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Autore: audry_ enne    31/03/2020    2 recensioni
In questi giorni di clausura forzata è difficile concentrarsi realmente su qualcosa. E’ difficile persino prevedere come sarà, quando sarà, la normalità. Se mai ce ne sarà una. Se questa è una guerra, ci aspetta un lungo e pericoloso dopoguerra, dove il pericolo maggiore è perdere la nostra umanità. Ci servirà una dose di coraggio da veri Grifoni! E le Serpi, come faranno mai? Nessuno si salva da solo. Bisognerà che anche loro imparino a portrarne il peso.
Buona lettura
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 1
 
Patetica … Hermione aveva iniziato a sentirsi patetica mentre, fremente, osservava il rientro dei compagni dalle vacanze di Natale. Quei ragazzini, con le loro divise listate di rosso, verde, giallo e blu, non sapevano, forse, cosa avevano veramente rischiato di perdersi … Ora, però, erano altri i pensieri che la perseguitavano. Uno in particolare.
In quei giorni la Mc Grannit l’aveva resa partecipe di un progetto, di un’idea che Hermione aveva in un primo tempo sottovalutato: Voleva organizzare una commemorazione di Silente e Piton. Niente di particolare, una breve cerimonia a cui avrebbero partecipato anche gli studenti sopravvissuti alla guerra e che sarebbe servita a mantenere la memoria, affinché quel che era accaduto non si ripetesse …
Lì per lì la ragazza aveva pensato che fosse una cosa buona e anche ora lo pensava. Quello a cui non aveva pensato era cosa tutto ciò gli avrebbe causato, come si sarebbe sentito, E ora aspettava, nascosta nell’ombra che le candele creavano nel grande salone d’ingresso della scuola, torcendosi le mani.
Entrarono due ragazzi di Serpeverde, avvolti negli ampi mantelli neri su cui aleggiava una spolverata di neve, lo sguardo truce e una smorfia per nulla rassicurante. Erano gli ultimi arrivati, il portone si chiuse alle loro spalle.
Lui non era tornato con gli altri. La ragazza ritornò sui suoi passi: sarebbe tornato per le lezioni. Sicuramente … o no?
La Preside in quei giorni non le dava respiro, voleva a tutti i costi che lei contattasse Harry e Ron per le celebrazioni. Lei, invece, cercava di rinviare il momento. Voleva prima vederlo, parlargli ma lui (era il più bravo, in questo, non c’erano dubbi!) era letteralmente sparito: quando si riusciva, si intravvedeva una macchia sparire dalle porte dell’aula alla fine delle lezioni (a cui arrivava sempre un attimo prima che il professore iniziasse)… Per le lezioni era tornato, ma incontrarlo e parlargli era impossibile!
C’era sempre il loro posto, però.
A notte fonda, la ragazza si avviò verso le cucine. Facendo attenzione a non attirare Gazza e la sua petulante gatta, attraversò i corridoi e si infilò dietro il quadro che ne nascondeva l’entrata. Accese il fuoco, mise a scaldare il latte, preparò la miscela di cacao e zucchero (“certe cose è meglio farle “alla babbana”, vengono decisamente meglio!” “Dici, Granger?” “Assaggia!” “Non è che mi avveleni?... Non male, Granger … un altro po’?”) e  si preparò ad aspettare.
Cinque minuti. Dieci minuti. Mezz’ora. Il cioccolato era freddo ormai. Ancora un altro po’…
“Signorina Granger?”
Hermione si girò e si trovò davanti i grandi occhi stanchi e lucenti di un piccolo elfo.
“Dimmi”
“E’ sicura che verrà? Lo sta aspettando da tanto ormai.”
La ragazza si guardò intorno. Non sarebbe venuto.
“Hai ragione. Non verrà. Rimettiamo tutto a posto.” La delusione era evidente nel suono delle sue parole ma, ragionevolmente, non poteva attendersi un comportamento molto diverso da quello, non da lui che sapeva essere il re dei codardi. Sospirò mentre l’elfo con uno schiocco di dita rimetteva tutto in ordine e si riavviò verso la torre. Fuori s’intravvedeva il lento schiarirsi dell’alba.
 
I giorni passavano, la Mc Grannit diventava sempre più insistente, lui sempre più invisibile ed Hermione sempre più nervosa. Una rabbia sottile si stava sostituendo al sentimento di compassione ed empatia che l’aveva accompagnata finora, riducendo al lumicino la sua proverbiale e ormai leggendaria pazienza.
Con un’espressione truce, la ragazza camminava (marciava) per i corridoi della scuola: stavolta non gli sarebbe scappato, lo avrebbe atteso davanti alla porta dell’aula di pozioni e, a costo di perdere la lezione, gli avrebbe parlato. E pace per i punti che Lumacorno avrebbe cacciato ai Grifondoro!
Si appoggiò al muro di fronte all’aula con un’aria che diventava sempre più funesta e contrariata; nessuno osò chiederle alcunché, sapevano che quando la ragazza era “nervosa” era meglio girarle alla larga e negli ultimi tempi lo era in maniera particolare. Neppure il professore, arrivato peraltro con qualche minuto di ritardo, trovandola lì fuori, disse nulla: entrò e, per sicurezza, fece finta di non notare la sua assenza/presenza e non tolse neppure un punto alla casa avversa, con grande sollievo degli studenti grifondoro.
Fuori, la ragazza stava per esplodere! Non era venuto neppure a lezione! Ma chi credeva di essere? E cosa pensava di fare?
Batté forte i piedi a terra e, come un treno, si diresse furibonda verso la sua stanza: nessuno poteva permettersi di trattarla così e credere di farla franca!
La sua furia aumentò quando si rese conto di non conoscere la parola d’ordine per entrare e che non c’era nessuno da costringere a dirgliela…
“Tanto non c’è!” Una vocina nella sua testa, insistente, sembrava pure prenderla in giro. “Nessuno, e sottolineo nessuno, può osare prendersi gioco di Hermione Jane Granger! Nessuno, neppure e soprattutto Draco Malfoy!”.
La ragazza, ormai furibonda e fuori da ogni grazia divina o magica che fosse, si diresse come una furia verso la torre di Grifondoro. Gli studenti si scansavano al suo passaggio; la Preside, che non l’aveva scorta, per poco non finì contro un muro spinta da una spallata degna di un battitore; perfino le preziosissime boccette di Lumacorno rischiarono di fracassarsi sul pavimento, salvate solo da un istintivo quanto fortunoso spostamento del malcapitato professore dal tracciato della “locomotiva Granger” (così l’aveva definita scherzosamente Ron qualche tempo prima!).
Stava per dare l’assalto alle scale che portavano alla Torre di Grifondoro quando il suo orecchio captò lo sfogo di una ridicolmente sdegnata Calì che si lamentava dell’esser stata malamente spinta in giardino da quell’arrogante serpeverde che, non pago dell’esser stato graziato, continuava imperterrito a comportarsi come se tutto gli fosse dovuto!
Hermione cambiò immediatamente percorso e meta. Infilò il portone , attraversò il portico e si ritrovò in giardino. Ma era deserto: dove poteva essere andato? Verso le serre? La torre di astronomia? Il campo di quidditch? La testa ruotava tutt’intorno ma nessuna traccia. Lo aveva perso ancora una volta.
Sospirò: non poteva continuare a rinviare ancora quanto la preside le chiedeva fino a quando Draco non avesse deciso di farsi trovare.
Erano già scorse un paio di settimane e organizzare la manifestazione, prevista per altro per fine anno, richiedeva tempo. Un altro sospiro e allungò la mano nella tasca della divisa dove aveva messo le pergamene con gli inviti da mandare ad Harry e Ron. Si diresse dunque verso la guferia. L’aria fredda pungeva le gote e la neve ghiacciata scrocchiava sotto il peso dei suoi passi. Hermione si sentiva stanca. Aveva il gelo nella mente e andava neppure lei sapeva dove. Si era persa in questa specie di rapporto con Draco, in cui non c’era nulla se non poche parole, pochi gesti, tanti sottintesi che riportavano a frammenti di memorie il più delle volte per nulla piacevoli. E non era neppure detto che i pensieri coincidessero. Ogni volta che provava ad andare oltre si ritrovava a fare i conti con un’assenza indefinibile ed incancellabile, era come se il vuoto si stesse espandendo nell’anima di quel ragazzo e lei non riusciva a capire come riempirlo. Odiava non capire! A volte si sentiva così uguale a lui, così fragile ma anche così lontana, condannata a vivere una sorte in qualche modo comune verso la quale stavano correndo. Forse.
 
Guardare il mondo dall’alto, attraverso una lacrima, dava decisamente un’altra prospettiva. Forse se avesse imparato a farlo prima, quando ancora aveva una speranza, quando ancora non era tutto segnato, forse le cose sarebbero andate diversamente. O forse non c’era mai stata veramente la possibilità di scegliere, forse non c’era neppure ora e star lì era solo pateticamente inutile …
Da quando la notizia della “rimpatriata” organizzata dalla Preside lo aveva raggiunto si era dato alla fuga. Aveva quasi rimpianto di non essersene rimasto a casa se non fosse che il senso di claustrofobia che gli davano gli immensi saloni del Manor sembrava toglierli l’aria anche solo a ricordarli.
E poi c’era la Granger… Hermione…
Lui era una serpe, gli difettava il coraggio mica l’intelligenza! E così la sua fuga era stata resa ancora più difficile dal fatto di dover scappare anche da un tanto abile cacciatore. Era stato stupido a concederle di avvicinarglisi tanto: lei e le sue maledettamente dolci cioccolate, lei e i suoi silenzi carichi di verità, di cose mai dette e di giorni vili e traditori…
Dicevano che la preside le avesse chiesto di convocare il resto del Trio per la “simpatica” riunione post bellum. E ora lei lo tampinava in ogni dove… Che voleva? La sua benedizione? Il suo permesso? Il suo perdono per il tradimento, l’ennesimo, che stavano perpetrando alle sue spalle? Non era aria…
La rabbia e i sensi di colpa lo laceravano dentro, il peso del suo passato lo stava schiacciando, gli toglievano l’aria…
Si era lasciato tutto indietro, cercava di far finta di nulla e di farsi invisibile nell’ombra e nel silenzio; ma portava ancora i segni delle mille cicatrici, sulla pelle e nell’animo. Non ce la poteva fare a sopportare tutto quello, la riunione, il ricordo dei due presidi ed eroi, il ricordo di quella sera che gli aveva stravolto l’esistenza. Quella sera aveva capito che lui non era capace di fare quel che gli era stato chiesto, che non poteva uccidere Silente, che se qualcuno lo aveva protetto da sé stesso e da chi lo circondava quel qualcuno non era suo padre ma Severus Piton. E lui non lo aveva capito, non lo aveva mai ringraziato né gli aveva mai dato un motivo d’orgoglio o un cenno d’affetto preso com’era a cercare l’approvazione di un uomo che l’aveva venduto alla prima occasione.
Sapere, poi, che Piton era una spia dell’Ordine, che lo era sempre stato, e che aveva sempre fatto in modo di proteggere Potter, era stato per lui un altro tradimento! Maledetto Potter e la sua cicatrice: non gli lasciava nulla che fosse solo suo, neppure il ricordo dell’unico uomo che forse gli aveva voluto bene. Doveva per forza mettersi sempre in mezzo!
Certo, Piton odiava l’Harry- figlio di James Potter, il suo aguzzino; ma Harry aveva “i suoi occhi”, gli occhi verdi e profondi di Lily, l’unica donna che Piton avesse mai amato, la sola, per sempre…
 Era stato un borioso buono a nulla, non aveva capito niente del gioco in cui era stato gettato e si era fatto manovrare come una marionetta. Ma neppure questo era vero fino in fondo, perché lui voleva far parte di quel gioco, lui credeva in quelle fandonie, voleva quelle nefandezze e aveva accumulato sbagli su sbagli prima di capire quel che era diventato,  il mostro in cui si stava trasformando.
La verità – amara - era che Potter e, perfino, quel pezzente di Weasley erano migliori di lui.
Si era nascosto in cima alla torre di astronomia, laddove tutto era iniziato. Il vento soffiava forte, il sole calava all’orizzonte e il pensiero che la fine non fosse poi una così brutta cosa cominciava a far capolino tra le nebbie dei pensieri di Draco. Lacrime salate correvano sulle sue guance infreddolite e arrossate lasciando sentieri coperti di spine mentre l’aria sembrava passare a fatica tra le spire di mille serpenti che gli stringevano il petto. Ma non un solo singhiozzo usciva dalla sua bocca. Sentiva di non avere più tempo, di non avere più spazi ne possibilità. Nel buio della sua mente vedeva solo case le cui porte gli erano precluse, giorni che non gli era dato di vivere, aria che non gli era più respirabile. In fin dei conti, si disse, non ci vuole poi molto ad essere liberi… basta un piccolo passo avanti, un po’ di coraggio come quello che aveva dimostrato Silente quella sera quando, ormai prossimo alla fine, aveva cercato di salvarlo da sé stesso e da Voldemort: non lo aveva supplicato di risparmiare la propria vita ma di salvare la sua.
 Ma lui era Draco Malfoy, quintessenza serpeverde, coraggio non ne aveva certo da vendere come quegli incoscienti Grifoni. Si lasciò cadere a terra, sperando invano che questa si decidesse una volta buona ad aprirsi e ad ingoiarlo.
Era ormai calata la notte. Dalla guferia arrivavano i versi irrequieti degli uccelli pronti a sgranchirsi le ali. La paura, il freddo, il dolore e la rabbia si erano mescolati nell’animo di Draco trasformandosi in un peso che lo stava schiacciando, senza più un solo pensiero nella testa. In lui regnava un grande buco nero che assorbiva ogni forma di energia razionale o istintiva, lasciandolo steso al suolo come uno straccio. Non gli era rimasta che la resa, anche di fronte a sé stesso.
Draco fissava stravolto le sue mani, le lacrime che bagnavano le tavole polverose del pavimento e vedeva scorrere davanti a sé le immagini di tutta una vita; sentiva bruciare vecchie e nuove ferite che si era illuso il tempo potesse cancellare; assaporava antiche solitudini che aveva voluto affogare circondandosi di gente, nomi, risate e serate condite da alcool e donnine compiacenti che alla fine lo avevano lasciato più solo di com’era, sparendo nello stesso nulla da cui erano giunti: dove erano ora i suoi amici, quelli “veri” che avevano giurato e spergiurato che sarebbero rimasti con lui sempre, fino alla fine? O morti – Piton, Goyle- o spariti nel nulla. Alcuni non erano neppure rientrati a scuola. Sulla punta delle sue dita poteva contare le persone che ora popolavano il suo universo e, fra queste, ce ne erano alcune che non avrebbe mai creduto ci sarebbero mai state: sua madre, Blaise , la Preside e la Granger… Merlino, com’era caduto in basso!
“Beh, più in basso di così non puoi, Draco! Ora puoi solo risalire!”
Appena quella vocina sottile e subdola gli si era infilata tra i pensieri, un senso di insana ilarità aveva preso ad invadergli le membra, un sorriso folle gli aveva deformato il viso e una risata, tanto simile ad un pianto, isterica gli era salita dalla gola. Draco rideva e piangeva contemporaneamente, gridava quasi, incurante che qualcuno potesse sentirlo. Stava venendo a patti con la sua realtà e lo faceva nell’unico modo che conosceva: da solo e con paura.
 
Affacciata dalla guferia, Hermione seguiva con gli occhi il volo dei gufi che  andavano da Harry e Ron; la mente invece vagava nei soliti pensieri. Nel cielo che con la luce strana del tramonto invernale diventava quasi trasparente, rivedeva la limpidità dello sguardo di Draco, quelle rare volte che abbassava la guardia e permetteva ai suoi demoni di venire a galla… Ancora non capiva perché si era fidata di lui, aveva creduto (doveva farlo, se voleva continuare a sperare) che il mondo poteva essere diverso per loro e aveva guardato dritto nel suo inferno. Sordi ad ogni maldicenza o cattiveria, sembravano, a volte, vivere un universo parallelo. Alice e il Cappellaio Matto in viaggio nel mondo delle meraviglie: peccato che nessuno dei due sapesse quale personaggio stesse interpretando e che le meraviglie non erano sempre poi così incantevoli!
Il vento le portò un urlo, un pianto o una risata… avrebbe riconosciuto quel suono in mezzo a mille!
Stupida, stupida… non faceva che ripeterselo mentre le sue gambe correvano verso la torre di astronomia.
Presto, presto, più veloce… gli scalini sparivano sotto le suole dei suoi stivaletti, il gelo investiva il suo petto ansante mentre il mantello volava via dalle sue spalle.
Doveva arrivare in tempo. Prima…
Si scagliò sulla porta dell’aula con forza, credendola chiusa, pronta anche a farla saltare in aria, ma non fu necessario. Essa si spalancò rumorosamente sotto il suo gracile peso, rivelando una scena inverosimile, a suo modo spaventosa: il corpo di Draco sembrava in preda a crisi epilettiche, il ragazzo rideva con le lacrime che cadevano copiose dai suoi occhi, le mani immerse nei capelli stringevano così forte da sembrare quasi  volerli strappare.
Lo sguardo folle…
Merlino… la paura, il terrore invasero le membra di Hermione. La bacchetta tremava nella sua mano come mai aveva fatto, neppure in guerra. Cosa doveva fare?
Gli si avvicinò piano, se lui si era accorto della sua presenza non ne aveva dato alcun segno. Gli si mise di fronte, pronta ad afferrarlo se mai avesse fatto qualcosa di stupido o avventato, l’incantesimo Petrificus già pronto sulla punta della lingua. Allungò piano una mano verso il suo volto, quasi non riconobbe la sua stessa voce quando provò a chiamarlo.
“Malfoy …. Draco! Draco, guardami … ti prego!”
Una voce, quasi una preghiera, lo stava richiamando alla realtà; un tocco come una piuma accarezzava dolcemente il suo viso. Improvvisamente si rese conto di quello che stava facendo e si immobilizzò, zittendosi.
Era lei. Ne avrebbe riconosciuto il profumo ovunque. Era lì, con lui, nel suo momento più buio, lei era lì. Benedetto coraggio grifondoro!
Aprì gli occhi solo per perdersi nelle iride adombrate e preoccupate della sua compagna. La voce risultò rauca e stonata perfino a lui.
“Hermione. Alla fine mi hai trovato!”
“Tu volevi che io ti trovassi!”
Un mezzo ghigno. “Scusa.”
Quella parola segnava la sua resa, ultima ed incondizionata. Chiedendole scusa iniziava a perdonarsi le sue colpe, ad ammetterle e a perdonarle, senza voler più essere né la vittima né il giudice di nessuna storia, neppure della sua.
 
Scesero dalla torre che era notte fonda, poggiandosi l’una all’altro. Si fermarono nelle cucine e poi scesero nei sotterranei. Hermione lasciò Draco davanti al muro che nascondeva l’ingresso al covo Serpeverde (“ Late biosas” “Cosa? Che hai detto, Draco?” “ Late biosas, Hermione… la parola d’ordine. Non si sa mai” “Vivi di nascosto… che originalità! Buonanotte” “’Notte”) e si avviò verso la sua torre.
 
   
 
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