Venerdì
“Non sapevo conoscessi
Lilian
Parkinson.”
Blaise aveva aspettato di arrivare al
primo piatto, prima di fare quella domanda. Avrebbe voluto chiederlo
alla madre
già quando si era materializzato in giardino, ma era
riuscito a resistere un
po’.
Althea alzò le spalle in un gesto poco
educato. “Siamo andate a Hogwarts insieme, ma lei
è più giovane di me di
qualche anno. Non sapevo avesse sposato un Parkinson. Quando Dollylee
è venuta
da me dicendo che lei era alla porta e mi era venuta a trovare, sono
rimasta
sbalordita. Anche perché si è presentata come
Lilian Parkinson e io non avevo
la più pallida idea di chi fosse. La povera Dollylee si
è stranita quando ha
visto la mia faccia sorpresa”. Sua madre rise un pochino.
Ma lui voleva sapere di più. “E
cos’è
venuta a fare?” Cercò comunque di non mostrare
troppo curiosità.
“È venuta a parlarmi di sua figlia”.
Blaise si bloccò con la mano a metà fra
sé e il bicchiere che voleva prendere.
“Sua figlia?” Sua madre annuì.
“Sì.
Sembra una cosa strana, eh? Ma si fa.”
“Cos’è che si fa?”
“Voleva propormi un fidanzamento.”
“A te?”
“Sì. Beh, fra te e sua figlia.”
“AH!”
Althea alzò ancora le
spalle. Oh,
avrebbe dovuto contenersi. Restare da sola per così tanto
tempo, le aveva dato
forse troppa libertà. Doveva riprendere a comportarsi bene.
Lo doveva a Hector. Anche se a lui non
interessava. Diceva che la voleva così com’era.
Che a lui piaceva per questo.
Ma doveva stare attenta lo stesso. Altrimenti
avrebbe iniziato a fare cose come quella anche in pubblico, con altre
persone.
E non si doveva fare.
Guardò il figlio. Aveva una strana
espressione. “Guarda che le ho detto che non organizzo
fidanzamenti combinati
per mio figlio. Che se vuole, lui
lo
fa da solo”.
Blaise sorrise.
“Quindi dovrei aspettarmi una sua
visita?” Althea alzò le spalle. Merlino! Doveva
smetterla! E doveva smetterla
di invocare Merlino! Suo figlio rise della sua espressione. Lo
guardò
malissimo.
“Scusa, mamma. Scusami. Ma…” Poi rise
anche lei.
“No, comunque. Le ho fatto capire che
non l’avresti presa bene. Spero non venga a disturbare anche
te.”
Blaise riuscì finalmente
a bere. Non
gli sarebbe dispiaciuto scambiare quattro chiacchiere con la madre di
Pansy.
Anzi, era proprio curioso.
“E che impressione ti ha fatto?”
Althea lo guardò con curiosità. “Stai
pensando di sposarti?”
“CHI? IO? NO!” Per poco non gli andò
di traverso il vino.
Althea sorrise come sorride una
madre
che ha beccato il figlio a rubare la marmellata. Blaise stava valutando
l’idea
di sposarsi? Davvero? Oh, ma non quella ragazza!
“Comunque non è adatta a te, quella…
Non
mi ricordo come si chiama…”
“Pansy. Si chiama Pansy…” La strega lo
guardò, sempre più incuriosita.
“Quella Pansy non è adatta a te!” Lui
era strano, sembrava… pensieroso.
“No?” La strega scosse la testa. Non
aveva grossi problemi a parlare con il figlio.
“Da come la svendeva sua madre, non
dev’essere un granché.”
Poi però le dispiacque per la ragazza
e cercò di rimediare, visto che non la conosceva.
Ed effettivamente non è che sua madre
avesse poi parlato tanto di lei. Di solito, quando le altre madri erano
venute
da lei con quell’intenzione, elogiavano qualità
inesistenti e saltavano a piedi
pari su difetti lampanti.
“O magari è solo bruttina e non riesce
a trovarsi un fidanzato da sola…” Blaise la stava
guardando stranito.
“Hai visto Pansy. C’era una foto in
camera mia del quinto anno a Hogwarts. Avevi detto che era
carina.”
Davvero? Non si ricordava. Dopo
avrebbe cercato la foto. Scosse le spalle.
“Allora sarà molto sciocca.”
Ripensò alla ragazza vista alla
Gringott. O magari incinta! Si ricordò di aver immaginato
che fosse lei la
figlia da far sposare e di essersi meravigliata quando le aveva
guardato la
pancia. Magari sua madre cercava disperatamente un marito alla figlia
perché
era una ragazza facile. Sospirò.
“E l’altra? Quella che c’era in banca?
Daphne, forse? Conosci anche lei, giusto?” Suo figlio fece un
verso maleducato
con la bocca. Si stranì un pochino. Di solito, non era
così villano.
“Sì. E Pansy non è né brutta
né
sciocca. È Daphne che sta convincendo i suoi a cercarle un
fidanzato. Vuole che
si sposi così come si è sposata lei.”
Il suo tono era duro.
Blaise sbuffò
rognosamente, pensando a
quello che aveva detto la madre. Non doveva trarre conclusioni errate.
“Ah. Dici che sono loro?”
“No, non lo dico: lo so. Pansy non
vuole sposarsi”. Non con qualcuno che avrebbe scelto sua
madre.
“Hai parlato con lei?” Lo sguardo di
sua madre era curioso e un po’ pettegolo, forse.
“L’ho vista al matrimonio di Draco.”
“Draco?”
“Sì, ricordi? Tre settimane fa. Fra
l’altro Draco ha sposato la sorella di Daphne,
Astoria”. Sua madre scosse la
testa. Non prestava più attenzione alla società,
da quando stava con Hector.
Era una cosa buona o no? Bo.
“E com’è, allora? Hai
un’opinione tua
su di lei?” Oh, mamma, è la ragazza più
bella del mondo. E anche parecchio
sfortunata. Pensò al casino successo al San Mungo. Doveva
scoprire qualcosa di
più, per poterla aiutare.
Scosse le spalle.
Sapeva cos’era quel
gesto. Suo figlio
non voleva parlarne con lei. Non di questa Pansy. Avrebbe dovuto
cercare
informazioni da sola.
Magari aveva raccontato a suo figlio
che non voleva sposarsi per ingannarlo e poi architettare con sua madre
il
fidanzamento. Magari era incinta davvero.
Non si rese conto della smorfia che
aveva sul viso.
Blaise vide lo sguardo di sua madre
e
non gli piacque. Cercò di deviare il discorso e le chiese
dei preparativi per
il sabato seguente.
***
“Oggi sono stata alla
Gringott.”
“Davvero?” chiese senza interesse
Pansy. Finalmente gli ospiti di sua madre se n’erano andati.
Suo padre si era
rifugiato in biblioteca a bere il liquore della buonanotte e sua madre
chiacchierava senza sosta, nonostante fosse tardi e lei fosse stanca. E
poi lei
sapeva già che era andata alla Gringott.
“Sì. E sai chi ho visto?” Chi hai
visto mamma? Daphne? Theo? Brianna? Salazar Serpeverde?
Pansy cercò di rimanere sveglia. Si
sentiva stanchissima. Ma felice. Ripensò a Blaise sul divano
che le sorrideva
sornione mentre l’accarezzava. Sperò che le sue
guance non fossero calde come
le sentiva lei. Non avevano fatto l’amore, lui non aveva
voluto. Di nuovo. Ma
stavolta era andata diversamente. Blaise le aveva fatto capire
chiaramente
quanto la desiderasse. Merlino, Blaise le mancava di già. E
purtroppo, non
l’avrebbe neanche visto dopo cena.
Erano rimasti d’accordo che si
sarebbero visti il giorno dopo direttamente alla Gringott.
Guardò l’orologio.
Effettivamente era tardissimo. Sperò di sbrogliare sua madre
al più presto.
Sospirò cercando di tornare al
presente.
“Chi hai visto, mamma?” chiese.
Okklely, l’elfo domestico che sua
madre le mandava ogni tanto a casa, stava sparecchiando. Fra poco
avrebbe
portato il tè. Oh, cosa avrebbe dato per una burrobirra. O
anche una birra
babbana.
“Ho visto il signor Zabini. Te lo
ricordi, no?” Chi? Ma il padre di Blaise non era morto? Poi
capì che sua madre
si riferiva proprio a Blaise.
“Davvero?”
“Sì, era con sua madre. Sai cosa
pensavo?”
“Cosa pensavi, mamma?” Il suo tono
doveva essere un po’ accondiscendente in quanto sua madre si
girò verso di lei
e la squadrò con un’occhiataccia, come quando
aveva sette anni e si rifiutava
di andare a lezione di danza. Sospirò. “Davvero,
mamma, cos’hai pensato?”
“Quel ragazzo è molto bello…”
Oh. Non
seppe bene il perché, ma sentì ancora le guance
andare a fuoco.
“Mmm… E quindi?”
“Io conosco sua madre. Siamo andate a
Hogwarts insieme.”
“Davvero?” Ora era davvero curiosa.
Lilian annuì, senza accorgersi del suo tono sorpreso. Era
sempre così, non la
notava mai.
“Potremmo valutare l’idea…
Sì… Sai… Di
un fidanzamento.”
Pansy sapeva di non dover mai bere
quando parlava con sua mamma. Ma spesso se ne dimenticava. Ora non se
lo
sarebbe più dimenticato. Iniziò a tossire e a
fare versi strani con la bocca.
Quando le scesero le lacrime e sentì il petto stringersi,
ebbe quasi paura di
morire. Tossì ancora, incapace di riprendersi.
Oh, Merlino, stava morendo e l’unica
cosa a cui riusciva a pensare era che non aveva ancora fatto
l’amore con
Blaise. Cercò di riprendere fiato e alla fine
riuscì a tornare a respirare
normalmente.
Sua madre la guardava come se avesse
ucciso il gatto. E non l’aveva neanche aiutata.
“Scusa, mamma. Dicevi?”
“Dicevo che non sarebbe una brutta
idea se tu e lui vi fidanzaste, sai? Da quel che ho capito non ha una
fidanzata
e poi lui lo conosceresti già e…”
Sospirò. Ma sua madre non smetteva mai?
“C’è
una cosa che ho saputo, che andrebbe a suo vantaggio”
mormorò poi abbassando la
voce.
Ossia? Che la faceva impazzire da
quando aveva quindici anni? Questo poteva essere veramente a suo
vantaggio.
Ma sua madre la guardò. “Lui è discreto”. Discreto? Che
intendeva?
“In che senso, mamma?” Prese la tazza
del tè che l’elfo le porgeva e la posò
davanti a sé, più interessata a quello
che diceva la madre che a ogni altra cosa.
“Beh, si sai, quando fa… quello”.
Sua madre aveva abbassato la
voce, come se qualcuno potesse sentirla e aveva sventolato la mano
davanti a sé.
Ma… cosa voleva dire?
La sua faccia dovette parlare da sola,
perché sua madre continuò.
“Sì, è uno che quando lo fa
è discreto”.
Pansy spalancò gli occhi quando capì
che sua madre non avrebbe mai osato dire quella parola. Sesso. SUA
MADRE
PARLAVA DI SESSO? Cercò il vino con gli occhi, ma
l’elfo aveva portato via
tutto.
Ok,
calmati Pansy.
Si obbligò a rimanere tranquilla.
COSA CAZZO VOLEVA DIRE CHE QUANDO FA SESSO È DISCRETO? Non
aveva funzionato
bene. Riprovaci Pansy.
“Mamma, ma cosa intendi?” No, era
meglio non chiedere. Sicuramente.
“Che non ci saranno scandali. Quando
lo farà, tu non lo saprai e non lo saprà nessuno.
Lui sarà discreto…” O PORCO
SALAZAR! Intendeva che quando l’avrebbe tradita non
l’avrebbe saputo nessuno?
Ma…
“Mamma, io voglio un marito che lo
faccia con me, non con le altre”. Sua madre sbuffò
poco elegantemente e
sventolò, di nuovo, la mano in aria.
“Quando sarai sposata saprai che la
favola di Messer Senzafortuna e Amata non esiste. Nessuno vive felice e
contento. Non esiste la Fonte della Buona Sorte. I matrimoni sono
così. E può
succedere che…”
“Forse, se invece di sposarsi per lo
stato di sangue, ci si sposasse perché ci si vuole bene, non
succederebbe. Ci
hai mai pensato, mamma? Forse, se tu e
papà…”
“NON PARLARE DI TUO PADRE!” Sua madre
aveva gli occhi spalancati mentre urlava e Pansy vide Okklely
smaterializzarsi
velocemente. Lo invidiò. Avrebbe potuto farlo anche lei?
L’avrebbe seguito in
cucina e sarebbe stata lì, buona buona.
“Ma pensi davvero che tuo marito non
lo farà? Sei un’ingenua. Lo fanno tutti, cosa
credi? E quando i mariti tradiscono,
e non si fanno problemi a nasconderlo, le mogli non possono dire
niente! Fanno
finta che non sia successo.”
Pansy si ammutolì. Il tono di sua
madre era cattivo e derisorio. Davvero? Davvero era così?
Tutti tutti? Pensò a
Draco e Astoria. Va beh, loro si erano appena sposati, non contava. E
Daphne e
Steve? No. Se Steve tradiva Daphne, lei non lo sapeva di sicuro. E se
fosse
successo, Daphne non avrebbe fatto finta di niente. E Pansy era
abbastanza
convinta che non fosse mai successo.
Pensò ad altre coppie che conosceva.
Chi è che era insieme da tanto tempo? La faccia sconvolta di
una piccola rossa,
le comparve nei pensieri. Potter e la Weasley. Stavano insieme da
un’eternità.
Ripensò a tutte le volte che li aveva visti insieme. Avrebbe
scommesso anche su
di lui. Non l’avrebbe mai tradita. Neanche in futuro. Beh, ma
loro si erano
sposati per amore.
Anche Pansy voleva un matrimonio
d’amore. Anche lei voleva essere guardata come Potter
guardava sua moglie.
Poi si ricordò del fatto che presto Potter
non avrebbe più guardato sua moglie. E forse non avrebbe
neanche visto il suo
bambino. Sospirò. Ma cosa poteva fare? Forse poteva almeno
ascoltarla.
Poi tornò a guardare la madre. Ora era
stufa.
“Sai mamma, penso che non mi sposerò,
allora. Non voglio un matrimonio come il tuo. Non voglio diventare come
te o
papà. Non mi interessa quello che fa la gente. Non mi
piacerebbe vivere così.”
“E cosa
pensi di fare, allora?” Il tono di sua
madre era stizzito.
“Voglio vivere la mia vita” rispose.
Per
ora voglio fare l’amore con Blaise, per Salazar, anche se
fosse l’ultima cosa
che farò.
“Gran bella vita.
Sei anche stata
licenziata.”
“Non sono stata licenziata!” esclamò.
L’occhiataccia di sua madre era una
pugnalata. Sua madre non credeva in lei. Come tutti gli altri.
“Vado a casa”. E si smaterializzò
senza salutare.
***
Pansy era sdraiata sulla schiena
sulla
scrivania nell’ufficio del direttore alla Gringott e baciava
Blaise come se non
ci fosse stato un domani. Il suo vestito era arrotolato in vita e, non
indossando
biancheria, era totalmente esposta. Ma la pelle scura del petto di lui
continuava a darle brividi contro la sua e lei non se ne
preoccupò.
L’unico problema era che lui avesse
ancora i pantaloni. Voleva che se li togliesse al più
presto. Voleva tutto di
lui. Gli prese il viso fra le mani e lo baciò ancora. Gli
mordicchiò le labbra
e poi sussurrò sulla sua bocca: “Togliti i
pantaloni. Voglio sentirti dentro di
me”.
“No”. COME? Non di nuovo!
“Sì.”
“No, perché vedi, io sono discreto”.
Pansy gli lasciò il viso e si
mise a sedere così velocemente che si svegliò.
Si guardò intorno e si rese conto di
essere in camera sua, nel suo letto e di avere addosso la camicia da
notte. E
di essere da sola.
Per Salazar, era un sogno! Sospirò e
si rimise giù, coprendosi con la coperta. Non andava bene.
Non poteva fare
sogni così. Dovevano assolutamente risolvere la cosa. Al
più presto.
Guardò l’orologio. Mancavano ancora
tre ore all’orario in cui avrebbero dovuto vedersi alla
Gringott. Oh, Merlino.
Di sicuro non avrebbe potuto
smaterializzarsi a casa di Blaise a quell’ora.
Sbuffò, si girò per trovare una
posizione e provò a riaddormentarsi.
***
Blaise guardò ancora
l’orologio. Lei
era in ritardo. Aveva detto che ci sarebbe stata. Quindi sapeva che
sarebbe
successo. E se invece avesse cambiato idea? La sera prima avevano fatto
tardi
nell’appartamento di lei e Blaise sapeva che non sarebbe mai
riuscito a
sganciarsi da sua madre a un orario decente, così, pensando
di aver risolto le
cose fra loro, le aveva dato appuntamento direttamente alla Gringott,
spiegandole quello che aveva bisogno che lei facesse.
Per Salazar, era stata una cattiva
idea! Quando la vide entrare dalla porta d’argento,
sospirò sollevato senza
neanche rendersene conto.
La seguì con lo sguardo mentre
entrava. Dannazione, aveva i pantaloni. No, ok, era meglio
così. Avevano del
lavoro da sbrigare. Quando lei lo vide gli sorrise e Blaise le fece
cenno di
avvicinarsi. Pansy si diresse verso di lui sorridendo.
“Tieni, ti ho portato dei muffin” disse,
porgendogli un sacchetto di carta. Si portò una mano al
petto con un sorriso.
“Adesso hai conquistato il mio cuore.”
Lei sorrise sorniona.
“Puntavo ad
altro, ma va bene uguale, dai”. Blaise rise e si
avvicinò a lei quando Pansy
fece il gesto di salutarlo con un bacio sulla guancia. Erano sotto gli
occhi di
tutti.
“Dov’è la stanza dei quadri?”
gli
chiese. Lui si incamminò facendole cenno di stargli vicino.
“È giù nei sotterranei. Dobbiamo
chiamare un folletto e andarci con il carrello. Intanto spostiamo il
tuo
denaro?” La ragazza annuì.
Avrebbero spostato il denaro che lei
si guadagnava. Aveva fatto un calcolo approssimativo dei suoi risparmi.
Ma
aveva tenuto in difetto il conto, così che suo padre non
potesse reclamare
niente. Il primo giro lo finirono alla camera blindata del signor
Gustav
Parkinson.
Pansy riempì a malincuore la borsetta,
ampliata con un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, con suoi
galeoni. Le
sembrava di tradire la sua famiglia. Ma sapeva che era il primo passo
verso
l’essere indipendenti. Indipendenti davvero. Poi
tornò sul carrello, Blaise
dovette capire quanto fosse difficile per lei, perché le
mise un braccio sulle
spalle e la baciò sulla testa. Si asciugò una
lacrima di nascosto.
Tornarono verso la superficie. La sua
nuova camera blindata era meno preziosa, quindi con meno sistemi di
sicurezza
magica. Svuotò la borsetta direttamente sul pavimento.
Merlino. Sembrava ancora
più vuota di quando era entrata. Si chinò e prese
qualche moneta che infilò in
tasca. Poi, sorridendo, tornò verso il carrello. Il moro
l’aspettava fuori
dalla porta.
“E ora? Dove andiamo?” chiese il
folletto.
“Alla cantina dei quadri, Lookuoi.
Dobbiamo controllare delle cose”. Il folletto
annuì e fece ripartire il
carrello. Quando si fermò e loro scesero, Blaise gli disse
che poteva andare.
“E come facciamo a tornare su, dopo?”
chiese Pansy. Non conosceva molto bene le procedure bancarie, lei.
Il folletto si allungò verso di lei e
le diede un campanello d’argento. “Può
suonare questo campanello, signorina.
Uno di noi folletti verrà subito a prenderla”. Lei
sorrise.
“Fantastico. Grazie mille.”
Blaise tirò fuori dalla
tasca la
chiave della cantina e la infilò nella serratura. Mentre
questa scattava,
Lookuoi il folletto partiva verso la superficie con il carrello.
Aprì la porta
e con la bacchetta accese una lanterna.
Imprecò quando vide i quadri. Saranno
stati un migliaio. Tutti accatastati l’uno contro
l’altro, in piedi, sul
pavimento. La stanza era enorme. Sentì Pansy sospirare.
“Sei sicuro che siano qui, almeno,
vero?” Lui alzò le spalle. Lo sperava.
“Brittany dice che il signor Harris ha
spostato i quadri che erano nel suo ufficio, il giorno prima di
sparire. E dice
che uno dei folletti l’ha visto uscire da qui, quel giorno.
Quindi, no, non
sono sicuro. Ma è il primo posto dove possiamo cercare.
Altrimenti dovremo
trovare un altro modo”. Pansy annuì poi si
voltò verso di lui.
“Chi è Brittany?” Lui rise.
“La tua Brianna”. La bocca di lei
divenne un cerchio.
“Oh”. E ridacchiò. Avrebbe voluto
baciarla. Ma se avesse iniziato, non avrebbero finito con i quadri e
lui voleva
godersi il momento con lei in tutta tranquillità.
La sera prima le aveva spiegato
brevemente quello che doveva fare. Il signor Harris era scappato dalla
Gringott
improvvisamente e non si era più fatto vivo. Ormai era
passato un mese. Non si
capiva cosa fosse successo.
Così avevano mandato Blaise per
indagare. All’inizio avevano pensato a un rapimento, al
Ministero, ma poi
nessuno aveva fatto richieste di riscatto. E se lui si era preso la
briga di sistemare
le cose nel suo ufficio, prima di andarsene, se n’era andato
di sua volontà.
“Ok, allora hai detto tre quadri: un
cacciatore che squarta un cervo, una matrona del diciannovesimo secolo
vestita
di giallo, e un paesaggio di campagna. Giusto?” Pansy
“Bravo, hai fatto i
compiti.”
Pansy si avvicinò alla prima pila di quadri
e tirò fuori la bacchetta.
“Come procediamo?”
Lei scosse le spalle. “Io di qua e tu
di lì? Se incontri qualcosa che si avvicina alla
descrizione, mi chiami e
vediamo. Ok?” Lui annuì.
Pansy fece sparire la polvere dal
primo quadro per vedere di cosa si trattasse: dame a un ballo. Niente.
Lo guidò
con la bacchetta fino a un angolo vuoto e guardò il secondo.
Al quarto era già
stufa. Certi artisti non dovrebbero avere libero accesso alle tele e ai
colori.
Blaise agitò la
bacchetta e tolse la
polvere da un altro quadro. Sentì Pansy tossire quando un
quadro troppo
impolverato venne scosso, ma poi lei stette zitta un attimo e gli
chiese: “Dici
che avrà fatto un incantesimo per la polvere?”
Il ragazzo si voltò verso di lei.
“La polvere?”
“Sì, per far sembrare che i quadri che
ha portato per ultimi siano qui da più tempo.
Cioè, io l’avrei fatto. Li avrei
nascosti in mezzo agli altri e avrei lanciato un incantesimo
impolverante”.
Alzò una spalla.
Merlino, aveva ragione. Blaise si
spostò lungo le file di quadri, per vedere se ci fosse
qualcosa di strano.
“Ehi, non ti ho detto di girare a caso! Non dovremmo seguire
una logica?” Lui si
portò un dito alle labbra per dirle di stare zitta e
sorrise.
“Forse so come fare presto. Guarda!”
Alzò la bacchetta verso i quadri e la fece scorrere
indicando il pavimento
mentre formulava: “Finitem incantem!”
Dal centro della stanza si alzò una
nuvola di polvere che sparì. Si voltò verso di
lei e vide che sorrideva.
“Grande!” Alzò una mano per battere la
sua, ma Blaise la prese e la tirò verso di sé,
abbracciandola.
“Io direi che mi merito di più.”
Lei rise e gli cinse il collo con
ancora la bacchetta in mano. “Ma se ti ho dato io
l’idea!”
“Allora ce lo meritiamo tutti e due”.
E la baciò. Lei rispose al suo bacio e Blaise la spinse
contro il muro in uno
dei pochi angoli liberi.
Quando Pansy sentì le
mani di Blaise
sulle natiche e la sua imprecazione sui suoi pantaloni, rise e lo
scostò da lei.
Oh, che penasse un po’ anche lui, come aveva penato lei!
“Prendiamo quei quadri, va. Così li
portiamo su” disse accogliendo la bacchetta da terra.
Si avvicinò alla fila dove si era
volatilizzata la polvere e spostò mano a mano tutti i quadri
che incontrava al
suo passaggio.
Blaise rimase un attimo indietro.
Se
non si fosse allontanata lei, forse avrebbe fatto la sciocchezza di non
fermarsi. Si sistemò i pantaloni e la raggiunse, mentre
spostava l’ultimo
quadro.
Una signora di mezza età molto in
carne con una cuffietta gialla gridò quando lo vide e
sparì sotto la cornice
del quadro. Oh. Cos’era successo?
Pansy ridacchiò piano. “Mi sa che
l’hai svegliata…”
“Io? L’hai svegliata tu!” Lei
alzò una
spalla, chinandosi a prendere il quadro.
“Forse. Ma tu l’hai spaventata”.
Annuì.
“È questo, comunque”. Meno uno.
Pansy tirò fuori la bacchetta e lo
fece volare vicino alla porta.
Ok, uno lo avevano trovato. Quel
posto
puzzava di muffa. Era fastidioso, Pansy sperava di non doverci mettere
ancora
tanto tempo. Blaise intanto spostò i quadri lungo la fila
vicina e le fece cenno.
“Dovremmo esserci. Vieni a vedere se è
uno di questi.”
Pansy si avvicinò.
Ne spostarono altri due e poi, lì
dietro agli altri comparve il quadro con il cacciatore che squartava il
cervo.
Si voltò. Non era mai riuscita a guardarlo.
Lui fu velocissimo e lo spedì vicino
all’altro. Lo ringraziò con un sorriso.
Meno due. Rimaneva il terzo.
Cos’è che
era? Un paesaggio di campagna. Forse poteva essere più
difficile. I paesaggi si
assomigliavano un po’ tutti. Iniziò a spostare i
quadri nella fila vicino e
Pansy lo aiutò. Passarono un sacco di quadri lentamente,
perché lei non si
ricordava con precisione come fosse il quadro.
Pansy era stanca. C’era
poca luce, le
lanterne non facevano il loro lavoro e lei aveva gli occhi
pesantissimi. Si
sedette per terra e illuminò la bacchetta per vederci
meglio. “Sei stanca?” le
chiese Blaise.
“Un po’…”
“Vuoi fare una pausa?” Scosse il capo.
“No. Non vedo l’ora di finire”. Lui
annuì mentre spostava un altro quadro.
“Dopo ti porto a pranzo.”
Lei sospirò
così forte che Blaise la
guardò. Pansy alzò lo sguardo su di lui e disse
sottovoce: “Daphne mi ha
invitato a pranzo a casa sua…”
Annuì. Gli aveva raccontato della
litigata con Daphne. Per quanto a lui non stesse particolarmente
simpatica,
visto che lo voleva lontano da Pansy, sapeva che loro erano amiche. E
Pansy ci
teneva. Nonostante tutto. E ci soffriva.
“Potresti andarci…”
Pansy alzò una spalla. “Ancora non lo
so. E poi oggi pomeriggio ho appuntamento con lo psicomago, per via
della
sospensione”. Lui annuì. Di sicuro non avrebbe
insistito.
La ragazza spostò il quadro successivo
e spalancò gli occhi, sorpresa. Si alzò in piedi
velocemente e fece un passo
indietro. Blaise, che la stava guardando, si voltò a
guardare il quadro. Cosa
aveva di particolare da farle avere quella reazione? Non era niente di
speciale:
un ragazzo dormiva sotto un albero. Intorno a lui c’erano un
frutteto, un campo
coltivato con delle spighe e in lontananza un boschetto. Lo
guardò ancora.
Alla fine si voltò verso Pansy perché
non riusciva a capire. Lei si portò il dito alle labbra come
aveva fatto lui
qualche tempo prima e fece apparire uno straccio coprente che
lasciò cadere sul
quadro.
“Prendilo. È questo.”
Senza dire niente, fece quello che gli
aveva detto.
Quando furono di nuovo
nell’ufficio,
gli chiese se potesse far portare del tè. Blaise la
guardò stranito ma annuì.
Chiamò uno dei suoi elfi e gli ordinò quanto
richiesto. Appoggiarono i quadri
al pavimento e lei lo bloccò quando fece il gesto di
riappenderli al muro.
Pansy lo fermò quando
tentò di
scoprire il quadro.
“Rispiegami un attimo il lavoro che
fai.”
Blaise alzò le sopracciglia. Oh, per
Salazar! C’era qualcosa che non gli stava dicendo.
Lui sospirò e lei incrociò le braccia
al petto. Quando capì che non avrebbe parlato,
continuò: “Dimmi che non stai
facendo delle indagini anche per il San Mungo”. Lui
aprì la bocca e sgranò gli
occhi sorpreso.
“Certo che no!” Poi però la
guardò in
una maniera strana.
Ma perché Pansy gli
faceva quella
domanda? “Perché?”
Lei tirò fuori la bacchetta e per un
attimo pensò che la usasse su di lui. Fece un incantesimo
non verbale ai quadri
coperti dallo straccio e disse: “Il quadro del paesaggio di
campagna… Dove
c’era il tipo che dormiva… Era appeso
qui…” Si fermò.
Lui mosse la testa per farla
continuare e lei sospirò. “Il tipo che dormiva non
lo avevo mai visto. Non qui”.
E dov’è che l’aveva visto?
“E dove l’hai visto? Al San Mungo?”
Lei annuì lentamente. Merlino. Era una coincidenza o una
complicazione? “Al San
Mungo dove?”
“Nel quadro del mio
ufficio.”
Santo Merlino!
L’elfo si
materializzò e portò un
vassoio con del tè e dei pasticcini. Pansy si sedette,
versò il tè in due tazze
e gli fece cenno di sedersi.
“Dobbiamo parlare”. Lui annuì e
sospirando
prese un pasticcino.
“Ti ho detto che ho mandato un gufo
alla Weasley?” Blaise sospirò.
“Sarà una lunga chiacchierata, eh?”
***
“Ho detto che ti avrei
portato a cena,
e ti porterò a cena.”
Blaise cercò di essere irremovibile.
Pansy rise, di lui, e disse che preferiva mangiare una pizza a casa,
sul
divano. Sbuffò.
Sua madre gli aveva sempre detto che
quando avesse incontrato la donna della sua vita avrebbe dovuto
offrirle una
cena prima di passare la notte con lei. Non gli era mai venuto in
mente, prima.
Ma ora…
Pansy rise di nuovo. “Perché fai
quella faccia?" Blaise scosse la testa. “Dai, prometto che
andremo a cena,
ma stasera sono stanca”. Lei fece quella faccia da cucciolo
di unicorno.
L’aveva vista un sacco di volte anche a Hogwarts, ma doveva
essersi
specializzata nel frattempo, perché non riuscì a
dirle di no. Sospirò.
“Va bene. Vada per la pizza”. Lei si
mise in punta di piedi e gli circondò il collo con le
braccia.
“Da te o da me?” chiese prima di
stampagli un bacio sulle labbra.
“Dove vuoi.”
“Ok. Andiamo a prendere la pizza, poi
ti porterò dove voglio io”. Blaise le
circondò la vita e intrecciò le mani
sulla sua schiena. Era così minuta, lei.
“E poi?”
“E poi farò di te ciò che
voglio!”
Sorrise ancora e disse qualcosa che lui non capì.
“Come? In che senso
‘discreto’?” Pansy
rise forte e scosse il capo.
“Niente niente. Andiamo via.”
Uscirono dalla Gringott e si
incamminarono per le strade di Londra.