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Autore: kenjina    06/03/2020    1 recensioni
ATTENZIONE: spoiler Hogwarts Mystery anno 6, capitolo 18/19
Alla luce di ciò che accade durante il sesto anno, Gwendolyn e la sua combriccola di amici devono trovare il modo di andare avanti anche per chi non può più farlo. Sarà un processo difficile, lungo e doloroso. Ma lo affronteranno insieme.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Castle of Glass

Capitolo 3

 

 

“Mia cara Rowan,

le lezioni riprenderanno domani e non so ancora se essere felice della distrazione o terrorizzata dal banco vuoto al mio fianco. Stavo pensando che potrei sedermi io al tuo posto, visto che nessuno probabilmente vorrà occuparlo. È un’idea sciocca, vero? Vedrò domattina… sempre che riesca a svegliarmi per tempo, ora che non ci sei più a gridarmi nelle orecchie quanto sia in ritardo. Non posso certo fidarmi di Tulip, che russa più forte di me… ho rischiato di perdere la colazione tre giorni su quattro da quando te ne sei andata.

Domani ricominciano anche gli allenamenti di quidditch. Sono ancora combattuta sul continuare o meno. Vorrei concentrarmi anima e corpo sulla ricerca della prossima Sala, ma non posso farlo se Andre mi stacca la testa a morsi prima. O se Murphy mi scioglie le orecchie a furia di percentuali e motivi per cui non dovrei farlo. Ma qualsiasi sarà la mia decisione, ho intagliato il tuo nome sul manico della mia Comet. So che odi le persone che scrivono così sul legno, ma quello della scopa non è vivo; e poi s'addice che sia proprio tu a essere parte di un vecchio albero. Così, se dovessi continuare a giocare, sarai sempre presente a ogni partita e ogni allenamento.

E volerai con me, senza paura delle vertigini. Sarà bello, vedrai.”

 

Gwen rilesse l’ultima frase, il pennacchio tinto d’inchiostro che rimase fermo a mezz’aria, mentre pensava alla prossima riga. Una goccia nera bagnò la pergamena, ma non vi badò. Se chiudeva gli occhi avrebbe potuto quasi percepire le braccia di Rowan sulla vita, quando le si aggrappava forte per paura di cadere, mentre decollavano durante una lezione di volo in coppia. Le aveva trapanato le orecchie in più di un’occasione, quando virava di colpo o scendeva in picchiata per farsi due risate. Quanto avrebbe voluto diventare sorda a furia di grida e risate!

Si sgranchì il collo indolenzito e sospirò. Con le gambe distese lungo una panca della Sala Grande e la schiena poggiata contro la spalla di Andre, stava portando avanti la sua personale terapia del lutto, consigliata indirettamente da Barnaby.

Era raro che il ragazzo riuscisse a scriverle (o a leggere le sue lettere) durante le vacanze estive, perché la nonna con cui viveva non era favorevole alla corrispondenza del nipote, specialmente se i destinatari appartenevano ad altre Case e avevano parentele, a suo dire, di dubbia rispettabilità. Aveva tentato di spedirgli qualche missiva, ma aveva dovuto rinunciare quando il suo povero gufo era tornato spennacchiato e con un’ala mezzo rotta – non voleva neppure immaginare la vergogna che Barnaby aveva provato quando quella megera aveva ferito il suo povero Larry. Il primo anno della loro amicizia era trascorso in silenzio e così il secondo, con la differenza che, il giorno del ritorno a Hogwarts, Barnaby le aveva consegnato un malloppo di lettere infagottate in un fiocco di spago.

Ho un regalo per te, le aveva detto con orgoglio. Queste sono tutte le lettere che avrei voluto spedirti, se avessi potuto. Mi hanno aiutato a sentire meno la tua mancanza. Si era scusato più volte per gli eventuali errori ortografici, perché sai bene che io e l’alfabeto non andiamo molto d’accordo, ma era un gesto così dolce e premuroso che Gwendolyn avrebbe sorvolato qualsiasi obbrobrio letterario – non che fosse colpa sua; Barnaby aveva solo qualche problema con le lettere che nessuno si era mai preso la briga di correggere.

Quello era il terzo giorno che scriveva all’amica. Lettere che non avrebbe mai spedito, che non avrebbero mai ricevuto risposta. Eppure Barnaby aveva ragione: l’aiutavano a non sentirne troppo la mancanza, per quanto possibile.

Almeno, per il momento.

Avrebbe voluto trovare la forza di scrivere qualcosa anche ai genitori di Rowan, ma cosa si può dire a una famiglia che ha perso una figlia? Specialmente per causa sua?

Scosse il capo e si guardò intorno, nella speranza di trovare un po’ di ispirazione. La Sala Grande non era molto affollata, ma c’era un confortante chiacchiericcio nell’aria; i professori non erano presenti e molti approfittavano della loro assenza per giocare a scacchi magici o sedersi più comodamente, come lei.

«Quell’invasata di mia madre ti saluta. Ripetutamente. Questa cosa che ti considera come la figlia che non ha mai avuto sta sfuggendo di mano.»

Anche Andre stava usufruendo del pomeriggio domenicale per rispondere ad alcune lettere e lei, nonostante la poca voglia, si ritrovò a sorridere.

«Appena finisco le scriverò due righe per ringraziarla e dirle che mi manca tanto», gli disse. «E per informarla sul fatto che suo figlio non ha ancora indossato la bella giacca che gli aveva spedito due mesi fa perché, e cito, lo fa “sembrare come la carta da parati nella vecchia casa della nonna”.»

«È la verità!» esclamò l’amico, oltraggiato. «Com’è che siamo ancora amici, tu e io?»

Gli rifilò un sonoro bacio sulla guancia, per rabbuiarsi poco dopo. «Sa di Rowan?» Il ragazzo stallò qualche secondo e capì subito che qualcosa non andasse. «Andre?»

«È sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta.»

Gwen scattò in piedi, lasciando cadere la penna e rovesciando il calamaio. «Che cosa?!»

I pochi presenti si voltarono verso di lei, incuriositi, ma ritornarono alle proprie cose nel vedere lo sguardo ammonitore di Andre che, dopo un sospiro, parlò. «Non so come la Skeeter sia riuscita ad avere la notizia, vista la segretezza di Silente, ma ormai lo sanno tutti. Compresa la mamma – che, prima che lo dica tu, non ti odia affatto. E neanche quelle degli altri nostri amici ti odiano. Ovviamente. Ma meglio specificarlo, che con te non si sa mai.»

«E c’è scritto—» Gwen ingoiò un nodo in gola. «C'è scritto com’è successo?»

«Più o meno.»

Com’era possibile? Nessuno, a parte i suoi più stretti amici, sapevano come fossero andate le cose – e dubitava che uno degli insegnanti, o persino uno di loro, avesse venduto le informazioni a quell’incontinente verbale che scriveva tutto fuorché la verità.

«Racconta solo di come Rowan si trovasse nella Foresta Proibita per non si sa quale motivo. Specula sulla responsabilità dell’evaso di Azkaban e sullo zampino tuo, di tuo fratello e dei centauri—»

«Se ha detto una sola bugia su Torvus io—»

«—ma non sono sicuro che sappia come siano andate davvero le cose. Credo che l’intento principale dell’articolo fosse quello di screditare le capacità di Silente come Preside e la scarsa sicurezza di Hogwarts. Di nuovo. Quella donna avrà classe da vendere, ma chiamarla giornalista è offensivo.»

Gwen stava per ribattere che quella donna era tutto fuorché di classe (non aveva dimenticato il modo barbaro con cui aveva trattato Hagrid, Torvus, Kettelburn e tanti altri durante la sua ultima visita, e non avrebbe potuto nasconderlo neppure dietro un abito firmato e una messa in piega perfetta), ma non aveva voglia di discutere con Andre di moda – specie perché avrebbe perso la partita prima ancora di iniziarla.

«Quando è uscito l’articolo?»

«Due giorni fa. In che razza di mondo vivi, Vane?»

Merula le lanciò una copia del Profeta in pieno viso, ma non riuscì a offendersi per il gesto perché il viso sorridente di Rowan la salutava da un’enorme fotografia in prima pagina.

Si lasciò ricadere sulla panca, stanca e abbacchiata come non mai.

Avrebbe dovuto immaginare che prima o poi la storia sarebbe saltata fuori, ma non così… non dalla penna di quella donna, non così presto. Era quasi certa che per il momento la stampa non ne avesse parlato, perché i suoi genitori non le avevano ancora scritto e—

I genitori non le avevano scritto.

Non lo facevano da settimane, ma ora che la sua migliore amica era morta continuavano a stare in silenzio. Possibile che non avessero letto il giornale? Che qualcuno a lavoro non avesse parlato della tragedia?

Non sapevano quasi niente dei guai che aveva dovuto affrontare in quei sei anni di scuola, perché avrebbe rischiato di dare loro il colpo di grazia; non gli aveva detto di aver ritrovato Jacob, alla fine dell’anno precedente, né di averlo incontrato per pochi minuti un paio di volte nei mesi scorsi. Che senso aveva aggiungere preoccupazioni ad altre preoccupazioni? O dare loro la speranza di riavere il loro primogenito, quando era sparito di nuovo? Aveva fatto male a lei, che era la sorella, e non voleva immaginare il dolore che avrebbero provato loro nel sapere che Jacob continuava a latitare dalla sua famiglia per uscire da qualsiasi pasticcio si fosse ficcato.

Ma se avevano letto la Gazzetta del Profeta e si parlava di Jacob e di lei… non voleva neppure pensare alle conseguenze. Da quando il fratello era sparito, i genitori avevano perso tutte le energie e l’entusiasmo per cui andavano famosi, bisticciavano continuamente e spesso e volentieri Gwendolyn si sentiva più un peso che altro. Ora, probabilmente, la incolpavano dei loro dispiaceri come facevano con Jacob – forse anche di più.

Aveva perso suo fratello.

Aveva perso Rowan.

Stava per perdere Ben.

Avrebbe perso anche Barnaby, prima ancora di averlo.

E ora anche i suoi genitori.

Ritirò le sue poche cose, spiegazzò la lettera macchiata d’inchiostro e fece sparire il calamaio, prima di scusarsi e allontanarsi dalla Sala Grande. Si lasciò alle spalle qualche commento al veleno di Merula e un Andre più che perplesso, che non fece in tempo a seguirla, e si diresse di gran carriera verso i terreni di Hogwarts.

Aveva bisogno di scappare, anche solo per qualche ora (i suoi amici non le avrebbero perdonato un’altra sparizione come quella di qualche giorno prima). Era da molto che non godeva della sua forma di animagus e quale occasione migliore per non farsi scoprire e stare da sola se non quella? Magari avrebbe potuto fare una visita a Zanna, o avrebbe potuto accucciarsi lì, dove Rowan era caduta e stare un po’ con il suo ricordo... oppure poteva fare una capatina alle creature di cui si prendeva cura con Hagrid. Ce n’era una, in particolare, che non aveva mai visto, ma che ora...

Non andò oltre il campo di allenamento.

I manichini erano riversi a terra; alcuni erano privi di braccia, altri di testa, altri erano stati divelti dalla propria base e si erano schiantati con forza contro le pareti in pietra che formavano la corte. Proprio accanto al cadavere di uno di questi, seduto con la schiena contro il muro e noncurante della neve sotto al sedere, stava Ben. Aveva numerosi tomi pesanti e polverosi intorno a sé e ne stava leggendo uno con avidità. Non dovette avvicinarsi molto per riconoscerne le spine e le copertine oscure e minacciose, tipiche del Reparto Proibito.

«Ben?» Non ricevette risposta. «Ben? Che diavolo leggi?»

«Qualcosa che dovresti studiare anche tu.»

Gli si avvicinò, cercando di decifrare il titolo del capitolo al contrario. Sbiancò quando riuscì a dargli un senso e glielo strappò dalle mani.

«Oi! Ridammelo subito!»

«Sei impazzito, per caso?» esclamò, cacciando con forza il conato di vomito che il solo contatto col libro oscuro le provocò. «Chi ti ha dato il permesso di prenderlo?»

Ben non batté ciglio; si limitò ad allungare una mano. «Io, ovvio. E ora ridammelo; stavo studiando.»

«Che cosa? Come farti espellere? O come finire ad Azkaban?»

«No, Gwendolyn. Stavo studiando come uccidere la Rakepick.»

Se non fosse stata troppo scioccata dal tono neutro e lo sguardo vacuo dell’amico, era sicura che gli avrebbe frantumato la testa a colpi di libro per farlo rinsavire. «Ben, non puoi dirlo sul serio.»

«Certo che sì. Ha ucciso Rowan e stava per uccidere me. Tu non vuoi vendetta?»

«Ovvio che voglio vendetta! Ma non così, non abbassandoci al suo livello! Siamo meglio di lei—»

«E guarda dove ci ha portato esserlo. Siamo deboli. Sono debole. Dobbiamo fare di più.»

Il pavimento sotto ai piedi sembrò sparire e il libro le cadde di mano. Ben fu lesto ad alzarsi per sorreggerla, prima che cadesse. «Ben, ti prego—»

«Non ti sto dicendo che devi imparare l’Anatema che Uccide; lo farò io per tutti.»

Gwendolyn scosse il capo più e più volte, incredula e incapace di reagire. «Non posso permetterti di rovinarti la vita, Ben. Quella maledizione ti cambierà per sempre! Come puoi solo pensare di vivere con un peso così grande?»

«È per una giusta causa.»

«No! Dannazione, no! Non così!»

Il ragazzo di Grifondoro, ormai l’ombra sbiadita del timido bambino dei primi anni di scuola, raccolse il libro e tutti gli altri.

L’ennesimo lampo verde le accecò la vista e l’impotenza si trasformò in rabbia. Una rabbia sorda e cieca, che le aveva montato l’anima per così tanto tempo che ormai non sarebbe più riuscita a sopprimerla. Senza una parola Gwendolyn levò la bacchetta, glieli fece volare dalle mani e li colpì con un incendio a mezz’aria.

«No!»

Ben si portò le mani ai capelli, incredulo, mentre la carta scoppiettava di fiamme e lanciava scintille. Non aveva mai pensato che un giorno avrebbe trovato piacevole bruciare libri – avrebbe preferito dare fuoco ai capelli della persona che avesse suggerito un pensiero simile, anziché compiere un atto tanto scellerato; ma quelli... osservare le pagine accartocciarsi e diventare nere, sentire un ululato di dolore oltre il fumo e il fuoco fu così soddisfacente che si ritrovò a sorridere. Madama Pince avrebbe voluto la sua testa per quel gesto, ma in quel momento era l’ultimo dei suoi problemi. Ben voleva imparare a lanciare Maledizioni Senza Perdono per punire Rakepick e non poteva permetterglielo.

 «Che hai fatto?!» stava esclamando Ben, nel convulso tentativo di recuperare qualcosa. «Mi servivano!»

Era la prima vera reazione che riusciva a cavare dall’amico. Negli ultimi mesi si era trasformato in un bamboccio apatico, testardo, ingenuo nel suo delirio di onnipotenza. Neppure il corpo senza vita di Rowan era riuscito a risvegliarlo.

Ora era disperato.

Gli aveva distrutto quella che sembrava la sua unica speranza di trovare sollievo e, per quanto le faceva male vederlo così, non poteva permettergli di rovinarsi con le sue stesse mani.

«Ben.» Non diede segno di sentirla, così gli si avvicinò con cautela. «Ben, troveremo un altro modo. Insieme.»

«No. Non capisci proprio, vero?» Ben si inginocchiò davanti ai resti dei suoi preziosi libri rubati e scosse il capo. «È morta per salvare me. Non è saltata per proteggere te; è morta per me, perché non sono riuscito a difendervi a dovere, perché sono troppo debole. Cosa credi mi importi del mio futuro, quando quello di Rowan è già finito?»

Gli si sedette accanto, gli occhi lucidi e l’ormai familiare magone in gola, incapace quasi di percepire il freddo alle gambe oltre al dolore al petto. «È vero, è saltata di fronte a te, non me. Ma era lì per causa mia, come pensi che possa sentirmi?» Sospirò scuotendo il capo. «Ora più che mai dobbiamo usare la testa per pianificare la prossima mossa. Siamo stati stupidi e incredibilmente ingenui. E tu adesso vuoi rendere il suo sacrificio vano facendoti arrestare, o peggio? Vuoi che sia... che sia morta per niente? Non ne sarebbe affatto felice. Anzi, credo che ti sguinzaglierebbe contro il mondo intero.»

Allungò una mano sulla sua spalla tesa, ma Ben si divincolò.

«Non mi interessa cosa penserebbe. Non può farlo. È morta.» Si alzò su gambe instabili, tremando di rabbia. «Lasciami in pace, Gwendolyn. Se vuoi startene con le mani in mano fai pure, ma non tentare più di ostacolarmi. La prossima volta non starò a guardare.»

Con quelle parole dall’amaro sapore di minaccia, Ben corse verso il castello, lasciandola ancora più sola e impotente che mai.

 

*

 

Affrontare l’ira di Madama Pince fu uno degli atti di coraggio più grandi che avesse mai preso. La donna era spaventosa quando qualcuno osava piegare l’angolo di un foglio, o sistemava un libro fuori posto, o peggio ancora quando semplicemente respirava troppo rumorosamente nella sua biblioteca. Non voleva immaginare come avrebbe reagito quando avesse scoperto quello che aveva combinato. Quello che non aveva mai neppure sognato era che la donna potesse mettersi a ridere.

Forse era persino peggio.

«Ma—le ho appena detto di aver bruciato una decina di libri del Reparto Proibito—»

«Non sono sorda, signorina. Ho sentito bene. E per quanto il suo gesto mi rechi immenso dolore e perderà almeno cinquanta punti per Corvonero, può stare tranquilla. Quei libri sono al sicuro nell’ufficio del Preside.»

Gwendolyn non si vantava di avere una mente brillante, ma non era del tutto imbecille: in quel momento, invece, si era sentita così stupida che probabilmente Madama Pince aveva riso della sua espressione ebete, che per altro. Così, con tanta pazienza, la bibliotecaria le aveva raccontato di come sia Silente che la McGranitt stessero tenendo un occhio attento sul signor Copper e che avessero indovinato le sue intenzioni; avevano dunque sostituito ogni libro sulle Maledizioni Senza Perdono con qualcos’altro di innocuo – libri che spiegavano in dettaglio come lanciare una scia di coriandoli verdi, per esempio, ma non certo un avada kedavra.

«Apprezzo la tua presa di responsabilità, signorina Vane, ma ha distrutto solo parodie, niente di valore.»

Ripensandoci, non avrebbe dovuto sorprendersi. Aveva accusato Silente di non fare niente, ma forse il dolore l’aveva resa più cieca di quanto non fosse di fronte ai tentativi di salvaguardia dei suoi studenti. La rassicurava che la Direttrice di Grifondoro stesse tenendo d’occhio Ben e sarebbe andata a parlarle di persona, se Pince non le avesse detto che fosse già al corrente della situazione.

Il suo amico era diventato un pericolo per se stesso, ma forse c’era ancora speranza.

Sulla via della riserva di Hagrid, Gwendolyn si strinse nelle spalle e inspirò l’aria frizzante e profumata di terra, foglie secche e umidità. Oltrepassò l’unicorno e la chimera, a cui lanciò qualche boccone di cibo, per poi rallentare.

Hagrid le aveva spiegato come riconoscere la presenza di Hades, il thestral di cui si occupava dall’anno precedente: guarda bene il terreno, stai attenta al movimento dei cespugli, aguzza le orecchie, presta attenzione alle nuvolette di fiato nei giorni più freddi. Era stato difficile, difficilissimo avvicinarlo e farsi conoscere; come poteva dimostrare la sua fiducia a una creatura invisibile? Eppure, con infinita [pazienza] era riuscita nell’impresa ed era ricambiata da un’amicizia bellissima.

Con un cenno di incoraggiamento verso se stessa, Gwendolyn sbirciò oltre il tronco dell’albero dietro il quale si stava nascondendo e trattenne il fiato. Aveva visto numerose illustrazioni di thestral e sapeva cosa aspettarsi, ma avrebbe preferito continuare ad avere un amico invisibile, con quello che comportava vederlo. Eppure la prima cosa che pensò quando lo vide fu che fosse splendido. Come poteva una creatura così bella essere messaggera di ricordi funesti?

Mosse qualche passo verso di lui, incantata e commossa quando lo vide inchinare il collo e agitare le ali in segno di saluto. Gli accarezzò il muso e rise tra le lacrime quando le colpì la guancia in un affettuoso buffetto.

«Ripeto quello che ti dissi tempo fa: è così brutto che fa quasi tenerezza.»

Merula era poggiata contro un albero, braccia conserte e indossava la solita faccia da schiaffi. Se non avesse imparato a conoscerla e a capirla, non avrebbe mai notato l’inclinazione malinconica di quella frase.

«Guarda chi c’è, Hades. Ti ricordi di quel muso lungo di Merula? Sì?»

La Serpeverde alzò gli occhi al cielo, ma si avvicinò ai due, mani ficcate ostinatamente nelle tasche della veste e immancabile broncio. «Certo che potevi dargli un nome più fantasioso.»

«L’alternativa era Thanatos.»

«Wow. Spero non ti riproduca mai, Vane. O non vorrei essere nei panni di Figlio e Figlia.»

Gwen grugnì una risata, incapace di trattenerla, e l’altra sbuffò. Rimasero in pacifico silenzio per lunghi minuti, vezzeggiando il thestral ed evitando con cura il motivo per cui ora anche Gwendolyn potesse vederlo.

«Sai come ho chiamato l’acromantula?»

«No e non voglio saperlo.» Merula finse indifferenza, ma la occhieggiò con un sopracciglio inarcato.

«Mostriciattolo», sussurrò Gwen, per non farsi udire dall’enorme ragno non molto distante. «Ma è molto suscettibile, dunque ufficialmente si chiama Shelob.»

Merula non sembrò impressionata.

«Shelob. Lei. Il ragno gigante che Frodo e Sam devono affrontare ne Il Signore degli Anelli...»

«Chi?»

«Il Signore degli Anelli è un libro, scritto da Tolkien. Ti dice niente?»

«Non leggo libri babbani, Vane. Che razza di domande mi fai?»

«In realtà Tolkien era un mago che scriveva per i babbani; nessun umano privo di magia può creare un mondo come quello immaginato da lui, con così tante lingue inventate e… oh, ma che te lo dico a fare.»

Hades stava sgranocchiando un po’ di cibo direttamente dalla mano di Gwen, quando decise di esternare alcuni suoi dubbi ancora senza risposta. Magari Merula avrebbe potuto illuminarla con qualche ipotesi più sensata delle sue. «Parlando di lei, invece. La Rakepick, intendo.»

Tutto nell’atteggiamento di Merula si trasformò in una corda di violino al solo sentirla nominare, a partire dai pugni stretti lungo i fianchi alla linea dura della mandibola quando serrò i denti.

«Il suo obiettivo ero io, dall’inizio. E ho perso il conto delle possibilità che ha sprecato quando eravamo in terra, senza bacchetta e con la guardia abbassata. Non capisco, perché non lo ha fatto? Perché ci ha salvati dai dissennatori? Stava giocando con noi? Perché non ha lanciato subito l’avada kedavra su di me? O su di te? Perché aspettare che Ben le tenesse testa prima di agire?»

Il pesante silenzio che seguì dopo le fece capire che probabilmente Merula non aveva intenzione di risponderle, ma non si meravigliò della cosa.

«Il messaggio di “R” diceva che uno dei tuoi amici doveva morire», disse finalmente la strega di Serpeverde, la voce dura e fredda come l’inverno scozzese. «E di certo non poteva uccidere me.»

«Perché no?»

«Perché non siamo amiche.»

«Ricominciamo con questa storia?»

«Non è mai finita, Vane.» Merula sospirò. «Non lo so, comunque. Me lo sono chiesta anche io, ma… non ricordo molto della successione degli eventi di quella notte… solo qualche flash. È tutto molto… uhm, confuso.»

Gwendolyn annuì, comprensiva. Lei, purtroppo, ricordava fin troppo bene cosa fosse successo. Talmente bene che poteva quasi toccare la consistenza di quelle memorie orribili e degli incubi che la tormentavano la notte. «Ho… ho scoperto Ben a studiare le Maledizioni Senza Perdono.»

«Cosa?! E lo sta facendo senza dirmi niente?!» esclamò Merula con oltraggio, facendo spaventare persino Hades.

«Merula, non uccideremo Rakepick.»

«Parla per te. Io lo farò, invece.»

Gwen allargò le braccia, con fare rassegnato. «Mi sembra di sentire un disco rotto! Merula, non siamo come lei. Siamo meglio.» Alzò un dito per zittirla, quando la vide pronta a ribattere. «Eravamo lì. Non hai visto? Non hai visto quanto veloce sia stato? Scommetto che… che Rowan non ha neppure sofferto.» Strinse le labbra, cacciando indietro la bile. «Io voglio che Rakepick soffra, Merula. Voglio vederla in ginocchio davanti a un dissennatore mentre le succhia via l’anima e la felicità. Voglio vederla diventare un guscio vuoto e voglio vederla soffrire per il resto dei suoi giorni. Non merita la pietà di una morte veloce. Merita tutta la disperazione che sta seminando nelle vite altrui, e molto altro.»

Gli occhi della Serpeverde sgranarono per la sorpresa e sembrò guardarla con una luce diversa. «Woah! Stai diventando sadica peggio di Ismelda!»

Gwendolyn agitò una mano, come per scacciare una mosca fastidiosa. «Ismelda non è sadica. È solo quello che vuole far credere. Come te, del resto.»

«Stiamo parlando della stessa persona?»

«E non cambiare discorso. Rakepick pagherà per quello che ha fatto, ma lo farà secondo le leggi della giustizia. Non voglio diventare un mostro come lei. E nemmeno tu, nemmeno Ben.»

Alcuni gufi riempirono il silenzio che seguì quelle parole. Gwen riportò l’attenzione sulla maestosa creatura accanto a lei, Merula tenne lo sguardo fisso sulla punta delle sue scarpe. Fu quando il freddo iniziò a pungere oltre il pesante strato di vestiti e il vento si infilò tra gli alti e scuri alberi della foresta, che arrivarono entrambe alla stessa conclusione.

«È ora di cena. Andiamo?»

Si incamminarono verso il castello, perse nei propri pensieri. Gwendolyn sperava con tutto il cuore di essere riuscita a frenare (se non fermare completamente) le intenzioni bellicose dei due. Non avrebbe potuto sopportare un destino simile per i suoi amici – anche se Merula si ostinava a dire che non lo fosse.

Fu nei pressi del Cortile dell’Orologio che Merula parlò.

«Di che scriveva quel tizio di cui mi hai parlato prima?»

 

 

 

---

 

Note: scrivere di libri bruciati è stato un dolore indicibile, forse anche peggio della morte di Rowan.

Vi chiedo perdono. Non lo farò più, promesso.

Quello che non posso promettere, invece, è di non citare più Il Signore degli Anelli. E non mi scuserò. ;)

A presto,

Marta

   
 
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