Ship: Horace/Minerva
Prima di fuggire
Minerva - capelli sciolti e vestaglia di tartan - non sa perché deve essere proprio lei a consolare in piena notte il professore di pozioni in preda a un'improvvisa crisi di nervi. Non le è mai piaciuto ma ora è un uomo distrutto e non può fare a meno di accennargli un sorriso e cercare di parlargli con dolcezza. Ha cercato lei, proprio lei, così prova a comportarsi da brava collega. Forse da amica.
"Verrà a cercarmi".
"Chi? Horace, fammi capire..."
"Non puoi. Nessuno può... È tutta colpa mia".
Minerva è confusa ma d'impulso gli prende le mani. È un uomo adulto, grande e presuntuoso, ma quando scoppia a piangere a dirotto, lei allarga le braccia e lo stringe a sé come farebbe con un bambino. Percepisce la sua paura: se solo sapesse quello che lui sa, il segreto di Tom Riddle stampato indelebile nella sua memoria, allora forse tremerebbe di paura anche lei. Oppure no. È sempre stata forte, per questo lui ha scelto di andare da lei, per questo si lascia cullare come se quell'abbraccio potesse infondergli un po' del suo coraggio per osmosi.
"Qui fuori è molto peggio di quello che voi credete".
"Conosco la gravità della guerra. Ma andrà tutto bene, noi-"
"No. Io non sono come voi. Io ho paura".
Minerva lo lascia andare per guardarlo ma non gli rivolge lo sguardo sdegnato che lui teme. Annuisce invece e sospira. Se ammette di avere paura, allora è tutto recuperabile – pensa –, dire di avere paura è la prima fase per superarla.
"Allora resta qui. Ci siamo noi, ci sono io. È meglio che non resti da solo, non credi?"
Horace prova a darsi un contegno, esita, poi annuisce.
E promette di restare, anche se entrambi sanno che sta mentendo.
All'inizio di novembre, una settimana dopo la notizia della morte dei Potter, Minerva riceve una lettera – chissà da dove.
"Verrà a cercarmi".
"Chi? Horace, fammi capire..."
"Non puoi. Nessuno può... È tutta colpa mia".
Minerva è confusa ma d'impulso gli prende le mani. È un uomo adulto, grande e presuntuoso, ma quando scoppia a piangere a dirotto, lei allarga le braccia e lo stringe a sé come farebbe con un bambino. Percepisce la sua paura: se solo sapesse quello che lui sa, il segreto di Tom Riddle stampato indelebile nella sua memoria, allora forse tremerebbe di paura anche lei. Oppure no. È sempre stata forte, per questo lui ha scelto di andare da lei, per questo si lascia cullare come se quell'abbraccio potesse infondergli un po' del suo coraggio per osmosi.
"Qui fuori è molto peggio di quello che voi credete".
"Conosco la gravità della guerra. Ma andrà tutto bene, noi-"
"No. Io non sono come voi. Io ho paura".
Minerva lo lascia andare per guardarlo ma non gli rivolge lo sguardo sdegnato che lui teme. Annuisce invece e sospira. Se ammette di avere paura, allora è tutto recuperabile – pensa –, dire di avere paura è la prima fase per superarla.
"Allora resta qui. Ci siamo noi, ci sono io. È meglio che non resti da solo, non credi?"
Horace prova a darsi un contegno, esita, poi annuisce.
E promette di restare, anche se entrambi sanno che sta mentendo.
All'inizio di novembre, una settimana dopo la notizia della morte dei Potter, Minerva riceve una lettera – chissà da dove.
Mi dispiace. Per tutto.
Non c'è scritto altro e lei non ha bisogno di una firma per sapere a chi appartiene quella grafia elegante e pomposa.
Accartoccia la lettera e la getta nel camino senza pensarci troppo.
È arrabbiata con Horace perché si è rivelato uno sciocco vile.
È arrabbiata con se stessa perché nonostante tutto è preoccupata per lui.
Che è tutto solo e ha paura.
Accartoccia la lettera e la getta nel camino senza pensarci troppo.
È arrabbiata con Horace perché si è rivelato uno sciocco vile.
È arrabbiata con se stessa perché nonostante tutto è preoccupata per lui.
Che è tutto solo e ha paura.