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Autore: Tati Saetre    09/04/2020    16 recensioni
Ricordati che le i taxi a Londra sono neri, Bells. Non gialli. Neri. La raccomandazione di Charlie fa scattare una lampadina nel mio cervello, mentre porto una mano alla mia bocca.
Non ci posso credere.
Sono entrata in macchina di uno sconosciuto.
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Sono passati 11 anni dalla mia iscrizione su EFP.

10 anni dalla prima pubblicazione di Taxi?!, che vi è piaciuta davvero molto. Volevo farvi un regalo per questi 11 anni, sia per l’anniversario ed anche per alleviare di più il periodo che stiamo passando. Quindi, Taxi?! Dopo ben 10 anni diventa una long. E’ nata così, dal giorno alla notte. 10 anni fa avevo in mente questa idea, e l’ho trasformata in una piccola one shot. Senza studiarmi una trama, nulla. Vorrei riprenderla con quella spensieratezza lì. Spero che vi piacerà!

Grazie mille e buona lettura <3



Primo capitolo - Taxi?!


Bella


Resto a guardare il mio riflesso nello specchio per un po’, chiedendomi se sono davvero a posto. Il completo che ho scelto è composto da un pantalone che cade giù a palazzo, una camicetta bianca che ho cercato di sistemare dentro i pantaloni e la giacca che è il mio portafortuna: l’ho sempre indossata per i miei colloqui più importanti. Non che questo sia un colloquio, eppure l’ansia sta toccando livelli maggiori di quanto mi aspettassi.

Bella Swan, hai studiato cinque anni come una pazza per diventare un avvocato. Sei stata la schiava dello studio Volturi per due anni interi, che non si possono definire proprio gavetta. Hai portato avanti lo studio con le cause pro bono, senza mai guadagnare quanto ti spettasse davvero. Se ce l’hai fatta fino ad ora, puoi continuare anche qui.

E’ il mantra che ripeto dentro la mia testa, sperando che mi aiuti sul serio. Ma non serve a un granché il mio auto convincimento. Sono sul serio consapevole di tutto quello che sono in grado di fare, eppure… ancora non capisco perché mi hanno spedita qui. In un altro paese, lontana anni luce dalla mia famiglia e da quello che avevo cercato di costruirmi nell’ultimo tempo. Con uno sbuffo chiudo la porta del piccolo appartamento dietro di me, e le chiavi che ho in mano scivolano per terra con un tonfo. Sono talmente sudate dal nervosismo che nemmeno voglio immaginare come sarà entrare nel nuovo studio.

Un nuovo studio.

Una nuova città.

Io, da sola.

Scendo con calma le scale, per non rischiare di fare la fine delle chiavi. I tacchi che indosso non sono altissimi, ma nemmeno troppo bassi per il mio equilibrio precario. Ti prego, fa che non cada da nessuna parte.

Raggiungo il portico con la vista annebbiata, perché l’agitazione si è moltiplicata. Menomale che cinque minuti fa cercavo di auto convincermi.

“Buongiorno.” Apro la portiera della macchina senza pensarci due volte, e mi catapulto subito tra i sedili posteriori. Mi lascio cinque secondi per capire quanto sono morbidi e profumati, del tutto differenti da quelli a cui sono abituata a Seattle.

Mi scusi?” Il guidatore mi guarda dallo specchietto, e noto soltanto i suoi occhi verdi come smeraldi. Ha le sopracciglia aggrottate, e la sua espressione non sembra delle più felici. Me l’avevano detto che gli inglesi non erano i più simpatici per eccellenza, eppure questo non fa un sorriso nemmeno a pagarlo.

“Studio Cullen&McCarty, grazie.” Intanto tiro fuori dalla borsa la mia cartellina, quella con tutti i casi che ho seguito da quando mi sono laureata ad ora. Quella che devo dare al mio nuovo capo. Nuovo capo al quale devo sottostare per altri anni. La sfoglio, rendendomi conto di tutto il culo che mi sono fatta nella mia vita per guadagnarmi quella promozione tanto agognata… promozione che non è mai arrivata. Alzo lo sguardo quando noto che il tassista non è partito, è ancora lì ad osservarmi.

“Senta, è il mio primo giorno di lavoro. Primo giorno di lavoro a Londra, per la prima volta. Quindi mi farebbe il piacere di andare, per favore?” Stavolta non se lo lascia ripetere, ingrana la marcia e parte. Senza che gli dica niente, percorre lentamente le strade londinesi già affollate alle nove del mattino.

“Primo giorno a Londra, eh?” La sua domanda è curiosa, e chi sono io per non rispondergli? Infondo sta cambiando il suo atteggiamento da quando sono salita qui dentro. Sembra più cordiale.

“Già. Spedita qui da Seattle dal capo più viscido che abbia mai avuto in tutta la mia vita. Ma questo di certo non mi fermerà! No, perché io sono Isabella Swan! Ho lottato con tutta me stessa per arrivare dove sono, certo, non è l’aspettativa più grande che avevo fare da gavetta a quel viscido e poi essere spedita a Londra per ricominciare a fare la gavetta di nuovo, però non mi lamento.”

Isabella…” Dice lui sovrappensiero.

“Sì, un nome italiano. Ma di italiano non ho proprio niente. Né un parente alla lontana, niente. Non so perché i miei abbiano deciso di chiamarmi così, non gliel’ho mai chiesto in realtà.” Penso che è vero, non ho mai chiesto a Charlie e Renée perché mi hanno chiamata così. “Ma Bella basta. Anche se quel viscido mi chiama sempre Isabella. Tende ad aspirare molto bene la prima parte del mio nome, facendomi venire i brividi ogni volta. Brr.” Mi strofino le braccia perché sento la pelle d’oca riaffiorare al solo pensiero. “Eppure a quello non è fregato niente di spedirmi a Londra. Lo stronzo.” Lo so che sto sproloquiando, e credo che il tassista stia pensando che sono una pazza da legare. Ma mi fa bene sfogarmi prima di andare al colloquio, magari buttare giù tutto mi aiuterà ad affrontare meglio la giornata.

“Come mai un viscido?”

Come mai?” Quella che esce dalle mie labbra è la risata più riprovevole che potessi fare. “Fa schifo. Ah, so che non si dice eppure è così. Aro Volturi è un ninfomane, uno di quelli che preferisce entrare nella gonna delle sue dipendenti invece di rendersi conto delle loro capacità. Le loro vere capacità.”

“E’ entrato anche nella sua di gonna?” Da dietro gli lancio un’occhiata che potrebbe mandarlo in mille pezzi.

“Secondo lei? No, certo che no. Ecco perché sono qui. Ho detto di no alle sue avance subdole, e invece di darmi l’agognata promozione che mi sono davvero sudata, ha preferito spedirmi allo studio affiliato: Cullen&McCarty. Dal giorno alla notte. Isabella, i tuoi servizi sono troppo per noi. Vai a prendere un po’ d’aria da un’altra parte.” Nuovi brividi si impossessano di me al pensiero di quella chiacchierata. “Anche l’ultima volta ci ha provato. Pensava che dicendomi del trasferimento sarei stata disposta a patteggiare, ma si sbagliava di grosso. E quindi, eccomi qui.”

“E quindi ora lavorerà da Cullen&McCarty, eh?”

“Li conosce?” Non risponde, continuando a puntare lo sguardo sulla strada. “Io non ne so molto in realtà. Le voci che girano allo studio Volturi sono tante, ma non so a quali credere. C’è chi dice che il signor McCarty sia la personificazione vivente di un orso. Grande e grosso, ma dicono anche che sia un bambino mai cresciuto fuori dal lavoro. Aro dice sempre che se lo mangerebbe vivo, se dovesse incontrarlo da qualche parte. Anzi, Aro parla male proprio di entrambi. Ma ce l’ha a morte con il signor Cullen.”

“Ah, sì?”

“Credo che è per una grossa perdita che gli ha fatto subire l’anno scorso. Aro aveva in pugno un cliente che tutti avrebbero voluto avere, ma alla fine lui è andato a farsi a rappresentare da Cullen. Per non parlare di quando Volturi è venuto qui a Londra per parlarne con lui! Non dimenticherò mai quando è tornato a Seattle. Nero dalla rabbia! Ha sfasciato tutto il suo ufficio, rotto i mobili, strappato tutti i documenti che poi la sottoscritta ha dovuto rimettere a posto come se fossero dei puzzle. Lo odia, Aro. Va beh, ma a lei che gliene importa? Mio padre dice sempre che quando sono agitata tendo a parlare troppo, le chiedo scusa.”

“Oh, no. Vada avanti.”

“Alla fine, Aro si è vendicato per bene.”

“E cosa ha fatto?”

Cosa fa, vuole dire. Si scopa la sua dipendente preferita, cioè Jane!” Dopo la mia rivelazione la macchina inchioda, facendomi sbilanciare in avanti di qualche centimetro. “Tutto bene?” Domando, ma il tassista annuisce.

“Che ha di tanto importante questa… Jane, giusto?”

“Esatto, Jane. E’ la ragazza di Cullen! Jane è di Seattle, stando alle voci si sono conosciuti proprio durante una conferenza con i due studi legali. Non ho mai visto Cullen, non so come sia, ma lei… beh, lei è una vera zoccola. Non solo con Aro, ma con il resto dell’ufficio. Aro voleva vendicarsi per quello che gli aveva fatto Cullen, e Jane…”

“Jane?” Mi incita a proseguire.

“Jane voleva sfilarmi la promozione. Era nelle mie mani, mancava soltanto la firma di Aro. Ma a lei non andava giù che portassi più soldi e più cause vinte di quante ne avesse mai fatte lei, così dente per dente occhio per occhio. Aro ha avuto la sua vendetta, e Jane mi ha sfilato il posto di lavoro che tanto volevo. Levandomi totalmente dai piedi. A volte mi chiedo se non sia stata sua l’idea di farmi venire quaggiù.” Mi rattristisco un po’, iniziando a torturarmi le mani. Davvero vivo in questo mondo? Dove per fare carriera devi sottostare alle regole di chi è sopra di te? Anche a quelle più subdole? Beh, preferirei lavorare in fast food piuttosto che farmi scopare da Aro.

“Vedrà che Londra le piacerà, Isabella.” Anche l’autista aspira la prima parte del mio nome, ma non è come quando lo fa Aro. Suona bene, dalla sua bocca.

“Lo spero vivamente. Non ho né la voglia né la forza di cercarmi un altro posto di lavoro, e ricominciare da zero. Oh!” Butto uno sguardo fuori dal finestrino, notando il grattacelo davanti a me. “Siamo arrivati?”

“Cullen&McCarty, siamo arrivati.” Dice lui, mentre tiro fuori il portafoglio dalla mia borsa.

“Quanto le devo?”

“Facciamo che questa corsa è gratis. Un regalo per il suo primo giorno di lavoro a Londra.”

Cosa?! No! Assolutamente no. Non solo non si vuole far pagare il suo lavoro, ma si è sorbito anche tutte le mie lamentele. Non esiste!”

“Un regalo di benvenuto.” Dallo specchietto guardo di nuovo quegli occhi color smeraldo, che stavolta incendiano me.

“Io… non so davvero come ringraziarla. Grazie, davvero.” Apro lo sportello, mi trascino fuori e resto per un po’ imbambolata davanti all’enorme edificio.

“Sicuramente troverà il modo di ripagarmi.” L’autista alza la voce, mentre non faccio in tempo a rispondergli riparte sgommando verso la sua nuova destinazione.

In quel momento un’altra macchina si accosta, nera e piccolina. Con sopra la scritta TAXI. Quella in cui sono entrata io non era né nera e né piccolina. Era gialla. Gialla, grande e profumata.

Fa che non sia così.

Ricordati che le i taxi a Londra sono neri, Bells. Non gialli. Neri. La raccomandazione di Charlie fa scattare una lampadina nel mio cervello, mentre porto una mano alla mia bocca.

Non ci posso credere.

Sono entrata in macchina di uno sconosciuto.



Dopo che mi hanno registrata alla reception, con il badge al mio collo prendo l’ascensore che mi porta al trentesimo piano. Il viaggio è più breve del previsto, e non faccio altro che pensare a cosa ho appena fatto. Quello poteva essere un maniaco, un assassino, eppure mi ha portata senza dire nulla allo studio. Non mi ha cacciata dalla sua macchina, ed è stato silenzioso per tutto il tempo in cui gli ho raccontato la mia vita. Dio, devo avergli fatto una pena. Mentre esco dall’ascensore penso che Londra è grande, e che non lo incontrerò mai più. Questo pensiero fa scemare le mie paure, e l’ansia da prestazione che avevo all’inizio di questa giornata si impossessa di nuovo di me.

Sono arrivata. Questo sarà il mio studio per i prossimi giorni. Le pareti sono bianche, e una ragazza dai capelli corvini mi viene incontro con un sorriso stampato sulle labbra.

“Tu devi essere Isabella Swan! Io sono Alice Brandon, gli occhi e le orecchie di questo posto. Accomodati pure lì, tra poco gli avvocati ti riceveranno.” Annuisco senza dirle niente, mentre mi siedo sulla poltrona che mi ha indicato. Alice Brandon è il clone di Jessica Stanley, la segreteria dello studio Volturi. Cos’è, hanno uno standard per selezionarle così uguali? Anche Jessica è gli occhi e le orecchie di Seattle, eppure ultimamente avevo iniziato ad instaurare un bel rapporto con lei. Credo sia una delle poche che Aro non si sia portato a letto, perché Jessica è sposata ed ha una famiglia molto allargata. Mentre aspetto che mi ricevano tiro fuori di nuovo la cartellina, e stringo i bordi come se ne dipendesse la mia vita.

E se non mi accettano? Se m rispediscono a Seattle? Aro non mi riprenderà mai più indietro, e lì dovrò davvero cercarmi un lavoro un un fast food. Sempre che il fast food voglia assumermi.

Sono tante le paure che si insinuano dentro di me, mentre Alice Brandon si avvicina sempre sorridente.

“E’ la porta alla fine del corridoio. Ti stanno aspettando. Buona fortuna, Isabella!”

“Bella basta.” Le sorrido di rimando, cercando di non far cedere le gambe mentre cammino verso quella porta.

La porta del mio futuro.

Busso piano, e dopo un semplice ‘avanti’ giro la maniglia lentamente. La prima cosa che vedo è un omone che mi da le spalle. Parla con qualcuno davanti a lui, ma non riesco a vedere chi è. Si gira, e con un sorriso a trentadue denti allunga una mano nella mia direzione.

“Isabella Swan, sono Emmett McCarty. E’ un piacere conoscerla. Mi hanno parlato molto bene di lei.” Addirittura? Ricambio la stretta, accennando un sorriso. Quando si sposta di qualche centimetro, la cartellina che tenevo in mano con così tanta premura cade a terra, e tutti i fogli che erano dentro si sparpagliano sul tappeto nero.

“Isabella Swan.” Aspira di nuovo sulla prima parte. “Sono Edward Cullen. Benvenuta a Londra.”

No. No. No. No. No!

Quello lì non sarebbe mai stato uno sconosciuto.

Quello lì è Edward Cullen. Davanti a me, con un ghigno sulle labbra che mi tende una mano.

Edward Cullen è il mio tassista.

E io vorrei che una voragine mi risucchiasse in questo preciso istante.


-


Sono curiosa, chi è ancora qui dopo 10 anni?

   
 
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