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Autore: Enchalott    17/03/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Distruttore
 
Anthos percorse il corridoio principale del suo palazzo, diretto a passo veloce verso l’ala est dell’edificio. Quando era rientrato dalla biblioteca, nella quale aveva trascorso le ore prime della mattina a partire dall’alba, non aveva trovato Adara nella loro stanza come di consueto.
Salì speditamente le scale, mirando con sicurezza alla camera destinata al ragazzo Aethalas, assolutamente certo di trovarla in sua compagnia, armata della scusa di voler accertare il suo stato di salute.
L’irritazione, che montava dentro come un gradiente di marea, gli accelerò i battiti cardiaci, rendendolo ancor più rabbioso. Che la ragazza trasgredisse sfacciatamente i suoi ordini, soprattutto quello di non soggiornare da sola nella stanza di un altro uomo… di quell’uomo, lo faceva infuriare non poco. Nessuno osava mostrarsi disobbediente e neppure a lei era concesso violare impunemente le sue disposizioni.
Spalancò la porta senza complimenti, entrando nel modesto ambiente.
Narsas trasalì, sollevando il viso e piantandogli poi in faccia gli occhi scuri, recuperando abilmente quella freddezza che esibiva sempre in sua presenza.
Era solo.
“Principe Anthos, quale onore” pronunciò con sarcasmo “A che cosa debbo la vostra visita inaspettata?”
“Lei dov’è?” ribatté il reggente, privo di qualsiasi accento.
L’espressione del guerriero mutò, facendosi seria e angosciata.
“Se state alludendo alla principessa, significa forse che in questo momento non si trova sotto la vostra tutela?!” esclamò, corrugando la fronte “L’avete lasciata sola!?”.
Il sovrano di Iomhar strinse i pugni, su tutte le furie, sentendosi accusare con ragione di scarsa attenzione nei riguardi di colei che avrebbe dovuto proteggere.
“Non un’altra parola, ragazzino!” ringhiò “È uscita da Leu-Mòr mentre ero fuori e ho creduto fosse venuta qui a farti da balia”.
Narsas si alzò con fatica, sfoderando un atteggiamento composto ma chiaramente sdegnato e terribilmente in ansia.
“Non serve che vi rammenti che l’ultima volta il Traditore l’ha quasi catturata mentre era all’interno del vostro palazzo” enfatizzò “Un fallo che pensavo non avreste commesso una seconda volta! L’aver pensato male di lei non vi giustifica!”.
Anthos scrutò il volto pallido dell’arciere, che si sosteneva con sforzo e lo sfidava apertamente, rinfacciandogli senza remore la sua scarsa premura.
“Sarà anche così” sogghignò gelido “Ma sono venuto qui per saggiare la realtà dei fatti, non le supposizioni, e a prendere le misure opportune. Con la solida convinzione che in questo momento nessuna magia oscura stia dilagando per la reggia o l’avrei percepita, a differenza tua… perciò raffredda il sangue, Aethalas!”.
“Non rimarrò qui ad ascoltare le vostre inutili discolpe!” continuò Narsas “Andrò a cercarla di persona, rimediando alla vostra inadempienza!”.
Le iridi auree del principe balenarono di collera. Sollevò le prime tre dita verso il guerriero, che si arrestò, ansimando vistosamente per la grave debilitazione.
“Resta dove sei…” pronunciò, inespressivo.
Gli occhi ardenti dell’arciere si sollevarono su di lui, privi di resa, come tutte le altre volte in cui si erano scontrati. Anthos scosse la testa, derisorio.
“Non riesci neppure a reggerti in piedi, che cosa vorresti fare?”.
“Le mie forze sono sufficienti a salvaguardare quanto per voi non è importante”.
“Mi è sufficiente interrogare la mente per trovarla” continuò il reggente, intimidatorio.
“A me il cuore!” restituì il giovane nomade.
Lo sguardo del principe vibrò di furia incontenibile. Strinse le palpebre e la luce della lampada ad olio si riverberò nei suoi occhi chiari. Le sue dita aperte si posarono con un guizzo imprevedibile sul petto del guerriero, che sussultò al tocco sgradito.
“Un solo gesto e il koreyon non avrà vittoria” affermò, algido.
Il torace di Narsas si sollevava e si abbassava velocemente, come se stentasse a respirare, ma i poteri del reggente non avevano nulla a che vedere con quello stato evidente di profonda, consunta debolezza. Era il veleno a schiacciarlo fisicamente.
“Fatelo. Non ho paura” rispose, senza remore.
Anthos sorrise, privo di qualunque umanità. Richiamò l’energia dalla parte profonda dell’io, governandola con un atto spirituale privo di fatica, e indirizzandola verso la propria mano destra, che si ammantò di un bagliore verde.
L’arciere non si mosse e non abbassò lo sguardo neppure quando percepì il calore.
“Stai già morendo… e tu lo sai” mormorò il principe, convogliando il proprio immane potere verso il rivale inerme “Questione di poche ore, non è vero?”.
Si fissarono senza parlare difronte a quell’indiscutibile verità.
Anthos aumentò l’intensità dell’emissione.
Narsas urlò suo malgrado, mentre quella forza immane penetrava nel suo corpo attraverso il contatto lieve e straziante. Si sentì trapassare da un dolore lancinante, che tuttavia lo teneva inchiodato al presente senza ucciderlo e non gli permetteva neppure di perdere i sensi. Il suo essere gli restituì una sensazione sconvolgente, come se stesse bruciando tra le fiamme impietose di un rogo inestinguibile. La vista gli si annebbiò per la sofferenza insostenibile e il male aumentò ancora, come se fosse per lui possibile tollerarne altro, come se il principe fosse in grado di infliggergliene di ulteriore. Era lava nelle vene, tanto insostenibile da costringerlo a pregare di morire immediatamente. Il suo grido si spense in un rantolo di agonia, perse il controllo di sé e le lacrime iniziarono a scendergli sul viso istintive, senza che potesse arrestarle. Poi tutto finì.
Anthos ritirò la mano, esaminando con impassibilità il guerriero riverso a terra, fradicio di sudore, tremante e stroncato da quell’umiliante prevaricazione.
“Vorresti che ti uccidessi? Che ponessi fine al tuo dolore?” domandò.
Narsas avvertì il bruciore scemare lentamente, sostituito da una strana sensazione di vigore. Sollevò la testa, ansando, e scostando le ciocche brune che gli si erano appiccicate alle guance, asciugandosi le lacrime mortificanti che ancora gli rigavano il volto. Il cuore pulsava freneticamente, battendo vita e non morte.
“Il Tredicesimo uomo” proseguì il reggente con lieve sarcasmo “Sono proprio curioso di vedere realizzato quanto tutti si aspettano da te…”.
“C-che…” ansimò lui, scosso “Che cosa avete fatto?”.
“Non lo so neanch’io” ammise il principe sollevando le spalle “Forse ti ho regalato del tempo. Tutte le veggenti dei Due Regni continuano a berciare che tu sei un elemento non previsto in nessuna scrittura antica, Profezia compresa, e che pertanto sarai fondamentale nell’attimo che decreterà la fine o la salvezza del mondo. Odio il Testo Sacro, fargli dispetto non può che allietarmi”.
L’arciere sgranò gli occhi, diffidente: tuttavia, le energie stavano inspiegabilmente rifluendo in lui, in una percezione di forza che ormai non avvertiva più da giorni.
“Voi… voi avete…?”.
“No” lo interruppe Anthos “Non ci sono antidoti contro il koreyon. Presto il veleno riprenderà il suo decorso naturale. Averlo rallentato non significa averti guarito… e non l’avrei fatto neppure potendolo”.
“Allora… è in questo modo che mi avete salvato a bordo della Xiomar?” ansimò il ragazzo, osservando i tre nuovi segni violacei che spiccavano sul suo torace attraverso la camicia slacciata.
“Sì”.
Narsas rimase inginocchiato a terra, ancora troppo debole per sollevarsi, incredulo.
“Volete constatare personalmente se sarò in grado di stanare e uccidere il Traditore?” domandò, duro “Anche se ora non ha più nulla di umano?”.
“Diciamo così. Ora ne hai la possibilità, pertanto sfruttala al meglio”.
“Non vi credo” affermò il guerriero del deserto, osservandolo con lucida attenzione.
“Non mi interessa” ribatté il principe.
“Voi avete percepito che stavo rasentando la morte, lo avete ammesso”.
“Non ho problemi a ribadirlo”.
Il ragazzo annuì, soppesando la risposta e riflettendo su quanto era avvenuto, ancora sconvolto e impossibilitato a muoversi.
“Io penso che voi mi abbiate realmente donato un frammento di vita che non ero destinato a vivere” mormorò malinconico “Ma che lo abbiate fatto non per verificare i responsi delle sacerdotesse. Voi avete agito così perché, se io fossi morto a breve come avrebbe dovuto essere, il cuore di Adara sarebbe andato in pezzi… e voi… proprio voi, Anthos di Iomhar, detestate anche il solo pensiero che lei possa soffrire!”.
Il principe spalancò gli occhi, spiazzato, con l’immagine della fiamma di una candela languente che passava sullo stoppino intonso di una nuova cera.
Poi sogghignò, sprezzante.
“Sei libero di credere alla storia che preferisci” restituì “Ora, se vuoi scusarmi…”.
Lasciò la stanza senza aggiungere altro.
Narsas si appoggiò faticosamente al letto e sorrise.
 
Anthos si augurò che la principessa fosse impegnata negli ultimi ritocchi al quasi ultimato restauro dell’affresco e non a zonzo per la fortezza, peraltro senza Dare Yoon, che ormai doveva essere molto lontano dalle mura inviolabili di Jarlath.
Spalancò la porta della sala del trono, cercandola con lo sguardo, ma l’unica persona presente, che si affrettò in un inchino profondissimo, fu Iristel.
Corrugò le sopracciglia, adirato nello scorgere quell’assenza e parimenti inquieto: il fatto che non avesse percepito Ishkur non lo tranquillizzava affatto, chiunque avrebbe potuto essere un suo emissario celato in umane sembianze.
“Dov’è mia moglie?” domandò secco al ligio assistente.
“È … è scesa in città, altezza…” farfugliò l’uomo, terrorizzato dall’aspetto terribilmente corrucciato del reggente.
“Ancora…” ringhiò il principe tra i denti, estremamente irritato dagli sterili e continui tentativi della donna di portare conforto agli abitanti di Jarlath.
Iristel si rattrappì, tremebondo, come se l’uscita non autorizzata fosse sua responsabilità, ma Anthos lo ignorò, in preda al pensiero che all’aperto le possibilità d’attacco a vantaggio del Nemico sarebbero salite esponenzialmente.
“Fai sellare immediatamente Illtyd” ordinò perentorio.
“E-ecco…” balbettò il funzionario, trangugiando un groppo di saliva e rischiando il soffocamento “Sono spiacente, ma… la regina…”.
Il principe si voltò, squadrandolo con un’occhiata agghiacciante.
 
Adara procedeva per le strette vie dei quartieri bassi, tenendo per la cavezza il magnifico stallone bianco, che la affiancava mansueto al passo.
La strada lastricata di pietra era scivolosa e lucida di una pioggia gelida e insistente, che non pareva intenzionata a smettere.
Il cappuccio del lungo mantello la riparava dall’acqua, ma non dalla sensazione di pena immensa, che le giungeva al cuore come una saetta, dovuta alle condizioni di indigenza estrema del suo popolo.
Cicatrici su un’epidermide già vessata, meditò mesta.
La neve si era quasi del tutto sciolta: imbiancava ancora le cime elevate del Sirideain e gli angoli più nascosti dei sobborghi di Jarlath, mentre le torri della fortezza esibivano ormai tutta la loro grigia incombenza attraverso la velatura ghiacciata dell’aria. Leu-Mòr svettava tra le sorelle minori, vestita della sua pericolosa luminescenza verde, dissimile dal resto del creato.
Le pozzanghere riflettevano il cielo uniforme e portatore di avversità. Se la coltre bianca e soffice aveva garantito alle magre risorse del Nord la sussistenza, quel tempo umido e gocciolante le aveva invece cancellate tutte.
La capitale era deserta, i suoi abitanti rimanevano rintanati in casa ad attendere il peggio. O forse la fine come una liberazione a lungo invocata.
Quella mattina il suo passaggio non era avvenuto inavvertito: gli zoccoli ferrati del cavallo del principe avevano annunciato il suo arrivo, riecheggiando per i vicoli in un trotto moderato, che era sembrato un tamburo di guerra in quel silenzio assordante.
Quando avevano capito che non si trattava di Anthos, uomini e donne avevano fatto capolino dalle finestre, affacciandosi timidamente agli usci socchiusi, anche solo per vedere la giovane elestoryana che raccoglieva sempre le loro suppliche.
Adara era smontata di sella con una stretta al petto, consapevole di non poter offrire altro che la propria vicinanza e la propria solidarietà.
Aveva distribuito il cibo contenuto nelle bisacce colme, caricate al massimo sulla schiena robusta di Illtyd, cui nessuno osava comunque avvicinarsi, come se portasse in sella l’ombra paurosa del suo padrone.
Aveva spartito qualche aergid e diviso tutti i gioielli che aveva trovato nel suo baule, tenendo per sé unicamente l’anello opalescente che il reggente le aveva infilato al dito mesi prima.
Aveva regalato alcune coperte, conscia del fatto che non sarebbero servite a fronte di un focolare vuoto e spento. Che non avrebbero scaldato la paura.
Aveva promesso che non li avrebbe abbandonati, che avrebbe continuato a scendere in mezzo a loro sino all’ultimo, finché il reggente lo avesse concesso e che avrebbe operato anche l’impossibile per convincerlo a usare i propri poteri per il bene comune. Aveva chiesto perdono, per non esserci ancora riuscita.
Le anziane e le madri l’avevano ascoltata, commosse, e si erano inchinate con gratitudine, mormorando agli dei una preghiera affinché la conservassero così come la vedevano in quel momento, gentile e piena di speranze. Affinché la preservassero dalla rovina, dal male, da colui che temevano più della morte stessa.
Le ragazze e le giovanissime le avevano stretto le mani, senza parlare, versando lacrime fiduciose e grate, sollevando gli sguardi ammirati e timidi per incontrare quello della donna che incarnava l’unica luce in quella terra maledetta dall’oscurità.
Una di esse si era persino scusata, arrossendo di vergogna, per aver tentato di sedurre il principe e aveva giurato che non l’avrebbe avvicinato mai più. Poi era fuggita via, sparendo in una corsa rapida nel labirinto di stradicciole e cantoni.
“Dici che ci siamo persi, Illtyd?” mormorò rivolta al maestoso destriero, osservando con un po’ di preoccupazione l’infilata di arcate e passaggi poco riconoscibili nell’uniformità dell’abitato.
L’animale nitrì piano, puntando con decisione a destra e Adara sorrise, certa che almeno lui conoscesse alla perfezione la via di casa.
Avrebbe fatto bene a rimontare in arcione e ad affrettarsi: non aveva informato Anthos delle proprie intenzioni caritatevoli per risparmiarsi la sua consueta occhiata di sufficienza, ma anche perché probabilmente si sarebbe opposto all’idea o avrebbe preteso di visitare Jarlath in sua compagnia, precludendole il contatto con le persone che invece lei agognava. Scorgendolo, i cittadini sarebbero rimasti nascosti, pieni di terrore, e sarebbe stato come non essere affatto presente.
Il principe si sarebbe adirato di sicuro e avrebbe compreso che lo aveva escluso apposta. Era ancora estremamente infastidita per l’indifferenza con cui aveva accolto la notizia della “dipartita” di Rei e, soprattutto, per la sua mancata risposta, sostituita da termini volutamente graffianti, quando gli aveva chiesto se fosse innamorato di lei. Come se fosse una cosa di poco conto. Come se non avesse capito che…
Sollevò lo sguardo al cielo, pensierosa, e tese una mano davanti a sé: la pioggia aveva smesso improvvisamente di cadere e l’aria possedeva una patina strana, come se qualcosa stesse filtrando il chiarore del mattino inoltrato attraverso un velo più opaco. Come se qualcuno avesse spento di colpo tutti i suoni dell’universo.
Illtyd piantò le zampe a terra e si immobilizzò, appiattendo all’indietro le orecchie.
La ragazza rabbrividì, tesa, sebbene persino il vento ghiacciato non inviasse più le sue folate a intirizzire la capitale.
Difronte a lei si apriva un passaggio a volta e l’ombra della copertura di mattoni bruni, proiettata al suolo e inoltrata attraverso il breve corridoio, pareva intessuta d’inchiostro. Arretrò, intimorita, meditando di cambiare velocemente strada con una pungente sensazione d’allerta nelle ossa, portando d’istinto la mano al Crescente, che tuttavia non diede segnale di sé.
Troppo tardi.
Ogni altra apertura parve sparire, dissolversi in una sorta di vapore denso, che la isolò dal resto del mondo.
Adara strinse l’elsa della spada, come se l’arma di affidabile metallo potesse contrastare quell’evidente e invadente manifestazione sovrannaturale.
Una figura alta, occultata in un mantello nero e spesso, sgusciò dal buio come al rallentatore, trascinando alle proprie spalle il lungo strascico dell’indumento e celando il proprio volto nell’ombra impenetrabile del cappuccio abbassato. Nulla di essa era visibile, come se non appartenesse all’esistente.
La principessa fissò l’apparizione, sconvolta, pensando di essere giunta al termine dei propri giorni. Era stata avventata e ingenua… uscire dalla fortezza senza la protezione del reggente per una stupida ripicca… avventurarsi in un luogo malsicuro e offrirsi come bersaglio senza essere ancora in grado di controllare l’Imis’eli… senza possedere la scaltrezza necessaria per attivarlo in una situazione di pericolo immediato. Che stupida! Imprudente, arrogante ragazzina…!
Il Nemico l’avrebbe uccisa, portando poi il suo cadavere in regalo al principe per provocare la sua furia devastatrice. Ma prima le avrebbe fatto pagare con soddisfazione tutte le disfatte antecedenti. Il male che ora possedeva il volto di Shion l’aveva raggiunta.
Aveva fallito, aveva perso la sua occasione, il creato sarebbe stato perduto con lei…
Si preparò a morire, congelata dal terrore.
Illtyd raspò il suolo con lo zoccolo.
La creatura ammantata non si mosse e non agì in modo ostile.
“Non sono qui per arrecarti del male, Adara di Elestorya” pronunciò finalmente, provocandole un sussulto.
La voce maschile, calma e profonda era come brezza intensa nella sua mente, proveniente da un altrove che lei non riuscì a identificare.
Quello non poteva essere il Traditore. Non le avrebbe lasciato scampo altrimenti e poi… poi non emanava la sua stessa aura malvagia e corrotta. Forse, il Nemico non si sarebbe neppure premurato di celarle il proprio ormai noto aspetto.
“C-chi… chi siete?”.
Lui rise lievemente, un suono triste e basso.
“Ghiaccio che si scioglie” rispose in un sussurro.
“Io… vi conosco?” domandò ancora lei, con una strana sensazione nel petto.
“Tu hai più volte invocato il mio nome. L’hai pronunciato con amore e rispetto nelle tue preghiere… quelle che io ho accolto, quelle che non ho accolto, di esse nessuna mai inascoltata”.
Adara spalancò gli occhi, esterrefatta. Impossibile. Non poteva essere. Non…
“Sono qui come hai chiesto” continuò l’apparizione.
La ragazza piombò in ginocchio, tremando, abbassando la fronte con deferenza, senza riuscire a replicare, in preda a una sicurezza che le tolse il respiro.
“Divino Irkalla…” balbettò, sconvolta.
“Sei degna della mia presenza. Solleva il volto e rispondi, donna. Perché invochi la Distruzione in persona, unica mortale nei millenni d’esilio che mi sono stati imposti?” riprese l’essere, muovendosi leggermente ma rimanendo a distanza, in attesa.
Lei esitò, stentando ancora a credere a quanto stesse accadendo. Ma indugiare sarebbe stato irrispettoso nei riguardi di chi era già stato costretto a subire il tempo.
“Voi, mio eccelso signore, siete l’unico da implorare. Il solo che può comprendere realmente la sofferenza del genere umano… colui che può scegliere di salvarci”.
“Comprensione, facoltà di discernimento, empatia…” mormorò il dio “Mi attribuisci delle virtù insolite, fanciulla. Facendo appello ad esse, sarebbe meglio che tu supplicassi la dea del Cielo per la tua vita, allora…”
“N-no… no” fremette Adara, sentendo il cuore aumentare i battiti.
L’essere superiore tacque, studiandola con attenzione. Avvertì il suo sguardo su di sé e osò alzare gli occhi, come le aveva concesso, limpida e sincera come sempre.
“Non temere le parole, principessa” proseguì Irkalla “Se rivolte a me, su mia esigente richiesta, altri non le reputerà oltraggiose”.
“Non posso” sussurrò la ragazza, turbata nel profondo “Non riesco a rivolgere la mia anima alla celeste Amathira. Non… non è come accade con voi…”.
“Scaccia la paura. Lei non può sentirti. La mia ostilità nei suoi confronti lo impedisce”.
“Mio signore… perdonatemi se ardisco affermare che non riesco a implorare l’aiuto di chi non ha voluto ascoltare neppure colui che amava. Di chi ha lasciato alla vendetta facile vittoria sul perdono. Come potrebbe intendere noi mortali, se si è dimostrata sorda persino alle vostre ragioni? Se non vi ha affrontato lealmente?”.
Il Distruttore piegò leggermente il capo, invisibile sotto le pieghe del cappuccio nero.
“Anch’io bramo da millenni la rivalsa che mi spetta”.
“Ma voi, a differenza sua, non l’avete ancora realizzata. Avete l’occasione di scegliere, di mostrarvi misericordioso, di evitare ai mortali il medesimo dolore che vi ha inflitto colei che vi era vicina. L’intenzione iniziale può essere differente dall’atto risolutivo…Vi prego… sono le azioni a definirci”.
“Che cosa ti lascia credere che io non abbia già deciso la perdizione del cosmo?”.
“Voi. Voi siete qui con me, un’umile creatura che ha l’ardita sfacciataggine di dare voce al proprio cuore umano. Voi mi avete ascoltata, sono parole vostre. Io respiro poiché voi lo permettete. La risposta è insita nella vostra stessa domanda”.
“È per questo, dunque? Vuoi che la Distruzione manifesti la propria inesistente generosità? È un controsenso, regina del Nord. Io non possiedo altro che l’umiliazione bruciante di un involucro umano. Come potrei accogliere la morte che mi è prescritta senza portare con me tutto ciò che invece riempie di felicità la mia nemica? Lasciare intatto il mondo che lei desidera preservare?”.
“Divino Irkalla… sarei disposta a sacrificare me stessa, se la mia vita per voi avesse valore, pur di mostrarvi che anche un guscio composto di carne e sangue è in grado di esprimere l’amore immenso di cui voi credete di non essere dotato”.
“Amore?” domandò lui con uno strano impeto nella quiete profonda che scaturiva dalla sua essenza immortale “La dea del Cielo mi ha condannato a non riceverne in questa vita e così è stato. A non provarne, fino all’ultimo respiro in questo tartaro congelato. A sperimentarne uno che mi infliggerà il colpo di grazia. Come potrebbe avvenire ciò che sostieni con tale sicurezza?”.
“Nemmeno il dio più potente del pantheon potrebbe impedirvi di amare. L’unico ostacolo è costituito unicamente da voi stesso. Non fidatevi di ciò che vi hanno raccontato” disse Adara, terribilmente commossa “Questa condanna non può realizzarsi, se non siete voi a desiderarlo. La salvezza del prossimo è da sola un atto d’amore infinito”.
“Io sono l’immortale più potente dell’universo, sebbene non il più autorevole. Sarei quindi di impedimento a me stesso?” vibrò il Distruttore, colorando di una tenue emozione la propria voce “Perché dovrei crederti?”.
“Rispondervi con onestà equivarrebbe a un oltraggio”.
“Non farlo risulterebbe peggiore”.
Adara esitò, incerta, ma si convinse che il dio punito non sarebbe mai apparso se veramente non avesse desiderato ascoltare da lei la verità sull’aspettativa che gli stava accordando, se non avesse voluto comprendere il significato delle sue accorate preghiere. Avrebbe estinto l’esistente e basta, ma così non era stato. Era giunto il momento di ultimare la missione di cui si era fatta carico. Di domandare grazia e mercede per il creato. Di decidere di non combattere contro di lui, contrariamente a quanto tutti si sarebbero aspettati.
“L’eccelsa Amathira ha fallito. Non ha previsto che il vostro dolore sarebbe stato condiviso e onorato. Che qualcuno potesse avere piena fiducia in voi e nel vostro intelletto supremo. Che considerasse il riavviare la creazione, evento di cui soltanto voi siete capace, una forma d’amore primigenia. La dea del Cielo non ha presunto… me! Vi offro l’ardire della mia fede assoluta, divino Irkalla, e ripongo in voi le mie speranze. Oso comprendere la vostra sofferenza e rispettarla più di tutto l’inchiostro sprecato per scrivere la Profezia che annuncia il vostro ritorno. Vi sono grata per tutte le volte in cui avete riavviato il mondo annientato non da voi, ma dalla corruzione che vi ha costretto a intervenire. E imploro il vostro perdono, perché l’umanità ha creduto che voi foste quello da intralciare, ignorando ciecamente l’esistenza del vero Nemico. Mio altissimo signore, lasciate che la vostra ira si dissolva, accettate in cambio quanto vi offro. È un ingiurioso infinitesimo, ma è tutto ciò che ho”.
Il Distruttore non si mosse, celato dall’abito scuro e immobile, come se avesse bisogno di elaborare il fatto che una semplice mortale gli stesse donando ogni forma d’amore possibile in una vita.
“Il sacrificio” asserì dopo un lunghissimo silenzio “Non è l’ultima sconfitta, forse?”.
L’affermazione si inchiodò nel cuore di Adara, provocandole una commozione ancora più intensa e angosciata.
“Se lo osserviamo in modo superficiale, potrebbe apparire tale” affermò “In realtà, significa amare un’altra esistenza talmente tanto da porla senza condizioni davanti alla propria. Ritenerla inestimabile e insostituibile. Difenderla ad ogni costo”.
La divinità incarnata avanzò di un passo, armoniosa e lieve.
“Tu, donna, lo hai messo in conto, vero?” mormorò.
“Ho imparato a farlo, mio signore, dopo aver conosciuto un uomo disposto a donare tutto per me. Se mi comportassi diversamente, non sarei meritevole del suo affetto”.
Irkalla rimase nel cono d’ombra che gli occultava i tratti, indecifrabile nell’identità e nei pensieri. Da lui emanava una solitudine terribile e concreta.
“Se io ti ordinassi di seguirmi, se io stabilissi di risparmiare te sola dalla mia vendetta, tu verresti con me?”.
“No, mio signore, perdonatemi. Sono legata da una promessa. Ho giurato a mio marito che non l’avrei abbandonato per nessuna ragione. Non intendo mancare”.
“Anthos di Iomhar…” sospirò stancamente il Distruttore “Un ghiaccio che invece non si scioglie. Parli d’amore e sacrificio anche a lui?”.
“In ogni gesto, in ogni respiro”.
L’essere immortale si chiuse in un altro insormontabile silenzio.
“Quello che ti ha presa forzatamente in sposa è un uomo che non crede in nulla. Perché pensi che ascolterà proprio te?”.
“Voi l’avete fatto e siete un dio”.
“E come tale mi comporto. Non vale altrettanto per lui”.
“Non rinuncerò. Anthos è una mia responsabilità”.
Irkalla si spostò di qualche passo nella direzione da cui si era materializzato.
“Parole che contengono un onere gravoso” mormorò “Sia come desideri, lascerò a te il carico derivante dal suo agire. Sosterrai l’incombenza?”.
“Lo farò, mio signore. Vi sono grata per non aver prescritto alcuna condanna”.
Il Distruttore fissò l’aria immota difronte a sé e nel buio del copricapo calato i suoi occhi invisibili emanarono uno scintillio abbagliante e terribile.
“Condanna…” ripeté con il sapore della certezza “O lui o Ishkur, uno dei due sopravviverà all’inevitabile scontro che avverrà, che io consentirò senza interferire. Se il vincitore sarà il Traditore, io lo ucciderò con tutte le morti esistenti, poi trascinerò con me senza esitare il creato che conosci e non riserverò pietà ad alcuno. Perirò, così com’è scritto e non rivedrò mai più questo mondo. Se invece sarà Anthos a prevalere, tornerò per chiedertene conto. Nessun desiderio di dominio sarà perdonato. Sarai l’ago della bilancia. Esiste una sola chance per te, Adara di Elestorya. L’altra l’hai appena ricusata scegliendo di restare accanto al tuo sposo”.
“Io…” sussurrò la ragazza, turbata “Io sono la sua seconda occasione. Non lo priverò di questo diritto… voi, divino Irkalla, meglio di tutti comprendete quanto significhi scorgere un’altra possibilità… avvertirla saldamente tra le dita…”.
Il Distruttore piegò il capo come se stesse riflettendo sotto la stoffa nera.
“Persuadimi che il creato sia meritevole della mia clemenza, che le vite che vorresti preservare siano più importanti del mio onore offeso, bramoso di rivalsa. A prescindere dalla mia volontà di vendicare l’affronto che la dea protettrice degli uomini mi ha riservato all’alba di questo tempo, io ti ascolterò ancora una volta”.
“Siete voi colui che salvaguarda gli esseri umani, non altri. Voi che non ignorate le loro suppliche e che, vostro malgrado, calcate la loro stessa terra. È un dolcissimo oltraggio, mio signore, se avete la grazia di leggerlo in questi termini…”.
Il Distruttore scosse la testa, sospirando indulgente. Nulla di lui era distinguibile, ma Adara ebbe l’assurda sensazione che stesse sorridendo.
“Raccogli il tuo coraggio, donna. Il momento cruciale è prossimo”.
“Quindi… quindi voi nella battaglia decisiva lascerete Anthos da solo contro Ishkur?”.
“Ti sottovaluti, principessa” affermò il dio, misterioso.
“Lui non ha mai voluto cercarvi, ritenendo che non sareste mai intervenuto…”.
“E cos’altro ha pensato di me il principe del Nord?”
“Perdonatemi… che questa pioggia tenace scenda per colpa vostra”.
L’essere superiore annuì impercettibilmente.
“Ha ragione, ne sono la causa… involontaria”.
“C-come può essere?”.
“Non ti è concesso saperlo” la bloccò Irkalla, voltandosi di tre quarti verso l’arcata oscura da cui era emerso “Ci rivedremo alla fine del tempo, regina di Iomhar”.
“Aspettate, vi imploro!” esclamò lei, tendendosi nella sua direzione e sollevando un ginocchio, senza però osare abbandonare l’umile posizione di supplice.
La divinità rallentò il passo.
“Vorrei continuare a invocarvi come ho sempre fatto, se ciò non vi incomoda…”.
Il Distruttore si arrestò, ormai quasi del tutto mimetizzato nel buio della volta.
“L’uomo per cui preghi ogni giorno” pronunciò grave nella sua mente “Tra tutti quello che con solida costanza mi chiedi di salvare… che cosa provi per lui?”.
Adara spalancò gli occhi, arrossendo nella consapevolezza di aver rivelato a Irkalla i propri sentimenti più intimi, riflessi nelle parole che da lui erano state udite e intese.
“Io lo amo, mio signore” sussurrò sincera “Lo amo più di ogni altro”.
Il vento catturò l’aria, piegandola nuovamente al proprio capriccio. La pioggia scrosciò inclemente, infradiciando i lunghi capelli castani della ragazza, che aveva abbassato il mantello durante il colloquio inaspettato. La luce virò in una rifrazione più diluita e naturale, ridefinendo l’esistente.
Irkalla era scomparso.
   
 
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