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Autore: Enchalott    18/02/2020    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’agonia di Iomhar
 
“Ti domando perdono, Dare Yoon” mormorò Aska Rei, allargando leggermente le braccia “Sono stato ingiusto con te”.
Contrariamente ad ogni previsione e nonostante la prigionia, il comandante della Guardia appariva alquanto in forma, addirittura di buon umore. Seduto a gambe incrociate sul pagliericcio della cella, era ancora vestito della sua uniforme color tortora e avvolto in un mantello di lana scura per sopportare il gelo letale.
I suoi occhi grigi ammiccarono lieti al compagno d’arme, mentre gli stringeva amichevolmente l’avambraccio in un saluto tipico del Sud.
I lunghi capelli neri erano raccolti ordinatamente in un laccio di cuoio, che gli girava anche intorno alla fronte. Si era rasato e l’aspetto spossato e svigorito era sparito quasi del tutto dal suo volto deciso. Era solo un po’ più magro di come Dare Yoon lo ricordava, poiché il menù delle prigioni di Jarlath, anche se Màrsali si era data pena di non fargli mancare nulla, era ben diverso da quello della reggia di Erinna.
“Ma piantala!” ribatté, alzando gli occhi al cielo “Non hai alcun bisogno di scusarti, io avrei fatto di peggio davanti ad una scena del genere!”.
Aska Rei sorrise alla ruvidità di Dare Yoon, realizzando quanto gli fosse mancata durante il viaggio verso Jarlath, intrapreso in solitudine. Erano anni che l’amico lo affiancava in ogni missione e, sebbene il comandante possedesse un carattere deciso e sicuro di sé, quell’assenza aveva manifestato tutto il suo peso.
“Adara sta bene?” domandò poi, facendosi repentinamente serio.
“Ti parrà strano, ma… sì. E non riesco a fornirmi una sola spiegazione razionale”.
“Mh… magari la razionalità non è l’ambito presso cui trovare le risposte. Oppure ciò che ci è stato riferito sul sovrano di Iomhar è eccessivo”.
“Non lo è affatto, Rei!” borbottò il soldato “Lo affermo per testimonianza diretta”.
Raccontò brevemente le peripezie che avevano superato, fino all’incontro con Anthos sulla nave pirata, senza omettere alcun particolare.
“Per le sacre dune!” esclamò il capitano, inorridendo “Se non fossi tu a riportare una brutalità siffatta, stenterei a credervi! Allora avevo ragione a pensare che avete studiato un piano di riserva per opporvi al reggente e liberare la principessa!”.
“No” sospirò Dare Yoon “Nessun programma alternativo. Adara ci ha proibito qualsiasi intervento, per difenderci. Io ho faticato ad accettare la sua decisione di sposare quel… Daimar! Ancora adesso sarei per l’irruzione in quella maledetta Torre, mentre il ragazzo Aethalas, contrariamente a ogni aspettativa si è adeguato. Bah!”.
“Adara??” sbottò Aska Rei stupefatto, sentendo il compagno chiamare la principessa per nome “Vedo che ti sei sciolto un po’ dalla tua rigidità, Yoon!”
“Ehm…” biascicò lui, avvampando “Ha insistito lei e poi dopo tanti mesi insieme… non è affatto per mancanza di deferenza, ma… scusami…”.
Rei scoppiò a ridere di cuore, burlandosi dell’imbarazzo dell’amico sempre ligio e riguardoso, mai fuori dal protocollo formale che gli era stato insegnato.
“Non me ne stupisco! Quella ragazza sarebbe in grado di rendere ciarlieri anche i sassi! Guarda com’è riuscita a far sbottonare il nostro introverso e misterioso arciere in pochi giorni…”.
Le iridi blu notte di Dare Yoon ebbero una variazione profondamente angosciata.
“A questo proposito” disse grave “C’è qualcosa che dovresti sapere. So che non ti servono raccomandazioni, ma dovrà restare tra me e te. Parlerò solo per rendere onore a un uomo degno della mia più incondizionata stima, affinché tu ne abbia il medesimo riguardo. Non per indiscrezione”.
Il racconto si fece più doloroso e personale, affrontando la vicenda di Narsas e della sua sofferta risoluzione a rinunciare all’amore della sua vita.
“Per tutti gli dei…” mormorò Aska Rei, pesantemente turbato “E io che ho mugugnato lungo tutto il cammino per il freddo, la neve e la carenza di cibo… Materiale per uscire di testa a provare quanto mi hai riportato! Mi sento un idiota per aver dubitato di lui”.
“Già. Anch’io l’ho ritenuto un nemico per buona parte del viaggio. Non sai quanto ora mi stia pesando l’essere stato pieno di pregiudizi…” sospirò il soldato, incrociando le braccia sul petto “Piuttosto… non mi hai detto come hai fatto a salvare la pelle quando Tasautia si è sbriciolato come pane secco”.
“Pura fortuna. Ero ben oltre la metà della terza arcata, quando ho avvertito un tremore allarmante. Ho piantato istintivamente i talloni nei fianchi del mio cavallo e sono schizzato al galoppo senza girarmi, mentre polvere, pietre e schegge di ogni sorta mi raggiungevano sugli ultimi metri del ponte, come un’ondata a velocità impressionante. Non ho mai assistito a un pandemonio del genere, Yoon, te lo giuro. Mi è andata fin troppo bene, anche se la povera bestia che montavo è incespicata in un frammento, invisibile in quella nebbia caliginosa, e mi ha disarcionato. Ho battuto la testa e ho perso i sensi… non so per quante ore. Quando mi sono ripreso, ero zuppo di pioggia, malconcio e, soprattutto, convinto di essere l’unico superstite”.
Il soldato osservò con partecipazione l’espressione del suo comandante, corrucciata nel ripercorrere gli eventi tanto desolanti, che gli avevano lasciato un solco nel cuore.
“Hai trovato il messaggio della principessa, allora?” azzardò.
“Puoi dirlo forte” ammise il giovane, sorridendo e recuperando l’aria ottimista e scanzonata che gli era affine “Non appena la visibilità è stata soddisfacente e sono stato in grado di muovermi, mi sono affannato a cercare gli altri… con il drammatico risultato che puoi intuire. Poi ho visto la freccia piumata di rosso conficcata in un pilastro e ho escogitato un modo per andarla a recuperare. Ti assicuro che non è stato semplice: le volte rimaste in piedi non erano affatto stabili e la corda che avevo con me non era sufficientemente lunga. Diciamo che ho rischiato il collo, ma ne è valsa la pena. Il messaggio di Adara mi ha restituito la speranza”.
“Lo sostengono tutti qui a Jarlath” commentò Dare Yoon, pensieroso “Che lei sia l’unica speranza, intendo. Lo ripete continuamente anche Narsas e adesso tu me lo confermi. Persino io sto incominciando a crederci sul serio, Rei”.
“Mh, se un duro di comprendonio come te si sta ammorbidendo …” sorrise il comandante, sagace “Voi invece? Siete fuggiti dalla rovina?”.
“No. Non abbiamo neppure oltrepassato l’architrave d’accesso. Il Crescente ha preso vita e la principessa è caduta da cavallo. L’arciere si è precipitato a soccorrerla e io ho fatto lo stesso, pensando che la volesse uccidere. Ci ha salvati tutti così”.
“C-cosa?” esclamò il comandante “L’Imis’eli?!”
“Sul mio onore. E non è stata l’unica volta. Lo sai che è difficile che io mi beva passivamente i fatti inspiegabili, ma in questo caso…” mormorò il soldato “Posso solo riportare ciò che ho visto con i miei occhi e affermare con odiosa certezza che persino una belva come Anthos pare nutrirne un certo rispetto”.
“Anthos…” ringhiò l’uomo con fastidio “Non credo a una sola delle parole che pronuncia! Se non altro, ora sappiamo che non è invincibile! Ci sarà un sistema per sottrargli Adara dalle grinfie!”.
“Rei” pronunciò Dare Yoon con calma piatta “Il reggente è stato ferito da una divinità o da un demone a quanto ho capito. Noi siamo solo esseri umani. Inoltre, io l’ho visto interagire con la principessa e, mio malgrado, devo ammettere che quanto promette mantiene. Non le ha arrecato alcun male… si rivolgono l’uno all’altra come se fossero davvero in confidenza o come se si fossero sposati per amore reciproco e questo già di per sé costituisce un prodigio, per conto mio. Dobbiamo avere fiducia in lei”.
Gli occhi d’acciaio del capitano della Guardia scintillarono, irosi.
“Mi pare assurdo” commentò, granitico.
“Lo è” confermò il compagno “Ma se ti fidi della mia parola, devi accettare quanto ti dico. È Adara che non vuole allontanarsi da Anthos. Quale ne sia la motivazione, non spetta a noi discutere le decisioni della nostra Campionessa. Lo sai anche tu”.
“Maledizione!” sbottò Rei, sbattendo il pugno a terra con veemenza “Non abbiamo tempo! Hai avuto modo di vedere le condizioni in cui versa il Nord a causa di quell’essere spregevole? Perché io l’ho fatto, Yoon! Ad ogni passo che ho posato su queste malaugurate nevi ho incontrato la miseria, la disperazione, la rassegnazione! Le persone fuggono con l’alluvione alle calcagna e non sanno dove andare, perché l’uomo che le governa si crogiola nel proprio egoismo! Gli abitanti dei radi villaggi sul Pelopi sono saliti verso le falde dei monti, ma presto anche quei luoghi non saranno più al sicuro. L’acqua sta montando di giorno in giorno. Non hanno di che vivere, ma hanno paura di avvicinarsi alla capitale per chiedere un aiuto che sanno non verrà concesso, così attendono la morte nelle caverne del Sirideain, privi di ogni risorsa! Eppure mi hanno accolto, sebbene fossi uno straniero armato di spada, hanno condiviso con me il loro prezioso cibo, il loro fuoco nelle notti algide e prive di stelle. Mi hanno affidato le loro preghiere, quando ho raccontato che sarei salito alla fortezza e che la nostra principessa avrebbe interceduto per loro, che avrebbe arginato lo scorrere della Profezia. Porto sulle spalle la promessa che ho fatto a Elestorya, alla regina, alla nostra gente, a mia moglie… e ora anche al popolo del Nord! Che io sia dannato, non posso più aspettare!”.
“Tua… cosa?!” eruppe Dare Yoon, stupefatto, riavendosi dalla commozione che il drammatico resoconto gli aveva procurato.
“Già” sospirò Rei, lievemente imbarazzato “Non te l’ho detto. La notte precedente alla partenza ho sposato Dionissa con il rito delle fiamme e del sangue”.
“Sei fuori di senno?!” ululò il soldato, spalancando gli occhi “Come hai potuto chiedere alla veggente di legarsi a te, pur trasportando il rischio di non tornare mai più da lei? Ti rendi conto che le spezzeresti il cuore? Sei un incosciente!”.
“Un pazzo” ribatté il comandante con un sogghigno sfacciato “Lo so. Sono pazzo di lei e per questo tornerò ad ogni costo. Da vivi o da morti staremo insieme come marito e moglie. Diversamente è inaccettabile”.
“Resta il fatto che è proibito toccare una sacerdotessa! Non hai ritegno!”.
“È proibito finché non lo stabilisce lei!” rimandò Aska Rei con altrettanta veemenza “Hai mai amato una donna tanto intensamente da pensare di non esistere senza di lei? Una donna che occupa la tua anima e il tuo cuore, che è la prima immagine che accompagna il tuo risveglio e l’ultima che precede il tuo sonno? Che è il tuo tutto!”.
“Io… no” ammise Dare Yoon con più calma, scuotendo la testa.
“Dionissa è la mia vita, io sono la sua. Abbiamo scelto di unirci per sempre e lei lo ha accettato con la certezza che potrei non riabbracciarla mai più. La sua malattia la sta portando via… una volta sola, Yoon… io devo rivederla ancora, una sola volta, per dirle che Adara è salva, che il mondo non è perduto…”.
“Scusami” borbottò il compagno, turbato “Non avevo il diritto di rimproverarti…”.
“Ehi…” ridacchiò tuttavia Aska Rei, rasserenandosi “E’ la seconda volta in pochi minuti che sprofondi nel pentimento. Il freddo ti ha smorzato il caratteraccio o hai paura che io sia diventato suscettibile?”.
“All’inferno…” bofonchiò l’amico, piccato.
“Ah, così va decisamente meglio!” scherzò il comandante “Detto questo, resta il fatto che rimanere qui, inerte, come ospite di Haffgan non è proficuo. Pensi di potermi far uscire da qui? Màrsali sta già rischiando troppo, non voglio coinvolgerla”.
“Sì, ci ho pensato. Adara è d’accordo e il momento è propizio. L’idea di base è del guerriero Aethalas ed è l’unica fattibile per non implicare in un’eventuale fuga il custode del carcere e sua moglie. Ascoltami bene”.
 
La collezione di libri del palazzo reale di Jarlath era qualcosa di indescrivibile.
Adara si guardò intorno, meravigliata, osservando le volte buie della vasta biblioteca, occupate dagli scaffali carichi di volumi antichissimi e ingialliti, che si perdevano nell’ombra dell’ambiente scarsamente illuminato.
Quando Anthos aveva comandato al fedele Iristel di recare la chiave, il funzionario si era inchinato con ossequio, ma non era riuscito a trattenere l’espressione sbigottita, sintomo del fatto che quell’ala della fortezza non fosse spesso oggetto di visita.
La serratura metallica aveva emesso un rugginoso cigolio di protesta, ma il principe aveva schiuso le porte senza difficoltà, accedendo alle stanze con piglio sicuro.
L’odore farinoso e irritante che impregnava l’aria stantia, caratteristico della carta e della pergamena a lungo conservate, li aveva accolti con prepotenza insieme con il gelo incommensurabile, che esalava dal pavimento nonostante la copertura di legno bruno e spesso.
L’eco dei passi del reggente riverberò lungo le corsie oscure, appaiata al lucore timido e impotente della lanterna che aveva recato con sé. Ombre tetre e paurose si proiettarono sui muri gremiti di tomi e documenti, danzando al ritmo del suo incedere, che imprimeva orme nitide sul pulviscolo depositatosi negli anni.
Adara lo seguì, intimidita, in quell’incredibile labirinto del sapere custodito nel cuore della reggia e destinato forse a un uomo soltanto.
“Sono senza parole…” ammise, mentre il suono della sua voce entusiasta si perdeva tra le scansie di ogni foggia, poste come un dedalo senza via d’uscita.
Anthos raccolse una scintilla del proprio potere tra le dita e la fece levare verso il soffitto: l’energia schiarì e si espanse gettando la sua luminosità in ogni recesso, inondando le stanze una dopo l’altra come un sole artificiale.
“E ora?” domandò lui con un sogghigno compiaciuto.
I corridoi che partivano a raggiera dal centro della biblioteca si perdevano in passaggi e palchetti di ogni genere, tutti occupati da testi e volumi in un affastellarsi privo di spazio che pareva non finire mai.
“Non credevo ti piacesse così tanto leggere” scherzò lei amabilmente.
Le iridi dorate del principe scintillarono divertite.
Quella mattina, immerso nell’acqua calda del loro bagno privato, lui le aveva annunciato l’intenzione di svolgere alcune ricerche sui due manufatti arcaici che gli avevano creato tanti problemi inaspettati e urgenti. Era necessario comprendere il rapporto esistente tra il Diadema di Elestorya e il Medaglione, capire come invalidare il primo e completare il secondo. Reperire traccia della vera Gemma del Cielo e venirne a capo, scoprire chi fosse l’autore del falso e i suoi insondabili motivi.
Anthos non aveva più accennato al momento di collera feroce che lo aveva percorso quando se n’era andato sbattendo la porta e alludendo alle proprie pulsioni represse, né lei aveva domandato dove si fosse diretto né quando fosse rientrato.
L’idea intollerabile che avesse davvero trascinato a letto la prima cameriera che aveva attraversato la sua strada aveva abbandonato Adara nel momento stesso in cui si era risvegliata e l’aveva scorto nella penombra a scrutare la pioggia.
Il fatto che poi non l’avesse respinta, che avesse ricambiato la sua stretta, che non avesse emanato alcun tipo di rancore quando aveva cercato e afferrato la sua mano, le aveva fornito un’ulteriore conferma. Suo marito manteneva la parola data e la fedeltà ne era parte primaria.
Ciò che, invece, le aveva provocato l’apprensione che ancora le opprimeva ostinatamente il petto era stata l’affermazione che lui aveva proferito in seguito: morire. Le si era gelato il sangue.
Non era riuscita a farlo aprire in alcun modo, neppure quando si era accostata con gentilezza e avevano osservato insieme l’acqua scrosciare sulle torri di Jarlath. Neppure quando, con voce soffocata dalla pena, gli aveva sussurrato che avrebbe auspicato per contro che lui continuasse a vivere.
“Nulla in contrario” aveva ribattuto il principe, spogliandosi dell’espressione malinconica e lasciandole intendere che si era trattato soltanto di uno sconforto passeggero o della conseguenza dovuta alla lettura ovvia degli eventi in corso.
Adara aveva imparato, tuttavia, che il reggente non lasciava mai nulla al caso. Quella dichiarazione era intrisa di tristezza, di privazione, di sfiducia, ma aveva in sé le vestigia di un coraggio e di una tempra tutt’altro che momentanee.
Quando Narsas le aveva confessato che sarebbe morto con onore, come se si fosse trattato di una sua scelta personale, senza paura, con temeraria accettazione e sacrificio, la ragazza aveva percepito la medesima sensazione che il termine lapidario emesso da Anthos le aveva provocato. Per quella ragione era precipitata nell’angoscia: il verbo morire, sulle sue labbra, suonava terribilmente privo di sarcasmo. Suonava reale.
 
Il giovane accese alcune candele e le collocò su un tavolo di legno massiccio, posto al centro della sala principale e contornato da alcune poltrone rivestite di broccato scuro. La polvere sollevata dal movimento fece crepitare le fiammelle.
“Sei ancora decisa ad aiutarmi?” domandò, come se fosse un evento fuori dall’ordinario “Molti testi sono redatti nel dialetto di Iomhar, altri addirittura in una lingua ormai morta. Non so quanto ne potresti estrarre…”.
“Partirò da ciò che riesco a leggere, in tal caso. Scrivimi le parole chiave che potrebbero destare il tuo interessamento in entrambi gli idiomi” propose Adara “Proverò a focalizzarmi sulla memoria visiva”.
Anthos sorrise all’ostinazione ineguagliabile di sua moglie, scegliendo un foglio dalla pila appoggiata lì accanto e prese a vergare i vocaboli che gli aveva richiesto. La sua mano corse sicura sulla pagina, come se fosse abituato a usare entrambe le lingue con frequenza, tracciando lettere e simboli in modo armonioso.
“Questo” disse indicando uno dei termini ancora umidi di inchiostro blu “Significa koreyon. Non ho dimenticato il tuo scopo principale. Ti mostrerò dove si trovano i trattati sui veleni e sugli antidoti, ma non aspettarti alcun risultato eclatante”.
Adara spalancò gli occhi, incredula. Il principe stava tenendo fede a un’altra delle promesse che le aveva rivolto tempo prima.
“Grazie” mormorò con obbligo “Devo farlo in ogni caso. Impedire a una vita di interrompersi, qualunque essa sia…”.
Il reggente colse l’allusione e una ruga gli si incuneò tra le sopracciglia. Non disse nulla, si limitò a rivolgerle un cenno affinché lo seguisse tra gli scaffali.
Non morire, Anthos… prenditi la briga di vivere, piuttosto.
Gli aveva sussurrato così sul fare dell’alba, quando le percosse della pioggia sui vetri si erano regolarizzate nello scendere lento e deprimente che lui aveva vaticinato. E le parole di Adara avevano lasciato una scia simile a quella delle lacrime trasparenti sulla finestra della loro stanza nuziale.
Quando era uscito in preda alla collera, era salito sulla guglia di Leu-Mòr e si era sfilato il Medaglione dal collo, a suo rischio, scaraventandolo contro la colonna portante. Aveva osservato le schegge luccicanti della falsa Gemma brillare sul pavimento e le aveva annientate senza neanche muoversi. Il potere effettivo che gli apparteneva aveva preso a scorrergli nel sangue con inusitata possanza, come se avesse percepito le sue emozioni contenute a stento, la sua rabbia immane, il calcolo errato che lo aveva portato a quel confine ultimo ed esiziale.
Era fuori di sé perché il Crescente lo aveva tenuto indietro ancora una volta, contrariamente alle aspettative, e restava un ostacolo che non aveva previsto. Quella distanza equivaleva ad una sorta di vittoria da parte della Profezia, a meno che non fosse definitivamente riuscito a risolverla. Al più presto a giudicare dagli eventi.
Leuhan però aveva reagito all’amuleto del Nord, non ad altro, e sua moglie lo aveva intuito, seppur debolmente. Non era riuscito a controllare la rabbia perché gli era divenuto estremamente chiaro che cosa stesse accadendo: il nevischio bagnato che si era appiccicato alla trifora della Torre non aveva fatto che confermarlo.
Per avere Adara, avrebbe dovuto rinunciare al gioiello. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto combattere all’ultimo sangue, privandosi della certezza di prevalere, di vincere, di vendicarsi, avrebbe dovuto rinunciare a tutto ciò per cui aveva lottato, a tutto ciò che lo aveva condotto a quel punto estremo.
Si era visto in stallo, preda di un’insicurezza che non gli era mai appartenuta, davanti alla quale si era sentito impotente. L’ago della bilancia, quello che persino Manawydan aveva notato, era sua moglie. Anthos aveva bisogno di risposte e avvertire una necessità tanto impellente e vincolata a un’altra persona lo aveva reso furibondo, specie da quando aveva realizzato che in lui si erano accese delle sensazioni umane e sconosciute.
Si era rimesso il Medaglione addosso e l’infuriare dell’energia devastante del suo vero io si era placata. Non così il suo cuore.
Aveva indossato gli inusuali abiti regali e la corona del Nord in un moto d’orgoglio profondo, per rammentare a se stesso chi era e che cosa desiderava.
La neve si era lentamente trasformata in pioggia sotto il suo sguardo cupo e stranito.
Era troppo tardi: l’imprevisto carico d’amore e fiducia che era Adara lo aveva arginato in una morsa, senza portare alcun attacco. Non si era difeso perché non aveva realizzato che l’offensiva stava andando a segno. Quella fatta di sguardi e parole, di lacrime e sospiri. Gli sarebbe stata sufficiente una risposta, una sola, eppure porre la domanda che lo avrebbe privato dei dubbi gli infliggeva un senso di paura.
Non avrebbe mai pensato di poterla provare. Una percezione di vuoto e vertigine che gli si avvolgeva intorno allo stomaco, come il ghiaccio millenario della sua terra… lo stesso che si stava miseramente sciogliendo.
Nell’incubo, che si ripeteva con inesorabile puntualità, moriva e non aveva scelta. Màrsali gli aveva chiarito che non sussisteva altra via, da quando lui aveva disintegrato tutte le alternative. Ma non era così, non ancora. Di scelta ne esisteva ancora una, avrebbe dovuto rassegnarsi al fatto che parte di essa gravasse sulle spalle di Adara, non sulle proprie. A quel punto era stato certo del finale che gli sarebbe spettato e lo aveva rifiutato. Troppo umiliante, troppo annunciato, troppo… umano.
Per quello gli era uscita, quasi contro la propria volontà, quella parola: morire.
In un modo o nell’altro sarebbe morto. Realmente, abbandonando il mondo, oppure metaforicamente, come un guscio vuoto. Avrebbe cessato di vivere.
Invece Adara non aveva consentito che lui si adagiasse su quella conclusione. Era inorridita difronte a quella prospettiva e il suo dispiacere era stato terribilmente sincero. Possibile che davvero provasse qualcosa per uno come lui?
Poi, come solo lei sapeva fare, era diventata dura come il diamante e gli aveva detto di iniziare a vivere… cioè di affrontare quella parte di sé e di compiere il passo che stava cercando di rifuggire in tutti i modi.
La guardò, impegnata a leggere le righe fitte e scolorite del libro che le aveva suggerito, tormentandosi una ciocca dei lunghi capelli castani. Lottava… per la vita di Narsas, per l’amore segreto che il ragazzo le portava e che probabilmente lei ricambiava, per un’anima che non poteva morire, per un legame che non si sarebbe mai spezzato, neppure nell’aldilà.
Abbassò il viso sul testo sdrucito che teneva appoggiato al ginocchio e ricominciò a cercare, per non pensare più al destino che aveva creduto di poter indirizzare a suo piacimento.
 
“Anthos…” mormorò Adara, sfregandosi gli occhi affaticati dalle ore di analisi ininterrotta “Non riesco a capire questo passo… forse esiste un antidoto al koreyon…”.
Il principe sollevò dal volume che stava scorrendo uno sguardo di ghiaccio e le si affiancò, seguendo l’indicazione del suo indice teso.
“No” le disse, dopo aver rapidamente esaminato il frammento di testo “La pagina è molto consumata, in questo punto c’è la negazione corrosa dal tempo. Il brano sostiene che non esiste rimedio”.
Lei sospirò con angoscia, portandosi una mano alla fronte.
“Anche prima” raccontò tristemente “Mi sono illuminata per un istante e poi il testo asseriva poeticamente che l’unico rimedio effettivo fosse l’amore altrui, affinché la persona avvelenata si spegnesse con serenità”.
Gli occhi dorati del reggente fissarono la fiamma scemante sul moccolo di cera davanti a lui, ormai ridotto a pochi centimetri.
“È quanto stai già mettendo in opera” le disse con asprezza.
Poi prese un’altra candela dalla scatola di legno lavorato appoggiata lì accanto e passò il fuoco sul nuovo stoppino. La luce irradiò più intensa.
“Se l’amore fosse in grado di guarire, allora Dionissa sarebbe sana da tempo” rispose la ragazza con tristezza “Anthos? Mi stai ascoltando?”.
Il principe era rimasto a fissare i due pezzi che aveva in mano con un’espressione turbata che lei non gli aveva mai visto. Il mozzicone si spense con un’ondulazione terminale, mentre la candela intonsa continuò a splendere tra le sue dita.
“Sì” ribatté, riprendendosi immediatamente da quello stato di sospensione “Sì. È una sciocchezza, non avrebbero neppure dovuto scriverla in un testo scientifico”.
“Forse non lo è così tanto, è una questione di interpretazione…”.
“Mh…” borbottò lui, assente, posando la fonte luminosa sul tavolo “Non mi dire che ora ti accuserai di non essere abbastanza sentimentale. Sarebbe proprio da te”.
Adara chiuse il tomo con uno schianto e una nuvoletta di polvere esalò dalla costa rilegata in pelle rossa. Il giovane sussultò.
“Hai ragione, sarebbe da me!” ammise con fastidio “Sei tu che, da qualche giorno, sei arduo da riconoscere!”.
Il volto di lui si fece più cupo e nelle iridi ambrate passò un lampo di collera.
“Un’impressione dovuta al fatto che non ho ammazzato nessuno di recente?” sferzò.
“Oh, smettila!” sbottò lei, ignorando il tentativo di depistaggio “Sai benissimo cosa intendo! Anthos… parla con me, ti prego… sono certa che, di qualunque cosa si tratti, il carico diviso a metà risulterà più leggero”.
“Non credo”.
“Ah! Allora ammetti che ci sia qualcosa che non va!”.
Il reggente si passò nervosamente la mano tra i capelli, che continuavano a ricadergli con ottusa insistenza sugli occhi.
“Nulla che tu non sappia già”.
“Non sono gli eventi occorsi!” si inalberò lei “È il modo in cui stai reagendo ad essi che mi lascia a bocca aperta! Da quando è iniziata la pioggia, poi… tu…”.
Il principe sollevò su di lei lo sguardo, ombreggiato dalle ciocche bionde e si scostò nuovamente la chioma dal volto, rabbuiato.
“Non sono in grado di arrestarla, se è ciò che speri” ribatté, duro e inscalfibile.
“Ma Irkalla… potrebbe?” domandò timidamente la principessa.
Lui sospirò, osservando la fiamma viva della candela. Poi sogghignò, sprezzante.
“È colpa sua… figuriamoci!”
Adara spalancò gli occhi, profondamente turbata dalla dichiarazione, e gli si avvicinò, abbassandosi davanti a lui, che rimase seduto sulla poltrona, indifferente.
“C-cosa?” mormorò, atterrita “Tu sai chi è?!”.
Lui strinse le palpebre e nelle sue iridi chiare, intensamente malinconiche, si riflesse la vampa ruggente del fuoco.
“Non ne ho la minima idea” rispose, gelido “È solo una deduzione elementare”.
La ragazza era appoggiata alle sue gambe, inginocchiata come una supplice, e nel suo sguardo veleggiavano una speranza e un’angoscia che lo ustionarono a fondo.
“Io non so chi sei, Anthos di Iomhar” gli sussurrò lieve, accarezzandogli il viso “Da dove vieni o quanti anni hai o che cosa desideri veramente… ma, senza presunzione alcuna, sono la persona che meglio ti conosce al mondo. Che ti piaccia o meno, come diresti tu. Pertanto scusami se mi permetto di affermare che c’è molto di più di quello che stai raccontando… e che io non ti permetterò… non lo consentirò…”.
“Di fare cosa?” la interruppe lui, bloccandole la mano con irosa fermezza.
“Di restare solo. Di morire. In qualunque senso tu lo intenda”.
Il principe la respinse e si alzò, osservando la propria immagine riflessa sulla vetrina impolverata di uno scaffale. Afferrò il tagliacarte d’argento posato sul tavolo e tranciò di netto la chioma troppo lunga che gli pioveva sul volto e ben oltre le spalle.
“Sei impazzito?!” esclamò la ragazza, esterrefatta “Erano così belli…”.
Lui si girò e, paradossalmente, il taglio irregolare che gli ricadeva sulla fronte e ai lati del collo lo fece risultare ancora più affascinante.
“Mi infastidivano” replicò, esibendo un sorriso ironico “Tutto ciò che mi disturba è destinato a subire lo stesso trattamento. La Profezia, Ishkur, questa pioggia oltraggiosa… non occorre che tu ti preoccupi per me, Adara. Sarebbe come se tentassi di far ricrescere i miei capelli in questo istante: impossibile e fondamentalmente inutile. Un incomodo e basta”.
La principessa si drizzò in piedi e lo raggiunse, tutt’altro che intimidita dalla metafora. Lo fronteggiò, sostenendo lo sguardo feroce e triste che lui le rivolse. Serrò la sua mano chiusa nella propria, sfiorando le ciocche che ancora stringeva nel pugno.
“Però posso sistemarli” mormorò con pari caparbietà.
 
Anthos osservò con intensità il viso disteso di sua moglie. Si era addormentata sulla lettura, cedendo alla stanchezza di un giorno interamente speso a inseguire una soluzione inesistente, senza demordere, per un uomo che bramava salvare. Era sicuro che sarebbe andata avanti. L’ombra di un sorriso mesto gli si disegnò sulle labbra. Invece, lui aveva trovato un indizio interessante sulla Pietra del Cielo, ma esso non era destinato a strappare nessuno dalla fine. Un’antinomia quasi ridicola.
Erano semplicemente tornati al tavolo per continuare le ricerche, dopo un duello di sguardi senza vincitori, che tuttavia era valso più di mille parole. Inutile negare che tra loro esisteva un legame profondo che entrambi avevano iniziato a riconoscere: ma solo Adara l’aveva accettato pienamente.
Chiuse il volume consunto e lo ripose con un gesto appena visibile, poi si avvicinò alla ragazza assopita e la sollevò tra le braccia.
“Posso… posso continuare…” borbottò lei nel dormiveglia.
“È tardi” sentenziò lui, perentorio “Il libro ti attenderà”.
“Il koreyon no… esso non attenderà…”.
Il principe si diresse deciso verso la porta e la tenebra dovuta alle luci che si estinguevano una dopo l’altra al suo passaggio lo tallonò fin sulla soglia.
Avvertì le braccia di Adara che gli circondavano meccanicamente il collo e il suo respiro quieto e regolare sulla guancia, segno che stava nuovamente sprofondando nel sonno ristoratore. Percorse il corridoio buio senza produrre alcun rumore.
“Anthos…” bisbigliò ancora lei, con un filo remoto di voce “Giura che non mi lascerai…”.
Halltanas” mormorò lui, certo di non essere compreso.
Lo giuro.
   
 
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