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Autore: _Lightning_    11/02/2020    0 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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.2.




19 Maggio 1908
Stazione di Resembool, East Area
10:15
 
La prima cosa che mi colpisce è la calura, tanto che vorrei subito togliermi il mantello. Mi ero dimenticato quanto potesse far caldo qui, nelle zone rurali dell'Est. Se qui è così, non oso immaginare a Ishval, alle propaggini del deserto. Faccio qualche passo sulla banchina assolata per riattivare la circolazione e mi guardo intorno.

Scorgo solo campagna ondulata a perdita d'occhio, punteggiata dal bestiame. Su una collina lontana si erge una villetta affiancata da un albero, poco più a valle scorre un fiumiciattolo; lo attraversa un dimesso ponticello di pietra, sul quale trotterella pigro un gregge di pecore spronate dal pastore.

Solo noi soldati occupiamo la banchina in legno. Gli unici abitanti in vista sono il capostazione oltre il vetro fumoso della biglietteria e un contadino che conduce al giogo una coppia di buoi sulla strada sterrata poco più avanti; entrambi ci squadrano con diffidenza.

Si intravedono i segni della guerra: in lontananza ci sono dei campi bruciati e delle rovine di fattorie. Affisso al muro della stazione, un avviso spiegazzato ordina il coprifuoco dopo le sei di sera e accanto spicca un volantino di un verde vivo che invita i giovani ad arruolarsi “Per la vittoria di Amestris!


In uno spiazzo polveroso adiacente alla stazione sono schierati una ventina di camionette e una dozzina di carri attaccati a robusti cavalli da tiro nervosi. Metto più in vista l'orologio e cerco di lasciar intravedere le spalline sotto il mantello per aumentare le mie possibilità di aggiudicarmi un posto sulle camionette che, a quanto vedo da qui, hanno delle panche imbottite. Un lusso che sono deciso a conquistarmi.

Un Tenente Colonnello in un'uniforme sdrucita è incaricato di smistarci ed esegue il suo incarico con evidente insofferenza. Noto che zoppica vistosamente dalla gamba destra, che sembra più rigida del normale, e diventa chiaro perché sia stato relegato qui, lontano dai combattimenti.

Con mia sorpresa sono il primo ad essere chiamato, forse in virtù del mio status di Alchimista. Avanzo sotto gli occhi di tutti, ignorandoli, scambio qualche parola di circostanza col mio superiore e cerco di carpirgli delle informazioni sulla situazione a Ishval, ma lui deve aver ricevuto preciso ordine di non lasciar trapelare nulla, perché evade tutte le mie domande in scioltezza.


«Hanno davvero bisogno di voi alchimisti, Maggiore,» si limita a proferire piattamente, mentre confronta il numero sulle mie piastrine di identificazione con quello dell'elenco.

In un eccesso di zelo, mi fa anche esibire l'orologio d'argento. Mi sento fin troppo osservato, ed eseguo con riluttanza.

Finalmente mi assegna al distretto di Nasha: non ho idea di cosa significhi, né se sia un bene o un male. Sono solo lieto di essere in una camionetta e di potermi finalmente sedere più o meno comodamente. Blocco lo zaino tra i piedi e assisto allo smistamento dei più di cinquecento soldati ammassati poco più in là.

Mi rendo conto che staremo molto stretti; forse alcuni dovranno incamminarsi a piedi per poi essere raggiunti dalle camionette di ritorno. Chiacchierando con un altro paio di ufficiali vengo a sapere che molti altri treni sono in arrivo da ogni parte di Amestris, e che ci si aspetta un afflusso di più di diecimila uomini in appena tre giorni. Poco meno della metà dell'esercito è già dislocata a Ishval.

Mi chiedo come il governo pensi di gestire la situazione sugli altri confini: non mi sorprenderebbe se Creta o Aerugo approfittassero dei fronti rimasti sguarniti, e di fatto possiamo contare solo sulla difesa inespugnabile di Briggs al Nord, contro Drachma. Gli ufficiali condividono la mia preoccupazione, ma alzano le spalle: gli ordini sono ordini, e non si discute.

Oskar, Jace, Rod e Alena vengono assegnati con me, assieme a William e Dennis, nostri compagni dell'Accademia. L'altra dozzina di soldati stipati con noi sembra conoscersi a sua volta. Sembra che abbiano cercato di smistarci per Accademia o zona di provenienza, forse con l'obbiettivo di creare fin da subito affiatamento tra le truppe.

Dopo un'ora buona finalmente partiamo venendo sballottati su e giù mentre arranchiamo sulle strade sterrate di Resembool, e ognuno probabilmente rimpiange il treno. Oskar e Jace coinvolgono nella conversazione l'intero gruppo, e dopo pochi minuti mi ritrovo nel mezzo di una raffica di battute spinte e risate fragorose, alla quale prendo parte in modo più o meno discreto.

Non sono molto in vena di socializzare, considerando che potrei trovarmi al comando di questi soldati semplici, ma Oskar fa chiasso per tre, quindi vengo più o meno lasciato in pace.

Appoggio la testa alla parete metallica e fisso il soffitto di tela spessa. Ripasso mentalmente tutte le tecniche che ho messo a punto nei pochi anni in cui ho usato l'alchimia del fuoco e mi rendo conto di quanto siano vaghe e labili, imperfette.

Il Maestro Hawkeye sarebbe molto deluso. In realtà lo era già quando mi sono arruolato. Mi ritrovo improvvisamente a pensare che avrei dovuto avvertire Riza della mia partenza... ma forse è stato meglio così.

Non la vedo dal funerale, sarebbe stato... strano. Inopportuno, anche.

Non credo che sia questo, lo scopo per cui avrebbe voluto veder usate le ricerche del padre. Lo so in cuor mio, nel profondo, in quella nicchia nascosta che mi ostino a seppellire sempre più con ogni passo che compiamo verso Ishval.

I pomeriggi di studio a villa Hawkeye, costellati di discorsi adolescenziali e sguardi al futuro ciechi alle ombre che si allungavano sin da allora su Amestris, sembrano ora risuonarmi in testa come ammonimenti beffardi, con le mie affermazioni idealistiche gettate nel vuoto con la sicurezza dell'inesperienza e la voce ancora bambina di Riza che suonava troppo adulta nello smentirmi, nell'esternare tra le righe lo scetticismo verso una scienza che le aveva sottratto il padre.

Uno scetticismo che è venuto meno in ultima battuta, soffocato da una fiducia suggellata già un decennio prima con una giocosa stretta di mani infantili. Mani che adesso non sono più così innocenti, che portano sui palmi l'impronta della pelle dell'altro, delle matrici alchemiche che non dovrebbero mai essere vergati sotto la cute della propria figlia, né studiati dagli occhi di un allievo inesperto.

Serro i pugni nei guanti spessi e torno alle mie formule alchemiche tracciate su carta con penna e inchiostro, di gran lunga più rassicuranti e anonimi dei viluppi sanguigni che scorgo sempre in sovrimpressione nelle retine.

Non ho mai avuto modo di utilizzare l'alchimia in battaglia, se non per qualche esercitazione a East City, e quel fatto inizia a pungolarmi molesto, mettendo a nudo la mia inesperienza.

Mi consola il fatto che, se riuscissi a distinguermi sul campo, sarebbe relativamente semplice ottenere qualche riconoscimento, se non addirittura una promozione. Non mi è mai importato molto di scalare la gerarchia militare, ma devo ammettere che adesso il pensiero mi alletta, apparendo come un porto sicuro dagli orrori che mi aspettano in guerra.

Potrebbe essere un'occasione molto rapida per fare carriera e occupare una posizione rispettabile che mi eviterebbe di essere guardato dall'alto in basso dai miei superiori. Mi ritrovo a sorridere tra me. Quei matusa smetterebbero di fare nonnismo, se avessero una vaga idea di come potrei ridurli con un solo schiocco di dita.

E la paga dell'esercito è molto buona: sarebbe ora di ricambiare zia Chris per tutto ciò che ha fatto per me, anche se so che dovrò forzarla ad accettare ogni singolo cenz. E
difenderò Amestris dalle scorrerie ishvaliane”, come recitano i mille manifesti d'arruolamento affissi a East City.

Mi rabbuio di colpo: non voglio pensare agli ordini che ho ricevuto, soprattutto perché sono tutt'altro che chiari. Li nascondo nella nicchia a scomparsa del mio cuore, sapendo che non potrà reggere ancora per molto.

 


19 Maggio 1908
East Area
14:15


Dopo circa due ore, ci fermiamo brevemente a un pozzo nei pressi di una fattoria per dissetarci. Ci sparpagliamo qua e là lungo la strada, chi a fumare, chi a chiacchierare, chi a orinare, chi a sgranchirsi le gambe irrigidite.

Una banda di ragazzini smunti e cenciosi si avvicina a noi di corsa e si ferma a qualche decina di passi, facendoci smorfie e lanciandoci insulti sempre più fantasiosi. Uno ha l'idea di imitare il latrato di un cane, e dopo pochi secondi l'intero gruppetto si mette ad abbaiare vivacemente contro di noi, saltando qua e là.

Mi faccio più piccolo che posso, celando l'orologio d'argento. Qualche soldato li fissa infastidito, ma li ignoriamo finché non iniziano a tirarci delle pietre, e uno dei cavalli si impenna imbizzarrito, facendo oscillare pericolosamente un carro.

Uno dei sottoufficiali di scorta avanza verso di loro puntando minacciosamente il fucile e togliendo la sicura. Solo allora si dileguano, schernendoci ancora e arrischiandosi a lanciare qualche altro sasso da dietro un muretto.

Rod li guarda allontanarsi, d'un tratto pensieroso, e lo devo riscuotere con un colpetto per farlo salire di nuovo al suo posto.


«Avranno l'età di mio fratello,» commenta soltanto, scuotendo la testa in un moto che sa d'impotenza.

«New Optain è lontana dal fronte,» lo rassicuro, intuendo la sua preoccupazione implicita, e lui annuisce rapido, rivolgendomi un lieve sorriso grato.


Siamo di nuovo in marcia e nonostante la stanchezza continuiamo a parlare ad alta voce e a ridere.

La camionetta avanza col motore che borbotta quasi allegramente, e fuori vedo la campagna verdeggiante che scorre via, punteggiata qua e là da fattorie, mucche e pecore. Il terreno diventa a poco a poco più aspro e roccioso, e ben presto lascia il posto a una landa d'erba verdognola dalla quale si ergono di tanto in tanto dei covoni.

Si intravedono anche dei crateri probabilmente causati da esplosioni e mortai. Gli appezzamenti bruciati diventano più frequenti. Superiamo lo scheletro di un mulino a vento, che sembra levare verso il cielo le sue pale carbonizzate in segno di resa.

Smettiamo ben presto di guardare fuori e ci sentiamo in dovere di distrarci facendo ancora più baccano. Si parla di scontri e battaglie; chi ha amici o parenti al fronte fornisce un quadro dettagliato della situazione, ma i resoconti sono contrastanti.

Si finisce inevitabilmente a parlare della fine della guerra, molto più allettante della guerra stessa.


«Tra un mese saremo di ritorno così pieni di medaglie che non riusciremo neanche a camminare!» esclama Oskar, con le sue solite esagerazioni che ricevono però l'unanime consenso.

«Ehi, anche guadagnarsi qualche cicatrice non è così male: fa colpo sulle ragazze...» sogghigna Jace, strizzando l'occhiolino ad Alena, che alza gli occhi al cielo diventando però porpora in viso.

«Potete tenervi cicatrici e medaglie,» li zittisce Rod. «Io voglio solo prendere il mio salario e tornarmene a casa per spenderlo come si deve.»

Un coro di insulti gioviali segue la sua affermazione, giudicata sin troppo noiosa, e mi ci unisco d'istinto. In lontananza inizia a dispiegarsi la steppa inospitale di Ishval, che continua ininterrotta fino a inerpicarsi ripidamente su delle montagne appena distinguibili all'orizzonte.

Stringo i guanti nella tasca, accarezzandone la stoffa leggermente ruvida. Siamo vicini.


 


 


Note:

La geografia di Ishval, i suoi distretti, zone e aree sono frutto di miei headcanon coerenti col manga.
   
 
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