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Autore: Mary P_Stark    13/02/2020    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dioniso – 1 –
 
 
Millenni fa – Tracia
 
 
Il viaggio era stato breve, pur se davvero infausto. Almeno, così era parso agli occhi di Hermes.

Nulla poteva essere fausto e piacevole, quando un infante veniva privato della propria casa, dei propri affetti e di coloro i quali avrebbero dovuto prendersi cura di lui.

La somma Era aveva dimostrato una volta di più quanto, le sue vendette, fossero impietose e prive di umanità, e quanto anche gli infanti potessero rischiare con facilità il suo tocco venefico.

Eris era considerata da tutti la dea della discordia, ma la cosa non sorprendeva affatto Hermes, vista la madre che si ritrovava.

Atterrando con delicatezza dinanzi a uno stagno, Hermes controllò che il fagotto che teneva tra le braccia non avesse subito danni e, sorridendo, carezzò il mento del bimbo che aveva salvato da morte certa.

«Vedrai, piccolino, qui starai bene» lo rassicurò Hermes, mentre ancora il bimbo dormiva tra le sue braccia, forse rasserenato dalla sua presenza forte e gentile.

Sorridendo quindi speranzoso, il dio levò il capo a scrutare il bosco e il vicino stagno circondato di canne ripiegate dalla brezza e, attento, cercò la figura a lui conosciuta di Eudora, una iade, figlia dell’oceanina Pleione e del titano Atlante.

Scorgendola infine su un masso ricurvo e oscurato dalle fronde degli alberi, lei come sempre bellissima, era in quel momento in contemplazione del proprio riflesso nelle acque.

«Dolce fanciulla di biondo crinita, posso rubarti qualche istante del tuo tempo?» esclamò dunque Hermes, mostrandosi quindi alla iade.

Eudora levò lesta il viso per sorridergli e, nello scostare su una spalla la lunga chioma, rise nel riconoscerlo e replicò: «Per te avrò sempre tempo, mio felice compagno di giochi. Cosa ti porta qui, giovane Hermes, e come posso esserti utile?»

Balzellando come un satiro fino a giungere accanto a lei, Hermes le mostrò il piccolo fagotto che teneva tra le mani e la iade, nello scorgere un bambino, esalò sconcertata: «Cos’è mai avvenuto, mio dolce amico? E’ forse tuo figlio, e io non sapevo del tuo lieto evento?»

«No, mia bella compagna di passeggiate. Questo è il peso della vendetta, e io tento di portare giustizia laddove è stata lesa» mormorò dolente il dio.

Tornando del tutto seria, il desiderio di divertirsi ormai scemato, Eudora gli domandò: «Parla con chiarezza, Hermes. Perché rechi teco un infante?»

«La di lui madre fu amante di Zeus, e la divina Era ha testé sterminato la sua famiglia per spregio verso codesto misfatto. Questo povero fanciullo è l’unico sopravvissuto, e non ho avuto cuore di lasciarlo a morire entro le mura materne, ormai orfane di proprietari» sospirò Hermes, scuotendo il capo per il dolore.

«Pasitoe, Coronide… giungete qui, ve ne prego» mormorò allora la iade, scrutando le acque placide dello stagno dinanzi a loro.

Due figure acquatiche dalle forme femminili presero immediatamente corporeità e, sotto gli occhi di Hermes, le due iadi fecero la loro comparsa per raggiungere la sorella.

Giunte infine sulla riva dello stagno, ricoprirono i propri corpi nudi di foglie d’edera e quercia mentre Hermes, con un mezzo sorriso, chiosava: «Se Zeus sapesse delle vostre pratiche disinibite, vi si affezionerebbe molto.»

«La Tracia è luogo pacifico anche per questo… perché siamo ben lontane dal sommo Zeus» ironizzò Coronide, dandogli un buffetto sul mento. «Per un bel faccino come il tuo, bimbetto, potrei però fare un pensierino lascivo, sai?»

Hermes rise nervosamente, di fronte a quell’offerta – non gli sarebbe dispiaciuto, se non avesse avuto il piccolino con sé – ma si limitò a dire: «Un’altra volta, ben volentieri, mia illustre iade, ma ora reco meco un’incombenza importante, e desidero portarla a termine.»

Scrutando il bimbo tra le sue braccia, la iade lanciò un’occhiata turbata alle sue sorelle e, dubbiosa, domandò: «Cos’ha a che fare questo cucciolo, con noi?»

«Vi chiedo di crescerlo, lontano dall’ombra di Era e della sua rabbia. Lei non oserà mai colpire le figlie di Pleione, poiché discendenti dirette di un titano quale è Oceano, che è stato alleato di Zeus nella battaglia contro Crono. Sarà al sicuro, con voi» le pregò Hermes, stringendo le mani sul fagottino ancora addormentato.

Pasitoe carezzò la fronte del bimbo, giocherellò coi suoi riccioli castani e asserì: «Potrebbe tranquillamente passare per uno dei nostri figli, ed Era non ne saprebbe nulla.»

Eudora assentì e Coronide, nel prenderlo in braccio, dichiarò: «Ce ne prenderemo cura noi, Hermes. Non temere. I bambini sono importanti, e andrebbero sempre protetti, indipendentemente da chi li ha messi al mondo.»

«Sapevo di poter contare su di voi» sospirò sollevato Hermes, dando una pacca sulla spalla all’amica Eudora.

«Il fanciullo ha un nome, dunque?» domandò Pasitoe, sorridendo al bimbo che, nel frattempo, si era destato, gorgogliando e borbottando, con i pugni ben levati verso il cielo.

Eudora e Coronide lo guardarono piene di divertimento e Hermes, nel consegnare loro un piccolo kantharos dipinto in nero e oro, disse: «Il suo nome è Dioniso. Stava giocando con questo, quando l’ho trovato. E’ l’unica cosa che rimane della sua casa. Per favore, conservatelo per lui.»

Coronide assentì, prese con sé il kantharos e dichiarò: «Quando diverrà adulto, gli diremo chi è e, se vorrà cercarti, gli diremo dove trovarti.»

«Passerò comunque a trovarlo. Non dubitate» replicò Hermes, sfiorando con un bacio la fronte del piccolo, prima di aggiungere: «Abbi una buona vita, fanciullo. Gioiremo insieme la tua venuta al mondo quando sarai più grande, te lo prometto.»

Ciò detto, ringraziò nuovamente le iadi e tornò al suo ruolo di psicopompo. L’intera famiglia di Dioniso doveva essere condotta nell’Oltretomba, e Thanatos era impegnato altrove. Spettava dunque a lui, quell’ingrato compito.
 
***

Maggio 2022 – Monte Olimpo
 
Sdraiato su una miriade di morbidi cuscini di velluto mentre, al suo fianco, il suo amante del momento era crollato per il sonno, Dioniso chiese per sé un altro giro di vino e Ares, nel servirglielo, ghignò con fare malizioso e celiò: «Stasera andrai liscio, amico mio! Il tuo amichetto è andato… non ne caverai un ragno dal buco!»

Ciò detto, si ribaltò sui cuscini, ridendo delle sue stesse parole e scolandosi un altro otre di vino delle Lipari.

Dioniso allora lanciò un’occhiata al giovane potamoi al suo fianco – si erano incontrati fuori dalla casa di Era, poco dopo uno dei festini della dea – sorrise consolatorio e asserì: «Quando vorrò il suo corpo, saprò ridestarlo a nuova, sfolgorante vita. Non temere per me, mio giocoso fratellone, e bada soltanto a divertirti.»

Ares rise nuovamente, rischiò di rovesciarsi addosso parte del vino contenuto nel suo otre mentre Alekos, nello schivare i passi ciondolanti di un satiro, riusciva infine a raggiungere Dioniso.

Dopo una divertente telefonata intercorsa con Ares, Alekos si era unito allo zio per quell’uscita fuori porta e davvero fuori programma, oltre che un tantino proibita, almeno per quel che lo riguardava.

Alekos, infatti, era uscito di casa senza avvisare la madre o Érebos delle sue intenzioni ma, almeno per qualche ora ancora, non avrebbe rischiato ripercussioni di alcun genere.

Sgattaiolato in gran segreto dalla dependance che avevano costruito per lui, a poca distanza da quella dei genitori, Alekos si era quindi avventurato fino alle porte del palazzo di Dioniso grazie all’aiuto di Ares, e aveva sfidato la sorte.

Lì, non senza una certa agitazione – era la prima volta che partecipava a una festa così sopra le righe – era entrato all’interno dell’enorme tempio in compagnia dello zio, nelle orecchie la musica che già stavano suonando all’interno.

Una volta raggiunto il salone più interno, Alekos vi aveva infine trovato ogni genere di libagione, oltre a un’autentica sfilata di donne e uomini in abiti discinti, intenti a ballare, dimenarsi, baciarsi e… beh, tanto altro.

Pur provando un sano e genuino imbarazzo, era comunque rimasto e Ares, tenendoselo appresso, lo aveva reso edotto sul modo migliore per divertirsi alle feste di Dioniso.

Cioè, ubriacarsi e lasciar perdere i perbenismi.

Ares ci aveva dato dentro, almeno a giudizio di uno sconvolto Alekos, finendo diversi otri di birra, di vino bianco e di vino rosso. Non soddisfatto, aveva poi chiesto a gran voce vassoi e vassoi di carne cotta con l’osso, subito accontentato dalle celebranti di Dioniso.

Il padrone di casa, non lesinando affatto con le piacevolezze, aveva mostrato ad Alekos il suo nuovo angolo per i divertimenti, ma lì il giovane era fuggito non appena aveva scorto frustini e cinghie di cuoio.

Ormai pentito di aver dato voce a una subdola idea che, sulle prime, gli era parsa allettante quanto piacevole a farsi, Alekos aveva quindi cercato un angolino in cui rifugiarsi per superare indenne la notte.

Avendo promesso ad Ares di rimanere con lui fino al giorno seguente, non se l’era sentita di disturbarlo per farsi riaccompagnare a casa. Non potendo fare altro che restare, si era quindi nascosto in un angolo appartato del tempio per sfuggire a quel mondo per lui così alieno.

Ciò, però, non era bastato a salvarlo da assalti più o meno eleganti da parte di fanciulle piacenti e procaci, a cui Alekos solo a stento era riuscito a dire di no.

Solo verso l’alba, non riuscendo più a sopportare la situazione – e sentendosi abbastanza alticcio da perdere il controllo – Alekos aveva deciso di recarsi da Dioniso per chiedere a lui aiuto.

Lasciandosi quasi cadere sui cuscini accanto al padrone di casa, il giovane semidio mormorò con voce strascicata e fiacca: «Non voglio offenderti, zio, ma davvero non ce la faccio. E’ troppo, per me.»

Dioniso gli carezzò il viso solcato da leggera barba e, dolcemente, gli disse: «Non so neppure perché tu abbia accettato, mio caro. Ares è stato sciocco a portarti. La tua mente è così pura e ingenua, per certi spettacoli, che proprio non trovano spazio in te. Ma mi fa piacere che tu abbia almeno tentato. E’ sempre bello vederti, e il tuo potere è così ammaliante che anche i miei invitati ne sono impregnati fin nel midollo.»

«E’ un bene o un male?» domandò confuso Alekos, poggiando il capo contro la spalla di Dioniso. Si era impegnato molto, in quegli ultimi anni, nel tentare di trovare un equilibrio tra quello che era giusto e quello che era sbagliato, ma non era certo di esservi riuscito. Soprattutto, non era certo che, alcune delle sue decisioni, fossero propriamente sue.

Suo padre e sua madre sembravano ancora così turbati che, anche solo per quello, desiderava tornare a casa prima del levar del sole. Non voleva turbarli ulteriormente, visto quanto già facevano per lui.

Eppure, gli era parso così giusto spingere per andare da Dioniso, che…

Il dio continuò a carezzargli il viso, mormorando suadente e strappandolo così ai suoi pensieri: «Per me, può essere solo un bene, perché le persone liete e appagate, si divertono di più di quelle irritate e bizzose. Ma potrebbe anche essere vero il contrario, se volessi una festa più… movimentata. L’appagamento le frenerebbe, e questo porterebbe al collasso della festa.»

Alekos rise di fronte allo sguardo malizioso dello zio e replicò: «Più movimentata di così?!»

Dioniso rise con lui, scuotendo una mano come se le parole del nipote fossero una burla e, annuendo, replicò: «Caro il mio ragazzo, io posso creare scenari che tu solo immagini… anzi, no, non credo tu possa davvero immaginarli, ma sono molto più piccanti di stasera… no, stamattina, a ben pensare.»

Alekos assentì con una risata sgangherata e, nel raddrizzarsi a fatica, celiò: «Credo di aver capito, ma non mi esprimerò adesso. Ho il dubbio di essere sbronzo, e non so davvero come farò a rimettere piede a casa, conciato così. Mamma mi ucciderà, se le chiederò di materializzarmi dinanzi alla dependance, e Ares al momento è andato.»

Ciò detto, indicò lo zio, impegnato in una pesante e rumorosa dormita tra una marea di cuscini.

Dioniso assentì, rimuginando tra sé sull’intera situazione. Come gli altri dèi, anche lui era a conoscenza della speciale abitazione creata appositamente per Alekos, eretta sullo stile della villa di Aiolos.

Da quel poco che aveva compreso, quella specie di gabbia di Faraday impediva ai poteri del giovane di prendere il sopravvento su di lui. Quel che però Dioniso non sapeva era se, un’uscita da casa di così tante ore, e condita di beveraggi alcolici, potesse danneggiare il giovane. Perché non ci aveva pensato prima, e non aveva chiesto lumi ad Ares?

Denigrando se stesso per quell’errore madornale, Dioniso cercò di rasserenare il giovane perché non avesse una crisi d’ansia – che non avrebbe saputo come gestire – e, sorridendogli, domandò: «Athena ti vuole morigerato e pio a vita, ragazzo mio? Hai ventidue anni, ormai, e credo sia nel tuo diritto sollazzarti e darti alla pazza gioia.»

«Non si tratta di quello. E’ che non posso mentire, con lei, anche se un po’ riesco a murarmi la bocca, se proprio mi impegno» replicò Alekos e, per un attimo, la figura di una donna balenò nella sua mente, attirandolo verso di sé. «Non voglio deluderla, facendomi vedere ubriaco e, credo, strafatto di qualcosa, quando lei mi aveva messo in guardia in merito agli effetti dell’ambrosia mescolata al vino... e a non so che altro.»

Dioniso esplose in una dolce risata, assentì e disse: «Questo sì che è un difetto non da poco, nel vostro rapporto unico! Beh, ragazzo mio, se tu mi dici chi chiamare perché ti levi le castagne dal fuoco, io lo chiamerò. Non oso tenerti qui con me, poiché ben difficilmente riuscirei a tenerti lontano quelle ninfe. Ti stanno letteralmente divorando con gli occhi. Diversamente, potrei trasmutarti anch’io ma, alticcio come sono, potrei farti finire in Nebraska. O alla Casa Bianca.»

Alekos non riuscì a seguire con lo sguardo l’indicazione di Dioniso, troppo stordito da ciò che aveva mangiato e bevuto per compiere anche un movimento così semplice come levare il capo.

Dando quindi per scontato che vi fossero delle ninfe interessate a lui, poggiò il capo contro la sua spalla, estrasse il cellulare dalla tasca, richiamò un numero in rubrica e borbottò, prima di addormentarsi: «Chiama.»

Dioniso lo lasciò scivolare dolcemente tra i cuscini, accompagnandolo con gesti teneri delle mani, afferrò il suo cellulare e scrutò curioso il numero inserito sul display.

«Perché proprio lei?» si domandò pur seguendo le richieste del nipote.

Al quarto squillo, la voce ansiosa di Eris esalò all’altro capo: «Alekos, che succede a quest’ora?!»

«Buon mattino, mia cara e idiosincratica Eris. Prima che le tue arpie vengano qui a divorarmi i sacri augelli, posso chiederti un’incombenza?» esordì con la consueta ironia Dioniso, mandandola ovviamente su tutte le furie.

«COSA DIAVOLO CI FAI, TU, CON IL CELLULARE DI ALEKOS?!» sbraitò la dea, costringendo Dioniso ad allontanare lo smartphone dall’orecchio per evitare un distaccamento del timpano.

«Diamine, cara, …con una voce del genere, mi immagino come tu debba essere quando ti liberi alla passione…» ironizzò malizioso Dioniso, scatenando l’ulteriore ira di Eris.

«Proioxis sarà felicissima di strapparti le palle, razza di satiro da strapazzo che non sei altro» lo minacciò Eris piena di furore, prima di aggiungere: «E ora rispondimi, prima che le ordini anche di sbudellarti come fecero le aquile di nostro padre con il fegato di Prometeo!»

Sorridendo ansioso di fronte a un simile scoppio d’ira, così come alla minaccia altamente splatter della dea, Dioniso tornò comunque serio e mormorò: «Tieni molto a lui… ora capisco perché mi ha domandato di chiamare proprio te. Sapeva che tu lo avresti protetto a prescindere

«A prescindere da cosa?» domandò sospettosa Eris, abbassando il tono di voce per sostituirlo con uno assai turbato e, paradossalmente, molto più minaccioso del precedente.

«Raggiungimi al mio tempio, cara, e ne avrai visione. Oh, e una cosa… ti scongiuro, prega Proioxis di risparmiarmi, per stavolta.»

Eris non gli rispose, limitandosi a sbattergli il telefono in faccia. L’attimo seguente, in uno scintillio d’argento, apparve dinanzi al dio con il furore dipinto sul volto.

Dioniso, però, se ne infischiò bellamente e, dopo averla raggiunta, la abbracciò, baciandola poi sulle labbra prima di mormorare sornione: «Sono felice che Afrodite non ti abbia cambiata così tanto da farti perdere quella luce che hai sempre avuto negli occhi. Inoltre, mi piace come hai migliorato il look.»

Eris lo spintonò lontano, imprecando al suo indirizzo e tergendosi le labbra dal sapore di vino e ambrosia che lui le aveva lasciato.

Avrebbe dovuto immaginare che presentarsi a casa di Dioniso le avrebbe procurato dei guai, ma sapere che Alekos si trovava lì le aveva messo le ali ai piedi.

Inquadrando finalmente la figura del figlio di Athena, Eris venne colta da stordimento e panico e, nell’incespicare, rischiò di cadere a sua volta tra i cuscini.

Dioniso fu lesto a sostenerla e, avvolto un braccio attorno alla sua vita stretta, disse con tono più serio: «Non ti arrabbiare se ti ho afferrata, ma sei diventata pallida come un cencio… ora sei stabile, sorella?»

Annuendo lentamente, batté un paio di volte una mano su quella di Dioniso che ancora la tratteneva e, scrutandolo da sopra una spalla, domandò caustica: «Perché lo hai ridotto così, razza di idiota?»

«Non io ho versato vino nella sua coppa, mia ingiusta ospite. Se vuoi incolparmi di qualcosa, accusami di non averti invitato per tenerlo d’occhio, o di non essere stato abbastanza accorto dal chiedere ad Ares quanto il giovane reggesse l’alcol… ma dubito che, con te presente, il ragazzo si sarebbe lasciato andare, o che Ares avrebbe saputo rispondermi. E’ così pieno di virginee paure, il povero Alekos, da farmi quasi pena, mentre Ares sa a malapena contare fino a dieci, quindi figuriamoci se sa fare conteggi complessi.»

«Alekos è puro, contrariamente a voi» sottolineò furiosa Eris.

Ciò detto, si avventurò tra i cuscini, sollevò il capo di Alekos per portarselo al petto e, fissando astiosa Dioniso, sibilò: «Non una parola, con Athena.»

«Come se non lo sapessi» ammiccò lui, salutandola con un gesto della mano quando la vide svanire assieme ad Alekos.

Una volta che i due furono scomparsi dal suo tempio, Dioniso osservò serio l’intero salone, ancora ricolmo dei suoi molti ospiti e, nel notare quanto ancora fossero storditi dal potere ammaliante di Alekos, mormorò: «Ha davvero raggiunto un potere enorme.»
 
***

Passando una pezzuola umida sul volto teso di Alekos, Eris si chiese per l’ennesima volta come fosse venuto in mente, al ragazzo, di partecipare a uno dei baccanali di Dioniso.

Se c’era un evento a cui lui, assolutamente, non avrebbe dovuto essere presente, era per l’appunto quello. La mente di Alekos era troppo pura e luminosa, per devianze e promiscuità simili.

Nel sentirlo lamentarsi nel sonno, la dea gli carezzò i capelli intrisi di sudore e, tra sé, sorrise nonostante tutto.

Li stava facendo crescere come lo zio umano, il padre di Buffy e Xena, e gli donavano particolarmente, conferendogli un’aria più matura e vagamente gitana.

Eris aveva conosciuto Felipe alcuni mesi dopo l’aver scoperto il segreto di Érebos e, tutto sommato, le era parso una brava persona, per essere soltanto un umano. Quando, poi, aveva udito dalla sua bocca le vicende di suo fratello Miguel e di Athena, aveva sorriso e pianto in gran segreto.

Il loro profondo e prezioso amore, non a caso aveva generato una creatura unica come Alekos. Quello stesso amore, però, unito al potere devastante del dio Ctonio che lo aveva salvato, stava creando uno squilibrio sempre maggiore nell’universo, e ormai era impossibile non rendersene conto.

Così come sembrava impossibile mettervi un freno. Non appena aveva messo piede nel tempio di Dioniso, ne aveva subito sentito gli effetti sulla pelle. Per un attimo, aveva ella stessa desiderato gettarsi nelle danze per farsi trascinare dall’allegria e dalla gioia del momento, trovando giusto perdersi nei suoi sensi ridestati all’estasi.

Quando, però, se n’era resa conto, era tornata in sé in tutta fretta e aveva rifiutato quell’ammaliante sirena che era divenuta il potere di Alekos, pensando innanzitutto a portarlo via dal tempio di Dioniso.

Era mai possibile che questo suo comportamento sconsiderato fosse un effetto collaterale di tale condizione?

«Eris…»

Tornando immediatamente con lo sguardo sul volto di Alekos, la dea mormorò: «Agápi… come stai?»

Gli occhi di smeraldo di Alekos si aprirono, assonnati e vacui, e un lento sorriso si incuneò sul suo viso, trasfigurandolo. Quando sorrideva a quel modo, neppure il bel volto di Apollo poteva reggere il confronto, ed Eris si chiedeva sempre come le mortali avessero potuto finora sopravvivere a una simile bellezza.

Quel pensiero divertito, però, venne spazzato via dallo sguardo vacuo e pieno di desiderio del giovane che, carezzando il viso confuso di Eris, mormorò roco: «Che bello vederti.»

«Alekos… si può sapere perché hai…» cominciò col dire Eris, prima di venire azzittita dal gesto improvviso di Alekos.

Il giovane la sospinse con forza sul letto, portandosi sopra di lei e dominandola col proprio corpo di uomo, occhi negli occhi con Eris e smanioso di non interrompere in nessun modo quel contatto.

«Alekos…» ansimò scioccata la dea, suo malgrado stordita dalla sua forza di giovane uomo, e preoccupata da ciò che avrebbe potuto fare da lì in poi.

Cosa diavolo aveva in mente?!

«Ne ho bisogno, Eris… ho bisogno di…» gorgogliò lui, chinandosi verso di lei col chiaro intento di baciarla.

Eris poggiò invano le mani sul suo ampio torace, rendendosi così conto di quanto Alekos fosse cresciuto, in quegli anni, diventando un uomo molto forte fisicamente, oltre che assai potente.

Stranamente, però, in quel momento non avvertiva minimamente l’influsso del suo potere, quanto piuttosto un altro bisogno, a cui però non sapeva dare un nome, né una forma.

Quando si rese conto della totale confusione che albergava negli occhi di Alekos, lo richiamò con voce stentorea, esclamando: «Alekos! Svegliati!»

Quel suono lo fece riprendere a sufficienza per rendersi conto di ciò che aveva quasi commesso e, nel balzare via dal letto con espressione sconvolta, fissò Eris pieno di dolore e urlò.

Strette le mani sul capo, gli occhi ormai rivoltati a mostrare solo la sclera, trasformò il suo urlo in un richiamo pieno di disperazione e dolore, tale da portare la stessa Eris alle lacrime.

Quel grido straziò il cuore della dea, lo percosse, spezzandolo in mille schegge di diamante e, mentre gli stridii impazziti delle arpie si unirono al gemito di Alekos, lui… svanì.







N.d.A: facciamo la conoscenza con un altro dio dell'Olimpo, il solare Dioniso, e scopriamo che Alekos è sgattaiolato fuori di casa senza permesso grazie ai buoni uffici di Ares.
Questa uscita fuori programma, però, porta ben presto Alekos a fare i conti con i postumi di una sbronza davvero colossale... ma anche con un problema ben più grave, che vede Eris come punto focale.
Perché proprio lei? E come, Alekos, è riuscito a trasmutare, visto che non ha mai avuto potere sufficiente per farlo?
  
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