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Autore: kenjina    01/03/2020    1 recensioni
ATTENZIONE: spoiler Hogwarts Mystery anno 6, capitolo 18/19
Alla luce di ciò che accade durante il sesto anno, Gwendolyn e la sua combriccola di amici devono trovare il modo di andare avanti anche per chi non può più farlo. Sarà un processo difficile, lungo e doloroso. Ma lo affronteranno insieme.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Castle of Glass

Capitolo 2

 

 

La Sala grande era stata liberata dai tavoli e dalle panche, e se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto immaginare il pomeriggio prima del Ballo Celestiale, quando lei e gli amici stavano finendo di sistemare le ultime decorazioni e lei cercava il modo per andare alla festa con Barnaby senza perdere la dignità nell’impresa. Sembravano passati decenni da quei tempi quasi spensierati. Ma non c’era l’aria frizzante di festa, né candele e lampadari che facevano brillare tutt’intorno. Il soffitto era privo di stelle, di cielo, di qualsiasi cosa. Era solo un enorme buco nero sopra un altrettanto enorme stanza in penombra, vuota, insignificante, triste. Era come se i dissennatori che li avevano attaccati quella notte infausta fossero passati di lì e avessero succhiato via tutta la magia e la luce che la caratterizzava.

Si stava velocemente riempendo di studenti: c’era chi piangeva, chi ancora non riusciva credere alla notizia che girava per i corridoi da un paio di giorni, chi si abbracciava con un amico per trovare un poco di conforto.

In tutta quella compagnia, nonostante la presenza dei suoi stessi amici, Gwendolyn si sentì infinitamente sola perché lei non c’era più. Perché era lei la ragione di tanta tristezza.

Sulla piattaforma dei professori, il Preside sostava dietro lo splendido podio in ottone e accanto a lui tutto il corpo insegnanti, che sfoggiava volti così affranti che persino Piton sembrava dispiaciuto dell’accaduto.

Gwendolyn si strinse le braccia al petto. Qualcuno le diede una stretta affettuosa alla spalla, qualcun altro tentò di abbracciarla, ma la verità era che non sentì quasi niente se non il fischio assordante che iniziò a penetrarle le orecchie quando Silente iniziò a parlare.

«Ho aspettato a darvi questa terribile notizia, perché volevo assicurarmi della situazione e chiudere la questione del fuggitivo di Azkaban.» Fece una pausa, per riordinare i pensieri e cercare le parole migliori per quella notizia che nessuno sarebbe riuscito ad addolcire. «Mi addolora informarvi che due notti fa abbiamo subito una perdita incommensurabile per mano di un male inimmaginabile. Rowan Khanna, una devota studentessa e amica, ha sacrificato la sua vita per salvarne un’altra.»

La voce di Silente divenne ovattata, come sott’acqua, e non riuscì a sentire il resto del discorso, oltre quell’assordante fischio nelle orecchie che la fece vacillare.

Non si sarebbe mai abituata a quella nuova realtà.

Era irrazionale.

E ingiusto.

Il Preside continuò a parlare, la voce lenta, calda e commossa, in un toccante discorso che le scivolò addosso come pioggia, lasciandola infreddolita e febbricitante.

 «Ma vorrei che a ricordarla fosse qualcuno che la conosceva meglio di chiunque altro, se ne avrà la forza. Gwendolyn, vieni pure qui, se vuoi.»

Barnaby lasciò andare la mano che le aveva stretto senza che neanche se ne accorgesse, e Gwen, con gambe molli e respiro tremante, raggiunse il preside sulla piattaforma. Fece scorrere lo sguardo sui presenti, ma si rese subito conto dell’errore madornale: normalmente odiava avere l’attenzione su di sé, ma era persino peggio quando quegli occhi che la fissavano erano lucidi di lacrime – o vuoti come quelli di Ben.

Si schiarì la gola, sentendola già stretta, e umettò le labbra prima di parlare. «Ho provato a scrivere un discorso con un paio di amici, ma—» Levò un foglio di pergamena stropicciato, su cui erano visibili macchie di inchiostro sciolto da numerose lacrime, e si strinse nelle spalle. «Rowan è—» Deglutì l’errore chinando il viso. «Era Rowan era la mia migliore amica. È stata la prima persona che ho incontrato qui a Hogwarts – a Diagon Alley, in realtà. Mi chiese cosa potesse comprare per i suoi primi giorni qui. Non era ancora a conoscenza del mio pessimo gusto in fatto di abbigliamento.» Incrociò lo sguardo di Andre, tra il divertito e il disperato, e qualcuno osò anche ridacchiare. «Ma le consigliai una bella sciarpa, perché qui fa freddo, c’è molto vento e sarebbe stato utile averne una calda e bella. E lei seguì il mio consiglio. Il consiglio di una sconosciuta con un senso estetico inesistente. Si fidò di me dal primo istante, nonostante non sapesse niente di me se non che fossi la sorella di Jacob Vane – con tutto quello che comportava all’epoca.» Strinse la pergamena con forza, nel tentativo di concentrare il dolore altrove e non pensare alle lacrime che stavano per tagliarle la voce e la vista. «Desideravamo entrambe essere smistate in Corvonero e non solo il nostro desiderio si esaudì, ma diventammo compagne di dormitorio. Da quel giorno non ci separammo più. Ci sedevamo accanto a lezione; studiavamo insieme; mi e ci insegnava cose che non c’erano sui libri; spendeva ore a raccontarmi della fattoria di alberi di famiglia e di quanto le mancasse – ma era con me, a Hogwarts, e le sembrava tutto più facile; mi abbracciava sempre per augurarmi la buona notte, e mi buttava giù dal letto perché mi riaddormento sempre dopo aver spento la sveglia; detestava il quidditch perché soffriva di vertigini e aveva paura dei bolidi, ma mi sosteneva prima e durante le partite perché sapeva che mi facesse stare bene; e mi rimproverava spesso, e Merlino sa se me lo meritavo, ma lo faceva perché si preoccupava per me… si preoccupava sempre troppo per me e per le persone che amava—» Un singhiozzo, poi un altro, e un altro ancora e quasi non riuscì a parlare oltre. «Rowan è—era l’amica che tutti dovrebbero avere. Premurosa, appassionata, coraggiosa. E—»

E pianse. Pianse come non aveva ancora fatto, perché il dolore era troppo grande, la consapevolezza che tutto fosse reale era un pugno allo stomaco e quei dannati occhi che la fissavano con pietà furono troppo. Non vide Barnaby fare un passo avanti, con l’intenzione di starle accanto, ma sentì nel retro della mente la mano di Silente stringerle con affetto un braccio.

«Ora non so come riuscirò a funzionare senza di lei. Non so chi mi terrà in riga, o chi riuscirà a farmi entrare in testa Storia della Magia come solo lei sapeva fare. Sarebbe stata davvero una grande insegnante. E aveva così tanti sogni e così tanto tempo davanti a sé—» Tirò su col naso, il viso ormai rosso e umido di lacrime. «Era generosa. E leale. E fondamentalmente buona. Amava condividere tutto – il suo entusiasmo per i libri, le sue pessime battutacce, le paure e le insicurezze, il suo infinito affetto. E ci sono così tante altre cose che vorrei dire ma non basterebbe una vita intera. E… e tante cose che avrei voluto e dovuto dirle.» La voce si spezzò di nuovo, un filo sottile che a stento si faceva largo dalla gola. Resisti ancora un po’. «Avrei dovuto dirle più spesso quanto le volessi bene. Quanto importante fosse per me la sua amicizia. Ma l’ho data per scontata e ora… ora è troppo tardi.» Deglutì l’ennesimo magone. «Non fate il mio errore. Parlate alle persone che amate, non mettetele mai in secondo piano, non pensate che i vostri problemi siano più grandi degli altri, non dimenticatevi di loro perché siete troppo egoisti. Perché non si sa mai per quanto ancora potreste farlo e—»

Scosse il capo, affranta.

Non poteva andare avanti. Non ci riusciva più.

Le mancava l’aria e la forza nelle gambe.

Fu allora che Andre si fece avanti e le cinse le spalle con un braccio, capendo che avesse raggiunto il limite, e l’aiutò a scendere i due gradini in legno. Nessuno osò toccarla né tentò di abbracciarla – forse perché non c’era niente che potesse consolarla, o forse per il modo quasi feroce con cui il suo migliore amico la stava proteggendo dagli sguardi impietositi altrui.

Silente riprese la parola, gli occhi lucidi come molti. «Per il momento, le lezioni sono state sospese fino a lunedì prossimo, per dare tempo a tutti di piangere la sua scomparsa. Ma ricordate, se permetteremo al nobile obiettivo di Rowan di diventare un faro che ci guidi in questi tempi bui, allora proprio come questa luce», levò la bacchetta e la alzò al cielo, mentre la punta si illuminò in segno di lutto, «il ricordo di Rowan Khanna – un’amica intelligente, coraggiosa, motivata e fedele – continuerà a risplendere.»

Il resto dei presenti imitò il suo gesto e la Sala Grande, dal soffitto privo di stelle e dalle candele spente, venne illuminato dalle decine e decine di luci provenienti dalle bacchette degli studenti e degli insegnanti.

 

*

 

«Uhm—Gwen? Gwendolyn?»

Alzò lo sguardo dal libro solo quando qualcuno le toccò un braccio, lo stesso qualcuno che la stava chiamando. «Oh, Tonks, ciao.»

«Ciao Gì...»

Merlino, quanto odiava quello sguardo. Tonks non era stata così in imbarazzo neppure quando aveva distrutto una torre di tazzine il giorno dell’appuntamento con Barnaby da Madame Piediburro.

Con lei notò anche quegli altri due combina guai di Tulip e Jae e si sarebbe domandata se non stessero progettando qualche scherzo per tirare su di morale gli studenti, se con loro non ci fosse stato anche Andre.

Jae si grattò la nuca, quasi a disagio. «È il sabato di Hogsmeade e stavamo pensando che potremmo andare a berci una burrobirra per... uhm, distrarci un po’.»

Gwendolyn aveva perso la cognizione del tempo, ormai. Era già sabato? Sembrava tutto così dannatamente lento, eppure contemporaneamente veloce. L’idea di distrarsi come se niente fosse a I Tre Manici di Scopa, poi... se da una parte era una buona trovata per pensare ad altro, dall’altra non riusciva a immaginarsi a bere il dolore e tornare alla normalità.

Niente sarebbe stato più normale.

Neppure svegliarsi la mattina e non trovarla già in piedi e pronta per la giornata di lezioni.

«Non sei obbligata a venire», si affrettò ad aggiungere Tonks, arrossendo. «Magari possiamo... non so, parlare di lei. Esorcizzare la sua mancanza, ecco tutto.»

«Non vogliamo sembrarti insensibili, Gwendolyn Vane.» Tulip sospirò. «Anche noi siamo in lutto, ma magari allontanarci dal castello per qualche ora può farci bene. Può farti bene.»

Gwendolyn abbassò lo sguardo sulle proprie mani, come se potessero darle una risposta a quel dilemma, ma tutto ciò che vide furono pellicine strappate dallo stress, i graffi di un insofferente Crowley e unghie spezzate. «Magari vi raggiungo più tardi.»

Il che equivaleva a un no.

E Andre lo capì subito dall’occhiata rassegnata che le regalò. Fu il primo ad annuire, affatto convinto della sua scelta, ma non insistette oltre e gliene fu grata.

«Andiamo ad avvisare gli altri. Uhm... a dopo?»

Annuì, senza riuscire a guardarli in viso, e strinse le labbra per cacciare indietro l’ennesima crisi di pianto. Solo quando se ne andarono, Gwen riuscì a osservare i dintorni senza realmente vedere l'ambiente. La Sala Grande era pressocché deserta. Solo Silente e Piton stavano ancora parlottando a voce bassa, davanti alla colazione ormai finita, e la sua paranoia le stava dicendo che stessero parlando di lei.

Riportò l’attenzione sul libro che aveva aperto davanti, ma che non stava realmente leggendo. Glielo aveva consigliato Rowan qualche mese fa, ma tra una cosa e l’altra lo aveva lasciato a prendere polvere sul comodino. Ora, però, non riusciva ad andare oltre la prima pagina. Continuava a rigirarsi tra le dita una foto scattata all’inizio del quinto anno, che stava usando come segnalibro, e ingoiò il nodo in gola. Ritraeva lei, Rowan, Tulip e Badeea in un pigiama party che avevano indetto nel dormitorio maschile in onore del compleanno di Andre, prima che Beatrice venisse intrappolata in un quadro e la situazione precipitasse nella disperazione. Il festeggiato aveva scattato la foto, mentre sullo sfondo si poteva intravvedere un incavolatissimo Talbott con la testa sotto un cuscino nel vano tentativo di dormire e Murphy che gesticolava e gli parlava senza riprendere fiato. Nella foto animata lei cadeva all’indietro sul letto, tenendosi la pancia dalle risate; Badeea le tirava un cuscino in faccia per punirla di qualche battutaccia, Tulip le saltava addosso per farle il solletico e Rowan brandiva una ciabatta per difenderla dalle grinfie delle altre due.

L’aveva sempre protetta, in un modo o nell’altro.

E lei era stata fin troppo cieca per rendersene conto.

Non ricordava molto di quella notte, se non che Tulip era riuscita a portare una mole infinita di leccornie dalle cucine, approfittando di una punizione, e avevano festeggiato e riso fino all’alba.

Non ricordava molte cose che all’epoca sembravano inutili o superflue. Ora avevano tutto un altro sapore.

Riportò l’attenzione sul Preside, quando il pensatoio del suo ufficio le venne in mente. Aveva un’infarinatura di base su cosa fosse e a cosa servisse, ma magari avrebbe potuto chiedere a lui qualche delucidazione in merito. Magari avrebbe potuto chiedergli di usarlo, ogni tanto, e rivivere qualche momento importante.

Si mosse verso il tavolo degli insegnanti, catturando subito l’attenzione dei due maghi: Silente le fece gesto di avvicinarsi, Piton inarcò un sopracciglio con perplessità.

«Scusate se vi interrompo, ma avrei una domanda per lei, Professor Silente.»

Lui annuì. «Ti ascolto.»

«Qualche tempo fa lessi dei pensatoi su un libro di artefatti magici e mi chiedevo come funzionassero di preciso. È possibile rivivere alcuni ricordi, no? Lei ne ha uno nell’ufficio, se non ricordo male.»

Ci fu una pausa piuttosto lunga per i suoi poveri nervi, ma quando stava per ripetere la richiesta, Silente parlò.

«L’uso dei pensatoi è molto complesso e non intendo il semplice processo di visualizzazione delle memorie. No, è complicato recuperarle dalla propria mente, catalogarle e sistemarle senza creare confusione. La propria testa è un come un ripostiglio caotico, o come la nostra biblioteca se Madame Pince non se ne prendesse cura. Con questo non voglio dire che tu non saresti in grado di farlo, specie perché la tua mente è più agile e allenata rispetto alle altre.» Gwen sentì il solletico di quella di Piton, mentre la fissava con insistenza e tentava di far cadere il muro che lui stesso le aveva insegnato a erigere, e abbozzò un mezzo ghigno quando non ci riuscì, a riprova che le parole di Silente fossero realistiche. «Ma è pericoloso soffermarsi nel passato, specie se si cerca di affievolire un dolore così grande come può essere la perdita di un’amica. Rischi di perderti e di non voler tornare più al presente. E, con tutta onestà, non hai bisogno di un pensatoio per tenere viva la memoria di Rowan, Gwendolyn.»

Non aveva menzionato il motivo della sua richiesta, eppure quell’uomo come sempre riusciva a leggerla come un libro aperto. Era snervante.

Strinse i pugni, conficcando le unghie nei palmi fino a sentir male. «Invece temo di sì. Non è trascorsa neanche una settimana e sto già dimenticando il suono della sua voce, o le piccole cose come la sfumatura dei suoi occhi, o i tic delle dita quando studiava, o—»

La voce le si spezzò. Diamine, l’aveva mai guardata e ascoltata davvero? Come poteva dirsi sua migliore amica se stava già diventando un ricordo sbiadito?

«Puoi dimenticare le cose più semplici, come quelle che hai appena elencato, ma credimi che non dimenticherai mai lei, i momenti che avete trascorso insieme, le risate e le lacrime – la sua essenza è parte di te. Devi solo lasciarla libera e non soffocarla con la paura di cancellarla per sempre e di rendere la sua assenza più reale di quanto non sia già.»

Gwendolyn avrebbe voluto gridargli dietro quanto odiasse i suoi enigmi, o il suo buonismo, o persino la sua totale mancanza di aiuto quando ne aveva più bisogno – come durante la ricerca delle Sale, o semplicemente come in quel momento. Ma a che scopo? Era stanca di piangere, stanca di arrabbiarsi, stanca di tutto.

«Ad ogni modo, temo che la nostra conversazione sia giunta al termine.» Silente non le diede il tempo di replicare. Aveva lo sguardo puntato oltre le sue spalle e un lieve sorriso negli occhi vispi e vecchi. «Credo che il signor Lee ti stia aspettando.»

Barnaby era davvero lì, a metà tra le lunghe tavolate in legno, e faceva avanti e indietro, una mano in tasca, l’altra tra i capelli. Quando si accorse del suo sguardo incuriosito, le rivolse il sorriso più luminoso che ricordasse e in qualsiasi altra circostanza sarebbe arrossita come l’adolescente che era. In quel momento, invece, provò solo tanto sollievo e mai come allora ringraziò gli dei di averlo come amico – e Merula, per avergli dato il compito di spiarla al terzo anno.

«Cosa ci fai qui? Non sei andato a Hogsmeade?»

Lui si strinse nelle spalle. «Non volevo lasciarti indietro. Non mi piace saperti sola.» Barnaby aggrottò la fronte, scuotendo il capo. «Insomma, non voglio darti fastidio se vuoi stare in solitudine, ma sappi che sono nei dintorni se ti va un po’ di compagnia. Okay?»

Sempre il solito attento e rispettoso Barnaby.

Uno dei tanti motivi per cui si era innamorata di lui.

Lo abbracciò con affetto e lui ricambiò con lo stesso entusiasmo. «Ti ringrazio, Barney.»

«Figurati», bofonchiò, come sempre faceva quando usava quel nomignolo. «Cosa vuoi fare? Preferisci che vada via o—»

Magari possiamo... non so, parlare di lei. Esorcizzare la sua mancanza, ecco tutto.

Anche noi siamo in lutto, ma magari allontanarci dal castello per qualche ora può farci bene. Può farti bene.

«Possiamo raggiungere gli altri?»

Si sorpresero entrambi che quella proposta arrivasse proprio da lei, quando solo una mezzora prima non aveva nessuna intenzione di muoversi. Ma forse era quello che Silente le stava dicendo, con i suoi modi contorti. Trascorrere tempo con i suoi amici, magari a parlare di lei per tenere vivo il ricordo... poteva far bene.

Almeno, poteva tentare prima di accantonare la cosa.

«Sicura?»

Annuì, con un timido sorriso. «Se poi dovesse diventare... troppo, allora toglierò il disturbo. Non voglio rovinare la giornata.»

«Non potresti mai farlo.»

Adorabile bugiardo.

L’accompagnò fin sopra la Torre di Corvonero, per darle la possibilità di prendere cappotto e quant’altro, e si diressero a braccetto verso I Tre Manici di Scopa. La leggera coperta di neve caduta la notte precedente si sarebbe sciolta in pochi giorni, se non fosse stata rinnovata da un’altra bufera, ma Gwendolyn apprezzò comunque lo scronch di quella sotto la suola delle scarpe.

Rowan amava buttarsi all’indietro e fare tanti angeli di neve.

Amava meno quando le lanciava palle ghiacciate e magiche in pieno viso, come le aveva insegnato Tonks. Quasi rise nel ricordare il suo viso oltraggiato la prima volta che lo aveva fatto. Le erano persino caduti gli occhiali dalla sorpresa.

Si strinse al braccio del suo accompagnatore, rabbrividendo dal freddo e dall’ennesimo flash verde che le attraversò gli occhi, e inspirò a fondo per cercare di calmarsi. Il profumo che aveva sentito nell’amortentia solo un paio di settimane prima tornò più forte che mai e, non per l’ultima volta, si ritrovò a chiedersi come sarebbero cambiate le cose.

Compreso il rapporto col ragazzo che aveva accanto.

Non stavano ufficialmente insieme. Si giravano intorno dal quarto anno, come due ciechi che non avrebbero capito di piacere all’altro neppure se lo avessero scritto in fronte, ma tra le Sale e la paura di rovinare l’amicizia nessuno dei due aveva oltrepassato la linea. San Valentino, nonostante i ricordi confusionari che aveva di quel giorno, era stato una spinta verso la giusta direzione, così come il loro imbarazzante appuntamento, e anche se non si erano dati un’etichetta e lui le aveva dato solo un timido bacio sulla guancia, qualcosa era cambiato. Lo vedeva nel suo sguardo; lo percepiva nell’elettricità dell’aria che li circondava quando erano insieme; lo sentiva nei suoi gesti e sui polpastrelli quando si sfioravano; ne sentiva il sapore sulle labbra quando si sorridevano di nascosto a lezione.

Ma ora?

Non meritava un ragazzo come lui. E lui meritava molto più di lei. Qualcuno che potesse amarlo incondizionatamente, senza segreti, senza pericoli, senza distrazioni, senza sensi di colpa e morti sulle spalle. Qualcuno come Liz, che condivideva con lui l’amore per le creature magiche, che era dolce e infinitamente buona, e bella, e giusta.

Quel qualcuno non era lei, anche se aveva il disperato bisogno di esserlo.

«Barnaby.»

Gwendolyn fermò i propri passi e gli strinse la mano per esortarlo a fare lo stesso. Quegli occhi grandi e verdi la osservarono con preoccupazione e non riuscì a mantenere lo sguardo per paura di leggervi delusione.

«Va tutto bene?» Il ragazzo fece una smorfia. «Certo che non va tutto bene. Scusami, Gì, sono un idiota. Dico sempre la cosa peggiore nei momenti meno opportuni e—»

«Barnaby», lo richiamò, abbozzando un sorriso. «Non preoccuparti. È solo che stavo pensando... lo so, è incredibile, io-che-penso. Roba da matti, eh?» Ammutolì, rendendosi conto di divagare con una bella dose di imbarazzo. «Uhm... voglio dire, stavo pensando a noi. Oh… beh, non c’è un noi, non c’è mai stato, ma insomma io... io non voglio rinunciarci. Qualsiasi cosa sia. È solo che quella bella giornata di San Valentino mi sembra così lontana, e... beh, ecco, volevo solo dirti che mi ci vorrà un po’ di tempo prima di permettermi di essere felice di nuovo e pensavo che... anche se non ne abbiamo parlato apertamente...» Taci, taci, taci. «Insomma, quello che sto cercando di dirti è... che se i tuoi sentimenti fossero cambiati da quel giorno e che se dovessi trovare qualcun’altra che ti merita più di me, ecco... lo capirei se non volessi aspettarmi. Sarebbe egoista da parte mia chiedertelo—»

«Te l'ho già detto, Gwendolyn. Per te posso sempre aspettare.» Le sistemò la cuffietta in lana con affetto, di sicuro per trovare qualcosa da far fare alle mani, che per altro. «Sono io che non so se sarò mai alla tua altezza— no, non interrompermi, per favore. Non lo so davvero, perché non sono brillante come te, non capisco molte cose e sono lento a leggere, non ho buoni voti a scuola, e come ho dato prova proprio adesso dico sempre le cose sbagliate, ma mi sento perso senza te accanto. Mi hai dato una possibilità quando neppure io mi concedevo di farlo e credimi, sei la persona meno egoista di questa terra, Gì. Ti aspetterò per tutto il tempo che ti serve, se anche tu mi vorrai ancora.»

Una parte di sé aveva sempre pensato e temuto che la sua attrazione derivasse da una profonda riconoscenza; che non avesse niente a che fare con sentimenti veri e sinceri, ma fosse solo un istinto di gratitudine che aveva scambiato per romanticismo; che non appena si fosse svegliato un poco si sarebbe reso conto che non ci fosse niente di bello in lei, se non il fatto che – per motivi inizialmente egoistici – lo avesse allontanato dal rapporto tossico di Merula e Ismelda. Forse era davvero così, o forse quei pensieri distorti erano solo frutto di tante insicurezze.

Eppure in quel momento il cuore in pezzi sembrò ricomporsi almeno un poco e, come la piagnona che era diventata in quei pochi giorni, si ritrovò gli occhi appannati dalle lacrime. Avrebbe affrontato quel dilemma nei prossimi mesi, se fosse riuscita a non farlo scappare. Per il momento, gli prese il viso tra le mani inguantate e fredde e lo costrinse a guardarla. «Tu sei brillante, Barnaby. Non mi stancherò mai di ripetertelo e non ti permetto di credere il contrario. I voti scolastici non ti definiscono come persona e tu sei... tu sei fantastico. E, se proprio dobbiamo dirla tutta, sei migliorato tantissimo.»

Barnaby le coprì le mani con le sue e abbozzò un sorriso triste. «Grazie al tuo aiuto... e a quello di Rowan.»

Il magone di tristezza tornò più forte e pesante di prima e neppure il bacio sulla fronte che Barnaby le regalò la fece stare meglio.

«Se vuoi tornare al castello—»

«No, no. Andiamo. Mi farà bene distrarmi un pochino, credo. Spero.»

Rowan si arrabbierebbe un mondo se mi sapesse sola a rimuginare sui se e sui ma, terminò mentalmente.

Proseguirono la fredda camminata verso Hogsmeade in silenzio, ma Gwendolyn non poté non notare le persone che incontravano lungo la strada – e di come sviavano subito lo sguardo quando riconoscevano in lei l’amica di Rowan.

«Non pensavo l’avrei mai detto, ma preferivo di gran lunga quando le persone mi additavano come la sorella pazza di Jacob Vane.»

Barnaby non capì subito a cosa si stesse riferendo, finché non vide un gruppo di Tassorosso che abbassò subito gli occhi e mormorò qualcosa di simile al nome della loro defunta amica. Le passò un braccio sulle spalle, come per proteggerla dagli sguardi altrui, e lei sospirò – se di contentezza o rassegnazione non seppe dirlo.

Forse era entrambe le cose.

Il locale di Rosmerta era pieno come un uovo ed era evidente che molti avessero avuto la stessa idea di Andre, Jae, Tonks e Tulip. Silente aveva detto che non ci fosse un modo giusto o sbagliato di elaborare il lutto, ma non riusciva a capire come potessero chiacchierare come se niente fosse davanti a una burrobirra.

Si stava già pentendo di essere lì.

I suoi amici erano al solito grande tavolo all’angolo e stavano... ridendo?

Per un lungo istante vide rosso.

Era quello il modo di commemorarla? Ridere e scherzare come se non ci fosse un enorme elefante nella stanza?

«... e poi mi disse: “Diamine, Egwu, sei sicuro di non avermi dato della polisucco o una pozione di bellezza? Non sembro neppure io!»

«Oh, era bellissima quella sera! E radiante! Gwendolyn fece un miracolo nel convincerla a venire.»

«Oi, Biondina! Ci misi anche del mio, eh!»

«E anche Bill, se non ricordo male.»

«E non avete idea della fatica che facemmo per farle togliere l’abito, prima di andare a dormire. Voleva usarlo come pigiama!»

«Dimentichi le scarpe, Tulip.»

Si voltarono tutti verso di lei, che aveva pronunciato quell’ultima frase senza quasi accorgersene. Seguì un silenzio imbarazzante e Gwen desiderò avere già la licenza per smaterializzarsi e sparire. Erano sorpresi di vederla, ma altrettanto curiosi di sentire la sua parte di storia.

Solo Andre, che sapeva, si spalmò una mano in faccia e grugnì di disappunto. «Ti prego, non ricordarmelo... avevo rimosso con gioia quella parte.»

«Oh sì! Le scarpe! E le calze!»

Tulip e Badeea scoppiarono a ridere, mentre gli altri spostavano lo sguardo da una all’altra per avere spiegazioni.

«Aveva l’abitudine di indossare un paio di calze a suo dire porta-fortuna», spiegò Gwendolyn, sedendosi sul posto vuoto vicino al povero mago dello stile, e Barnaby subito accanto. «Le usò anche durante i G.U.F.O. sotto quelle della divisa ed è un eufemismo dire che fossero orrende. Erano di due colori diversi e avevano tante piccole cioccorane di altrettanti colori diversi e dalla forma più... uhm, bizzarra.»

«Bizzarra, dice!» esclamò Andre, alzando le braccia al cielo. «Sembravano tanti ca—»

Gwendolyn fu lesta a tappargli la bocca con una mano, prima che potesse scioccare alcuni giovani studenti lì vicino e molto interessati ai loro aneddoti.

«Tanti ca cosa?» domandò Barnaby, perplesso.

«Calamai.» «Calderoni.» «Capretti.»

Il Serpeverde sembrò ancora più confuso di prima. «Che razza di forma hanno le cioccorane che conoscete?»

Gwendolyn gli batté una mano sul braccio, per rassicurarlo che gli avrebbe spiegato tutto più tardi, e proseguì col racconto, con gli occhi lucidi dalle risate e dalla commozione. «Comunque, sotto quell’abito bellissimo non solo indossò quelle calze per paura che qualcosa andasse storto, ma aveva anche le sue vecchie converse blu al posto dei tacchi che Andre le aveva consigliato. “Metti che Bill mi chieda di ballare! In questo modo sarò più comoda e potrò farlo tutta la notte, no? E poi lo sai che mi sudano i palmi delle mani, figurati i piedi in un paio di sandali.»

«Eww!»

«Un genio!»

«Davvero non le avete notate mentre ballava?»

«Erano le uniche cose che riuscivo a vedere. Un incubo.»

«Beh, non puoi lamentarti più di tanto, Andre. Almeno erano in tinta con l’abito.»

Gwendolyn quasi non si rese conto di iniziare a raccontare altre storielle divertenti che vedevano Rowan protagonista – la volta in cui aveva bevuto whisky incendiario e aveva confessato il suo infinito amore per Bill a una povera statua; o quando lei e Andre si erano sfidati a colpi di Gelatine Tutti I Gusti +1 (chi avesse dichiarato bandiera bianca per primo avrebbe dovuto cantare Celestina Warbeck in biblioteca, davanti a Madama Pince, e Rowan non poteva perdere assolutissimamente, perché era la sua prediletta) (finirono entrambi in Infermeria per indigestione) – e a fare l’elenco dei giochi di parole e delle battute peggiori che l’amica avesse mai pensato. Fu così che la paura di non ricordarla più svanì, tra lacrime e risate, e capì che nessun pensatoio avrebbe potuto sostituire ciò che avevano vissuto insieme.

«Va un po' meglio?» le chiese Andre.

Si ritrovò ad annuire, sorprendendo se stessa, e si guardò intorno. «Più o meno. Ma non vedo Ben. Mi preoccupa.»

«Lo abbiamo lasciato al campo di allenamento... non è in vena di stare in compagnia – tranne quella dei manichini, a quanto pare.»

«Proverò a parlargli più tardi.»

Il compagno di Casa e squadra annuì. «Ricordati che se volessi parlare anche tu, di nuovo, ci sono sempre. Anche su una scopa, se preferisci. Basta che non ti distrai come l’ultima volta.»

Gwen ingoiò un sorriso imbarazzato al ricordo di quel pomeriggio. Si riferiva al periodo precedente ai G.U.F.O., quando non aveva idea di come aprire la prossima Sala, quando Piton la stava umiliando giorno dopo giorno e stavano inesorabilmente perdendo Beatrice e il resto degli studenti intrappolati. Il solito, insomma. Lei e Andre avevano deciso di farsi due tiri al campo, per distrarsi un po’, ma fu quando una pluffa l’aveva colpita in pieno viso senza che neppure l’avesse vista, che si era resa conto che il piano di distrarsi non stava funzionando affatto.

Merlino! Ti sei fatta male?

Non tanto quanto il mio orgoglio.

Non era stato uno dei suoi momenti migliori. Meno male che né Orion né Skye erano presenti, altrimenti avrebbe perso il suo posto in squadra seduta stante.

Per quanto riguarda l’altro problema

Quale altro problema?

Vediamo… alto, ben piazzato, occhi verdi e un innato amore per le Creature Magiche e per t

Non vedo come lui possa essere un problema. Non è successo niente, cosa intendi dire?

Appunto. Non è successo niente. Non è questo il problema?

Maledetto Andre e il suo dannato sesto senso.

Lo adorava.

Lo abbracciò con affetto e quello le scompigliò i capelli come tanto odiava. «Non approfittare del fatto che non abbia voglia di reagire, brutto idiota.»

Quello abbozzò un sorriso candido, per poi spostare lo sguardo sul resto della combriccola e alzò il calice di burrobirra. «Un brindisi alla Corvonero più coraggiosa della storia. A Rowan!»

«A Rowan!»

Gli occhi le si inumidirono di nuovo quando ripeté anche lei “A Rowan!. Le mancava già, ma in un certo senso era ancora lì, tra loro. Era nei ricordi, nelle risate, nei libri di scuola, nelle penne di zucchero che amava tanto.

E avrebbe fatto tutto quello in suo potere per tenere vivo il ricordo e vendicarsi della sua assassina.

 

 

 

---

 

Note: sto lavoricchiando a un secondo capitolo, che sarà incentrato più o meno sulle conseguenze che quella notte nella Foresta ha avuto su Ben. E tanti altri bei casini.

Grazie a chi ha letto e a chi l’ha aggiunta tra le preferite/seguite. Spero di ritrovarvi in un futuro prossimo. :)

A presto,

Marta

   
 
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