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Autore: NyxTNeko    29/03/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Bastia, 19 aprile

Tra le innumerevoli carte presenti sul tavolo del commissario Saliceti, vi era una in particolare, giunta da Parigi, con particolare urgenza. Il suo acuto sguardo cadde su di esso e, allungato velocemente il braccio, prese il foglio, lo spiegò e lo lesse attentamente. Era datata 7 aprile, mentre scorreva tra le righe, i suoi occhi si spalancarono increduli: Luciano Buonaparte aveva denunciato Paoli alla Convenzione, definendolo un traditore che meritava la ghigliottina, il 2 del mese, ed ora Parigi affidava ai commissari di Bastia l'ordine di arrestarlo e di processarlo, per i crimini commessi nei confronti della Repubblica Francese.

Una tale notizia turbò Saliceti, da un lato era a conoscenza delle azioni di Paoli, contrarie alla politica francese, la sola collaborazione con gli inglesi costituiva una prova schiacciante della sua ostilità nei confronti delle autorità corse e francesi. Non potevano essere ulteriormente tollerate. Dall'altra, però, non si aspettò una mossa così azzardata e imprudente da parte degli alleati Buonaparte, aveva intuito la loro strategia di destreggiamento tra i paolisti e i repubblicani e credette che avrebbero agito cautamente.

- Tuttavia non posso più aspettare, lasciar correre, anche se so che non sarà facile, ci sono troppi paolisti in Corsica e non avremo un attimo di pace - sospirò Saliceti, stroppicciando le palpebre con le dita, conscio di quello stava per fare: scatenare la guerra civile. Afferrò al volo il cappello piumato, si sistemò la spada e corse a chiamare i suoi colleghi per avviarsi a Corte ad arrestare il Patriota.

La notizia della condanna del Babbu a Patria, ovviamente, si diffuse in ogni angolo dell'isola, suscitando lo sdegno e la rabbia dei paolisti e, al contempo, l'ammirazione dei repubblicani. Finalmente poterono sperare di risolvere questa situazione di continuo pericolo, pur sapendo che avrebbero dovuto lottare contro dei corsi - I nemici della Rivoluzione devono essere annientati a qualsiasi costo, non importa chi, non importa come! - gridavano impavidi i sostenitori dell'arresto.

- Solo così potremmo portare a compimento la Rivoluzione e diffonderla in Europa, far capire agli altri Paesi che è l'unica soluzione per cambiare il mondo!

I paolisti, al contrario, insorsero veemente contro le effigi di Saliceti, bruciando tutto ciò che lo raffigurasse. Abbatterono perfino i vari alberi della libertà piantati dai rivoluzionari - A morte Saliceti! A morte i repubblicani! -  La scintilla della guerra civile era appena esplosa.

Corte

Quando la notizia raggiunse le orecchie di Pasquale Paoli, questi si alterò - Quella serpe di Luciano! - sbraitò furibondo l'anziano corso, gesticolando animatamente - Ha osato sfidare me, Pasquale Paoli! L'unico uomo in grado di rendere la Corsica una nazione potente e indipendente, seppur con l'aiuto degli inglesi!

Clemente Paoli era adirato quanto lui, proprio non aveva previsto una simile mossa del ragazzo, era molto simile a Napoleone, ma si erano concentrati troppo sul fratello ufficiale, da aver sottovalutato il resto della famiglia - Chi poteva immaginarlo? - emise tristemente, accasciandosi adagiamente sulla poltrona, spostando qualche ciuffo di capelli incipriati.

Pasquale si morse le mani rabbioso - C'è lo zampino di quel demonio di Napoleone, ne sono sicuro, era questo il suo piano fin dal principio, distrarci per poter agire a suo piacimento, quella mente diabolica!

- Lo pensi davvero fratello? - domandò un po' titubante Clemente, alzandosi bruscamente dalla poltrona, si avvicinò al fratello. Non era molto convinto della sua affermazione: Napoleone aveva espresso più volte desiderio di vendetta, tuttavia anche Luciano si era fatto avanti nell'esprimere la sua perplessità nei loro riguardi, persino quando il fratello maggiore era un acceso paolista.

Aveva dimostrato di essere molto scaltro, abile con la parola, conosceva la retorica in maniera approfondita, molto più di Napoleone che, invece, per quanto fosse estremamente intelligente, sveglio e astuto, era più propenso ad usare le armi, ad essere più instintivo, brutale, specialmente con chi gli avesse rivolto un torto - Io invece penso proprio che sia stata un'iniziativa di Luciano - espresse alla fine Clemente, dopo un lungo silenzio.

- Ma è solo un adolescente! - sbottò Pasquale voltandosi leggermente - Come può concepire una cosa del genere senza avere qualcuno che lo appoggi?

- Probabilmente l'avrà fatto per dimostrare al fratello la sua lealtà - rispose Clemente, scorgendo dalla finestra l'arrivo dei tre commissari di Bastia - E nel contempo la sua voglia d'indipendenza, di autonomia, tipico dei ragazzi della sua età, anche noi lo siamo stati Pasquale...

- Vorresti giustificare un simile comportamento? - chiese sbigottito il fratello. Lo analizzò dalla testa ai piedi con i suoi occhi azzurri, serrati, le pupille ristrette a causa della tensione e della paura che stava trattenendo a fatica. Si stava interrogando su come potesse anche lontanamente sostenere un pensiero simile, in una situazione così critica, con i nemici ad un passo dalla loro abitazione.

- Ovviamente no, Pasquale, ciò che ha fatto non è ammissibile, volevo solo esporre un mio paragone ad alta voce, dopo aver constatato delle differenze evidenti fra i due, più o meno le stesse che intercorrono tra noi - ribadì convinto Clemente, allacciò le mani dietro la schiena, sorrise sinistramente alla vista dei mandriani, che avevano accerchiato la fortezza in cui si erano rifugiati, cacciando i commissari - E non preoccuparti, fratello, gli inglesi impediranno il nostro arresto, così come i nostri sostenitori, anzi, sono sicuro che non appena gli altri Buonaparte sapranno, non potranno nemmeno uscire fuori di casa, a meno che non vogliamo morire come degli stupidi - proferì, infine, con calma invidiabile.

Pasquale invidiò la tranquillità dimostrata da Clemente, in quel momento, poi sorrise rilassato e rispose - Hai ragione, e anche se dovesse capitarci qualcosa - si massaggiò il mento più e più volte, ridacchiava soddisfatto - Sappiamo di poter contare sui nostri sostenitori, i Buonaparte hanno voluto fare come i francesi dichiarare guerra, pur sapendo di perderla fin dal principio

Ajaccio

Napoleone, lievemente contuso, bussò alla porta con una rabbia mai vista, tenendo appoggiato sulle spalle Giuseppe, ferito e tramortito - Fate presto, aprite! - emise con un tono tra l'adirato e lo spaventato.

La madre si avvicinò, pur intuendo dalla voce che qualcosa di grave era accaduto, infatti, quando aprì la porta e se li trovò davanti ridotti in quello stato, non poté non trattenere lo spavento - O Santo Cielo! - si tappò la bocca - Nabulio, Giuseppe, cosa vi è accaduto? - aiutò il figlio a portare l'altro, svenuto per i colpi e il terrore che aveva provato sulla sua pelle. Lo fecero stendere con cautela sul divano, mentre la madre gli slacciò i vestiti.

- Fatevelo dire da Luciano! - ruggì Napoleone non appena lo vide nel salotto. Sul secondogenito era scesa un'ombra sinistra, carica di una rabbia incontrollabile, un terribile fremito lo scosse dalla testa ai piedi.

La madre si girò e scorse sul viso di Luciano della preoccupazione, significava che era al corrente di quanto era successo, eppure non le aveva detto nulla. Negli ultimi giorni si era mostrato stranamente calmo, in attesa di un qualcosa, un evento. Dopodiché puntò lo sguardo su Napoleone ed ebbe paura, come quel lontano giorno, quando aveva solo 17 anni e già si lasciava dominare dall'ira irrefrenabile. Quella collera capace di annullare ogni razionalità, liberando la parte più bestiale del figlio.

Napoleone ruotò la testa in direzione del fratello e lo raggiunse a grandi passi, minaccioso, si avventò su di lui, prendendolo per la cravatta - Ti rendi conto di quello che hai combinato, eh? Perché non mi hai detto nulla? - sputò, non dando alcuna possibilità di risposta a Luciano, il quale aveva pensato di fare la cosa giusta agendo in quel modo - Allora? Non rispondi? Hai perso tutta la spavalderia mostrata in quella lettera alla Convenzione? - proseguiva strattonandolo.

I lunghi capelli corvini che gli coprivano gli occhi, impedirono al diciottenne di incrociare le fiamme che ardevano al posto degli occhi grigi del secondogenito - Po...posso spiegare... - ansimò Luciano, cercando di allentare la stretta presa di Napoleone sul suo esile collo - Se...mi lasci parlare...ti spiegherò...ogni cosa... - boccheggiò. Sperò di placare il fratello maggiore che, preda della cieca furia, non si rendeva conto che lo stesse letteralmente strangolando.

Letizia stava per frapporsi tra i due, trascurando il povero Giuseppe ancora privo di sensi, quando Napoleone ebbe un lampo di lucidità che gli fece rendere conto di ciò che stava compiendo inconsapevolmente, per cui lo lasciò andare. Luciano si mise in ginocchio, riacquistò colore, tossì, si massaggiò il collo arrossato. Napoleone riprese rumorosamente fiato, restando con le braccia sollevate, aveva il viso sudato e gli occhi grigi, spalancati, fissi sul muro. La donna emise un profondo respiro, batté i palmi, ringraziò il Signore per aver impedito che si compisse una scelleratezza tra fratelli.

Il terzogenito si rialzò, si tolse la polvere dai vestiti, li aggiustò accuratamente. Non osò avvicinarsi a Napoleone, per evitare che potesse scatenarsi di nuovo, si sentì deluso da lui, si era illuso che potesse capirlo e sostenerlo. Il tenente colonnello sbatté le palpebre, quasi ridestandosi, pallidissimo, scrutò l'ambiente circostante, al pari di chi aveva perso improvvisamente la cognizione del luogo.

Un altro barlume di lucidità gli fece ricordare ogni accadimento e scattò verso Luciano, quest'ultimo indietreggiò spaventato, pensando che volesse saltargli addosso, tremava, la mascella sbatteva ripetutamente.

Letizia rimase ferma, pronta a scattare in caso di bisogno. Quand'ecco che notarono il suo stordimento, ciondolava vistosamente, barcollava quasi, per poi vederlo crollare, con un tonfo tremendo, sul pavimento. La stanchezza, le lesioni e le forti emozioni provate avevano destabilizzato persino un individuo resistente come Napoleone.

La madre, dopo un iniziale spavento, si rese conto della fragilità emotiva e fisica del figlio tanto amato, si fece forza e ordinò a Luciano di darle una mano. Il figlio non poté disobbedire e si avvicinò al fratello disteso a pancia in giù sul pavimento, lo sollevò facilmente dal busto, per via della sua magrezza. Letizia lo prese per le gambe e lo adagiò delicatamente sull'altra poltrona libera, gli aprì la divisa, osservò silenziosamente le zone lese e si prodigò a lavargli le ferite.

Carolina, Elisa, Paolina e Girolamo si precipitarono al piano di sotto, incuriositi dai rumori che provenivano da lì, seguiti dalla balia Camilla, affannata, che aveva cercato di fermarli, senza successo. Luciano, sentendosi responsabile e non potendo contare momentaneamente sull'appoggio dei maggiori, andò da loro - I fratelloni stanno dormendo, non vogliono essere disturbati, perciò fate i bravi e tornate a giocare, senza fare troppo rumore - disse dolcemente, accarezzandoli.

Paolina e Girolamo, convinti subitamente dalle parole di Luciano, annuirono e tornarono dalla balia, Carolina ed Elisa, intuirono che qualcosa non andava, nonostante ciò, obbedirono avendo capito che era meglio fare quanto Luciano gli aveva detto.

- Ora mi puoi dire che cosa hai combinato di così grave da farlo adirare in quel modo così terribile? - domandò la madre poggiando le mani sui fianchi. Luciano annuì e gli raccontò di ogni cosa, dalla lettera spedita alla Convenzione, in cui accusava Paoli di tradimento, alle sollevazioni paolista in ogni parte della Corsica. 

- Si può sapere che cosa ti è saltato in mente di fare Luciano? - Lo sgridò Letizia, avendo compreso la gravità del suo gesto e delle conseguenze a cui avrebbe portato - Cosa volevi dimostrare con questo gesto scellerato?

- Non è scellerato madre, ci ho pensato a lungo prima di farlo - ammise il ragazzo a testa bassa, sedutosi sul poco spazio libero della poltrona dov'era sdraiato Napoleone - Volevo far capire a Paoli che non è il padrone dell'isola e che non può fare quello che vuole, deve rispettare le norme della Repubblica Francese e che non può imporre delle sue solo perché non è d'accordo! - s'infervuorò il fiero studioso di legge - I nemici della Rivoluzione meritano la ghigliottina!

Letizia rimase colpita da quelle dichiarazioni, Luciano era la copia di Napoleone, entrambi erano degli inguaribili testardi, oltre che giovani uomini ambiziosi, dalla mente brillante. I due fratelli maggiori, nel frattempo, avevano ripreso conoscenza, se però Giuseppe lo fece notare subito, lamentandosi della botta alla testa che aveva ricevuto da un paolista, il tenente colonnello, restava, seppur faticosamente, fermo ad ascoltare le argomentazioni di Luciano.

- Vi domando scusa, Giuseppe - s'inchinò rispettoso Luciano, dopo essersi alzato in piedi di scatto - Per quanto avete subito a causa mia

- Non importa - fece Giuseppe, perdonandolo, si stupì di vedere Napoleone svenuto e si fece riferire il tutto dall'interessato, tra gli sguardi di rimprovero della madre - Luciano, stavolta te la sei scampata per un pelo, seppur Nabulio non avesse tutti i torti ad essere adirato, hai provocato una guerra civile di proporzioni spaventose, in cui non sappiamo come e se ne usciremo - si massaggiò piano la testa.

Gli doleva incredibilmente, se non fosse stato per il fratello minore, che lo aveva protetto nel momento in cui si era accorto del un gruppo di paolisti inferociti, che lo aveva preso di mira e malmenato, sarebbe stato ucciso - Ammazziamo il traditore! A morte i Buonaparte!

Si era lanciato contro di essi similmente ad un leone, ricevendo non poche bastonate e tagli - Andate all'inferno voi e quel diavolo di Paoli! - rinfacciò assieme ai bossoli che sparò e che li freddò all'istante. Per l'ennesima volta era in debito con Napoleone, gli aveva salvato la vita, proprio come aveva fatto fin da ragazzino in risse molto meno gravi.

- Perdonatemi, mi sono lasciato guidare dall'orgoglio rivoluzionario - si scusò nuovamente Luciano consapevole di ciò che gli sarebbe capitato.

Solo allora Napoleone finse di riprendersi e sofferente ricambiò le sue scuse a Luciano - Ormai il danno è fatto, fratello, non si può più tornare indietro - lo ammonì sospirando, balzò in piedi, sembrava non provare nessun dolore - Per questo, d'ora in poi, dovremmo stare attenti anche solo a mettere fuori la testa e ad uscire armati, gli agguati contro di noi, sono ovunque - li avvertì osservandoli.

Letizia si morse le labbra e chiuse le mani sul vestito, Napoleone la rassicurò stringendogliele delicatamente, sorrise per rassicurarla, per farle capire che nonostante tutto avrebbe lottato tacitamente, li avrebbe protetti a qualsiasi costo. Era un soldato, anzi, un ufficiale repubblicano adesso, gli aveva ricordato Luciano, condividendo il senso di frustrazione della madre che stava celando. 


 

 

   
 
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