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Autore: Yuki Delleran    17/03/2020    2 recensioni
Keith è il principe di Marmora, ha perso la sua famiglia, la sua casa e la sua patria in un modo inaspettato, violento e tragico.
Lance è un cecchino della resistenza, non ha mai avuto davvero una patria e ha rinuciato alla sua famiglia per scelta obbligata.
La Resistenza è in lotta con l'Impero da secoli per liberare l'universo dal giogo dell'oppressione e la profezia che designa colei che metterà fine al dominio galra è l'unica luce a illuminare un cammino oscuro.
Ma non tutto ciò che è stato rivelato dalle stelle è eterno e immutabile. A volte può essere riscritto.
Genere: Drammatico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 12


Era stato un incontro al limite del surreale. Keith era partito con la convinzione di trovarsi di fronte il più acerrimo dei suoi nemici ed era finito, suo malgrado, catturato dall’eloquenza del principe galra.
Allura lo aveva interrogato nel modo più formale possibile ed era stata esemplare nel tenere le redini della conversazione. Lotor non aveva tentato neanche una volta di prevaricare il suo controllo e quello che ne avevano ricavato era una serie di informazioni vitali, tra cui la rivelazione chiave che avrebbe permesso loro di chiudere definitivamente la partita.
Keith non era certo che gli altri o addirittura Lotor stesso si fossero resi conto che il nodo centrale della battaglia che avrebbero dovuto combattere era proprio quello, ma Allura sicuramente lo aveva capito. Lei, esattamente come Keith, doveva essere al corrente di quello che era successo su Daibazaal all’epoca del soggiorno di Alfor. Doveva sapere di Honerva, della quintessenza e della frattura che si trovava nelle fondamenta del palazzo di Zarkon. Coran doveva averglielo raccontato esattamente come lo aveva raccontato a lui ed era con questa consapevolezza negli occhi che l’aveva vista voltarsi per un istante verso di lui e fissarlo con un orrore che non aveva nulla a che fare con l’odio che aveva espresso finora nei suoi confronti.
Allura aveva avuto paura per lui, non di lui. Quello sguardo lo aveva reso bruscamente consapevole di quello che sarebbe stato di lì a poco il suo destino e che, se davvero volevano mettere fine a tutto, non vi sarebbe stato modo di sfuggirvi.
Dopo quell’incontro però non era successo nulla.
Keith aveva sempre pensato che, una volta scoperto il punto debole del nemico, gli eroi sarebbero partiti alla riscossa, pronti a dargli la punizione che meritava. Nei racconti succedeva sempre così. La realtà, invece, era molto diversa.
Era stata fatta una riunione, dopo il colloquio con Lotor, per stabilire quanto le sue parole fossero attendibili e quanto potesse essere rischioso dargli credito. Erano state espresse opinioni discordanti, ma tutti erano stati d’accordo nell’affermare che un’opportunità simile non si sarebbe ripresentata e che pertanto andava sfruttata il più possibile. Avendo in pugno nientemeno che il figlio dell’imperatore, avrebbero potuto giocare d’anticipo o addirittura chiedere un riscatto in cambio della sua liberazione.
I piani e le proposte si erano susseguite ma, più la riunione continuava, più Keith si rendeva conto che il discorso si stava allontanando sempre più dal nocciolo della questione, rendendo il tutto oltremodo frustrante.
Allura era intervenuta poco, rimanendo per lo più silenziosa e affermando solamente di ritenere Lotor attendibile grazie ad altre informazioni in suo possesso. Non aveva fatto parola della storia di Coran e della fonte della quintessenza, nonostante aleggiasse tra loro in modo quasi tangibile.
Aveva atteso il termine della riunione, quando la regina Krolia aveva annunciato il suo desiderio di ritirarsi per la notte, per avvicinare Keith in modo apparentemente casuale. Il suo volto era serio, forzatamente immobile, ma i suoi occhi erano addolorati.
« Avrei voluto poter essere io a farlo. » aveva detto semplicemente.
Non era stato necessario specificare a cosa si riferisse e Keith aveva sentito un’ondata di gelo sopraffarlo. Non aveva bisogno di nessun’altra conferma, l’obiettivo era stato stabilito.
Ora, mentre era solo nella sua stanza, la stessa stanza che aveva sempre occupato prima della fuga da Marmora e che ora gli dava una strana sensazione di estraneità, avrebbe solo voluto parlarne con qualcuno. Era un desiderio bizzarro da parte sua, che tendeva a tenersi sempre tutto dentro, ma stavolta era diverso. Era qualcosa di troppo grande persino per lui, qualcosa di necessario che, però, se l’avesse rivelato, gli sarebbe stato impedito. Non si trattava solo del fatto che l’indomani sarebbe stato incoronato re, sebbene questo complicasse ulteriormente le cose. No, semplicemente chiunque gli avrebbe detto che era di una follia e avrebbe fatto di tutto per fermarlo. Quindi si ritrovava a vivere in bilico tra il desiderio di sfogarsi e la consapevolezza dell’impossibilità di farlo. Ed era una tortura.
Un discreto bussare alla porta lo strappò da quei pensieri cupi, portandolo a rispondere distrattamente e in modo svogliato. L’ultima cosa di cui sentiva il bisogno era l’ennesimo cerimoniere che veniva a spiegargli come avrebbe dovuto muoversi l’indomani.
Si stupì invece di trovarsi davanti Lance.
« Sarebbe dovuto venire Shiro a spiegarti la disposizione di tutte le forze di sicurezza per domani, ma sono riuscito a convincerlo a fare cambio. » si giustificò il giovane cecchino con un sorriso di scuse. « A dire la verità non ho nemmeno dovuto insistere più di tanto. »
Keith provò l’impulso di abbracciarlo. La vicinanza di Lance, le sue parole sempre schiette e il suo atteggiamento diretto erano esattamente ciò di cui sentiva il bisogno.
« Sono felice che tu sia qui. » disse invece, sforzandosi di mantenere una sorta di contegno nonostante il sorriso di risposta che si stava aprendo sul suo volto. « Sei venuto davvero per parlare di sicurezza strategica? »
« Ovviamente no. » ammise immediatamente Lance. « E sospetto che Shiro lo sapesse benissimo. »
Si avvicinò e gli prese le mani tra le sue in un gesto di confidenza che Keith aveva iniziato ad apprezzare molto.
« In realtà sono qui per sapere come stai. Cioè, come stai davvero, non quello che dici nelle riunioni diplomatiche. »
Keith sospirò leggermente e abbassò gli occhi: avrebbe davvero voluto parlargliene ma Lance, tra tutti, era quello con le più alte probabilità di impedirgli di agire. Sapeva già che avrebbe fatto l’impossibile perchè non gli accadesse nulla di male. Allo stesso modo, però, Lance era letteralmente l’unica persona al mondo con cui poteva confidarsi.
Perchè doveva essere tutto così difficile? Non era sufficiente scampare alla morte un paio di volte e riconquistare un pianeta occupato da forze guerrafondaie? Doveva anche mentire alle persone che amava per compiere quello stupido destino?
« Dalla tua espressione deduco che la risposta sia “male”. » commentò Lance, spettatore più o meno ignaro di quel tumulto interiore.
Non poteva tacere, mentire e fingere che andasse tutto bene. Lance era sempre stato onesto con lui, non meritava di essere tenuto all’oscuro di qualcosa di così importante. Voleva fidarsi di lui e sperare che avrebbe capito.
« C’è una cosa che ha detto Lotor… » iniziò. « Qualcosa che credo solo Allura e io abbiamo capito. Nessuno ne ha parlato alle riunioni, perchè solo chi era presente all’epoca della profezia ne è a conoscenza. Si tratta della fonte di quintessenza che si trova al di sotto del palazzo di Daibazaal. »
Keith s’interruppe e prese un respiro per farsi coraggio. Si rese conto che le mani gli tremavano leggermente e di riflesso strinse di più quelle di Lance. Sperava che il ragazzo avrebbe capito, ma il suo sguardo era ancora confuso.
« So che sembra una follia, ma quello è il centro di tutto. È la fonte del potere e della pazzia dell’imperatore, se riuscissimo a sigillarla… »
« Possiamo attaccare in forze il palazzo di Daibazaal! » esclamò Lance. « Se spieghiamo la situazione non sarà difficile avere l’appoggio di tutti gli alleati della Resistenza. Possiamo sferrare un attacco su larga scala e far crollare le fondamenta direttamente su quella fonte, così da chiuderla. Sarà una vittoria facile! »
« No, Lance, no… »
Keith scosse la testa e rimase a fissarlo, incapace di proferire parola, finchè non vide la consapevolezza farsi strada nello sguardo dell’altro.
« No, non lo farai. » lo sentì mormorare.
Keith sentì un peso precipitargli sul cuore.
« Ti prego… »
« Non puoi andare da solo. » insistè Lance. « Non te lo lasceranno mai fare. Permettimi di venire con te. Ti proteggerò e ti scorterò fino alla fonte, di sicuro sarà ben protetta e difficile da raggiungere. Permettimi di esserti d’aiuto! »
In quell’ultima preghiera aveva alzato la voce in un tono disperato e Keith non ebbe cuore di negarglielo.
« Preferirei sapervi tutti qui al sicuro, ma da solo non riuscirei nemmeno a raggiungere il palazzo, quindi temo di aver bisogno dell’aiuto di qualcuno di fidato. »
Si sforzò di mantenere la voce ferma mentre lo abbracciava, percependo il suo stesso tremito nel corpo di Lance.
« Abbiamo ancora un po’ di tempo per pensarci, concentriamoci sull’incoronazione di domani. Per favore, adesso parlami delle forze di sicurezza. »

La posizione che gli era stata assegnata, o meglio, che aveva scelto per sé in quanto secondo in grado nel corpo delle forze di sicurezza, dava una perfetta visuale dall’alto della sala del trono. Lance si era sistemato dietro una balaustra, con il fucile appoggiato sul bordo, e scandagliava lo spazio sottostante attraverso il mirino di precisione. Numerosi altri cecchini erano posizionati sia all’interno che all’esterno della sala e del palazzo, ma lui voleva avere gli occhi puntati su Keith.
Shiro gli aveva proposto di rimanere nella zona vicino al trono e di scortare personalmente il principe alla sua incoronazione, ma Lance aveva preferito declinare l’invito. Il capitano era la persona più adatta a quel ruolo, mentre lui avrebbe svolto il compito per cui era più tagliato e nel quale poteva mettere a frutto la propria efficienza al 100%: la supervisione dall’alto e l’intervento tempestivo. Inoltre, a causa di tutti i problemi sorti dopo il colloquio con Lotor, non erano ancora riusciti a parlare con Krolia riguardo la natura della loro relazione, di conseguenza sarebbe stato fuori luogo avere un estraneo ad accompagnare il principe, per quanto si trattasse di un comandante della Resistenza. Tuttavia questo non tubava Lance, non lo faceva sentire escluso o allontanato, semplicemente gli permetteva di vegliare su Keith dall’ombra, di ammirarlo sbocciare in tutta la sua maestosità e, dal suo punto di vista, era senz’altro un privilegio.
Attraverso il mirino ne osservò l’ingresso dal portone antistante e la camminata solenne fino a raggiungere il trono. La piccola folla di nobili e dignitari, molto inferiore a quella che normalmente sarebbe stata presente a un evento così importante in tempi di pace, chinò il capo al suo passaggio e si esibì in eleganti riverenze.
Keith camminò mantenendo lo sguardo fisso davanti a sè, accompagnato da Shiro fino al suo arrivo di fronte al trono su cui sedeva la regina. A quel punto il capitano rivolse un inchino a entrambi e si fece da parte. Il principe si piegò su un ginocchio e chinò il capo, lasciando che le morbide e ricche stoffe viola di cui era vestito frusciassero dolcemente a contatto con i tappeti che ricoprivano il pavimento.
Nella sala si potevano ancora notare i segni della distruzione provocata dall’attentato durante l’ultima cerimonia ed erano proprio quei tappeti e gli eleganti arazzi che coprivano le pareti a celare i danni maggiori. Esattamente come l’intero pianeta, anche quella sala era ferita, ma si era vestita a festa per accogliere il suo nuovo sovrano.
La regina si alzò dal trono e mosse alcuni passi verso il figlio declamando la formula rituale. Sollevò la corona dal proprio capo e, con le ultime, solenni parole, la posò su quello del nuovo re.
Attraverso il mirino, Lance lo vide alzarsi e voltarsi verso il gruppo in fervente attesa, che lo acclamò con esclamazioni di giubilo. Era teso, lo si poteva notare dalla rigidità della mascella e dalla meccanicità di alcuni gesti, ma splendeva come mai prima. Dalla balaustra al di sopra di tutto, Lance poteva vederlo irradiare una forza del tutto nuova, una sicurezza e una determinazione che lasciavano ben poco spazio al principino spaurito che aveva conosciuto mesi prima. La tiara d’argento brunito tempestata di gemme lilla e il mantello di un viola cangiante, che ricadeva dalle spalle lungo la postura perfettamente eretta, gli conferivano un’aura maestosa e quasi intimidatoria. Era splendido.

Dopo la cerimonia, Keith era stato scortato negli appartamenti reali, che erano stati arredati appositamente per lui e per rispecchiare la sua nuova posizione fin da prima dell’attentato. Ricordava che, prima, aveva sempre guardato a quelle nuove stanze con un misto di timore e di aspettativa: trasferirvisi avrebbe rappresentato nel modo più pratico la transizione verso l’età adulta e le sue nuove responsabilità come regnante. Che ingenuo era stato. Come se fosse davvero sufficiente cambiare stanza per crescere, o avere un cerchio di metallo sopra la testa. Ora, guardandosi alle spalle e ripensando alla sua infanzia morta per un colpo di pugnale avvelenato da parte di qualcuno che avrebbe dovuto proteggerlo, riusciva a sentire solo un’eco lontana di quelle emozioni. Ammirando l’anticamera reale, dotata delle più avanzate tecnologie e dei più sfarzosi comfort, non riusciva a non paragonarla alla sua spoglia stanzetta nella base su Altea. La sensazione che provava era molto simile: quanto aveva senso affezionarsi a quelle quattro mura sapendo che il suo soggiornarvi sarebbe stato stato temporaneo? In questo caso il tempo che aveva a disposizione era estremamente inferiore, al punto che si chiedeva che senso avesse aver effettivamente messo in atto quel trasferimento. Dopotutto, se qualcosa fosse andato storto nell’imminente missione che lo attendeva, non avrebbe nemmeno fatto ritorno a casa, quale fosse la sua stanza non avrebbe avuto la minima importanza.
Un discreto bussare lo distrasse dal suo esasperato andirivieni per l’anticamera e, esattamente come la sera prima, Lance si affacciò alla porta.
« È permesso, vostra reale maestà? » chiese in tono palesemente ironico, prima di zittirsi a bocca spalancata davanti allo sfarzo che si trovò davanti. « Mi avevano avvertito che gli appartamenti reali erano di un altro livello, ma non immaginavo fino a questo punto. »
Keith gli rivolse un’occhiata divertita mentre gli faceva cenno di entrare.
« Non vorrai farmi credere che tutto questo ti intimidisce? Proprio tu, famoso per snobbare i nobili e la loro inutile ostentazione. » lo prese in giro.
« Non m’intimidisce affatto. Anche se, andiamo, chi non snobberebbe tutto questo sapendo che non gli apparterrà mai? È un banalissimo meccanismo di difesa. »  
Keith sogghignò.
« Tu potresti averlo, se volessi. »
Lance lo fissò, spiazzato.
« Intendo dire che quando ufficializzeremo la nostra storia, se vorrai, potrai vivere al mio fianco come principe consorte e tutto quello che è mio sarà anche tuo. Tutti i reali di Marmora sono sempre vissuti così. » spiegò Keith, sforzandosi di mantenere un tono serio.
Fino a poco tempo prima l’idea di avere per sempre Lance al suo fianco gli aveva trasmesso sicurezza, ma ora, per qualche motivo, al pensiero gli correva un brivido lungo la schiena. La cosa che più lo tormentava era non sapere se quel “per sempre” lo sarebbe stato effettivamente o si sarebbe ridotto al poco tempo che gli rimaneva. Se così fosse stato, voleva assaporare ogni momento.
Lance, dal canto suo, non sembrava consapevole dei pensieri che lo turbavano e si guardava attorno estasiato.
« Se la metti in questo modo, potrei anche abituarmi! » esclamò, mentre avanzava a grandi passi verso l’ampia finestra che, dalla parete di fronte, si spalancava su un’elegante balconata.
I vetri, rinforzati da schermi di protezione, erano coperti da ricchi tendaggi scuri. Seguendone i morbidi panneggi, lo sguardo di Lance indugiò sul soffitto affrescato, intervallato qua e là da quelli che riconobbe come sensori e telecamere di controllo. Anche il mobilio, all’apparenza antico e prezioso, nascondeva i più avanzati sistemi di sicurezza e i migliori agi che la tecnologia più all’avanguardia del pianeta poteva offrire. Il tutto era un perfetto connubio di antica eleganza e moderna efficienza.
« Sembra quasi di essere dentro una vecchia favola, di quelle con maghi e cavalieri. » sospirò Lance, tornando al suo fianco. « Tu saresti il re illuminato che vuole salvare il suo popolo e io il tuo fido scudiero. Insieme sconfiggeremo il tiranno e la pace tornerà a regnare. Suona bene, no? »
Keith non riuscì a trattenere un nuovo brivido, questa volta tutt’altro che di turbamento. Suonava benissimo. E voleva che fosse così. Oh, lo voleva con tutto il cuore!
« Ti va di restare qui? Stanotte, intendo. » buttò fuori tutto d’un fiato.
Lance gli rivolse un’occhiata stupita.
« Certo che mi va! Non pensavo fosse consentito visto che sei il nuovo re e tutto il resto. Però se vuoi posso chiedere a Shiro di essere assegnato come tua guardia del corpo, così… »
« No! » esclamò Keith, interrompendolo bruscamente. « Niente guardie del corpo, niente sotterfugi, vorrei solo che rimanessi con me. Per favore… »
Lo sguardo di Lance si addolcì.
« Sei ancora in ansia per quella faccenda? Ho provato a parlare con qualcuno, con discrezione, e credo di aver trovato degli appoggi. »
« Ne sono felice, ma no, non sono in ansia, non adesso almeno. Adesso voglio mettere da parte per un attimo tutta quella storia e concentrarmi su quello che mi fa sentire bene. Credo di meritarmelo, no? »
Erano parole che suonavano strane a Keith stesso, che mai si sarebbe sognato di dire di meritarsi qualcosa, men che meno in un frangente in cui avrebbe dovuto essere il primo a dimostrarsi all’altezza delle aspettative altrui. In quel momento però voleva alleggerire l’atmosfera, godersi quei pochi momenti che gli restavano e far sì che anche Lance staccasse la spina per un attimo.
« Ma certo, ti meriti il mondo. » lo assecondò Lance, circondandolo con le braccia.
Keith sorrise, ricambiando con calore e guidandolo poi verso le stanze più interne, lontano dagli occhi delle telecamere, prima di lasciarsi coinvolgere in un bacio dolce. Superata una piccola anticamera, raggiunsero la camera da letto vera e propria, che nulla aveva da invidiare al salotto d’ingresso. Il centro della stanza era dominato da un baldacchino ricoperto di cuscini preziosi e ricche stoffe, sostenute da quattro sottili colonne. Le fonti luminose si trovavano sia agli angoli delle pareti che all’interno delle colonne stesse e potevano variare di colore e di intensità, in modo da poter essere una semplice luce da lettura o creare un’atmosfera soffusa. Come nell’anticamera, anche qui tutto il resto dell’arredamento era sia elegante che tecnologicamente avanzato. Sulla parete accanto al letto si trovava un tastierino che permetteva di ordinare i pasti dalla stanza, che sarebbero poi stati consegnati da un sistema automatizzato direttamente sul comodino.
« È incredibile! » esclamò Lance. « Potremmo vivere qui dentro per giorni senza problemi! »
« Sì, potremmo… » confermò Keith, in un tono vagamente allusivo che sperava sarebbe stato colto dall’altro.
La sua speranza venne premiata alcuni istanti dopo quando, nel bel mezzo di un’esclamazione entusiasta, Lance si voltò verso di lui in una realizzazione improvvisa.
« Keith! Cosa stai tentando di dirmi? Sembra quasi che tu stia tentando di sedurmi. »
Davanti a quelle parole così dirette, il giovane re non potè fare a meno di arrossire.
« Forse è davvero così. » rispose, ora vagamente titubante. « Forse non vorrei che tu restassi solo per dormire. »
« Keith… »
Lance tornò da avvicinarsi a lui e gli accarezzò una guancia. Il suo nome sembrava così bello su quelle labbra che questa volta fu Keith a prendere l’iniziativa per baciarlo.
« Voglio stare con te. » gli mormorò all’orecchio. « Voglio davvero stare con te. Sono stato uno sciocco a non dirlo finora, ma ho capito che ti amo sul serio. »
Quando si scostò, notò che le guance di Lance avevano assunto una tonalità di rosso acceso e i marchi alteani sui suoi zigomi ora emanavano un tenue bagliore.
« Stai brillando. » commentò con un sorriso intenerito e in parte anche divertito.
Non era per nulla abituato a vedere il giovane cecchino così in imbarazzo.
« Non è affatto carino da parte tua farmelo notare! » esclamò Lance, con una punta stridula nella voce, coprendosi la faccia con le mani.
« Mi dispiace. Sono stato fuori luogo? Se ho violato qualche regola dell’etichetta alteana, ti chiedo scusa. »
Lance scosse appena la testa, riemergendo da dietro le dita, i marchi più luminosi che mai.
« Noi cecchini veniamo addestrati a tenere a bada le emozioni. Sarebbe un problema se ci mettessimo a brillare al buio, comprometterebbe le missioni, quindi di norma una cosa del genere non succede. Solo che tu hai detto… E io… »
« Ti sei emozionato? »
Lance annuì, allontanando finalmente le mani.
« Nessuno me lo aveva mai detto e io non l’ho mai detto a nessuno. Ho sempre avuto paura che… non so… le cose si facessero troppo serie o che potessero finire male da un momento all’altro. Mi sono sempre comportato da codardo. Ma con te… »
Prese le mani di Keith tra le sue e a quel semplice contatto il cuore del ragazzo accelerò i battiti.
« Con te non è così. Questa ansia non esiste. Quando dici di voler restare con me, di volermi come principe consorte, di voler fare qualcosa per la mia famiglia e per mettere fine a questa guerra, mi trasmetti solo gioia. L’idea di starti vicino mi rende felice al punto da non pensare che possa finire, che un giorno tu possa stancarti di questo banale soldato senza patria che sa solo sparare e dire sciocchezze smielate. »
Quelle ultime parole fecero ridacchiare entrambi e al “Ti amo” soffiato da Lance sulle sue labbra, seguì il fruscio del mantello che scivolava dalle sue spalle cadendo sul pavimento.
Per quella notte non ci sarebbe stata nessuna guerra che bussava alla porta, nessuna carica importante che richiedesse attenzione, niente re, comandante, prescelto o il ben più inquietante pensiero di essere solo una vittima sacrificale. Ci sarebbero stati solo loro due e la riconferma di un sentimento che ora divampava più forte che mai.



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