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Autore: LysandraBlack    21/03/2020    3 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 28
Betrayal

 

 

Il cicaleccio costante del refettorio era particolarmente vivace, quella mattina.

Marian sedeva davanti al suo porridge, rimestando col cucchiaio la frutta secca all'interno della ciotola, e non si accorse del collega che le si sedette a fianco.

«Tenente Hawke.»

Ebbe un piccolo sussulto, che sperò di essere riuscita a dissimulare. «Martin, buongiorno.» Salutò il ragazzo, che era stato promosso solo di recente a rango di cavaliere.

«Ero di guardia al palazzo fino all'alba, tenente, e il figlio del Visconte mi ha chiesto di riferivi che vi attende nel cortile del palazzo, il prima possibile.» Sussurrò lui a voce bassissima, guardandosi attorno e controllando che non vi fossero orecchie attente.

Marian aggrottò la fronte. «Seamus? Ha detto cosa voleva?»

L'altro scosse la testa. «Solo che era una questione della massima urgenza, tenente.»

Sospirò, gettando un ultimo sguardo alla ciotola con la colazione, a malapena toccata. «D'accordo. Grazie per avermelo riferito.» Si alzò dalla tavola e tagliò verso la porta, passando accanto ad una fila di panche con altri templari che stavano mangiando. Non le sfuggì l'occhiata velenosa che le lanciarono Karras e Montrose, mentre Trevelyan sfoggiava un sorrisetto strafottente. Di Andrew, nessuna traccia. Non era ancora riuscita a parlarci abbastanza a lungo da essere sicura che non facesse la spia sul fratello, ma ormai era passato più di un mese, e se il ragazzo avesse parlato di certo ormai la sua testa sarebbe già stata rimossa dal collo. Sperava che fosse rimasto abbastanza dell'amicizia che legava lui e Garrett perché continuasse a mantenere il loro segreto. “E se proprio devo essere puntigliosa, ha pure un debito bello grosso nei miei confronti”, pensò acida mentre scendeva le scale verso i grandi cancelli della Forca.

Incrociò Cullen in cortile, intento a guardare con sospetto i piccoli maghi affacciati ad una delle finestre del secondo piano, che indicavano eccitati i grossi fiocchi di neve che vorticavano dolcemente fino a terra. Si costrinse a non commentare.

Il palazzo del visconte distava appena pochi minuti, e non ci mise molto a raggiungerlo. Salutò con nonchalance le quattro guardie all'ingresso, di cui due erano templari, e proseguì verso il corridoio che portava al cortile interno, dove Seamus l'aspettava.

Fu facile individuarlo.

A parte un solitario giardiniere che cercava di potare un grosso cespuglio di rose d'inverno, coperto di neve, il chiostro era deserto. Seamus era in piedi accanto alla piccola fontana al centro di esso, apparentemente incurante della neve che gli si posava sulle spalle del cappotto stranamente anonimo. Ad un'attenta analisi, sembrava pure due taglie più grande. Si chiede dove l'avesse recuperato, e soprattutto per quale motivo.

Marian gli si avvicinò da un lato, per non spaventarlo. Chinò il capo in segno di saluto.

«Ah, Marian!» Esclamò lui, visibilmente sollevato. «Ti stavo aspettando. Ho bisogno di te, sei l'unica di cui posso fidarmi in questo momento, almeno qui dentro.»

Iniziò a preoccuparsi. «Che intendi dire?»

«Seguimi, usciamo senza dare troppo nell'occhio e potremo parlarne liberamente.»

Attraversarono il cortile verso una porticina laterale, usata solo dai servitori, e una serie di corridoi angusti che li condissero fuori dal palazzo, in un vicolo poco trafficato. Seamus si tirò sul capo il cappuccio del cappotto, nascondendosi alla vista dei passanti, e le allungò un pesante mantello anonimo anch'esso, che lei indossò con preoccupazione maggiore. Iniziarono a scendere verso la città bassa, in silenzio, e Marian aveva sempre più la certezza che si fosse cacciato in qualche guaio.

Quando voltarono verso il porto, lo tirò per una manica. «Dimmi che qualunque cosa stia succedendo, non ci sono di mezzo i Qunari.»

Il ragazzo si esibì in un sorriso colpevole, colto in flagrante. «Ti dovrei mentire.»

Era da quello spiacevole incidente con Ashaad e la compagnia mercenaria degli Inverni anni prima, che si vociferava di come il figlio del Visconte fosse sempre più lontano dagli insegnamenti della Chiesa e si stesse invece avvicinando alla filosofia dei bestioni eretici che avevano ormai preso residenza nel quartiere vicino al porto. Nonostante i tentativi del padre, Seamus non andava quasi nemmeno più in Chiesa, e le volte in cui aveva partecipato alle funzioni si potevano contare sulle dita di una mano. Più precisamente, da quanto ricordava Marian, si era visto soltanto per due funerali, quello delle vittime dei Satinalia e, recentemente...

Distolse la mente da quei pensieri, la perdita ancora troppo recente. «Non farlo.»

Avevano parlato, in quegli anni. Non tanto, ma abbastanza perché avesse un'idea piuttosto chiara di quello che ronzava nella mente di Seamus. Lui, che non aveva mai avuto molti amici, che si era sempre sentito un estraneo nel suo stesso palazzo, che faticava a scambiare appena quattro parole con un padre che vedeva distante, freddo e disinteressato al suo benessere, si era confidato con Marian su quanto desiderasse avere uno scopo nella vita, un posto nel mondo. Era rimasto profondamente affascinato dalla filosofia Qunari, che prometteva una vita di certezze basata sul loro Qun, una strada lastricata e dritta a confronto del labirinto senza uscita che gli era sempre parsa la propria vita.

Seamus le strinse il braccio. Raramente l'aveva visto così tranquillo. Era abituata a vederlo cupo, scattoso, inquieto, mentre quella mattina negli occhi azzurri del ragazzo lesse solo una determinazione ferrea. «Ho preso la mia decisione, Marian. Ed è quella giusta, me lo sento dentro.»

Scosse la testa. «Lo sai che non si tratta solo di te, ne abbiamo parlato-»

«Ma si tratta di me, invece.» La interruppe lui. «Sono il figlio del Visconte, è vero, ma una volta che sarò Viddathari potrò essere solo me stesso, e vivere secondo il Qun. Un nuovo ruolo, un nuovo me, più autentico. Non sarò nemmeno più Seamus Dumar.»

Voleva capire perché lo stesse facendo, voleva davvero, ma l'idea di seguire ciecamente un ideale, una filosofia o un ordine non le era mai andata a genio, pur avendo avuto un'educazione militare non era un sentimento che poteva condividere. Eppure, se non era riuscita a convincerlo in tutti quei mesi, dubitava ci sarebbe riuscita ora, in un vicolo che puzzava di pesce lasciato a seccare.

«Tuo padre ne sarà distrutto.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Lo so. L'ho messo in conto. Ci ho pensato per anni, Marian, non credere che mi sia svegliato stamattina con una folle idea in testa. Ho ponderato i pro e i contro, so bene che potrebbero accusarlo di aver ceduto ai Qunari, o esserne influenzato lui stesso, ma sono certo che se solo capissero perché lo sto facendo...»

«I nobili gli salteranno immediatamente alla gola. La Chiesa potrebbe vederlo come un attacco alla sua sovranità a Kirkwall, e i cittadini...» Non voleva nemmeno pensare alla massa di persone che avrebbero potuto attaccare il campo dei Qunari, solo per essere falciate senza alcuna difficoltà dai suoi occupanti. «Sai benissimo come la pensano, non ne hanno fatto un segreto.»

Un'ombra di preoccupazione velò il volto di Seamus. «Credi che Meredith ed Elthina potrebbero indire una Santa Marcia?» Era evidente che non volesse che l'intera città ci andasse di mezzo, nonostante più volte si fosse lanciato in invettive accorate contro quei “maledetti fanatici” che avevano più volte cercato di far scoppiare un macello.

Marian ci pensò seriamente. «Non lo so. Sai che tra i Templari c'è... una forte opposizione ai Qunari, siamo il braccio armato della Chiesa dopotutto. Però non credo arriveranno a tanto, ci andrebbero di mezzo troppi innocenti.» Le si palesò in mente l'immagine di Meredith, Cullen e lei stessa piazzati davanti al campo Qunari, attorniati da una cinquantina di Templari e Guardie Cittadine, a pretendere la liberazione di Seamus di fronte ad un impassibile Arishok. Decisamente, non una prospettiva invitante.

«Meredith sembra tenerti in grande considerazione.» Ribattè Seamus, riprendendo a camminare. «Sono certo che potrai convincerla a mantenere una... posizione ragionevole.»

Ragionevole? Meredith?” Avrebbe fatto meno fatica a convincere Cullen a ballare il madrigale con un mago del sangue. «Mi dai fin troppo credito.»

«Conto su di te, comunque. Vedrai che funzionerà.» Le sorrise di nuovo, sereno.

La morsa che le stringeva lo stomaco faceva presagire tutto l'opposto.



 

L'Arishok ascoltò Seamus parlare, senza muovere un muscolo, gli occhi che di tanto in tanto si spostavano su Marian, impettita e nervosa accanto al ragazzo.

«Quindi, desideri essere istruito, kabethari.» Disse finalmente, chinandosi un poco dal suo enorme scranno.

«Sì, Arishok.» Rispose prontamente quello.

«Entrare nel Qun, bas, significa abbandonare ciò che sei ora.» Proseguì l'Arishok, la voce piatta. «Ma questo lo sai. Meravas, il Qun ti darà lo scopo che cerchi.»

Seamus lo guardò colmo di gratitudine. «È un onore, Arishok.»

«Asit tal-eb, Salit si occuperà della tua istruzione, viddathari.»

Il ragazzo si voltò verso di lei. «Grazie, Marian. So di averti messa in una posizione difficile, e mi dispiace, ma avevo bisogno di un' amica. Dì a mio padre di non preoccuparsi.»

Marian lanciò uno sguardo inquisitorio all'Arishok, cercando di sostenere quello dell'altro. «Ne avrebbe motivo, il Visconte, di preoccuparsi?»

Il qunari sembrò infastidito dalla domanda. «In quattro anni che siamo qui, non abbiamo mai costituito una minaccia per questa città, e molti fanatici ci hanno gettato contro il loro odio solo per colpa della nostra semplice esistenza. Ma nonostante la paura e le bugie sul nostro conto che serpeggiano in questa città, bas mi chiedono di conoscere il Qun, pregandomi affinchè esso dia loro le risposte che cercano disperatamente.» Scosse le enormi corna, appoggiandosi poi contro lo schienale. «Il viddathari ha fatto la sua scelta, Serah Hawke, non è mio prigioniero. I Bas faranno la propria, nel caos che voi chiamate libertà.»

La risposta sibillina, come aveva immaginato, non voleva dire granchè. Guardò Seamus, poi riportò la propria attenzione sull'Arishok e infine, capitolando, di nuovo sul ragazzo. «Se hai bisogno di un'amica, sai dove trovarmi. Ti auguro di trovare quello che cerchi.» E glielo augurava davvero, nonostante il putiferio politico che avevano appena scatenato.

«Panahedan, Hawke.»



 

La tempesta non tardò ad arrivare.

Il Palazzo del Visconte ronzava di bisbiglii come un alveare di vespe: nobili, servitori e guardie che sussurravano e si scambiavano commenti dietro ogni angolo, mentre la porta dello studio del Visconte restava ostinatamente chiusa. Solo il Siniscalco Cavin ne era uscito, verdognolo e teso come una corda di violino, ma si era rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda dei curiosi.

Il fatto che Seamus fosse sparito di nuovo non era una sorpresa per nessuno, per lo più che erano passati solo due giorni dall'ultima volta che era stato visto a palazzo, ma stavolta dalla reazione del genitore sembrava esserci sotto qualcosa di più grosso, e tutti volevano dire la propria a riguardo, come a vincere qualche scommessa.

Marian spostò il peso da un piede all'altro, a disagio, aspettando che Aveline finisse di distribuire i turni di guardia ai suoi uomini e la raggiungesse per la cena. Isabela le aveva dato buca, e Fenris, nella sua solita armatura leggera di pelle, si guardava attorno con aria infastidita.

«Ti ha detto nulla?» Le chiese, indicando con un cenno del capo il salone. «Da quanto ho capito, parlate parecchio.»

«Non così tanto. Ha pochi amici, più che altro.»

«I viddathari fanno presto ad averne di nuovi.»

Poteva giurare che sulle labbra di quel bastardo musone si celasse un sorrisetto divertito. Gli lanciò uno sguardo ammonitore, preoccupata che qualcuno potesse sentirli, ma nessuno sembrava fare caso a loro. «Spero sia così.»

Aveline uscì trafelata dalla caserma. «Una giornata da dimenticare, scusate se vi ho fatto attendere.»

Marian le diede un buffetto sulla spalla. «Figurati. Piuttosto, che si dice?» Chiese mentre iniziavano a scendere verso la taverna che si affacciava sulla terrazza dove solitamente cenavano.

«Il Visconte si è chiuso nel suo studio da due giorni, e nessuno sa con certezza dove sia finito Seamus, anche se più di una persona giura di averlo visto tra i Qunari giù al porto. E quel che è peggio, non sembrava un prigioniero.»

Deglutì a vuoto. «Beh, almeno non è stato rapito di nuovo.»

«Temo che il Visconte lo avrebbe di gran lunga preferito.»

Si scambiò un'occhiata preoccupata con Fenris. Lì dentro l'elfo era, probabilmente, l'unico che avrebbe capito perché avesse lasciato che Seamus seguisse i propri desideri, l'unico che conoscesse almeno un poco la filosofia dei Qunari. Gli altri non avrebbero mai potuto comprendere il fascino che essa costituiva per persone come Seamus o i meno fortunati che erano sciamati tra la sicurezza del Qun. Non era certa che l'Arishok non si sarebbe approfittato dell'importanza di avere il figlio del Visconte tra i suoi ranghi, tuttavia era disposta a correre il rischio, se significava aiutare Seamus a trovare un posto dove si sentisse a proprio agio. In fondo, era la sua vita.

«Per il resto?» Chiese all'amica cercando di sviare il discorso.

Aveline sospirò stancamente, massaggiandosi una spalla. «Due elfi sono entrati come delle furie ad accusare uno dei miei uomini di aver stuprato la loro sorella...»

Sgranò gli occhi, fermandosi a guardarla. «Ed è vero?»

L'altra scosse il capo. «Non lo so, onestamente. Conosco Devan, ha sempre fatto il suo lavoro, ma so anche che questo non lo scagiona per principio. E quei due non si sono messi esattamente in buona luce, entrando in quel modo in caserma e cercando di saltargli addosso.»

«Perché avrebbero dovuto mentire?»

«Magari sperano di ricavarci qualche soldo se tentiamo di fargli ritirare delle false accuse. Oppure, e sinceramente spero proprio non sia vero, Devan ha abusato della sicurezza della sua posizione ed è davvero colpevole. L'unica cosa che so, è che siamo già abbastanza sotto pressione da tutti i fronti, l'ultima cosa che ci mancava era che uno di loro finisse in una situazione del genere.»

Non avrebbe voluto essere nei panni dell'amica ma, a dirla tutta, manco nei propri.

«Spero tu intenda andare a fondo comunque.» Commentò lapidario Fenris, mentre si accomodavano ad uno dei tavolini sulla terrazza. «Nonostante le accuse provengano da due elfi.»

Aveline gli rivolse uno sguardo offeso. «Per chi mi hai preso?»

L'elfo non si scompose. «Ne ho viste abbastanza per dubitare di chiunque.»

Mangiarono in un silenzio teso e stanco, scambiandosi qualche preoccupazione e lamentela. Si sentiva la mancanza di Isabela, che riusciva sempre ad alleggerire la tensione, non importa cosa gravasse sulle loro spalle.

Quando si alzò per pagare il conto, un Fratello della Chiesa dalla stempiatura pronunciata e la pancia rotonda, che aveva già visto più volte, si parò davanti a lei, l'aria di chi aveva appena fatto una corsa nonostante la palese inettitudine all'esercizio fisico.

«Tenente Hawke?»

Corrugò la fronte, annuendo.

«Ho... un messaggio per voi, da un amico.» Disse, allungandole una pergamena.

Sul momento, il suo pensiero volò immediatamente a Sebastian, ma il sigillo scarlatto della città era quello del Visconte, che usava per le lettere ufficiali. Ebbe un tuffo al cuore.
 

Tenente Hawke,

Mi rincresce la parte che avete avuto nella decisione di mio figlio.
Sono riuscito a mettermi in contatto con Seamus, ed è mia intenzione fare di tutto per convincerlo a tornare a casa. 
Vi chiedo, anzi vi imploro, di aiutarmi a salvare la mia famiglia, e la città stessa.

Raggiungetemi questa sera alle dieci nella cappella reale della Chiesa, vi aspetto.

 

Non vi era alcuna firma, ma lasciava ben pochi dubbi su chi fosse il mittente. Con il cuore in gola, si chiese chi mai l'avesse riconosciuta, maledicendosi per non essere stata più attenta e per essersi lasciata coinvolgere in generale. “E ora cosa faccio?”, si chiese mentre allungava una moneta d'oro al taverniere e tornava verso il tavolo, i pensieri che vorticavano furiosamente. Avrebbe difeso Seamus, mettendosi contro il Visconte e rischiando la sua stessa posizione, oppure avrebbe dovuto voltare faccia al ragazzo che si era fidato di lei a tal punto?

«Devo fare una cosa.» Sussurrò con un filo di voce ai due amici.

«Sei pallida come un cencio, che ti è successo?» Chiese Aveline preoccupata, balzando in piedi.

Si mordicchiò il labbro inferiore. «Ho... ho forse combinato un casino. Mi dovete accompagnare alla Chiesa, ma devo chiedervi di restarne fuori.»

Fenris afferrò la bottiglia di vino, tracannando il fondo che restava e allacciandosi la grossa spada, che non abbandonava mai, sulle spalle. «Si tratta di Sebastian?»

Marian scosse la testa. «No, lui non c'entra.» “Ma sarà sicuramente molto deluso da me, in ogni caso.” Pensò con una punta di sconforto.

Con l'umore a terra, uscirono dalla taverna e percorsero il tragitto fino alla Chiesa. Il grande orologio nella piazza segnava quasi le dieci. Si congedò dai compagni, salendo la gradinata.

All'interno, non c'era quasi nessuno. Due sorelle stavano rassettando l'altare, cambiando le candele consumate e spolverando la base della statua di Andraste.

La piccola cappella destinata alla famiglia del Visconte, di solito chiusa e usata come sagrestia, si trovava accanto alle scale che portavano al piano superiore, in fondo alla navata laterale di sinistra. Scivolò all'interno.

Un oggetto metallico le si abbatté con violenza sulla testa, facendole perdere i sensi.



 

La prima cosa che percepì una volta ripresi i sensi, fu il sapore ferroso del sangue in bocca, che le colava da un lato del volto. Aveva le mani legate dietro la schiena e le avevano tolto l'armatura. Sbattè le palpebre, cercando di capire dove fosse, la vista annebbiata.

Mise a fuoco un volto conosciuto, un ghigno di vittoria stampato sulle labbra.

«Gentile da parte tua essere dei nostri, Hawke.» La derise Karras, dandole un buffetto sulla guancia con la mano guantata, per poi tirarle dolorosamente i capelli e costringendola ad alzare il capo. «Spero ti goda questa piccola festicciola, l'abbiamo organizzata apposta per te.»

Una risatina femminile risuonò per la piccola stanza di pietra, mentre Madre Petrice affiancava il templare, lo sguardo carico di disprezzo puntato su di lei. «Anche perché, sarà l'ultima.»

Dovette concentrarsi per riuscire a parlare, la testa che le pulsava dolorosamente. «Cosa cazzo significa tutto questo, Karras?»

Per tutta risposta, si beccò una ginocchiata in piena faccia, crollando a terra con un gemito di dolore. Prima che potesse chiamare aiuto, si ritrovò uno stivale premuto sulla gola, un passo dallo schiacciarla. Sopra di lei, Jon Montrose sfoggiava un'espressione divertita, i lunghi capelli biondi a ricadergli parzialmente sulla fronte mentre abbassava il capo verso di lei. «Prova ad arrivarci da sola, puttana.»

«Via, via, Montrose... si tratta pur sempre di una nostra superiore.» Lo redarguì ironicamente Karras, affiancandolo e mettendogli una mano sulla spalla.

L'altro ebbe un sussulto, come a volerselo scrollare di dosso, ma tenne gli occhi puntati su di lei, i bei lineamenti distorti in un ghigno. «Voglio vedere quanto sarà in vena di dare ordini, dopo che l'avrò in ginocchio di fronte a me a prendersi quello che merita.»

Un brivido freddo le scese lungo la schiena, ma si impose di non darlo a vedere, analizzando rapidamente la situazione alla ricerca di una via di fuga. Oltre ai due templari e a Petrice, nella stanza non parevano esserci altre persone. Solo Karras era in armatura. Forse, poteva farcela. Cercò di capire dove si trovasse, ma non era più nella cappella del Visconte. “Sottoterra?”, si chiese sempre più nel panico, vedendo come non ci fossero vetrate sulle due pareti che poteva scorgere. Sapeva che sotto la Chiesa correvano dei tunnel in grado di portare i fedeli al sicuro se ce ne fosse stato bisogno, era una vecchia usanza delle costruzioni religiose dell'era della Tempesta, a cui risaliva l'edificio. Poteva urlare quanto voleva, ma dubitava che sarebbe servito a qualcosa. Cercò di strattonare le funi che le bloccavano le mani, senza successo.

«Non affannarti troppo, è inutile.» Disse Karras, annoiato. «Non uscirai da qui sulle tue gambe, Hawke, meno ci fai perdere tempo e meglio sarà per tutti. Anzi, potrei pure facilitarti il trapasso. Alla fine, non ci servi necessariamente viva per quello che abbiamo in mente, e una morte pulita sarà sicuramente meglio di essere giustiziata di fronte alla città intera.»

«Giustiziata...?» Biascicò a fatica, non riuscendo a capire.

«È particolarmente stupida pure per una cagna fereldiana, oppure l'hai colpita troppo forte?» Chiese Montrose divertito.

«Se fosse stata intelligente, avrebbe capito dall'inizio da che parte tirava il vento.» Ribattè Petrice, incrociando le braccia al petto. «Il Creatore aiuta sempre i suoi figli più meritevoli.»

Il templare più giovane si chinò su di lei, ad un soffio dal suo viso. «Eppure sarebbe un peccato non sfruttare questo tempo insieme...»

«Io non lo farei, non hai idea con chi sia stata questa cagna.»

Petrice annuì. «Cerca pure di corrompere i Fratelli della Chiesa.»

Un'ondata d'odio la fece lottare contro le corde con più veemenza. Il solo pensiero che tirasse in mezzo Sebastian in qualsiasi cosa avessero architettato la mandava in bestia.

Karras scoppiò a ridere. «Mi sa che hai colpito un tasto dolente.» Si voltò poi verso il fondo della stanza, aggrottando le sopracciglia. «Dovrebbero essere già qui, no?»

L'altro non sembrò preoccuparsi. «Saranno qui a momenti, non temere.»

Se con quei tre aveva ben poche speranze di riuscire a scappare, calcolò mentalmente Marian, una volta che fossero arrivati gli altri non avrebbe avuto più alcuna possibilità. Smise di divincolarsi, per capire cosa avessero in mente. «Posso almeno sapere il perché?»

«Sei così impaziente?» La sbeffeggiò Montrose, tracciando con un dito il rivolo di sangue che le scendeva lungo il collo, oltre il colletto della giacca di cuoio.

«È un mio difetto.» Rispose acida. Quello si distrasse un attimo, permettendole di scattare con la testa e affondare i denti nella sua mano. Strinse con tutte le sue forze, sentendo l'osso sotto il guanto rompersi e il grido di dolore del ragazzo mentre ritraeva la mano, colpendola con un calcio che la prese fortunatamente sulla spalla, spedendola di nuovo con la faccia a terra. Sbatté dolorosamente il mento sulla pietra, ma notò con soddisfazione che il sangue sul pavimento ora non era solo il proprio.

La colpì di nuovo alle costole, una, due volte, costringendola a rannicchiarsi su se stessa con un urlo soffocato. «Puttana del cazzo!» La sollevò di nuovo per i capelli, la mano sanguinante davanti agli occhi. «Te li strappo quei denti e quando non potrai più mordere ti-» La porta si aprì di scatto, interrompendo quel turpiloquio di minacce. «Era ora, stronzi!»

Quattro paia di passi e uno strascichio, e la voce di Macsen Trevelyan, limpida e sicura di sé, riempì la stanza. «Hai iniziato a festeggiare senza di noi, Montrose?»

«Il primo turno con lei è mio.» Ribattè quello, assestandole un altro calcio prima di calpestarla dolorosamente e andargli incontro. «Allora, questo è il coglione che si è messo a dare il culo a quei bovini... e dire che dovrebbe essere uno di noi, ma di nobile non ha più un bel niente.»

Il cuore di Marian perse un battito. “Seamus.”

Riuscì a strisciare sul pavimento quel che bastava a vedere il gruppetto di nuovi arrivati: Gerwin, uno dei templari che orbitavano da anni attorno a Karras, l'altro era la recluta che le aveva portato il messaggio di Seamus qualche giorno prima, il terzo era uno degli uomini arrivato dal circolo caduto di Starkhaven. Andrew non era tra loro.

Gettarono Seamus accanto a lei, costringendolo in ginocchio. Aveva uno straccio tra i denti che gli impediva di urlare e le mani legate, ma incrociò il suo sguardo sorpreso, le lacrime agli occhi, urlando qualcosa che venne soffocato dalla stoffa.

«Lasciatelo andare!» Ringhiò Marian, sputando un grumo di sangue come meglio poteva e divincolandosi con maggiore forza. «Sono io quella che volete ammazzare, lui non c'entra.»

Karras rise e Petrice si unì a lui, facendo un passo verso di lei e guardandola dall'alto in basso. «Ed è qui che ti sbagli, Hawke. Questo eretico c'entra eccome. Purtroppo per voi il Creatore non perdona il tradimento e noi, i suoi figli più devoti, dobbiamo prenderci la responsabilità di rettificare i crimini commessi verso di Lui e la Sua sposa.»

«Io sarò anche nessuno, ma lui è il figlio del Visconte, se lo ammazzate-»

Il sorriso di Karras si allargò ulteriormente, mentre le mostrava l'arma che teneva stretta in mano. «Oh, ma noi non faremo un bel niente.» Marian la riconobbe immediatamente. Era la propria daga. «Sarai tu l'assassina che ha ucciso il giovane Seamus, venuto alla Chiesa per pentirsi di essersi allontanato dagli insegnamenti del Creatore. Tu, che l'hai convinto a tradire la sua famiglia e la Chiesa per andare da quei bovini eretici, i tuoi padroni.»

«Cosa... non-»

«Sarà facile, una volta che troveranno il sigillo del Visconte nella tua giacca e la tua spada piantata nel suo petto.» Spiegò Montrose, con un ghigno soddisfatto e gli occhi che dardeggiavano per un momento verso Trevelyan. «E nessuno oserà dubitare della nostra parola, dopotutto le nostre famiglie sono legate alla Divina in persona. Racconteremo di come l'hai attirato qui con un inganno, e del nostro vano tentativo di salvarlo. Povero ragazzo, così giovane e sciocco...»

Il compagno si limitò ad annuire, un sorrisetto sulle labbra.

«Siete pazzi, non-»

Karras la zittì con un altro colpo, andando a sollevare di peso Seamus, che aveva smesso di piangere e gli rivolgeva uno sguardo di sfida. «Ora ammazziamo questo patetico cretino, e poi potremo divertirci un po' con lei prima che-»

La porta si aprì nuovamente con uno scatto, e Seamus finì a terra con un gemito soffocato mentre Karras e i suoi compari puntavano le armi verso l'ingresso.

Una freccia si piantò nella spalla del templare più anziano, poco sotto la cinghia dell'armatura. Quello barcollò all'indietro, guardando l'impennaggio con espressione sorpresa.

«Marian!»

Aveline caricò di peso Gerwin, che venne sbattuto contro il muro in un clangore metallico, e attaccò Martin con un fendente alla testa, che il giovane parò prontamente. Fenris, mulinando con un po' di fatica il grosso spadone nello spazio angusto, si gettò contro il templare di Starkhaven. Dietro di loro, Sebastian scivolò rapido nella stanza, chinandosi su Marian.

«Stai bene?»

Annuì, indicando Seamus con lo sguardo, che nel frattempo stava strisciando lontano dallo scontro.

Sebastian le liberò rapidamente le mani, e lei si rimise in piedi barcollando, disarmata. Con un orribile rumore di risucchio, il templare che stava combattendo con Fenris si accasciò a terra, mentre l'elfo, abbandonata la spada troppo grossa per quello stanzino, si ripuliva sui pantaloni il pugno inzaccherato di sangue fino al gomito.

Stava per raggiungere Seamus, quando Karras le si parò davanti, costringendola a buttarsi di lato per evitare di essere decapitata. Sebastian corse in suo soccorso, ma il combattimento ravvicinato non era il suo forte e Marian sapeva che non avrebbe potuto tenere testa al templare. Individuò la propria daga, che doveva essere caduta nel trambusto, e si chinò con un gesto fluido a recuperarla, frapponendosi tra Karras e Sebastian. In due, riuscirono a tenerlo a bada, ma l'uomo combatteva come una furia.

Con uno scatto dato dall'adrenalina, scivolò di lato quando lui si sbilanciò troppo in un affondo, afferrandogli la spalla ferita e pugnalandolo al fianco, conficcandogli la daga tra le costole e facendolo andare a terra con un grido strozzato.

Ansimante, incrociò lo sguardo di Montrose, che le puntava contro la sciabola. Dietro di lui, Trevelyan stringeva la sua spada, mantenendo guardingo la posizione.

«Maledetta troia.» Sputò il primo, facendo un passo verso di lei e caricando il colpo.

Non fece in tempo a ribattere o sollevare la daga, che Montrose sussultò, aprendo la bocca in un urlo senza voce. Un rivolo di sangue gli colò sul mento mentre tossiva una bolla scarlatta, abbassando lo sguardo scioccato sulla lama che gli spuntava dal petto. Crollò in ginocchio, annaspando nel suo stesso sangue, cercando di afferrarla con le dita improvvisamente molli.

Macsen Trevelyan torreggiava su di lui con un'espressione disgustata. «Dovresti davvero sciacquarti quella lurida bocca.» Disse, strappandogli dalla schiena la propria arma e piegando un poco il capo da un lato. «E indossare un'armatura, ma anche per quello è ormai troppo tardi.»

«Tu...» Rantolò Montrose, ma aveva gli occhi velati. Si accasciò con un sussulto.

Marian strinse la daga, lo scontro attorno a loro ormai vinto.

Sebastian, accanto a lei, teneva l'ultimo templare sotto tiro.

Trevelyan ripulì alla bell'e meglio la spada, rinfoderandola con eleganza per poi sollevare i palmi verso di lei. «Mi scuso profondamente per quanto è successo. Tuttavia Tenente, se vorrete ascoltarmi...» Sfoderò un sorriso.

«Max!»

Con la coda dell'occhio, vide Andrew entrare nella stanza.

«Ah, eccoti.» Lo salutò Trevelyan con un cenno del capo, senza abbandonare il sorriso. «Il nostro amico in comune qui, Andrew, potrà confermare la mia versione.»

«Cosa cazzo stai facendo, Trevelyan?!» Gli urlò Karras da terra, ma Andrew gli puntò la spada alla gola, facendogli segno di tacere. Fenris si chinò a disarmarlo, immobilizzandolo.

«Trovo il modo di liberarmi di due grosse seccature.» Rispose serafico quello. «Madre Petrice, se ci facesse il favore di arrendersi, mi risparmierebbe lo spiacevole dovere di colpire una donna di Chiesa. Non che non lo troverei dannatamente appagante, ma so che mio padre non apprezzerebbe, nonostante tutto.»

La donna emise un grido di rabbia soffocato, come una teiera sul punto di esplodere, ma si trovava con le spalle al muro. «Il Creatore vi punirà per questo!»

«Sono pronto a correre il rischio.»

Aveline si avvicinò titubante alla donna per immobilizzarla, mentre Trevelyan si rivolgeva nuovamente a Marian. «Purtroppo mi serviva che foste all'oscuro di tutto, altrimenti avremmo rischiato si accorgessero della messa in scena e scegliessero di non agire.»

«Messinscena?!» Ripetè lei furente, sputando un altro grumo di sangue per terra. Le faceva male tutto, aveva probabilmente il naso rotto e sentiva una gran voglia di strappargli quel sorriso dalla faccia a mani nude. «Ti rendi conto di quello che hai fatto?!»

L'altro accennò un'aria di scuse. «Quello che dovevo.» Rispose semplicemente. «Karras voleva farvi fuori da un po', Madre Petrice non nutre molto amore nei vostri confronti, e questo verme...» diede un colpetto col piede al cadavere di Montrose, steso in una pozza di sangue «non vedeva l'ora di avanzare di grado sfruttando la storia che avrebbero raccontato, e diventare il nuovo eroe della Forca. Purtroppo se avessi trovato il modo di avvisarvi, Tenente, non credo sareste riuscita a reagire in modo credibile. Anche se mi dispiace per come vi hanno trattata.»

Aprì la bocca per ribattere, ma era così incazzata che non sapeva nemmeno da dove incominciare. «Avete messo in pericolo la vita di Seamus,» ringhiò, avanzando di un passo verso il ragazzo, «rischiato l'ennesimo scontro coi Qunari,» fece un altro passo «e sarebbe stato un disastro» ormai si trovava proprio di fronte a lui, poteva vedere il suo sorriso vacillare, «e a te dispiace per come mi hanno trattata?!» Gli tirò una ginocchiata nelle palle, godendosi il gemito di dolore che uscì dalle labbra del ragazzo, ora contratte in una smorfia. Lo afferrò poi per il bavero riccamente decorato della giacca, che spuntava da sotto l'armatura. «Dammi un solo cazzo di motivo per cui non dovrei spaccarti la faccia e forse, dico forse, ti lascerò uscire da qui senza strisciare sui gomiti.»

La smorfia si piegò nuovamente in un accenno di sorriso. «Perché eliminati i Montrose, i Trevelyan sono ora al comando di Ostwick e un passo più vicini alla Divina? Degli amici sono sempre comodi da avere, Tenente.»

«Sembro una a cui frega qualcosa della politica, Trevelyan?» Sputò il cognome come un insulto.

Non sembrò demordere. «Magari non adesso, ma potreste cambiare idea un giorno, quando diventerete Comandante.»

Strinse ulteriormente la presa su di lui.

«Non guardatemi così, ho visto come vi tratta Meredith. Vi sta addestrando al comando.»

«E tu vuoi una fetta, immagino.»

Scrollò le spalle. «Personalmente, vorrei una buona bottiglia di vino e una piacevole compagnia con cui trascorrere una settimana in tranquillità lontano da questa fogna di città. Ma la mia famiglia aveva bisogno di una spintarella, e Montrose era tra i piedi. Gli altri qui si sono semplicemente ritrovati in mezzo come provvidenziali pedine.»

Lo lasciò andare, disgustata. «Potevi semplicemente confessare del loro piano alla Comandante.»

Trevelyan si massaggiò il collo, tirandosi indietro un ciuffo di capelli con la mano. «Non sarebbe servito a molto, avrebbero negato tutto. Sono stati più furbi di quello che pensassi, devo ammetterlo, non avevo altra scelta che farli confessare davanti ad abbastanza testimoni.» Lanciò uno sguardo ad Andrew e ai compagni di Marian, che lo guardavano torvi. «Però l'ho mandato ad avvertire i vostri amici giusto in tempo.»

«Sì, giusto in tempo.» Ripetè Aveline, astiosa. «Se non fossimo stati già qui, saremmo arrivati troppo tardi.»

Marian si voltò verso Sebastian, che era rimasto stranamente silenzioso. L'uomo incrociò il suo sguardo, scuotendo il capo.

«Il Principe Vael capisce bene perché l'ho fatto, vero?» Lo incalzò Trevelyan.

Sebastian, tirato in mezzo, sembrava avesse appena morso un limone. «Lo capisco, ma non lo condivido.» Scosse il capo, lo sguardo sui cadaveri a terra. «Speravo di aver lasciato da parte la mia vecchia vita, ma intrighi e morte sembrano essere ovunque.»

Marian si passò la lingua sul labbro spaccato, il sapore dolciastro del sangue a darle la nausea, la testa che le girava e il fianco che le faceva un male tremendo ad ogni respiro. «Ne parlerai con la Comandante e il Visconte, Trevelyan. Mi rimetto al loro giudizio.» Fosse per lei, l'avrebbe infilzato come uno spiedino seduta stante, ma erano probabilmente la vergogna e la rabbia per essere finita in quel tranello come una pivella a parlare così.

Tornarono al piano di sopra. Fenris e Aveline trasportavano Karras, che non si reggeva in piedi, e Marian, che chiudeva la fila, teneva sott'occhio Petrice, facendola camminare davanti a lei. Tra loro, Andrew, Trevelyan e Seamus. Quest'ultimo tremava ancora un pochino, ma aveva riacquistato colore man mano che salivano le scale uscendo dagli angusti cunicoli sotterranei.

«Mi scuso di nuovo anche con voi, Seamus.» Gli disse Trevelyan, mettendogli una mano sulla spalla con fare cameratesco. «Spero mi perdonerete.»

L'altro gli rivolse uno sguardo un po' perso. «Non so cosa dica il Qun in questi casi...»

«Il vostro fascino per i Qunari è alquanto... pittoresco.» Commentò il templare, che pareva divertito.

Una volta che furono in vista della grande statua dorata di Andraste, vennero accolti dalla somma sacerdotessa e dal Visconte in persona.

«Cosa significa tutto questo?!» Esclamò Elthina, vedendoli spuntare dalla cappella.

«Seamus!»

«Padre!»

Sebastian scattò in avanti verso l'anziana donna, come per rassicurarla. «Possiamo spiegarvi tutto...»

Prima che potesse finire la frase, Marian si sentì mozzare il fiato, barcollando di lato. Con una gomitata nelle costole, Petrice era sfuggita alla sua presa, un baluginio nella mano sinistra. Allungò la mano per acciuffarla, ma la donna era già scattata in avanti, ghermendo Seamus per la manica e tirandolo a sé.

Tutti si girarono verso il ragazzo, che emise un rantolio, il manico di un minuscolo pugnale che gli spuntava dalla gola.

«No!» Urlò Marian, sconvolta, correndo ad afferrarlo prima che cadesse a terra.

Il ragazzo provò a parlare, ma l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un gemito strozzato, il sangue che iniziava ad uscirgli dalla ferita, dalla bocca e dalle narici. «Ma...» Annaspò, le mani che cercavano di raggiungere il collo, artigliandole poi la giacca, «rian» tossì sbattendo le palpebre, guardandola implorante, ma non c'era nulla che lei potesse fare, solo guardarlo morire così, soffocato nel suo stesso sangue, impotente come al solito. Con un sussulto, rovesciò gli occhi all'indietro e si accasciò tra le sue braccia, immobile.

Quasi non si accorse del Visconte che crollava in ginocchio accanto a lei, ululando come un mabari ferito, afferrando il figlio e strappandoglielo dalla presa, ripetendo il suo nome come a richiamarlo dalla morte.

Il suo sguardo si spostò verso Petrice, che era strisciata contro la statua di Andraste, un sorriso folle sul volto mentre guardava la sua opera.

«Aveva ripudiato il Creatore!» Urlò lei, sollevando il minuscolo pugnale sopra la testa e agitandolo, cercando di tenere a bada le cinque persone armate che avanzavano verso di lei, gli occhi puntati su Elthina. «Verrò ricompensata con l'eternità, per questo!»

Non si rese nemmeno conto di essersi alzata, ma un attimo dopo sentì il suo pugno impattare contro qualcosa, e un sonoro “crack” nelle orecchie. Colpì di nuovo, e ancora, finchè qualcuno la tirò indietro di peso, allontanandola dalla donna ormai ridotta ad un ammasso tremante e sanguinolento.

«Marian! Marian!»

Sebastian la richiamò alla realtà, strappandola dalla sua furia. Si trovò ad ansimare, abbassando lo sguardo sulle mani inzuppate di sangue, il suo, quello di Seamus e quello di Petrice. Le venne da vomitare. «L'ha ucciso.» Rantolò. «L'ha ucciso!»

Sebastian le mise entrambe le mani sulle spalle, stringendola con forza. «E risponderà dei suoi crimini, ma non è questo il modo.»

Gli occhi di Marian dardeggiarono nuovamente verso la donna, carichi d'odio. «Se lo merita.»

«Già abbastanza sangue è stato versato!» Si impose Elthina, la voce tonante che rimbombò severa per la Chiesa, più acuta del normale. «E questo è un luogo di culto, insozzato dai nostri stessi devoti.» Guardò con disprezzo Petrice, raggomitolata contro la base della statua, avvicinandosi poi al Visconte che piangeva silenziosamente il figlio. «Verrà giudicata come decreta la legge. Capitano, scorti questa criminale in cella, sarà sottoposta a processo domani stesso.» Poggiò la mano sul capo del Visconte, addolorata. «Ci sono già stati troppi morti, questa sera.»



 

Due giorni dopo, Marian dovette cedere alle insistenze di Ruvena per farsi aiutare ad indossare l'armatura.

«Dovresti farti dare un occhio da Alain...» Le consigliò l'amica, ma lei si limitò a scrollare le spalle.

«Non è così grave.» Rispose, ben sapendo che la verità era un'altra. Non voleva farsi toccare da un mago, il solo pensiero le dava il voltastomaco, non dopo quello che era successo a sua madre.

Si ricacciò un ciuffo di capelli dietro all'orecchio, lanciando un'espressione irata contro la sua immagine pesta allo specchio, e uscì dalla stanza.

La piazza davanti alla Forca era piena di gente. Nobili, per lo più, ma anche mercanti e persone comuni attirate dalla rarità dell'evento.

Il piccolo palco di legno allestito nella notte era scarno e funzionale, un ceppo e un secchio sotto di esso gli unici oggetti in vista.

«Tenente.»

Salutò rigidamente la Comandante Meredith, il lyrium appena bevuto che le aveva arso la gola. Il Capitano Cullen era già sotto il palchetto, l'aria più arcigna del solito mentre scrutava sospettoso la piccola folla attorniato dai suoi uomini migliori. Tra essi, notò Marian con rabbia, spiccavano Macsen Trevelyan e Andrew. Il primo la salutò con un cenno del capo, il solito sorriso stampato in faccia. Decise di ignorarlo, salendo assieme alla Comandante i cinque gradini di legno del palco.

Due templari trascinarono Karras davanti a loro, in catene.

L'uomo era ridotto male, un occhio chiuso e gonfio e i capelli impiastricciati di sangue rappreso, le vesti appena più che stracci sporchi. Le lanciò uno sguardo di puro odio.

«Ser Karras, siete colpevole di aver cospirato contro la Chiesa, contro l'Ordine Templare e contro la famiglia del Visconte Dumar. Con le vostre azioni scellerate e traditrici, avete causato la morte di Seamus Dumar, e infangato l'onore dell'Ordine.» Declamò Meredith, le parole cariche di disgusto verso l'uomo in ginocchio di fronte a lei. «Avete cercato di trascinare nel fango una dei Templari più meritevoli della Forca, con l'aiuto dei vostri compari, che hanno già pagato con la loro vita. Per tutti questi motivi, come Comandante dell'Ordine Templare di Kirkwall, vi condanno a morte.»

Il cenno del capo della donna era quello che Marian aspettava da quando era uscita dalla Chiesa quella notte. Estrasse la spada che aveva al fianco, avanzando decisa verso l'uomo a terra.

Karras le lanciò uno sguardo spaventato, ora che aveva la morte davanti non sembrava tanto sicuro di sé. Marian si concesse un sorriso feroce, rispedendolo con un calcio sul ceppo mentre sollevava la spada. Quello tremò da capo a piedi, chiudendo gli occhi e voltandosi dal lato opposto al suo.

Il tonfo della testa che cadeva nel secchio fu immensamente liberatorio. Si immaginò una seconda testa accanto a quella, ma i Qunari sembravano aver preso la morte di uno di loro, seppur ultimo arrivato, come un affronto personale: Madre Petrice, di ritorno alla sua cella dopo il processo, era stata colpita al petto da una freccia solitaria, spuntata da chissà dove. L'impennaggio rosso e bianco, unito al motivo dei suoi crimini, poteva facilmente indirizzare verso i colpevoli, ma soltanto Marian aveva scorto il Qunari affacciato ad una delle terrazze della città alta, l'arco ancora sollevato nella loro direzione. Gli aveva rivolto un cenno di assenso, prima che quello sparisse nell'ombra così com'era comparso, lasciando le guardie che scortavano la prigioniera ad inseguire un fantasma.

Il Visconte non c'era, il lutto della perdita del figlio troppo grande per riuscire a mostrarsi in pubblico.

Marian rinfoderò la spada, scendendo dal palchetto e seguendo Meredith di ritorno alla Forca, le grida di approvazione della folla ad accompagnarle fino al cortile interno.

 

 














 






Note dell'Autrice: FINALMENTE Karras ci ha salutati. Montrose era uno schifoso bastardo, ma Karras erano anni che se le cercava, finalmente ha ottenuto quello che meritava. Manca poco alla resa dei conti coi Qunari, stay tuned! 

  
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