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Autore: Stellato    12/02/2020    12 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ri-conoscersi

 
 

 
“Sabine, perché piangi?”
La voce della bimba suonò lamentosa a sua volta, preoccupata.
La donna si sciolse dall’abbraccio per rassicurarla, per dimostrarle che era tutto a posto, ma gli occhioni scavati nel viso pallido della piccola continuarono a studiare con malcelata minaccia Oscar, la quale era stata immediatamente identificata come la responsabile delle lacrime, e Magali non si lasciò convincere. Nanerottola com’era sembrava cercasse nelle lunghe gambe di Oscar un punto in cui attaccarla per fargliela pagare e se non lo fece fu solo perché sapeva che sarebbe stata fermata prima di raggiungerla.
“Non si piange mica solo quando si è tristi, Magali... Queste sono lacrime di felicità.” provò Sabine con un mezzo sorriso che non fece presa.
Sembrava stanca, un po’ smagrita. L’abito tradizionale che indossava rendeva giustizia alle sue forme e alla sua figura, che senza l’ingombro di rigidi panier appariva più slanciata. Il trucco leggero rispetto alle sue mise parigine lasciava intravedere l’ombra scura che cerchiava i suoi occhi, ancora brillanti di commozione, ma nell’insieme quella semplicità le apparteneva; risuonava coi suoi modi e con quei luoghi.
 
A dirla tutta, Magali non aveva torto: il pianto della baronessa non si poteva liquidare come una banale espressione di gioia. Nei giorni precedenti, Sabine aveva potuto cullarsi nell’illusione che nulla fosse successo, dimenticarsi dell’accaduto per un po’.
Dotata di una disposizione d’animo incline alla distrazione e alla procrastinazione dei problemi, aveva potuto mettere da parte la sua situazione grazie alla coincidenza di non trovare i suoi genitori in Provenza, assenti per il matrimonio di una sua cugina lontana (evento che aveva completamente rimosso, ma a cui era stata invitata anche lei, da mesi), e aveva potuto annullarsi nel lavoro per un po’. Riprendere un ritmo che le era mancato.
Adesso, Oscar arrivava come l’araldo di ciò che si era lasciata indietro e che aveva paura di affrontare.
Era felice di vederla; significava molto che fosse venuta fin lì, ma allo stesso tempo voleva dire che era arrivato il momento di fare i conti col presente, nel bene e nel male.
 
 
***
 
Seduti alla tavola imbandita a chiacchierare con naturalezza del più e del meno, sembrava non fosse passato neppure un giorno da quando si erano salutati.
In presenza della bimba che gironzolava attorno a loro, era facile mantenersi spensierati, evitare gli argomenti spinosi. Non fosse stato per la spiccata antipatia verso Oscar che la piccola aveva dimostrato fin dai primi istanti con lei, quel pranzo sarebbe stato un quadretto idilliaco.
“Magali è la figlia della cameriera personale di mia madre...” la presentò Sabine.
“La mia mamma però è in cielo.” rettificò la bambina, cominciando a prendere confidenza.
“E lei è diventata una protetta di mia madre, che la sta crescendo e viziando a dismisura” continuò la baronessa con una carezza travestita da scrollata alla chioma liscia della bimba, che non protestò. “È la prima volta che sono separate e Magali non l’ha presa benissimo, così vi chiedo di portare pazienza se risulta un po’ ostile. Ma questo non significa che tu non debba essere educata, sai?” concluse, rivolgendosi alla piccola che continuava a fissare l’ospite bionda vestita da uomo con sguardo assassino, per nulla intimorita.
Nel bel mezzo di un discorso cordiale tra le due donne, aveva spostato la sua sedia tra le loro, interrompendole. E non appena Oscar si era permessa di avvicinarsi per provare a far la pace l’aveva spinta via, con tutta la misera forza che aveva nelle braccia scheletriche.
“Magali, adesso basta! Vai pure di là dal gatto, ma smettila di comportarti così, per l’amor del cielo!”
“Sì, va bene.” rispose quella remissiva, ma un attimo prima di raggiungere l’uscita della sala da pranzo si voltò per aggiungere una linguaccia ai danni della sua nemica, per poi scappare via ai richiami di Sabine.
“Sono mortificata… non era così possessiva anni fa, l’ho trovata molto peggiorata.” si scusò la baronessa tra le risate mal trattenute di André.
“Vorrei sapere che ci trovi di così divertente.” lo sgridò Oscar un po’ ferita nel suo orgoglio di zia preferita e amata all’unisono da bimbi e bimbe.
“Andiamo… È divertente, comunque la si guardi!”
“Lo dite solo perché con voi si è comportata bene.” incalzò Sabine. “Sa essere una vera peste, credetemi; è meglio non darle troppa corda.”
“A pensarci, è l’ennesimo avvenimento insolito per Oscar in questo periodo…” commentò sibillino André, finendo di ripulire il piatto dalla porzione di ratatouille con un pezzo di focaccia alle olive che aveva del sublime.
“Come dite, André? Che mi sono persa?” incalzò Sabine improvvisamente curiosa.
E quello, satollo di buon cibo, iniziò a raccontare di come, dalla sera alla mattina, aveva saputo dell’imminente partenza per la Provenza e - con qualche coloritura - della deriva che aveva preso il comportamento prevedibile di Oscar, la quale subiva le ennesime attenzioni non volute senza reagire, sorseggiando il vino con indifferenza.
Non era ancora arrivato a raccontare degli aneddoti migliori che Sabine intervenne, a dir poco stupefatta del potere che avevano avuto le sue parole, che di fatto avevano smosso chi credeva essere irremovibile. Posò la forchetta carica sul piatto e chinò il capo, intimidita.
“Non so cosa dire. Sono davvero colpita, Oscar. Siete riuscita a sorprendermi e forse dovrei chiedervi scusa…”
L’altra scosse la testa, sincera: “Sono io a dovervi ringraziare, piuttosto. Il vostro punto di vista è stato prezioso per mettermi in discussione e questa vacanza non poteva capitare in un momento migliore; avevate ragione anche su questo, dovevo solo attivarmi.”
“Ma io vi ho delusa, vero?”
La voce di nuovo spezzata dall’emozione, gli occhi timorosi di una preda, colmi di un imbarazzo infantile. “Non vi aspettavate che fuggissi a quel modo, vero Oscar? Voi non credete che dovrei…”
“Sabine, no, io… non credo nulla.” la fermò lei con nuova risolutezza, lasciando di stucco André.
Perché l’aveva interrotta? Non erano lì per quello?
“…E soprattutto non mi avete delusa, dico davvero. Non dovete dimostrarmi alcunché, né sono qui a mettervi fretta. Quali che siano le vostre decisioni future, io farò solo in modo di starvi accanto per sostenervi ed ascoltarvi se vorrete un confronto, che siate a Parigi, in Provenza o altrove: nel caso, esistono le lettere. Semplicemente, qualsiasi cosa accada… ricordate che non siete sola.”
L’altra annuì coi muscoli tesi in un fascio di nervi, trattenendo tremante un pianto di sollievo e gratitudine che non avrebbe saputo giustificare coi domestici.
Non aveva immaginato che proprio quella mattina, riabbracciandola, Oscar aveva compreso sulla sua pelle una delle molte regole non scritte di qualsiasi amicizia.
Non importava ciò che lei pensava fosse meglio fare; adesso l’importante era esserci. E basta.
Il mondo delle relazioni con gli altri e dei loro sentimenti appariva così complicato per chi, come Oscar, aveva appena mosso i primi passi in una direzione diversa, alla scoperta di modi di fare che spesso e volentieri cozzavano con la bussola della ragione.
 
 
***
 
 

 
Così i nostri scivolarono implicitamente in un accordo di silenzio circa i problemi che avevano portato Sabine lì, almeno fino al ritorno dei suoi, quando un confronto sarebbe stato inevitabile.
Arrivati al dessert, il più serio dei loro discorsi riguardava il fare o meno un bis dell’irresistibile torta alle noci che era stata servita.
“Non è solo perché mi sono buttata a capofitto nella produzione; ormai ogni volta che rientro a Grasse delego volentieri la cucina a Philomène… sentivo tanto la mancanza dei suoi piatti!” spiegò la baronessa ai suoi ospiti, che si aspettavano di essere coinvolti nuovamente nei riti di preparazione che li avevano visti invadere le cucine di Sabine, a Parigi. “Ho un palato assai nostalgico, temo… in questa casa ci sono dei sapori e degli odori, ovviamente, che non ritrovo altrove e che stimolano la mia memoria in profondità. Questa stessa torta con questa identica crosticina croccante è stata la mia merenda così tanti pomeriggi, in così tante stagioni…” e imboccò un morso del dolce, con espressione rapita.
“Il senso del gusto a pensarci è uno dei più sottovalutati.” proferì solenne il più ghiotto tra loro, deliziato.
“Non da te, André.” commentò placida Oscar.
“Allora fatemi capire, se doveste rinunciare ad uno dei vostri sensi, di quale fareste a meno?” chiese intrigata Sabine agli altri due.
Ad Oscar e André non entusiasmava l’idea di immaginarsi privi di uno dei sensi, titubavano nella risposta.
“Non rinuncerei mai alla vista” dichiarò lui e Oscar aggiunse: “Io neppure all’udito, fuori discussione.” e anche André annuì.
“Allora restano gusto, tatto e olfatto. Cosa scegliete?” incalzava la baronessa.
“Dopo un pranzo come questo non saremmo credibili se dicessimo di voler rinunciare al gusto” obiettò Oscar in direzione di André, che aveva già dato quel punto per scontato e agitò le mani come a difendersi dalla sola ipotesi.
“Perdonatemi, ma per rispondere con sincerità vorrei capire bene cosa intendiamo con tatto” rimuginò poi lui “Non mi è molto chiaro.”
“Tutte le sensazioni avvertite sulla pelle, no?” rispose Oscar con distacco scientifico, senza riflettere sulle implicazioni maliziose della domanda, così ovvie agli altri due che la osservarono con curiosità crescente. “Ch’io sappia non è un senso che si possa perdere, comunque.” glissò, intuendo di trovarsi su un terreno precario.
“Ma è in via ipotetica, quindi tutto è possibile” protestò chi aveva posto la domanda.
“Va bene, va bene. Allora io rinuncerei all’olfatto.” decretò Oscar, seguita a ruota da André con la stessa risposta. Si era alzato dalla tavola e adesso teneva le braccia incrociate allo schienale della sedia di lei, che se ne stava rilassata, un gomito sulla tavola e la testa pigramente poggiata nella mano.
“Insomma, state dicendo alla proprietaria della Maison Florentin che dei cinque sensi sacrifichereste proprio quello che serve a riconoscere i profumi? Potrei davvero offendermi, non credete?” e come spesso accadeva, non era chiaro quanto Sabine stesse scherzando e quanto no.
“Si potrebbe dire che manchiamo di tatto?”
“André, quando fai questi giochi di parole, ti giuro…”
In quel momento lui si sporse in avanti per avvicinarsi alla sua spalla, un contatto normale per loro, per spronarla a ridere della sua freddura o almeno strapparle un sorriso, ma Oscar scappò all’indietro col busto, quasi rischiando di perdere l’equilibrio dalla sedia quando André a sua volta lasciò andare lo schienale, preoccupato da quella reazione.
Sabine non sembrò notare l’accaduto. Si alzò anche lei per dare delle istruzioni ai domestici e poi tornò da loro con la stessa serenità da padrona di casa che dimostrava nella residenza parigina, la stessa capacità di metterli a proprio agio. Anche a Maison Florentin si respirava un’atmosfera leggera. Con la sola eccezione del comportamento di Magali nei confronti di Oscar, ciò che si percepiva immediatamente in quell’ambiente era un senso di accoglienza reale, un’ospitalità che trascendeva la cordialità. C’era da dedurne che quel tratto unico di Sabine derivasse dall’educazione impartitale in quella casa dalle grandi stanze dai mobili in legno dipinto di bianco e i pavimenti in cotto, in cui la semplicità dei decori e il lusso privo di stravaganze delle sale principali sembrava fatto per incorniciare gli abitanti, senza opprimerli.
“Credo sia un mio preciso dovere provare a farvi cambiare idea sull’importanza del mondo degli odori.” dichiarò la baronessa con aria di sfida “Cosa ne direste di visitare la filiera di produzione dei profumi, questo pomeriggio? Domani vi prometto un giro più convenzionale della tenuta, ma adesso venite con me a ficcare il naso.”
 
 
***
 
 
E di ficcare il naso si trattava, dato che fin dall’inizio della loro visita si ritrovarono a mettere in uso il senso trascurato per eccellenza; non erano ancora usciti dal secondo dei laboratori che già Oscar e André accusavano un lieve stordimento dopo tutto quell’odorare, distinguere, ricollegare l’idea di un fiore fatto di petali e pistilli alla sua essenza ultima, l’olio che con tanto impegno veniva estratto tramite l’uso di enormi distillatori in rame da cui non uscivano che gocce preziose, ottenute dal sacrificio di montagne di fiori.
Il processo aveva in sé un fascino alchemico, misterioso.
I colori delle corolle e la loro consistenza setosa sparivano; ciò che era materia perduta per l’occhio tornava alla vita, riconquistata dal naso, integra e squisita alla memoria nel profumo concentrato dell’olio essenziale.
Un’astrazione, il ricordo perpetuo di un fiore.
Il passo successivo era la creazione delle fragranze miscelando i diversi elementi con sapienza, per creare prodotti dal carattere definito, i cui ingredienti potevano essere distinti da un naso allenato come i sapori in un piatto o le pennellate di un quadro.
Nello spiegare Sabine si accalorava, passava da un argomento all’altro sovrapponendo i discorsi camminando avanti e indietro, mettendo mano a ciò a cui stavano lavorando i profumieri, che pure non sembravano affatto infastiditi dalla sua presenza, ma che anzi, si interrompevano per ascoltare anche loro le sue spiegazioni. I più giovani si riferivano a lei con il titolo, ma per le teste bianche di quel laboratorio in cui era cresciuta, i veterani di Maison Florentin che le avevano insegnato ciò che stava raccontando, lei era soltanto Sabine, Sabinette. Una confidenza che si prendevano anche molti dei domestici storici della casa.
Passò quindi a far odorare le essenze ai suoi ospiti, nascondendo il nome delle preziose boccette.
“Uhm… Citronella?”
“Ma con quale coraggio, non c’entra nulla! È mughetto! Provate questo.” disse la baronessa, porgendo l’ennesima ampolla colma di liquido dorato.
“… Lillà?”
“Fresia.” sentenziò Sabine come un’insegnante sconfortata. “Almeno André ne ha indovinato qualcuno, voi siete un caso disperato. Vi siete mai soffermata ad odorare un fiore, Oscar?” chiese poi, come si trattasse di un’attività comune ai più.
“Non mi succede di frequente, direi.” ammise. “Ma soprattutto non riesco a collegare il profumo a un ricordo preciso, va al di là delle mie capacità.”
“Non dovete restarci male, baronessa; è che noi altri non siamo abituati a ragionare con il naso per memorizzare. La vista è immediata, comoda, funziona senza la necessità di avvicinarsi se lavora bene. È inevitabile che gli umani finiscano per affidarsi maggiormente ai propri occhi.” giustificò André.
“Ammetto che il mio è un caso particolare, ma sono convinta che vi sorprendereste di quanto in realtà tutti facciano lo stesso senza saperlo; dobbiamo solo provare con qualcosa che ricordate già… Vi fa di fare un altro esperimento?”
E i due si lasciarono nuovamente trascinare, stavolta in uno dei capannoni adiacenti, dove i lavoratori sedevano a lunghi tavolacci sistemando dei gelsomini sui telai imbevuti di grasso animale. Un fiore alla volta, con maestria certosina e pazienza d’artista.
“Questa tecnica si chiama enfleurage, serve ad estrarre a freddo l’essenza dei nostri fiori più delicati, come il gelsomino officinale e la rosa centifolia. Il grasso preparato in questo modo assorbe gli olii floreali con lentezza e dalla sua raffinazione si ottengono i prodotti più pregiati. La pommade ottenuta dai telai si può anche utilizzare direttamente come base per i nostri altri cosmetici, e in parte la rivendiamo a mastri guantai… ma tornando a noi.” Sciolse uno dei grandi fiocchi del grembiule che indossava. “André, venite qui, lasciatevi bendare.”
“Bendare?”
La baronessa annuì e poi si schiarì la voce, per annunciare alla cinquantina di persone presenti, per lo più ragazze sedute alla prima fila di tavoli, delle sue intenzioni: “Vi prego di perdonare il disturbo, ho scommesso con questo gentiluomo che sarà in grado di riconoscere ad occhi chiusi l’odore della persona che nasconderò tra voi” spiegò indicando Oscar “Quindi non fate caso a noi, basterà lasciarvi annusare un momento e far silenzio al nostro passaggio, così da non dargli altri indizi.”
Un’ondata di risatine si sollevò dal gruppo alla vista degli ospiti della baronessa, indubbiamente di bell’aspetto.
“Devo davvero annusare tutte queste persone?” chiese André a disagio, com’era anche Oscar all’idea di dare spettacolo, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di negarsi.
“Magari non tutte, dipenderà da quante tempo ci metterete ad indovinare!” rispose lei divertita iniziando a bendarlo.
Una volta finito sistemò Oscar molto lontano, a più di una ventina di posti da dove si trovavano. Nel chiacchiericcio che scatenò quell’interruzione sarebbe stato davvero impossibile affidarsi all’udito per carpire qualcosa, e ad André non rimase che seguire la guida di Sabine per iniziare quel gioco.
“Dovete avvicinarvi di più, André. C’è troppo profumo nell’aria altrimenti.” insisté la baronessa osservando il suo primo tentativo imbarazzato.
E lui si piegò fino a sentire il solletico di una ciocca di capelli sul naso, ma l’odore muschiato che avvertì era probabilmente maschile, molto più forte di ciò che si aspettava di sentire.
Passò oltre e continuò tentativo dopo tentativo, senza dir nulla, trattenendosi talvolta più a lungo su qualcuno, nel bisbigliare collettivo dei presenti, che ogni tanto Sabine acquietava per assicurarsi che non arrivassero suggerimenti. Si stava impegnando davvero; una volta iniziato a sentire che la differenza di persona in persona era più che percepibile. Gli odori ad occhi chiusi sembravano più netti, presenze solide e sconosciute che sentiva di poter scartare senza incertezze.
Arrivò ad Oscar dopo essersi soffermato solo pochi istanti sulla giovanissima ragazza che la precedeva, e fin da subito sembrò bloccarsi, impietrito.
Inspirò più profondamente e avvicinò il naso a quell’odore familiare; con cautela si sporse senza sfiorarla, avvicinandosi al suo orecchio come avvertendo il suo contorno seppure nel buio della benda ben stretta da Sabine.
Era lei. Lo avvertiva con chiarezza cristallina. Un insieme di note che non avrebbe mai creduto essere così impresso nel proprio animo la caratterizzava, distinguendola da ogni altro avvertito fino a quel momento.
 

 
Da dove arrivava quella certezza assoluta? Da quanto tempo conosceva così bene il suo odore? Forse fin dall’infanzia, fin da quando avevano iniziato ad allenarsi assieme con le spade; forse gli era entrato dentro ad ogni respiro mischiandosi al proprio, in quei pomeriggi infiniti che appartenevano alla memoria di entrambi.
“Non ci credevo.” dichiarò ad alta voce, scatenando risate e reazioni di ogni genere da tutti i presenti, che Sabine, seppure entusiasta come loro, rimise subito a posto.
“Dite che è lei? Ne siete certo? Non avrete una seconda chance!”
Il sorriso che sfoggiò André poteva essere considerato a tutti gli effetti un’arma.
“Ti riconoscerei anche tra mille, Oscar.” concluse. Vicino. Troppo vicino…
Al trambusto collettivo degli applausi e dei commenti si aggiunse il fracasso dello sgabello buttato a terra da Oscar, rialzatasi di scatto. Si diede una calmata mentre Sabine si complimentava e sbendava André vittorioso, che soddisfatto di aver scoperto qualcosa di nuovo si stropicciava gli occhi e provava a spiegare l’accaduto con la baronessa.
“Sono fiera di voi, André. Forse adesso i presenti si chiederanno che odore peculiare abbia Oscar per non farvi avere alcun dubbio…” ridacchiò.
“Davvero, come hai fatto?” chiese l’altra, turbata come se avesse assistito al trucco di un prestigiatore.
“Non ne ho idea. Lo sapevo e basta.” concluse lui facendo spallucce.
“Non è che funzioni sempre” commentò Sabine “Ma avevate dimostrato di avere un olfatto decente, prima. In più vi conoscete da così tanto tempo, c’era ragione di sperare che ne foste capace. A quanto pare non mi sbagliavo! Cosa ne dite Oscar, volete provare anche voi?” propose sventolando il nastro che aveva fatto da benda.
“Non sarà necessario, Sabine: direi che avete già dimostrato il vostro punto.” le rispose l’altra frettolosa, pronta a continuare il giro.
 
 
***
 
 
Tra una sosta e l’altra e le molte domande che soprattutto in André quell’esperienza aveva stimolato, trascorse l’intero pomeriggio. Si avviarono verso la casa all’ora in cui i grilli danno il cambio alle cicale, assieme a piccoli gruppi di altre persone che rientravano dai campi alla spicciolata.
“Per alcuni fiori però la raccolta inizia tra qualche ora; pensate che il gelsomino va colto nottetempo o prima dell’alba, per far sì che il fiore sia più forte e più intenso il suo profumo. È una bella esperienza partecipare alla raccolta, se non siete contrari a una levataccia potrei farvi provare nei prossimi giorni.” spiegò Sabine.
Le domande in sospeso tra loro restavano assopite, e quei “prossimi giorni” a cui si riferì suonarono vaghi, indefiniti.
“Domani mi piacerebbe visitare i terreni della tenuta, se ne avrete il tempo.” propose Oscar alla baronessa tagliando la testa al toro.
“Naturalmente! Lasciatemi solo organizzare un paio di cose al mattino e poi porteremo un pranzo al sacco con noi… E se non vi spiace gradirei includere anche Magali…”
“Ma certo.” fu la risposta immediata di Oscar, nonostante gli attriti di prima e un brutto presentimento.
Dopo la cena leggera e qualche chiacchiera stanca, venne il momento di ritirarsi per la sera. I due ospiti non avevano ancora avuto il modo di recuperare energie dal viaggio e fu Sabine ad insistere per mandarli a dormire al più presto, come una tata apprensiva a cui non seppero opporsi.
Così come non seppero opporsi alla sua ennesima dimostrazione di noncuranza nei confronti delle regole quando scoprirono di essere stati sistemati entrambi in stanze d’onore, l’una vicina all’altra e simili in tutto e per tutto. André poteva aspettarsi dalla baronessa un trattamento migliore a quello riservato al personale dei suoi ospiti, ma mai sarebbe arrivato a immaginarsi quel lusso, i quadri alle pareti, i tendaggi ricamati.
“Oscar, convincetelo voi a non far inutili cerimonie; siete entrambi stanchi e io non ho intenzione di sistemarlo altrove. Arrendetevi e andate a dormire.” chiosò la padrona di casa.
“Mi sa che non hai scelta, André.” sostenne Oscar, soddisfatta a sua volta.
Sabine accettò i ringraziamenti del giovane con poco rigore, sminuendo il gesto. Sembrò ad un tratto ricordare qualcosa e si avvicinò all’amica.
“Oscar, potrei importunarvi un momento da sola o è troppo tardi?”
 
Nella stanza assegnata ad Oscar non mancavano due poltroncine e un tavolinetto, disposti avanti ad un camino spento da tempo in cui era stato sistemato un vecchio annaffiatoio con un fascio di lavanda essiccata il cui violetto era ormai sfumato nel grigio perla.
“Non voglio disturbarvi a lungo, quindi non farò portare nulla da bere” cominciò la baronessa prendendo posto ad una delle due poltrone “Però mi incuriosisce una cosa, Oscar…”
L’altra corrucciò solo le sopracciglia, in attesa della domanda che Sabine pareva stare elaborando con molto impegno, e che infine pose con la voce più incerta che le avesse mai sentito.
“È accaduto qualcosa con André?”
 
 
 

 
  
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