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Autore: CatherineC94    01/04/2020    2 recensioni
La mattina si stagliava piano sulla piccola cittadina; tutto era silenzioso, tenue. Le prime luci dell’alba sfioravano le colline color del grano. Le montagne d’altro canto non erano immuni a quella carezza innocente del sole; erano silenti, ma con fare quasi autoritario circondavano le piccole colline. Quella mattina non faceva caldo, ma un vento semplice e senza pretese dava l’idea della caducità della stagione. L’estate era da molti bramata; i poeti la decantavano. Era sempre stata l’apoteosi della libertà, del concetto precario della possibilità. Ma in questa storia non si parlerà di poeti o scrittori; bensì di una giovane donna che negli anni primordiali dell’umanità si trovava a vivere negli angoli più remoti del mondo. Questa è la storia di Marianna Monastrulli, prima figlia dei coniugi Monastrulli, eredi in disgrazia di un’antica casata dei Borboni, che fra investimenti avventati e avi ubriaconi videro tutta la fortuna sfumare davanti ai propri occhi.Quindi, caduti in disgrazia i nonni della giovane protagonista della vicenda dovettero emigrare, spingendosi verso l’interno dove piccoli agglomerati cittadini creavamo piccoli mondi che si estraniavano da tutto e da tutti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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Capitolo 2
Di quando Agata comprese che il silenzio potesse essere assordante
 
Quando le prime luci dell’alba inondarono la piccola finestra del cucinino, Agata si girò nel letto e lo scoprì freddo e vuoto. Per un istante si ritrovò nella sua piccola stanza a casa dei suoi genitori, e si sentì leggera, beata in quell’oblio. Però, la realtà le si presentò cruda e diretta e in men che non si dica si ritrovò in quella casa strana, in quel mondo estraneo. Alzandosi, non trovò la giacca di velluto di Giuliano e si ricordò con un moto di tristezza che era andato via; aveva detto una settimana e le era parso che in quell’instate che il pavimento si aprisse e che l’avesse inghiottita.
Nelle ore successive Agata si diede da fare come sua madre e a tempo suo, sua nonna le avevano impartito; era piccola ma lei l’aveva resa molto accogliente. Si scoprì stanca e malferma e si toccò il ventre; respirando piano si sedette di nuovo su quel letto vuoto e scomodo provando a riposarsi. I pensieri cominciarono ad affollare la sua mente; aveva bisogno di un forno, aveva bisogno di un terreno aveva bisogno di tante cose che, con un moto di rabbia improvvisa ricordò di avere a casa sua. Chiuse gli occhi stanca ancora una volta ed esausta e ricolma di sopportazione; sua madre le diceva sempre che la carne cotta non poteva tornare indietro alla macelleria,quindi era inutile pensarci.
Un vociare la distrasse e un rumore di passi che si avvicinavano la misero all’erta; di solito non era una tipa paurosa, suo padre le diceva sempre che la gente avrebbe  dovuto avere paura di lei e della sua furia quando si arrabbiava , ma in quel momento si sentì inerme come un bambino solo al mondo. “Agata! Agata! Esci un attimo, sono la moglie di Vicé”urlò una voce. La giovane sospirando si alzò dal letto e aprendo la porta si sporse dalla scala della sua nuova casetta. La scena che le si presentò innanzi era come in realtà aveva immaginato; una piccola folla di donne l’attendevano smaniose di vedere la nuova attrazione del posto così che quella sera avrebbero avuto molto tempo per ricamarci sopra. La moglie di Vincenzo, che scoprì poco dopo si chiamava Maria, in un primo momento la lasciò interdetta. Se il marito ero tarchiato e tozzo, la donna era alta, slanciata e robusta; il viso aveva lineamenti molto belli e gli occhi erano grandi come due tazze del caffe, come quelle che aveva la sorella di sua madre, la zia Pina. Ad Agata le mancò quasi la parola  di fronte a tanta bellezza e senza pensarci due volte disse un :”Buongiorno sinceramente non mi aspettavo che  foste così”. La donna inarcò le sopracciglia e fece una smorfia che ad Agata sembrò una specie di sorriso sghembo dicendo:” La sincerità è già una cosa buona”. Le altre donne la guardarono stranite per la confidenza che si era presas e facendo un cenno se ne andarono, ognuna di loro indaffarata a compiere il proprio compito; dal canto suo Agata chiuse la porta di casa e tenendosi il ventre scese la scala avvicinandosi a Maria. La donna ancora sorridente iniziò a raccontarle un po’ della sua vita e del piccolo paese; Agata l’ascoltava avida di notizie e le sembrò che forse un’ancora fosse stata gettata là, in quel mare così sconosciuto che tanto le faceva paura. Scoprì che Maria aveva sposato suo marito per amore contro il volere dei suoi genitori che senza battere ciglio l’avevano cacciata di casa; essi non approvavano un genero così equivoco ma soprattutto così diverso dalla figlia, bella e slanciata. Disse che ricevette almeno quattro proposte di matrimonio da giovani promettenti ma che senza alcun dubbio aveva già scelto suo marito; sua madre non le aveva rivolto più la parola dopo il suo matrimonio. “ A me non fa differenza, se io sono grande e lui piccolo, sul letto siamo tutti uguali” disse ridendo sguaiatamente, mettendola in imbarazzo. Questi discorsi per Agata erano un capitolo chiuso a chiave in un angolo della sua mente e non ne voleva parlare, i ricordi erano ancora vivi e traumatici. Comunque si ritenne fortunata; Maria le spiegò più o meno il paese, dove andare a lavare i panni e le disse che avrebbe potuto usare il suo forno in pietra per cuocere il pane. Mentre tornava a casa iniziò a pensare che la vita è continuamente soggetta a mutamenti e lei non era altro che un piccola parte di quel mare in tempesta; lei lo ricordava altero e rumoroso durante la sua infanzia. Sua madre spesso con un baffettone in testa la sgridava, mentre stava per ore intere a guardare il mare dalla finestra. Da piccola si disse che sarebbe stata anche lei come il mare, forte ed imprevedibile ma soprattutto indomabile; nemmeno le grandi barche riuscivano a scampare alla sua ira. Purtroppo crescendo, scoprì come in realtà la vita fosse uguale al mare e lei era diventata come una piccola braca a vela, sopraffatta.
 
Le montagne si stagliavano imponenti verso il cielo, e lambivano le colline sottostanti dove Giuliano si disse che Agata fosse; la immaginava anche, mentre si muoveva  tranquilla e silenziosa. Lui era molto lontano, però gli piaceva pensare che il suo pensiero fosse come un’aquila che volava  altrettanto lontano e rapidamente. Seduto su un masso, aspettava di riprendere lavoro fino a sera; la paga era buona il lavoro terribile e sfiancante però sapeva che ne valeva la pena. Il paesaggio che si presentava di fronte ai suoi occhi gli sembrava così potente che sentì un peso sullo stomaco; sopraffatto da tutto ciò fu certo che la sua città natale si vedesse in lontananza. La montagna era così alta, che si vedeva dall’altro capo del mare e un piccolo senso di mancanza riaffiorò nelle sue membra stanche; però il senso di rivincita subentrò nel suo animo, giustificando la scelta che fece molto tempo prima. Di nuovo i pensieri ritornarono su sua moglie; ricordava bene il giorno in cui si era messo in testa che l’avrebbe sposata. L’aveva vista poco tempo prima mentre andava in chiesa; furono in realtà gli occhi che lo catturarono in un primo momento, blu come il cielo che gli diedero un senso di possibilità. Ricordava ancora quando quella sera, tornato a casa lo disse a suo padre che senza mezzi termini ribattendo disse” Non ho soldi per campare te immagina un’altra”. Lui battendo un piede gli disse che non aveva bisogno di lui o di chicchessia; non gli importava molto dei blasoni o di titoli che nascondevano la povertà e la fame più assoluta. Così, il padre gli aveva detto che per un mese avrebbe fatto finta di donargli la casa, ma che avrebbero dovuto sloggiare; e così fecero. Si sentì tutto tranne che un uomo in quel momento; lui sapeva che Agata in realtà lo odiava per averla trascinata là. Giuliano si sentì un debole, forse non avrebbe dovuto nemmeno sposarla visto e considerato che non aveva di che mangiare; però l’idea che qualcun altro potesse prendersela gli fece torcere le budella e così eccolo, a spaccare pietre dalla mattina alla sera per venti soldi.”Forestiero non ti pago per stare seduto” gli urlò il capomastro e si alzò. Ogni pietra che spaccava era un passo avanti e si costringeva a chiudere gli occhi, ricordandola seduta in quel campo durante quell’afoso giorno, mentre guardava il cielo e lui aveva trovato il suo.
Dopo pochi giorni Agata aveva messo sopra un casa fatta e finita; aveva iniziato a fare amicizia con le vicine di casa chiassose e forse un po’ troppo impiccione. Di fronte alla finestra nel cucinino viveva Donna Santa, moglie del custode del cimitero, da tutti conosciuto come il morto addormentato. Felice Mannino era alto e secco, con un’espressione stordita come se si fosse appena alzato dal letto; era guardato a vista da tutti poiché il dannato mestiere che faceva lo metteva continuamente a contatto con la pena che ogni uomo doveva subire, la morte. Così, ogni persona che passava di lì faceva le corsa, o diceva preghiere alla Vergine Santissima in silenzio, scatenando le grida della moglie che inviperita mandava maledizioni di ogni sorta; molte volte Maria le aveva detto sottovoce che secondo lei era la moglie la iettatrice e non il marito che ero addormentato due volte su tre. Agata la trovava invece molto laboriosa; la vedeva sveglia alle prime luci dell’alba che già si dava da fare ma anche molto scorbutica col marito e con i due figli, Nino e Pasquale che metteva a stecchetto meglio dell’arma di sua Maestà il Re. Attaccata a Donna Santa, viveva invece la signora Paola, molto criticata da tutti poiché non si era mai voluta sposare e preferiva vivere da sola “Forse durante il giorno, ma la notte li sento io i rumori strani”le aveva detto convinta Fortunata , l’altra vicina  che chissà per quale recondito motivo voleva a tutti i costi screditarla. Fortunata era una donna con folti capelli biondi e occhi chiari; aveva due figlie, che a prima impressione avevano una sola caratteristica: la superbia. La madre voleva a tutti i costi maritarle, ma aspirava a partiti eccellenti, e se il pastore aveva le mani che puzzavano di formaggio, il muratore le aveva imbrattate di calce e via dicendo. Agata provava ad ogni modo, ad inserirsi e pacificamente non patteggiava né con una e né con un’altra; anzi, era cordiale e gentile con tutti. La mattina governava la casa, faceva il pane aiutata da Maria e da sua suocera Anna ; nel pomeriggio si recava nei piccoli edifici dove riusciva ad acquistare qualche cereale a buon mercato e la sera si ritrovava da sola con la candela accesa, un pezzo di pane e qualche fico che aveva fatto essiccare. Metteva infatti da parte il cibo per il ritorno del marito, e si arrangiava come poteva aiutato da Maria che le vendeva qualche uovo o pezzo di formaggio. Un giorno mentre spazzava giù nelle scale vide che la casa aveva un piccolo spazio chiuso sotto di esse; subito le balenò in mente un’idea. Camminando, si diresse verso il mercato del paese, dove un giovane vendeva galline e decisa a voler tenere qualcuna si mise a contrattare; quando la vide l’uomo fu quasi sorpreso. ”Questi sono affari degli uomini e non vostri” ribatteva, mentre lei non badandolo minimamente continuava contrattare; dopo due ore e parecchie parole era riuscita a comprarne tre con un soldo. Soddisfatta grazie a due vecchi recinti trovati abbandonati per strada riuscì a mettere in piedi un pollaio di tutto rispetto e in men che non si dica la voce si era sparsa. Scaduta una settimana, Agata aspettava il ritorno del marito; intanto si guardava nel piccolo specchio mezzo rotto della stanza da letto e si vide completamente diversa. Un tempo sua nonna l’aveva avvertita di non farsi sottomettere dalla carestia o dalle situazioni; avrebbe dovuto sempre tenersi buona per il marito sennò avrebbe trovato rifugio nei posti altrui. Così si ritrovò ad allisciare i lunghi capelli castani ed a provare ad aggiustarsi il vestito, che le andava un po’ stretto e che sapeva che sarebbe stato inutile da lì a due mesi. Aveva preparato tutto il cibo che aveva risparmiato per una settimana intera così, seduta nel tavolino si mise ad aspettare;  fuori dalla casa era invece iniziato un via-vai di persone, per precisioni di uomini che dopo averla vista contrattare col mercante se ne erano infatuati. Ormai le loro mogli gli sembravano come i ceci vecchi del raccolto degli anni passati; i capelli di Agata erano decantati e il fisico delicato appena arrotondato e arricchito dai primi mesi della gravidanza era il tempio più attraente del mondo. Gli uomini passeggiavano, e Donna Santa cominciò a sospettare perfino un attentato al suo Felice; dall’altra parte Fortunata aveva gli occhi languidi e brillanti per l’eccitazione per tutta quella insolita processione. Finalmente Mariangela e Vituzza si sarebbero sposate; avrebbe così potuto sfoggiare il vestito che da anni teneva nel baule e che ogni tanto ricuciva perché bucato dalle tarme; ma era pronto all’utilizzo.
Noncurante di tutto questo, Agata era crollata sulla sedia mentre la notte era già scesa. Quando Giuliano entrò rimase di stucco nel vederla ancora lì; non sembrava più lei e una settimana pareva fosse stata un anno. Accese la candela che si era spenta e la prese fra le braccia mettendola sul letto; consumò in fretta la cena accomodandosi nel suo lato del letto; la guardò silenzioso. Agata aprì gli occhi e non credette che fosse davvero suo marito; lui alzò la mano e le carezzo il viso, non tremava più. Lei abbassò gli occhi e il suo stomaco brontolò. Giuliano come fulminato si era reso conto che forse lei nemmeno aveva mangiato, e quasi furioso ed indispettito si alzò dal letto per raggiungere la sua sacca che aveva poggiato poco prima sul tavolo; tirò delle pere e delle noci che aveva raccolto in montagna e le disse perentoriamente di mangiarle “Non ho di che farmene di una moglie morta di fame”. Mente Agata mangiava silenziosa, Giuliano la guardava stranito come se fosse in un altro pianeta; il gesto che lei aveva fatto l’aveva sorpreso; lei non si era mai dimostrata in fatti o parole attaccata a lui prima di allora. L’unica volta che erano stati insieme come marito e moglie era avvenuto si e no tre mesi fa; non fu tranquillo come una passeggiata, anzi lei era spaventata e lui ci era rimasto pure male in fondo. Da quel momento, tranne che per qualche carezza al viso nemmeno si era avvicinato, per paura di spaventarla; l’aveva scoperta come timida in apparenza, ma che in molti casi si tramutava in un qualcosa di più selvaggio e forte. Comunque la trovò bella e piena, anche se non più acerba come lo era stata un tempo; e anche se aveva almeno il desio di toccarla si trattenne dal farlo quando la vide persa e rossa in viso. “Grazie. Ho comprato i polli, e ho aggiustato quello che potevo in casa” disse mesta facendo il resoconto al marito che annuendo rispose:” Domani andrò a vedere io. Questa” disse mostrandole una saccuccia viola :”E’ la paga della settimana, voglio che la gestisci tu d’ora in poi. Mi hanno detto che posso andare a lavorare una settimana si e una no. Mi sono accordato con Don Pietro Miranno, e durante le settimane che sono qui farò da garzone nelle sue terre” concluse Giuliano. Agata annuì e gli disse mentre conservava i soldi sotto un mattone nel pavimento :” Ci serve un pezzo di terra e un forno. Per ora Maria mi lascia usare il suo, però debiti non ne voglio con nessuno”. Giuliano la guardò curioso e si chiese se una settimana bastasse per far crescere un cristiano; certo ciò che chiedeva era oneroso però avrebbe in qualche modo fatto. “ Mi informo e col tempo si fa” rispose sorridente. Agata annuì e si scoprì sorpresa nel vederlo sorridere, non era mai accaduto e così si girò  rossa in viso mentre si spogliava della gonna e si metteva la vestaglia da notte. Giuliano distolse lo sguardo, era anche lui rosso, imbarazzato da chissà che cosa non lo sapeva neanche lui; così si spogliò e si mise sotto le coperte. Agata lo raggiunse e lui ancora una volta l’abbracciò da dietro; lei mesta sorrise e chiuse gli occhi; quella notte il silenzio era più assordante del solito e mentre dormivano anche Giuliano pensò che valeva la pena rompere pietre anche con la testa, se alla sera l’abbracciava e sentiva il suo cuore pulsare. Aveva diciotto anni, e il desio animale del suo corpo lo sentiva  forte e chiaro, ma quella volta si riempì di altro e scoprì che davvero il silenzio della sua casa era scandito da sua moglie e dal loro figlio che dal suo ventre  li univa.

Continua.....





 
Grazie a tutti colore che hanno letto e recensito. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, devo ammettere che adoro scrivere di Agata e Giuliano e ne avrò per almeno altri due capitoli, dopodichè l'asse temporale si sposterà finalmente su Marianna, nipote di Agata e durante il secondo conflitto mondiale.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e attendo le vostre opinioni!
   
 
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