccupava era il domani, la fine di quei giorni di veglia e celebrazione per un uomo che sarebbe stato giusto seppellire molto prima - quando ancora il figlio aveva qualcosa, ma soprattutto qualcuno, a cui aggrapparsi.

Dieci notti, questo era il tempo che li separava dalla Luna Piena e, una volta passata, il clan avrebbe dovuto fare i conti con il proprio destino. Un nuovo leader, tra gli eredi del precedente, sarebbe dovuto salire al potere e Gabriel aveva già da anni iniziato a tessere i fili della sua ascesa. Inoltre, era il maggiore tra loro: se né lui, né Leah, avessero reclamato il titolo di Alpha, allora sarebbe stato quell'energumeno il nuovo patriarca dei Menalcan - un'eventualità che purtroppo non potevano permettersi.
Per quando Joseph detestasse l'idea di doversi far carico del branco, se non avesse sfidato suo fratello era certo che lui l'avrebbe ucciso appena fosse stato incoronato capo. Rischiare di tenere al proprio fianco una minaccia come poteva essere un altro erede maschio non era cosa che tra i Nobili ci si poteva permettere e Gabe lo sapeva bene.
Loro sorella non era un cavillo del suo stesso calibro, i Menalcan non avrebbero mai accettato una donna al posto di Douglas, ma lui... lui era a rischio e non aveva più nessuno a cui chiedere consiglio.

Il rumore di una porta sbattuta lo riportò alla realtà, facendo cadere lo sguardo proprio sull'ultima persona che avrebbe voluto vedere.

Con addosso una canotta morbida, in modo da non infastidire le ferite sotto alle fasciature, suo fratello si avvicinò alla salma, mostrando senza vergogna i souvenir che il clan nemico, ma soprattutto Aralyn Calhum, gli aveva lasciato.
Nei suoi occhi Joseph vi lesse la medesima indifferenza che provava lui, mascherata anch'essa da un finto rammarico indossato giusto per illudere i confratelli che invece, per Douglas, avevano sempre provato qualcosa: ammirazione, affetto, stima... non importava, tutto ciò che contava era convincerli che anche loro fossero dispiaciuti.

«Stanno ripulendo?» domandò sentendo le mani formicolare nelle tasche. Aveva visto lo scempio che erano diventate le stanze della Villa, così come aveva visto fin troppi volti familiari indossare la maschera della morte e, in cuor suo, aveva pregato tutti gli Dèi di non vestire la sua amata con lo stesso ornamento - aveva ripescato nella memoria anche quelli più antichi e le preghiere più complesse, aveva fatto tutto ciò che in quel momento gli era possibile pur di non perderla.

Quando Garrel l'aveva caricata in spalla, pochi minuti dopo l'impatto con il corpo dell'animale, la sua espressione era lapidaria, un rivolo di sangue le segnava in orizzontale la guancia e i suoi arti altro non erano che carne flaccida, privi di forza per contrastare la gravità. Vedendola, il ragazzo non aveva potuto far altro che pensare al peggio, ma poi lo aveva sentito. Un sussurro, nulla più. Eppure era stato sufficiente a impedire al suo cuore di creparsi per sempre.
L'omone si era rivolto ad Arwen, ma qualcosa, come un avvertimento del proprio sesto senso, gli aveva detto che in realtà stesse parlando anche con lui.

Respira.

Sette lettere che improvvisamente erano diventate l'unica cosa davvero importante in mezzo al caos.

Lei respirava, quindi era viva.

Gabriel si portò una ciocca dietro l'orecchio, lì dove i suoi gingilli d'oro avevano lasciato posto a rovinosi tagli sul lobo che, presto, si sarebbero rimarginati da soli: «A fatica, ma sì». Il suo sguardo si perse sul viso del vecchio steso sul letto, nella stanza che aveva smesso di usare da anni. Le coperte erano tirate fino al bacino, lasciando così scoperto il petto. Oltre alla ferite e gli effetti collaterali dell'argento, un pendente troneggiava sul suo torace: il simbolo del clan.

«Ma c'è altro che puzza, qui. E non parlo né dei cadaveri là fuori, né di questo» con un grugnito e un cenno del capo indicò Douglas - esattamente come il fratellino aveva immaginato, non gliene fregava nulla di quell'uomo.

Joseph avvertì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Quel commento generò in lui uno strano timore, lo stesso che lo aveva accompagnato ogni giorno dal momento in cui era tornato in quell'edificio. Sicuramente non gli doveva essere sfuggito il fatto che Arwen Calhum, fino all'ultimo, non avesse riportato nemmeno una ferita degna di nota - cosa parecchio sospetta, visto che in passato era stato proprio lui a portarlo a un passo dalla morte.

«Davvero? Magari è l'odore della sconfitta a esserti rimasto incastrato nelle narici...» rispose con astio, provando a lanciargli una frecciatina. Non doveva farsi vedere diverso da come era stato per ben ventisei anni, non doveva cedere o sembrare intimorito dai suoi possibili sospetti. Se suo fratello avesse fiutato in lui un cambiamento lo avrebbe usato per ritorcergli contro i pochi membri del clan che ancora gli erano fedeli - molti meno da quando Kyle aveva finto il suo tradimento verso il branco.

Il viso di Gabe si contorse in una smorfia di fastidio: «Al tuo posto non mi azzarderei a fare simili commenti, Joseph. Ora che il vecchio non c'è più, nulla ti salva dalla mia furia» sottolineò, tagliente. Il suo sguardo baluginò nella direzione del ragazzo: «Prega che non sia io a diventare il capo qui dentro... la storia dei più grandi casati Nobili parla più di quanto possano fare le mie minacce».

Un altro tremore lieve scosse il ragazzo, partendo dalla base della nuca e arrivando ai lombi. Sì, la storia parlava, raccontava di decine di famiglie seviziate dalla sete di potere - in ultimo si era sparsa la voce che persino Ophelia avesse mandato tutti gli eredi di suo padre, Vladimir Palvov, a correre insieme a Mànagarmr nelle Lande Selvagge per assicurarsi il comando del branco. 
Gabriel non sarebbe stato da meno.
Quel verme avrebbe seppellito lui e dato in sposa Leah al primo alleato che gli avesse assicurato di tenerla lontana dalla Villa - ma non poteva succedere.

«Non ho paura di te, fratello» ringhiò, alzando gli occhi su di lui. Quell'uomo faceva la sua sporca figura: i muscoli, la furia, lo sguardo severo - ma non per questo Joseph avrebbe abbassato il capo o nascosto la coda tra le gambe di fronte alla sua presenza. Aveva una ragione di sopravvivenza abbastanza valida da impedirgli di farsi mettere i piedi in testa da lui: proteggerla. E se ciò lo avesse costretto a diventare Alpha, non avrebbe esitato a uccidere il sangue del proprio sangue: «Ti ricordo che se non ci fossi stato io, otto anni fa, Arwen Calhum ti avrebbe sodomizzato come la peggior sgualdrina che si possa trovare in giro, quindi non sottovaluterei l'ipotesi di una tua dipartita». Le labbra divennero una linea dura sul suo volto chiazzato di lividi, segni che avevano già preso a ingiallire.

L'altro grugnì, sollevando appena un angolo della bocca: «Vedremo, moccioso. Ci sono altre questioni a interessarmi ora...» con passo deciso si incamminò verso la porta da cui era arrivato, ma prima che riuscisse a sgattaiolare via, Joseph gli porse un'ultima domanda.

«Di che stai parlando?» una stretta gli prese lo stomaco, aizzando il suo sesto senso. Qualcosa, nel tono, aveva improvvisamente fatto scattare una scintilla di preoccupazione tra i pensieri del ragazzo, una sensazione che non gli piacque affatto e, quando Gabriel si volse sorridendo, ma senza aggiungere nulla, Joseph seppe con assoluta certezza che quell'uomo aveva iniziato a tessere una nuova rete di intrighi a cui difficilmente si sarebbe fatto trovare preparato. Il fatto che fosse lui il vero erede di Douglas non era poi una diceria, pensò, mentre gli scenari più improbabili presero a disegnarsi nella sua mente.


 
   
 
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