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Autore: MackenziePhoenix94    02/04/2020    0 recensioni
TERZO LIBRO.
“Sara inspira una seconda volta, vedo i suoi occhi scuri diventare lucidi ed una lacrima, ribelle, le scivola lungo la guancia destra.
“E se fosse cambiato? E se davanti ai miei occhi dovessi ritrovarmi un uomo completamente diverso da quello che ho conosciuto e di cui mi sono innamorata? Ho paura, Theodore” mi confessa con voce tremante “ho paura che Michael Scofield non esista più”.”
Dopo altri sette anni trascorsi a marciare in una cella a Fox River, Theodore Bagwell si trova finalmente faccia a faccia con ciò che lui ed i membri dell’ex squadra di detenuti hanno anelato per lungo tempo: la libertà.
La libertà di essere un normale cittadino.
La libertà di crearsi una nuova vita.
La libertà di lasciarsi il passato alle spalle per sempre.
Sono questi i piani della Serpe di Fox River, almeno finché il passato non torna a bussare con prepotenza nella sua vita tramite un oggetto apparentemente insignificante: una busta gialla e rettangolare, spedita dallo Yemen.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per un’intera settimana io e Teddy viviamo una favola d’amore pressoché perfetta, convivendo sotto lo stesso tetto come qualunque altra normale coppia; e fottendocene letteralmente di tutto e di tutti commettiamo il medesimo errore che lui per primo ha fatto non una, ma bensì due volte: creiamo la nostra fragile bolla di sapone destinata a svanire al primo alito di vento.

E ciò accade nel corso della mattina dell’ottavo giorno, poco dopo che Theodore ha accompagnato Benjamin a scuola: qualcuno bussa con insistenza alla porta d’ingresso della villetta, e nello stesso momento in cui apro la porta per accogliere l’ospite inaspettato, la nostra bolla di sapone s’infrange all’istante; di fronte a me, infatti, c’è una giovane donna dai lunghi capelli castani, avvolta in un cappotto nero e con in mano una busta gialla e rettangolare.

Anche se non l’ho mai vista prima in tutta la mia vita la riconosco all’istante, perché i suoi occhi azzurri ed i tratti del suo viso sono gli stessi di Benjamin.

Restiamo entrambe in silenzio, io con le labbra strette in una linea sottile e lei con uno strano ed indecifrabile sorrisetto, finché non decido di prendere in mano la situazione e di parlare per prima.

“So chi sei” le dico con freddezza, senza tanti preamboli inutili “che cosa vuoi? Perché sei qui?”

“Dovrei rivolgere le stesse domande a te. Theodore è in casa? Ho bisogno di parlargli con urgenza. Si tratta di una questione della massima importanza” mi domanda la giovane donna, guardando in direzione del salotto, ignorando apertamente ciò che le ho appena chiesto; ed anziché spostarmi e farla accomodare, l’affronto a muso duro.

“Ohh, sì, so tutto riguardo a questa ‘questione della massima importanza’ perché Teddy mi ha raccontato ogni cosa. Mi ha raccontato anche della vostra storia e del modo poco elegante in cui hai abbandonato lui e Benjamin. E ti posso dire che…”

“Ed io sono sicura che Theodore è abbastanza adulto da non aver bisogno dell’avvocato difensore che parli al posto suo. E, in ogni caso, ciò che riguarda me, lui o nostro figlio non sono affari che ti riguardano, visto che non so neppure il tuo nome ed il rapporto che ti lega all’uomo a cui sono stata sposata… Te lo ha detto che, tecnicamente, io e lui siamo ancora marito e moglie perché non abbiamo mai firmato le carte per il divorzio, anche se abbiamo celebrato le nozze in una chiesetta a Las Vegas?” l’ex moglie di Theodore non aspetta una mia risposta: mi scansa senza la minima traccia di gentilezza, facendomi sbattere contro lo stipite della porta, ed avanza con passo sicuro nel salotto, guardandosi attorno con il sorrisino enigmatico ancora stampato sulle labbra “puoi degnarmi della tua presenza, Teddy-Bear, o devo prendere appuntamento per parlare faccia a faccia con te?”.

Sto per protestare, restituendole la poca gentilezza che ha avuto nei miei confronti, ma vengo bloccata dal mio uomo, che ci raggiunge dal piano superiore dell’abitazione; mi basta un’occhiata per capire quanto sia furioso, ed il suo sguardo, l’ombra che è scesa nei suoi occhi scuri, mi provoca un lungo brivido che non riesco a reprimere.

Nicole, invece, lo fissa imperturbabile, continuando la stringere la busta gialla di cui ignoro il contenuto.

“Teddy, ho provato a fermarla…”

“Gracey, vai in camera mia” ordina lui, senza aggiungere altro, e quando provo a ribellarmi ripete l’ordine una seconda volta, urlando “ti ho detto di andare in camera mia, ora. E non farmelo ripetere una terza volta!”.

Chino il viso in avanti per nascondere le guance rosse dall’umiliazione e sono costretta ad obbedire, salendo velocemente le scale che portano al primo piano e ad entrare nella camera da letto del mio uomo; mi lascio cadere sul bordo del letto e stringo con entrambe le mani un lembo del lenzuolo, ancora frastornata da quello che è appena successo.

Ogni muscolo del mio corpo è teso fino allo spasmo, nell’atto di riuscire a captare qualcosa dal piano inferiore, ma tutto ciò che arriva alle mie orecchie è solo il rumore di passi e delle urla, seguiti da un silenzio così raggelante che per un istante mi ritrovo a pensare al peggio; ritrovo il respiro solo quando vedo la porta della camera aprirsi, dopo quella che ai miei occhi è sembrata un’eternità, ed apparire Theodore.

Il mio sollievo, però, dura pochissimo.

Giusto il tempo di notare il pallore anormale del suo viso e lo sguardo stravolto.

“Teddy?” domando, incerta, senza sapere se aggiungere altro o attendere una sua risposta “Teddy, stai bene? Quella donna se ne è andata?”

“No e… No, mi sta aspettando. Io… Devo assentarmi di nuovo per qualche giorno”.

Spalanco gli occhi e lascio ricadere le braccia lungo i fianchi, incredula.

Ecco, penso con un gemito, l’inizio della fine.

“Ma… Teddy…” balbetto, dopo aver incassato il colpo “non puoi farlo, non puoi andare con quella donna dopo quello che ti ha fatto… Dopo il modo in cui ti ha trattato a Creta! Avevi detto che non volevi più avere nulla a che fare con questo casino, che d’ora in poi ci saremo stati solo tu, Benjamin ed io!”

“Ricordo benissimo quello che ho detto. Ma è successo un imprevisto e… Devo andare”

“Un imprevisto? Che genere d’imprevisto?” domando, cercando un contatto visivo con lui “è qualcosa che ha a che fare con la busta gialla che Nicole aveva in mano? Che cosa ti ha detto? Cosa c’era dentro quella busta? Ti rendi conto che molto probabilmente ti ha rifilato un’altra serie infinita di bugie solo per coinvolgerti di nuovo…”

“No” m’interrompe con un ghigno, scuotendo la testa “no, Gracey, ti posso assicurare che in questo caso non si tratta di una bugia. Credo di aver finalmente capito perché sono stato coinvolto nel piano di Scofield e non posso più tirarmi indietro, non dopo quello che ho visto. E tu devi rimanere qui con Ben, voglio sapervi entrambi al sicuro. Un paio di giorni e sarà tutto finito, e questa volta sono serio, non si tratta di parole al vento”

“Ma è già tutto finito per noi…” ribatto, cercando di fargli cambiare idea “hai rischiato la vita ben due volte per un uomo che ti odia e per una donna che ti ha scaricato come se fossi un sacchetto della spazzatura. Non devi niente a quelle persone, non c’è assolutamente nulla che ti lega a loro, Theodore…”

“Lo credevo anche io fino a poco fa”

“Theodore, ti prego, non andare” lo supplico, allora, avvicinandomi a lui e prendendolo per mano “lo so che ti sembrerà stupido, ma ho una brutta sensazione riguardo a tutta questa faccenda. Ho paura di non vederti tornare”.

Non riesco a reprimere un tremolio nella voce che ben presto si trasforma in un singhiozzo, ed a nulla servono le braccia di Theodore che mi avvolgono i fianchi, perché so di non essere riuscita a fargli cambiare idea e che questo si tratta di un addio.

“Ti prometto che questo non accadrà” mormora, poi, il mio uomo, sollevandomi il mento con l’indice ed il pollice della mano destra “risolverò ogni singola cosa e tra qualche giorno farò ritorno. E quando questo accadrà, ti prometto che ce ne andremo il più lontano possibile da Chicago: noi due e Benjamin inizieremo una nuova vita in un altro Stato. Te lo prometto, ed io mantengo sempre le mie promesse… D’accordo?”.

Non gli credo.

Non riesco a credergli proprio a causa della sgradevole sensazione che non riesco a scrollarmi dalle spalle; eppure non gli dico nulla di tutto questo e mi limito ad annuire con la testa prima di chiudere gli occhi e lasciarmi baciare, un’ultima volta, dall’uomo che amo.

Lo seguo al piano inferiore, laddove Nicole ci sta aspettando con le braccia incrociate ed un’espressione irritata, come se avesse fretta di uscire il prima possibile da qui; non le rivolgo la parola, ma non riesco a trattenermi dal lanciarle un’occhiata che esprime il profondo astio che provo nei suoi confronti.

La odio.

Non solo ha spezzato il cuore a Theodore, calpestandolo senza alcun ritegno.

Adesso sta facendo qualunque cosa per rovinare la nostra relazione.

Stringo le mani attorno alla balaustra che c’è sotto il portico della villetta e con gli occhi seguo la vettura nera allontanarsi, finché non scompare dalla mia visuale: per la seconda volta, nel giro di poco tempo, mi ritrovo da sola, confusa, e senza la certezza di vedere Teddy tornare a casa.

E la parte peggiore è che mi devo occupare di spiegare ogni singola cosa a Benjamin.



 
Non posso raccontare ad un bambino di sette anni che suo padre ha un passato da criminale e psicopatico, o che sua madre è una grandissima stronza con un cuore più duro della pietra.

E non posso neppure raccontargli che entrambi sono coinvolti in un losco affare che riguarda un agente deviato della CIA.

Di conseguenza, sono costretta a ripiegare di nuovo sulla menzogna della nonna gravemente malata.

“Ha avuto una ricaduta improvvisa” spiego, dopo il rientro da scuola, senza mai staccare gli occhi da quelli di Ben, sforzandomi di non pensare a quanto siano terribilmente simili a quelli della madre “Theodore ha ricevuto una chiamata piuttosto allarmata ed è stato costretto a partire immediatamente… E questo significa che noi due dobbiamo trascorrere ancora qualche giorno insieme, senza di lui”

“Una ricaduta?”

“Sì, purtroppo tua nonna è molto malata e non le resta tanto da vivere. Tuo padre vorrebbe essere a suo fianco quando arriverà quel fatidico momento”

“Ho capito” mormora il ragazzino, e per un solo istante m’illudo di essere riuscita a convincerlo davvero “ma se è andato dalla nonna, perché la sua macchina è in garage?”.

Cazzo.

Nella bugia che ho appena rifilato a Benjamin mi sono completamente dimenticata di un particolare non del tutto indifferente: Theodore se ne è andato con la macchina della sua ex moglie; la sua Mustang nera è ancora parcheggiata nel garage, come Ben mi ha appena fatto notare.

Fortunatamente, però, riesco ad inventare rapidamente un escamotage.

“Ha deciso di prendere l’aereo. Dal momento che la situazione sembra essere molto più seria dell’ultima volta, temeva di arrivare troppo tardi se avesse affrontato il lungo viaggio in macchina”

“Ed è andato all’aeroporto a piedi?” insiste lui, piegando il viso verso destra.

“Sì, aveva bisogno di rinfrescarsi un po’ le idee, ed ha preferito lasciare a me la macchina per ogni evenienza”.

Questa volta penso di essere riuscita a convincerlo, ma sono costretta a ricredermi appena poche ore più tardi, quando sento dei rumori provenire dalla camera da letto di Theodore e scopro Ben seduto sulle piastrelle del pavimento del bagno, con in grembo un cassetto vuoto, che lui stesso ha sfilato da un mobile alle sue spalle.

“Mi hai mentito” mi accusa, prima che io possa chiedergli spiegazioni “lui non è andato a trovare mia nonna. Non credo neppure che lei esista. Lo vedi questo? Questo è il cassetto in cui Theodore tiene la sua pistola… Perché avrebbe dovuto portarla con sé se sta andando veramente a trovare sua madre in Alabama?”

“Benjamin, ti posso assicurare che tuo padre non aveva nessuna pistola con sé. Forse l’ha nascosta in un’altra stanza perché ha capito che tu sapevi della sua esistenza”

“Balle!”

“No, non sono balle! E non dovresti usare questo linguaggio. Devi credermi, Ben” mi siedo a mia volta sul pavimento, a suo fianco “tuo padre è andato davvero in Alabama. Tra qualche giorno tornerà e potrai chiederglielo tu stesso, ma devi promettermi una cosa molto importante: niente nottate dentro la casa sull’albero per far tornare Theodore prima a casa, e nient’altro di simile, d’accordo? Questi giorni, durante la sua assenza, devono trascorrere nel modo più tranquillo possibile. Allora? Abbiamo un patto?”.

Mostro al piccolo criminale il palmo della mano destra, aspettando che lui ricambi la stretta, suggellando così la nostra alleanza per una convivenza pacifica e tranquilla; Ben mi rivolge uno sguardo scettico ed una smorfia, ma alla fine cede, mi stringe la mano e ripone il cassetto nella corrispettiva fessura del mobile.

Abbiamo entrambi bisogno di svagarci in questo momento, e così decido di coinvolgere il ragazzino nella preparazione di una crostata alla frutta.

E poi, stendere l’impasto con il mattarello mi aiuta a rilassare i nervi.

Soprattutto quando fingo che sia il volto di Nicole.

“Sono contento che, alla fine, abbiate deciso entrambi di fare un passo avanti” commenta Benjamin, all’improvviso, attaccando alcune fette di mela che ho appena tagliato e sbucciato con cura “non ho mai visto Theodore così felice come negli ultimi giorni”

“Dici davvero?” domando, con un sorriso, sentendomi leggermente in colpa per i pensieri poco gentili nei confronti di sua madre.

Chissà quale sarebbe il suo giudizio se sapesse la verità.

“Sì, dico davvero… Ohh, hanno bussato alla porta! Vado io!”

“No, vado io!” lo blocco prima che possa scendere dallo sgabello  e correre in salotto “tu resta qui e non muoverti”.

Non so perché, ma vengo nuovamente travolta dalla sgradevole sensazione che mi ha aggredita nel momento della partenza di Theodore.

Perché qualcuno dovrebbe presentarsi davanti alla porta d’ingresso a quest’ora?

Perché proprio quando lui non c’è?

Ma, soprattutto, chi è quel ‘qualcuno’ che continua a bussare?

Per la prima volta, in tutta la mia vita, vorrei avere una pistola carica tra le mani, anziché uno strofinaccio da cucina.

Poso il panno sopra al tavolo, raccomando ancora una volta a Ben di non muoversi, e con passo incerto mi dirigo in salotto; mi avvicino alla porta d’ingresso, allungo la mano destra e giro il pomello, socchiudendola appena, pronta ad affrontare qualunque pericolo.

Nessuno.

Dall’altra parte non c’è nessuno.

Esco e mi guardo attorno, controllando sia il portico che il piccolo giardino avvolti dal silenzio più assoluto; attendo qualche istante e poi rientro in casa lasciandomi scappare una risata divertita, dandomi della stupida per i miei nervi a fiori di pelle.

“Perché stai ridendo?”

“Nulla, Ben… Comunque non c’era nessuno alla porta. Di sicuro si è trattato dello scherzo di qualche ragazzino” commento, agitando una mano con noncuranza, tornando a concentrarmi totalmente sulla crostata alla frutta.

Ma lo ‘scherzo di qualche ragazzino’ si trasforma in qualcosa di molto più serio quando, nel cuore della notte, vengo svegliata da un forte rumore; mi siedo sul materasso e rivolgo lo sguardo in direzione del corridoio, in attesa di sentirlo di nuovo.

 E poco dopo, infatti, il rumore si ripete.

Mi alzo ed esco dalla stanza cercando di non far scricchiolare le assi del pavimento e mi porto l’indice destro sulle labbra quando la testolina di Benjamin compare dalla sua camera da letto; gli faccio cenno di ripararsi lì dentro, prendo un profondo respiro, ed inizio a scendere le scale, facendo attenzione a non inciampare nel buio e con il battito del mio stesso cuore che mi martella nelle orecchie.

Non appena i miei piedi toccano il pavimento del salotto, la mia mente viene attraversata da un pensiero che mi raggela il sangue nelle vene: molto probabilmente sono a pochi passi da un intruso… Completamente disarmata.

Ma prima che il panico possa congelarmi il cervello, mi ricordo un particolare risalente alla prima volta che sono entrata nella villetta; un particolare che in quell’occasione mi aveva colpita per la sua bizzarria: Theodore custodisce un cacciavite proprio sopra ad una mensola in salotto.

Avanzo nell’oscurità più totale, con entrambe le mani appoggiate sulla parete alla mia sinistra, procedendo a piccoli passi, alla ricerca del cacciavite; e quando lo trovo e stringo l’impugnatura nella mano destra, mi sento in parte più sollevata.

Un altro tonfo mi coglie del tutto impreparata, seguito da delle parole borbottate a bassa voce, proveniente dalla cucina ed è proprio là che mi dirigo, fermandomi sulla soglia della porta: l’intruso è a pochi passi di distanza da me, appoggiato al lavandino; non si è ancora accorto della mia presenza perché è chinato in avanti, intento ad osservare qualcosa sul pavimento, ed io approfitto del suo attimo di distrazione per attaccarlo a sorpresa, commettendo quella che, forse, è l’azione più stupida che abbia mai fatto.

Con un urlo lo aggredisco alle spalle, saltandogli sulla schiena, spingendolo contro il pavimento con l’intento di immobilizzarlo, senza però considerare un piccolo particolare: lo sconosciuto è molto più alto e robusto di me, ed infatti, in un battito di ciglia, le nostre posizioni si ribaltano ed il cacciavite finisce nelle sue mani; provo a ribellarmi, scalciando nella speranza di colpirlo, apro la bocca per urlare a Benjamin di chiamare subito il noveunouno, ma una mano grande e calda mi copre le labbra, soffocando la mia richiesta.

“Faresti meglio a calmarti, Gracey, non ci tengo a ricevere una ginocchiata nei gioielli di famiglia”.

Mi blocco nello stesso istante in cui sento una voce maschile e strascicata pronunciare il mio nome, e contemporaneamente la mano sparisce dalla mia bocca, consentendomi di parlare.

“Come fai a conoscere il mio nome?”

“Perché io faccio parte dei buoni, dolcezza”.

Lui si alza, sento chiaramente sparire il peso che gravava sul mio corpo, ed un attimo dopo le luci della cucina si accendono, rivelando finalmente i tratti dell’intruso, che appartengono ad un ragazzo alto, slanciato, dalle spalle larghe; allunga la mano destra per aiutarmi, ma io lo allontano in modo brusco, mi alzo e retrocedo di qualche passo, andando a sbattere con la schiena contro una parete.

“E da quando i buoni entrano nelle case delle persone nel cuore della notte?” domando, rivolgendogli uno sguardo diffidente, e la risposta non si fa attendere.

“Da quando la persona che devono proteggere non apre loro la porta, dolcezza”

“Ma… Allora eri tu! Credevo fossero dei ragazzini…” mormoro, concentrandomi poi su alcune delle parole che ha pronunciato “proteggere? E chi dovresti proteggere?”

“Non è evidente dal momento che sono entrato in questa casa? Ho ricevuto l’ordine di proteggere te e Ben finché tutto non si sarà risolto nel migliore dei modi… Non dirmi che sei una di quelle ragazze belle, ma senza un briciolo di cervello… Ma che razza di domanda è ‘chi dovresti proteggere’?”

“Fermo, fermo, fermo!” esclamo, allungando entrambe le braccia, ignorando i primi sintomi di un fastidiosissimo mal di testa “io non… Io non sto capendo nulla. Si può sapere chi cazzo sei tu e per quale motivo ti sei intrufolato qui dentro?”.

Il ragazzo sconosciuto, di cui ancora non conosco il nome, solleva gli occhi e sbuffa, seccato dalle domande che gli ho appena rivolto, e ciò non fa altro che irritarmi: chiunque, al mio posto, vorrebbe ricevere delle risposte immediate se venisse svegliato in piena notte da un intruso che entra da una finestra della cucina.

“Allora non hai ascoltato una sola parola: ti ho detto che faccio parte dei buoni e che sono stato mandato qui per proteggere te e Benjamin. È stato lui a mandarmi. Ho provato ad oppormi, ma non sono riuscito a fargli cambiare idea… A quanto pare deve avermi scambiato per un baby-sitter, o forse è il suo modo per vendicarsi del pugno che gli ho dato”

“Ma di chi stai parlando?”

“Come sarebbe a dire ‘di chi stai parlando’? Sto parlando di Theodore, ovviamente”

“E si può sapere come diavolo fai a conoscere Theodore?” domando, sempre più confusa.

E la risposta secca, chiara e lineare che ricevo mi lascia sbalordita.

Letteralmente senza parole.

“Perché lui è mio padre”.
   
 
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