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Autore: heliodor    09/04/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Ciò che desideri

 
Shani sedeva a gambe incrociate sulla stuoia da diverse ore. Oren l’osservava ogni tanto chiedendosi come riuscisse a restare immobile per tutto quel tempo. Solo osservandola bene riusciva a cogliere ogni tanto un cambiamento nella postura o nella posizione delle gambe.
La ragazza sbatté le palpebre come se si fosse svegliata da un profondo sonno e gli lanciò un’occhiata divertita.
“Da quanto tempo sei lì?”
“Abbastanza da chiedermi se stessi dormendo o meno.”
“Non dormivo” fece lei rilassando le gambe. “Cercavo risposte.”
“Dove?”
“Dentro di me” disse lei come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Oren la fissò senza capire.
Shani sospirò e disse: “Nella mia mente e nell’anima.”
“Anima?”
“È la parte di noi che sopravvive dopo la morte.”
“Noi li chiamiamo spiriti” disse ricordando le lezioni che l’unico sacerdote del villaggio impartiva di tanto in tanto alla popolazione che ne faceva richiesta.
“È lo stesso, credo. Anima, spirito, soffio di vita. Ha tanti nomi.”
“E ha anche le risposte?”
Shani sorrise. “Vuoi provare anche tu a interrogare il tuo spirito?”
“Cosa potrei chiedergli?”
“Se stai facendo la cosa giusta, se hai fatto bene a prendere quella decisione importante invece di un’altra, cosa è davvero importante per te, che cosa desideri più di ogni altra cosa.”
“Quello che desidero di più è che la guerra finisca” disse Oren sicuro.
“Ne sei certo? Potresti rimanere sorpreso interrogando il tuo spirito.”
“Non so se sono capace. Sembra difficile.”
“Posso guidarti io, la prima volta. Wei Fu fece lo stesso con me quando iniziai a interrogare lo spirito.”
“D’accordo” disse Oren. “Che cosa devo fare?”
Shani gli fece posto sulla stuoia. “Siedi qui a gambe incrociate.”
Oren ubbidì e si piazzò sulla stuoia.
“Rilassa i muscoli. Fai respiri profondi. Chiudi gli occhi.”
A ogni ordine di Shani cercava di fare nel modo giusto.
“Bene, così” disse la ragazza. “Ora pensa a uno specchio.”
“Uno specchio?” fece Oren.
“Immagina uno specchio che riflette la tua immagine.”
Non è difficile da fare, pensò mentre nella sua mente evocava l’immagine di uno specchio. Era un bello specchio con la cornice di metallo brunito, di quelli che sua madre aveva avuto in una delle camere dove filava i tessuti e confezionava abiti per gli abitanti del villaggio.
Quel pensiero lo portò a visualizzare l’intera stanza.
“Immagina di essere davanti allo specchio” disse la voce di Shani.
Oren visualizzò sé stesso al centro della stanza, davanti allo specchio. L’immagine riflessa gli restituì un ragazzo sui diciannove anni, dai capelli scuri e il naso un po’ ricurvo.
“Vedi la tua immagine?”
“Sì” disse.
“Avvicinati allo specchio.”
Oren ubbidì, cercando di immaginare la sua immagine che si allargava, diventando più nitida.
“Avvicinati finché non vedi solo te stesso.”
L’Oren nello specchio lo fissò per qualche istante. Immaginò di allungare il braccio e sfiorare con le dita la superficie di vetro.
“Ora voltati” ordinò Shani.
Oren immaginò di girare la testa.
“Che cosa vedi?”
La stanza in cui si trovava somigliava a quella in cui aveva passato i suoi giorni quando viveva con i genitori.
Tutto era immerso in una luce soffusa, come se il sole fosse appena sorto sopra di loro, anche se non c’erano finestre da cui poteva filtrare la luce.
“La mia casa” rispose Oren. “Quella in cui vivevo a Pelyon. Con mamma e papà.”
“Puoi vederli?”
Due figure presero forma al centro della stanza.
“Sì.”
“Guardali da vicino.”
Le due figure erano avvolte dalla foschia.
No, pensò. Non avvolti. Sono fatti di foschia.
Suo padre aveva l’espressione serena, come se fosse appena tornato da una giornata di lavoro giù alla darsena.
Sua madre lo attendeva con le mani distese lungo i fianchi. Sembrava che stesse per camminare fuori dalla stanza, come se avesse qualcosa di più importante da fare.
Oren passò una mano attraverso il padre e la figura si dissolse nell’aria. Tirò via la mano di scatto, come se si fosse scottato.
“Che cosa hai visto?” chiese Shani.
“Sono come ombre” rispose.
“Interessante” fece la ragazza. “Io le vedo come statue. Di solito.”
Avvicinò la mano alla figura della madre e questa si dissolse nell’aria.
“Scompaiono se le tocco” disse guardandosi la mano.
“Sono i tuoi desideri” spiegò Shani. “Il kah ti aiuterà a scoprire quali sono.”
“Desidero i miei genitori.”
“Forse ti mancano.”
Aveva detto a Shani che erano morti per un’epidemia. “Rivederli è la cosa che desidero di più?”
“Il tuo kah lo sa. Vuoi andare avanti per scoprire cosa desideri di più?”
“Come farò a capirlo?”
“Lo saprai quando lo vedrai.”
Oren ci rifletté per qualche istante. “Voglio vedere altro.”
“Torna a guardare lo specchio.”
Oren si ritrovò a fissare di nuovo la sua immagine riflessa.
“Voltati.”
Quando girò la testa, la stanza era scomparsa e al suo posto era apparsa la forgia di Bidza. Riconobbe la fornace, il mantice che era stato riparato innumerevoli volte, le pinze e i martelli che aveva imparato a mantenere in perfetto stato.
Per quattro anni aveva lavorato nella forgia creando lame, picchiando su elmi rovinati che il vecchio Bidza comprava per poche monete e rimetteva in sesto rivendendoli al doppio. E poi scudi e lamelle e persino le pentole quando il lavoro era poco e bisognava guadagnare qualche soldo per sopravvivere.
Al ricordo di quei tempi duri ma semplici si sentì assalire dalla nostalgia. Era più di un anno che non vedeva Bidza e sua moglie Haki.
Si avvicinò alla figura evanescente del fabbro e la sfiorò con la mano. Questa si dissolse nell’aria come se fosse fatta di fumo.
“Nemmeno questo è ciò che desidero davvero.”
“Allora vai avanti finché non lo trovi” disse Shani.
Tornò allo specchio e quando si voltò, la scena era cambiata di nuovo. Era nella casa di Wei Fu, a Malinor. La riconobbe dalle pareti di legno decorate con i paesaggi dai colori tenui. Nella visione erano ancora più sbiaditi, al limite del visibile.
La figura imponente di Wei Fu torreggiava sulle altre due, quella di suo figlio e della nipote.
Shani portava i capelli raccolti in una coda di cavallo e indossava abiti leggeri, come amava fare quando era a casa.
Oren si avvicinò alla sua figura studiandone i particolari del viso e del collo. Era come osservare una statua i cui contorni sfumavano nell’aria. C’era un po’ di colore in quella visione, ma il grigio e il bianco dominavano su tutto il resto.
Sfiorò le tre figure con la mano e si dissolsero.
“Trovato qualcosa?” domandò Shani.
Oren preferì non dirle che cosa aveva visto. “Vado avanti.”
Altro giro dello specchio, altra visione. Stavolta era immerso nel buio, ma percepiva la presenza di pareti attorno a lui.
Il pozzo, pensò subito. Quello dove il troll mi aveva gettato in attesa di consumarmi per cena. Per fortuna era arrivata Sibyl a salvarmi.
La figura della strega prese forma a pochi passi da lui, come se fosse appena atterrata. Ricordava bene la prima volta che l’aveva vista discendere dall’alto, con i capelli neri che ondeggiavano nell’aria.
Anche in quella visione si muovevano animati da un vento invisibile. Sotto il grigio e il bianco intravide il rosso del mantello che aveva gettato sulle spalle e il viola della casacca che aveva indossato sotto.
Alla sua vista venne colto dal desiderio di toccarla e stringerla. Voleva dirle che gli mancava e che se avesse saputo dov’era, sarebbe andato da lei per aiutarla.
Ma è morta, si disse.
Già altre volte lo aveva creduto, ma quella era diversa. Sibyl aveva affrontato due volte i colossi ed era sopravvissuta la prima, restando indietro la seconda.
Solo Bardhian poteva vantarsi di essere uscito due volte vivo da uno scontro con quei mostri. Ma lui era un principe e uno dei misteriosi Eredi di cui tutti parlavano.
Sibyl non era niente di tutto ciò. Non aveva le capacità di Bardhian, né la sua forza. Come poteva sperare di rivederla di nuovo?
Sfiorò la figura e questa ondeggiò nell’aria, dissolvendosi a poco a poco, come se qualcosa la trattenesse nei suoi ricordi.
Oren sospirò.
Nemmeno questo, si disse, è ciò che desidero più di tutto il resto?
“Lo hai trovato?” chiese Shani.
“Non ancora.”
“Cerca più a fondo.”
Di nuovo lo specchio e poi una grande sala illuminata da torce. Davanti aveva un leggio sul quale era posto un libro, aperto. Le pagine erano piene di lettere che sembravano essere state messe a caso.
Che libro è? Si chiese.
Richiuse il libro per leggere la copertina, ma questa era priva di titolo. C’era solo il simbolo di una stella dorata a cinque punte su uno sfondo azzurro impresso su di essa.
Era sicuro di non aver mai letto un libro così strano. Quelli che di solito sceglieva avevano titoli interessanti come La Regina delle Spade o Viaggio verso il Mare delle Tempeste o La Maledizione della Strega.
Ma non era quello il titolo del libro, ne era sicuro. Tornò a guardare la copertina e stavolta, al posto della stella a cinque punte, in caratteri dorati era apparsa una scritta.
La Notte dei Templari.
Un manoscritto originale esclamò una voce eccitata dal profondo dei suoi ricordi. Ricordò occhi che stavano per riempirsi di lacrime e non erano i suoi. Occhi che aveva guardato decine di volte senza mai vederli davvero.
Occhi languidi.
Conosceva quel libro anche se non l’aveva mai letto.
Non ne ho avuto il tempo, pensò. Era un dono. Sarei partito il giorno dopo. Forse avrei dovuto trovare il tempo di fermarmi e leggere. Forse quello che voglio davvero è trovare il tempo di leggere quel libro. Chissà cosa scoprirei sfogliando quelle pagine. Chissà quali avventure, chissà quali emozioni potrei provare, quali viaggi in territori inesplorati potrei compiere…
Aprì gli occhi e vide Shani osservarlo preoccupata.
“Sei stato via tanto” disse la ragazza. “Che cosa hai visto nell’ultima visione?”
“Un libro” rispose incerto.
“Un libro? È quello che desideri più di ogni altra cosa?”
“Così sembra. Non lo so. Mi sento confuso.”
“Usciamo a fare due passi” disse lei costringendolo ad alzarsi e uscire dalla tenda.
“Tu cosa ne pensi?” le chiese dopo qualche minuto di silenzio.
Shani si strinse nelle spalle. “È la tua visione, non la mia. Devi essere tu a trarne le giuste conclusioni. Se vuoi quel libro, trovalo.”
“Non so nemmeno da dove iniziare” disse.
Lei sorrise. “In qualche modo ci riuscirai.”
Camminarono ancora fino a trovarsi a ridosso dei confini del campo. Qui, in mezzo a uno spiazzo libero da tende e ostacoli, videro una figura ergersi in piedi mentre evocava qualcosa tra le mani. Oren vide capelli lunghi e biondi agitarsi mentre la figura veniva avvolta dalle fiamme che formarono attorno a lei un anello di fuoco. Da questo presero forma dei tentacoli di fiamma che spazzarono l’erba, riducendola in cenere fumante.
Quando il cerchio di fuoco si estinse, si avvicinarono per guardare meglio e videro Bryce di Valonde che osservava soddisfatta i cerchi di erba incenerita che aveva creato attorno a sé.
Li salutò con un cenno della mano. “Non vi ho visti arrivare” disse come a scusarsi. “Siete qui da molto?”
“Qualche minuto” disse Oren.
Shani gli diede un colpo nel fianco. “Dille quello che ci siamo detti.”
“Non so se sia il caso” sussurrò Oren.
“O glielo dici tu o lo faccio io.”
Quel discorso era avvenuto la mattina prima, dopo che avevano cercato di fare visita a Roge e le guardie li avevano respinti.
Da quel momento Shani aveva iniziato a fare strani discorsi.
“C’è qualcosa che devo sapere?” chiese Bryce.
Oren raccolse il coraggio e disse: “Riguarda vostro fratello. Roge.”
Bryce annuì grave. “Tra due giorni verrà processato. I giudici sono già stati nominati.”
“Chi sono?” domandò Shani.
“Mio padre ed Erix, tanto per iniziare. Più Gladia di Taloras e altri due mantelli che nemmeno io conosco. Per mio fratello la situazione non è delle migliori.”
“Lo pensiamo anche noi” disse Shani. “Per questo volevamo fare qualcosa.”
Bryce si accigliò. “State per caso pensando di farlo scappare?  È un rinnegato e se ci provaste sareste considerati dei rinnegati anche voi.”
“Te l’avevo detto che non era una buona idea” disse Oren rivolto a Shani.
“Tuttavia” disse Bryce. “Ascolterei volentieri il vostro piano, se ne avete uno. E forse potrei parlavi del mio.”
Shan ghignò rivolta a Oren. “Ti ascolteremo volentieri, strega dorata.”
 
***
 
“In piedi, in piedi” ordinò la strega bianca aggirandosi tra i soldati e i mantelli che si erano seduti nell’erba alta. “Tempo di rimetterci in marcia.”
Joyce la vide dirigersi verso di lei.
“Anche tu, principessina” disse Nimlothien con un mezzo sorriso. “Qui nessuno ti prenderà in braccio.”
Ci provassero, pensò Joyce e gliele staccherò, quelle braccia.
Invece abbozzò un timido sorriso e si rimise in piedi a fatica. “Pesavo ci saremmo fermati di più.”
“Non voglio viaggiare di notte” disse Nimlothien. “Questi sentieri non sono del tutto sicuri. Ci sono sempre pattuglie dell’alleanza che vanno in avanscoperta.” Qualcosa brillò nei suoi occhi. “Ma non ti venga in mente di scappare, principessina. Quelle pattuglie uccidono chiunque trovino sul sentiero, che sia amico o nemico. È stata una fortuna per te incontrare noi. In caso contrario, saresti già cibo per gli scoiattoli.”
Non ci penso proprio a scappare, si disse. Voglio andare da Malag e tu mi ci porterai, strega bianca.
Invece assunse un’aria triste. “Anche se scappassi, non saprei dove andare.”
Nimlothien assunse un’aria pensosa. “Ancora non ho capito come sei arrivata fin qui.”
La donna l’aveva già interrogata in precedenza e in presenza di Dyna. Dopo il loro primo incontro aveva capito che la ragazza aveva un potere simile a quello di Brun. Poteva capire se una persona stesse mentendo o meno.
Se non sto attenta a ciò che dico mi scoprirà, si era detta.
“Dunque” aveva iniziato a dire Nimlothien. “Intanto dimmi come hai fatto ad arrivare fin qui.”
“Sapevo che l’alleanza era a nord e volevo raggiungerla” aveva risposto.
Nimlothien aveva lanciato una rapida occhiata a Dyna, che aveva annuito.
“Non puzza.”
La strega bianca aveva annuito compiaciuta. “Cominciamo bene, principessina.”
Avrebbe voluto chiederle di non chiamarla così, ma si trattenne.
Pazienza, si era detta. Verrà il tuo momento.
“Dove sei stata prima di venire qui? Sai, tutti ci siamo chiesti dove fossi finita dopo che Rancey aveva evocato quel portale.”
Joyce lo ricordava bene, ma sapeva che qualcosa non aveva funzionato a dovere. I portali non erano dei mezzi di trasporto sicuri e la loro efficacia dipendeva dallo stregone che li evocava o dalla qualità dell’incantamento.
Forse quello di Rancey era pessimo e aveva fallito. Non l’avrebbe mai saputo perché ormai era morto da tempo, sepolto sotto il santuario dei Lotayne.
“In molti posti” aveva risposto restando sul vago.
“Non puzza.”
“Dimmene uno” aveva detto Nimlothien.
“Luska.”
“Non puzza.”
“Luska è ben lontana da qui. Altri posti?”
“Barakzah” aveva detto subito.
Dyna aveva scosso la testa.
Nimlothien aveva annuito severa. “Continua.”
“Berger” aveva aggiunto Joyce.
“Non sento puzza.”
“Hai girato un bel po’ il continente tutta da sola” aveva osservato Nimlothien.
“A volte mi hanno aiutata.”
“Chi?”
“Amici. Persone buone.”
Dyna aveva storto il naso. “Puzza solo un po’” aveva detto come a giustificarsi.
Nimlothien aveva sorriso. “Ogni tanto una piccola bugia possiamo anche tollerarla.”
“Le bugie puzzano” si era lamentata Dyna. “E a me la puzza non piace.”
“Nemmeno a me, quindi basta domande alla principessina per oggi.”
“Ma non importa” proseguì Nimlothien spezzando il filo dei ricordi. “Ciò che conta è che io possa fare un dono al Maestro.”
“Perché lo chiamate così?” domandò Joyce dopo essere montata in sella.
“Per via della sua saggezza.”
“Pensavo lo chiamaste signore o comandante.”
“Alcuni lo fanno.”
Joyce la guardò perplessa.
“Malag non apprezza i titoli come voi nobili” disse Nimlothien. “Dice che una persona non dovrebbe essere definita con un titolo. Io sono d’accordo con lui.”
“A volte i titoli servono per distinguere le persone le une dalle altre.”
“Lo so a cosa servono i titoli” disse Nimlothien spazientita. “Credi che non lo sappia? Pensi che io sia una campagnola ignorante appena uscita dalla sua fattoria?”
“Non l’ho mai detto.”
“Buon per te o ti avrei rimessa a posto” disse la donna. “Voi nobili credete che il sangue giustifichi ogni vostro capriccio.”
“Se ti ho offesa ti chiedo scusa” disse sforzandosi di apparire cortese. “Non era mia intenzione.”
“Scuse accettate” disse la strega bianca. “Sei davvero una principessina educata. Non somigli affatto a tua sorella, la strega dorata. Lei non mi avrebbe mai chiesto scusa.”
“Ho sentito che avete duellato a Valonde” disse Joyce non riuscendo più a resistere.
“Abbiamo duellato, sì. Un bel duello.”
“Chi ha vinto?”
“Siamo entrambe vive, quindi credo sia finita con un pari.”
Joyce evitò di ghignarle in faccia. “La prossima volta che vi incontrerete…”
“Potrebbe non esserci una prossima volta.”
“Bryce è con l’armata a nord. Così ho sentito dire” si affrettò ad aggiungere.
Nimlothien sorrise. “Le tue notizie sono vecchie, principessina. Ormai tutti sanno che la strega dorata ha disertato.”
Joyce ebbe un tuffo al cuore. “Disertato?” Disertare era una faccenda seria.
Nimlothien annuì soddisfatta. “Ha abbandonato il campo e l’esercito dell’alleanza per andare a Malinor.”
“Perché avrebbe fatto una cosa del genere?”
“Per correre a salvare il suo grande amore” fece la strega bianca con un sorriso ancora più ampio. “Il principe senza corona. Ma tu lo conosci bene, no? Non è il tuo promesso sposo? O forse dovrei dire che lo era?”
Joyce aveva lasciato Vyncent prigioniero di Persym. Era stato lui a impedirle di liberarlo e lei non aveva potuto far altro che andarsene.
Ignorò Nimlothien che sembrava godersela e si concentrò sulla strada ancora da fare. Si mossero al piccolo trotto, come se non avessero fretta e solo quando il sole era alto nel cielo arrivarono in vista del villaggio.
Una palizzata di legno racchiudeva una spianata di capanne e baracche che si estendeva fino all’orizzonte. Quella parte di foresta doveva essere stata tagliata e livellata per costruirvi sopra quell’insediamento.
Avanzarono fino alla palizzata di tronchi dove si apriva un cancello dal quale entravano e uscivano altri cavalieri e carri trainati da buoi diretti chissà dove.
Uno dei cavalieri, il mantello grigio che si agitava sulla sella, passò salutandoli. “Nim” esclamò. Era poco più di un ragazzo, le guance scavate e la barba di qualche giorno. “Già di ritorno dal tuo giro?”
“Sono dovuta rientrare.”
Gli occhi del rinnegato caddero su Joyce. “Hai portato con te anche lei?”
Nimlothien ghignò. “Lei è un regalo che mi sono concessa.”
Lo stregone la guardò perplesso e proseguì per la sua strada.
Oltre la palizzata iniziava il villaggio vero e proprio, fatto di fitte capanne divise da stradine e vicoli. Non c’erano piazze, giardini o spazi ampi dove passeggiare. E non c’erano negozi che vendevano vestiti o gioielli, ma notò capanne con ampie entrate dove lavoravano carpentieri e fabbri, conciatori che avevano appeso le pelli alle mura e le stavano lavorando.
Vide casse venire trasportate dentro capanne più grandi e alte delle altre, forse dei magazzini. E c’erano recinti dove i cavalli venivano sorvegliati a vista dai soldati. Altri recinti ospitavano maiali, galline e pecore. E delle gabbiette messe una sopra l’altra erano piene di piccoli animali dalle orecchie lunghe e flosce e il pelo folto.
Per strada c’erano cani che frugavano tra i rifiuti e gatti che li osservavano con fare sornione. E bambini.
Tanti bambini.
Joyce fu sorpresa di vederli giocare in mezzo alle pozzanghere d’acqua, rincorrendosi e gridando. Due ragazzini che potevano avere sugli otto anni stavano lottando con spade di legno ricavate da rami secchi. Una bambina stava agitando le braccia mimando un raggio magico.
“Sono la strega dorata” gridò al ragazzino contro cui aveva puntato le braccia.
“E io sono la Tigre Bianca” rispose l’altro.
Donne dai grembiuli sporchi e l’espressione severa li sorvegliavano da lontano, gettando di tento in tanto un’occhiata verso l’ingresso delle capanne.
“Strega bianca, strega bianca” gridò un ragazzino dai capelli rossi avvicinandosi.
Nimlothien rallentò e gli rivolse un’occhiata severa. “Svert. Lo sai che non devi correre così vicino al cavallo. Potresti spaventarlo.”
“Chi è quella?” chiese Svert indicando Joyce.
“Un’ospite di riguardo” rispose la strega bianca.
“È tua amica?”
“Ti pare che possa essere amica di una così?” fece Nimlothien con tono ironico.
“Hai capelli rossi come i miei” disse Svert passandosi le mani nella massa arruffata sopra la sua testa. “Come ti chiami?”
“Joyce” rispose con tono incerto.
“Io sono Svert.”
“Piacere di conoscerti.”
Svert le sorrise.
“Ora levati di mezzo” disse Nimlothien ma senza astio nella voce. “Devo portarla in un luogo sicuro.”
Svert rallentò il passo. Joyce si voltò una sola volta e notò che li seguiva ancora e non smise di farlo finché non girarono dietro un angolo.
Appena oltre, c’era un edificio con la base di mattoni e due livelli costruiti con assi di legno. Davanti all’ingresso c’erano ragazze che potevano avere dai dodici ai venti anni, più una mezza dozzina di donne adulte, forse sui trenta o quarant’anni.
Una di esse aveva i capelli grigi e li osservava accigliata. Fu la sola ad avvicinarsi.
Nimlothien ordinò di fermarsi e smontò. “Vieni con me principessina” disse con tono sbrigativo.
Joyce saltò giù e l’affiancò.
“Che mi hai portato Nim?” domandò la donna dai capelli grigi.
“Ti saluto Naevis” disse Nimlothien. “Come stai?”
“Bene” disse la donna. “Non smetto mai di sperare che la guerra finisca.”
“Presto.”
“Sarà sempre troppo tardi. Se Holf fosse ancora con noi direbbe la stessa cosa.”
Nimlothien annuì solenne. “Devo affidarti questa qui” disse indicando Joyce con un cenno della testa.
Naevis la osservò con interesse. “Dove l’hai trovata?”
“Nella foresta, ma non farti ingannare. È abituata a stare in un castello.”
“Eri una serva?” le chiese Naevis. “Sei fuggita o il padrone ti ha cacciata?”
Anche se il tono era sbrigativo, l’atteggiamento della donna sembrava amichevole. Parlava piano, scandendo per bene le parole, non come facevano gli abitanti del continente vecchio.
Joyce fece per dire qualcosa ma Nimlothien ridacchiò.
“Questa qui è abituata a farsi servire, amica mia. Guardala bene, ti pare una serva?”
“A me sembra una che si è smarrita.”
“Non sei lontana dalla verità. Ti sorprenderebbe sapere che è una principessa?”
Naevis sgranò gli occhi. “Mi sorprende sì. Una principessa da queste parti?”
Nimlothien sorrise. “Entriamo. Ti spiegherò tutto io.”
 
Joyce attese nella sala principale, una navata lunga cento passi che ospitava una decina di tavoli messi di traverso. Sopra di essi lavoravano ragazze di tutte le età. La maggior parte cuciva abiti o borse di pelle. Alcune si aggiravano per i tavoli rifornendo le lavoratrici di quello che avevano bisogno trasportandole su un carrellino. Forbici, coltellini, rocchetti di filo, aghi e pezze di stoffa che dovevano formare le toppe da applicare agli abiti.
Le più anziane sorvegliavano quelle che lavoravano e ogni tanto si avvicinavano ai banchetti per dare consigli o impartire ordini.
Joyce sedette su di uno sgabello, in un angolo della sala. Nessuno la stava sorvegliano, ma non aveva intenzione di scappare. Non avrebbe saputo dove andare se si fosse allontanata.
Una ragazza si avvicinò. Portava i capelli lunghi e biondi sciolti e indossava una semplice tunica azzurra con un grembiule.
“Io ti saluto” disse usando la formula più usata sul continente.
“Io saluto te” disse Joyce sforzandosi di sembrare amichevole. Non riusciva a togliersi dalla testa che tutte quelle persone lavoravano per Malag.
Possono sembrare innocue, si era detta entrando, ma non lo sono. Non lasciarti ingannare. Ogni vestito che cuciono verrà indossato da un soldato che cercherà di uccidere tuo padre. O Bryce. O Vyncent. Dovrei lanciare una sfera infuocata in quel posto e dare il mio contributo alla guerra dell’alleanza, ma sarebbe un sacrificio inutile ora che sono arrivata fin qui.
Aveva un piano diverso.
Combatti da sola, si disse. Muori da sola. Non proprio da sola. Se tutto fosse andato come sperava, Malag sarebbe morto con lei.
 
***
 
“L’affido a te” disse Nimlothien tornando insieme a Naevis.
La donna stava annuendo. “Mi stai dando un compito impegnativo, strega bianca. Perché vuoi che stia qui? Non starebbe meglio con te?”
“Preferisco che stia qui” disse la strega bianca. “Mi fido più di te che di quegli idioti giù alla fortezza. E poi l’hai vista bene? Una così non reggerebbe mezza giornata in una cella.”
Naevis assunse un’aria addolorata. “La metteresti in prigione? Non sembra così pericolosa.”
“È come tutti i nobili” disse Nimlothien. “Non levarle gli occhi di dosso e non sottovalutarla. La sorella mi ha quasi uccisa.”
Naevis annuì.
Le due donne si salutarono e poi Nimlothien fece per lasciare l’edificio. “Stai qui e ubbidisci a Naevis” le disse come rivolgendosi a un cane indisciplinato. “Se te ne vai in giro, non potrò garantire per la tua sicurezza. È chiaro?”
“Non mi muoverò di qui” disse Joyce cercando di sembrare spaventata.
Nimlothien annuì. “Buon per te, principessina. Tornerò a prenderti tra un paio di giorni. Tu goditi la compagnia di Naevis. È una gran chiacchierona.”
“Non starla a sentire” disse la donna con tono gentile.
Joyce le rivolse un rapido inchino. “Mi spiace per il fastidio che ti sto procurando.”
“Nessun fastidio, ragazza” disse la donna. “Che ne diresti di fare un bagno? Abbiamo anche l’acqua calda e tovaglie appena lavate. Tutte le comodità” concluse esibendo un largo sorriso.
Joyce esitò.
“Che hai? Guarda che noi facciamo il bagno almeno una volta ogni cinque giorni.”
“Non intendevo dire che…”
“Ordini di lord Malag” aggiunse la donna. “Vuole che siamo tutti puliti e profumati per la vittoria finale.” Rise. “La verità è che teme le malattie come tutti noi.”
Joyce non aveva pensato alle infezioni che poteva contrarre. Giravano storie spiacevoli sulle epidemie che scoppiavano in posti come quelli.
“Allora questo bagno?”
Joyce si ritrovò ad assentire.
 
Come promesso da Naevis ebbe l’acqua calda e tovaglie pulite che le vennero portate da una ragazzina di undici o dodici anni.
Somiglia a Fredi, si disse.
La stanza era piccola e quasi tutta occupata dalla vasca, una tinozza d’ottone che sembrava essere stata ricavata da una pentola o qualcosa del genere.
Almeno sarò pulita, si disse mentre si asciugava.
La stessa ragazza di prima le portò una tunica pulita e la depositò in un angolo. Joyce la indossò e si sorprese a scoprire che era della sua taglia. Anche la cintura e le scarpe lo erano.
In fondo sono delle sarte, si disse.
Aiduin, il sarto più famoso di Valonde, era capace di valutare la taglia di una persona solo guardandola. O almeno si vantava di riuscirci.
Fuori dalla stanza l’attendeva un’altra ragazza. Era quella che l’aveva salutata un paio d’ore prima, quando attendeva il ritorno di Nimlothien e Naevis.
“Salve” disse la ragazza.
Joyce la salutò con un cenno del capo.
“Io sono Lura” disse esibendo un sorriso.
“Joyce.”
“Lo so. Naevis me l’ha detto. Lei è fatta così, lo starà dicendo a tutte.”
“Tu vivi qui?” le chiese per cambiare discorso e raccogliere qualche informazione. Quella gente sembrava sapere tutto di lei e lei non sapeva quasi niente di loro. Era giunto il momento di colmare lo svantaggio.
“Come tutte le ragazze del villaggio” disse Lura. “Almeno quelle che non hanno famiglia o qualcuno che si occupi di loro. C’è anche un posto simile per i ragazzi. Lì lavorano i metalli, per lo più.”
“Quindi sei sola? Non hai una famiglia?”
“I miei genitori sono morti quando ero piccola. Mia zia si prese cura di me ma poi decisi di andare a nord.” Ridacchiò come se stesse ricordando qualcosa di piacevole.
Joyce assunse un’aria pensosa. “Un ragazzo?”
Il sorriso di Lura si allargò. “Sei come Dyna anche tu?” chiese con tono ironico. “Scusa, non ti volevo offendere. Sì, ho seguito un ragazzo. Si chiama Saleh.”
“Capisco” fece Joyce fingendosi interessata alla vita sentimentale di Lura. “E lui lo sa che ti piace?”
“No, ma lo saprà presto” fece Lura. “Vieni, ti presento alle altre. Naevis ha detto che starai qui poco, ma sei comunque nuova e avrai cose interessanti da raccontare.”
“Molto poche a essere sincera” disse.
Sarete voi a dirmi qualcosa di utile, pensò.
Lura la condusse in una sala attigua a quella principale. La sala era occupata da un forno e dei banconi dove alcune ragazze impastavano il pane. C’erano cesti pieni di frutta e verdura e cassette con della carne conservata nel sale, come aveva visto a volte fare anche a Valonde.
Joyce adocchiò subito un sacco pieno di noci, ma fece finta di disinteressarsene. Aveva promesso a Joane di non mangiarne molte.
“Da dove viene tutta questa roba?” chiese con tono distratto.
Lura fece spallucce. “Chi lo sa? I carri vanno e vengono dal villaggio. A volte tornano vuoti, ma per lo più sono pieni. Ho sentito dire una volta che viaggiano anche per cinquecento miglia per trovare la carne e la frutta. La verdura è più facile, qualcosa lo coltiviamo anche noi, ma il resto è complicato.”
Joyce immaginò le razzie compiute ai danni dei contadini che vivevano in quella regione e sentì il sangue ribollire nelle vene.
Tutto questo cibo è frutto di una gigantesca rapina, si disse.
Le ragazze intente a impastare il pane e tagliare la frutta e la carne salutarono Lura con un cenno della testa.
“Dov’è Amra?” chiese.
Una delle più anziane indicò una porticina alle spalle della cucina. “È lì dentro. Sta aggiornando i registri.”
Lura la condusse alla stanza successiva, che era minuscola e grande appena da ospitare un tavolo sul quale una ragazza dai capelli rossi e sciolti era china.
Con un pennino stava vergando le pagine di un grosso libro aperto a metà.
“Amra” disse Lura.
La ragazza sollevò la testa di scatto. “Lura” disse sorpresa. “Perché non sei al lavoro con le altre? Non dovresti essere qui.”
“Naevis mi ha assegnato il compito di badare a lei” disse indicando Joyce
Amra le diede una rapida occhiata che la mise a disagio. “Questa non può fare lavori pesanti. È troppo gracile e si spezzerebbe a metà. Mettila a uno dei tavoli da cucito.”
“Non è qui per lavorare.”
“Tutte qui devono farlo” disse Amra come se stesse pronunciando una legge. “È così che funzionano le cose.”
“Lei no” disse Lura. “È un ospite. Un’amica di Nimlothien.”
Amra arricciò le labbra. “La strega bianca ha delle amiche? Questa sì che è una notizia. Forse dovrei annotarla sul registro.”
Joyce trattenne un sorriso. “Non siamo esattamente amiche.”
“Quello che è” fece Amra. “Vi serve qualcosa?”
“Le sto solo facendo conoscere un po’ di persone.”
“Mi piacerebbe starvi a sentire” disse la ragazza. “Ma come vedi sto aggiornando il registro” aggiunse indicando il libro.
Informazioni, pensò Joyce. Quale modo migliore di ottenerle parlando con una che annota ogni cosa in quel libro?
“Cosa stai annotando?” chiese fingendo di esitare.
Amra sgranò gli occhi. “Tutto ciò che entra ed esce da questo posto.”
Anche a Valonde avevano qualcuno che si occupava di quelle cose. A palazzo c’erano eruditi che annotavano nei loro registri tutte le attività in modo da poterne rendere conto a suo padre. Ogni due o tre Lune il re teneva una riunione in cui approvava o modificava le attività per le Lune successive. Erano riunioni tediose a cui suo padre partecipava di malumore, tanto che a volte toccava a sua madre prendervi parte.
“È importante tenerne traccia” proseguì Amra tradendo un certo entusiasmo.
Le piace parlare del suo lavoro, pensò Joyce. Bene, vediamo che cosa riesco a scoprire. “Lura dice che le carovane devono viaggiare per molte miglia per prendere la carne e la frutta che vi serve.”
“Noi non prendiamo niente, amica di Naevis. Quelle cose le compriamo.”
“Io credevo che…” iniziò a dire Joyce.
“Pensavi che le rubassimo?” fece Amra accigliandosi.
“No, ovviamente no. Io, credo di aver usato il termine sbagliato. Non sono di qui e non conosco bene la lingua.” Fece una pausa. “Quindi tu decidi cosa comprare o no” disse fingendosi interessata.
“Quello viene deciso da Naevis e le altre anziane e solo dopo essersi consultate con gli eruditi che gestiscono il tesoro” spiegò Amra.
Hanno un tesoro, pensò. Ecco qualcosa di interessante.
“Gli eruditi stabiliscono quante monete dobbiamo ricevere in base al numero di ragazze che ospitiamo. Naevis e le altre decidono cosa comprare.”
“E gli strumenti che usate per lavorare?”
“Quelli non li compriamo” disse Amra. “Li producono in un altro villaggio e li portano qui.”
Un altro villaggio, pensò. Ecco un’informazione interessante.
“Ci sono altri villaggi oltre a questo?” domandò stupita.
Amra sorrise. “Certo che ce ne sono. Credevi che fossimo tutti qui? Saremmo in troppi. Esistono almeno dieci villaggi come questo, alcuni molto grandi.”
Dieci villaggi, pensò. Sono tanti. In quanti saranno qui? Diecimila? Ventimila?
Moltiplicando per dieci il numero otteneva una cifra enorme.
“Quindi vivete nei villaggi sia voi che i soldati” disse con tono distratto.
“Certo che no” fece Amra. “La maggior parte dei soldati risiede nel campo principale e in altri più piccoli sparsi in giro. Nei villaggi ce ne sono pochi e servono per fare la guardia.”
Joyce non osò chiedere dove si trovasse il campo principale e nemmeno le importava molto di saperlo. Tutto ciò che le premeva era scoprire dove si trovasse Malag
Ricordava ancora l’interrogatorio di Marq, quando aveva rivelato il luogo in cui l’arcistregone si nascondeva.
“Roxarr” disse. “Ho sentito dire che è uno dei villaggi.”
Amra annuì. “Non è uno dei tanti, ma il villaggio. Quello principale.”
“Ed è lontano da qui?”
Lura ridacchiò. “Ci sei già.”
Quindi è qui che Malag si nasconde, pensò. Nimlothien mi ha portata nel loro villaggio più importante non a caso.
Amra tornò a sedersi. “Devo finire di aggiornare il registro, ora. Se non vi spiace…”
“Sarai libera per cena?” chiese Lura. “In cucina ho visto che stanno preparando il pane di noci.”
Amra annuì senza alzare la testa.
Joyce seguì Lura fuori dalla stanza e poi attraverso la cucina fino alla sala principale.
“Vieni. Ti mostro i dormitori.”
“Cosa sarebbe il pane di noci?” chiese per occupare il tempo.
“Pane con le noci” rispose la ragazza. “L’hai mai provato?”
“Ho mangiato pane insieme alle noci.”
E lo adoro, pensò.
Lura ridacchiò. “Questo è un po’ diverso. Impastiamo il pane e poi ci aggiungiamo le noci dopo averle sbriciolate, più altre spezie. È molto buono.”
Il dormitorio era uno stanzone occupato da letti posti su entrambi i lati. In fondo alla stanza si apriva una finestra che dava sull’esterno.
Un paio di ragazze riposavano sui letti e alzarono la testa quando le videro entrare.
“Lura” disse una di loro mettendosi a sedere sul letto. “Chi è la tua amica? Una nuova?”
Lura annuì. “Sì. Lei è Joyce.”
“Io vi saluto” disse.
“Io sono Kaerla” disse la ragazza. “E quella è Cellica.”
Cellica bofonchiò qualcosa e si girò dall’altra parte.
“Sono state male a causa della febbre” disse Lura. “Ma adesso stanno meglio. Non è così?”
“I guaritori dicono che dobbiamo stare a letto altri due giorni e poi potremo tornare al lavoro” disse Kaerla con tono entusiasta.
“Prendetevi tutto il tempo che vi serve” disse Lura. “Naevis ha chi vi sostituisce per il momento.”
Kaerla sedette sulla sponda del letto. “Sedetevi qui” disse indicando il bordo di quello accanto al suo. “Parliamo un po’. Da quando non scendo nella sala mi annoio e Cellica non parla molto. Pensa solo a mangiare e dormire.”
“Penso a tornare forte” disse Cellica senza alzare la testa. “Mentre tu sprechi solo fiato tutto il giorno.”
“I guaritori dicono che devo parlare per far rinfrescare i polmoni. O qualcosa del genere” disse Kaerla.
Joyce e Lura sedettero sul bordo del letto.
“Quindi vieni da un altro villaggio? Shala per caso?” fece Kaerla sporgendosi in avanti.
Joyce si strinse nelle spalle. “In verità vengo da fuori.”
Kaerla la guardò delusa.
“Shala non è il posto dove hanno mandato Ascal?” chiese Lura.
Kaerla annuì. “Hai qualche notizia di lui?”
“No, ma posso chiedere. Perché ti interessa tanto?”
Kaerla fece per dire qualcosa ma Cellica la precedette: “Le ha scritto una lettere d’amore, l’idiota.”
Kaerla arrossì. “Taci, tu.”
“È vero” fece Cellica. “La tiene nascosta nella federa del cuscino e la tira fuori quando pensa di non essere vista. La legge da cima a fondo, versa una lacrima e qualche volta la bacia, pure.”
“Basta” fece Kaerla paonazza.
Lura ridacchiò. “Che c’è di male? Ascal è un bel ragazzo.”
Kaerla si coprì il viso con le mani.
“Io ho sentito dire che a Cellica piace Hern” disse Lura.
Cellica si raddrizzò di scatto. “Non è vero” esclamò.
“Dicono che vi siete baciati, davanti al pozzo, una sera che vi eravate attardati” aggiunse Lura.
“Chi te lo ha detto?”
“È una voce che ho sentito” rispose l’altra.
“Romperò il naso a quella voce se osa ripeterlo” disse Cellica minacciosa. “Lo sanno tutti che Harn non mi piace. Mi fa la corte, ovvio, come tanti altri, ma io non ho ancora scelto” aggiunse con tono sufficiente.
“Nessuno ti fa la corte” disse Kaerla. “A parte Harn.”
Lei e Lura si scambiarono un’occhiata e risero.
“Andate agli inferi” disse Cellica ributtandosi sul cuscino.
“E tu Joyce?” le chiese Kaerla. “Ce l’hai un fidanzato che ti aspetta da qualche parte?”
“Una volta mi sono quasi sposata” disse.
Perché mentire, pensò? Forse non le rivedrò mai più.
Kaerla e Lura si scambiarono un’occhiata piena di sorpresa. Persino Cellica si era rialzata e ora stava accucciata sul letto.
“Raccontaci tutto” disse Lura perentoria. “Vogliamo sapere i particolari.”
“Non c’è molto da raccontare” disse sulla difensiva.
“Lui è bello?” chiese Kaerla.
Annuì.
“Descrivilo.”
“È alto” disse Joyce cercando di ricordare Vyncent. “Occhi come il mare e capelli d’oro bianco” aggiunse pescando le parole tra le frasi che aveva letto nei romanzi d’avventura della Stennig.
“Direi che è più bello di Harn. E anche di Ascal.”
“Molto di più” disse Kaerla. “Ascal è carino ma basso. Se non fosse per i tacchi lo supererei di una spanna.”
“E il suo fondoschiena?” fece Cellica. “In pratica non ce l’ha.”
“Perché guardi il fondoschiena del mio fidanzato?” le chiese Kaerla infastidita.
Stavolta fu Cellica ad arrossire.
Lura tornò a guardala. “Dunque, vi stavate sposando e poi? Cos’è successo?”
“Ci fu una battaglia” disse Joyce cercando di mantenersi sul vago.
Kaerla trattenne il fiato.
“E io fui rapita.”
Cellica la guardò meravigliata.
“E poi ho viaggiato per tutto il continente cercando di arrivare qui.”
Lura le posò una mano sopra la sua. “Che storia romantica. Lo hai incontrato di nuovo o non vi siete ancora ritrovati?”
“L’ho rivisto” disse Joyce con espressione contrita.
“E cosa è successo?”
“Lui si è promesso a un’altra.”
Kaerla sobbalzò. “Quel traditore” esclamò agitando minacciosa un pugno. “Come può aver fatto una cosa del genere?”
“Lei è molto più bella di me” disse Joyce ricordando il viso di Bryce. “Più forte, più amata da tutti.” Sospirò. “Forse è giusto così.”
“Certo che no” disse Lura. “Quel tipo ha commesso un grosso errore.”
“Giusto” disse Cellica annuendo.
“Vero” le fece eco Kaerla.
Andarono avanti a parlare finché le altre ragazze che lavoravano di sotto non rientrarono. Durante la cena sedette accanto a Lura. Le furono servite frutta e pane alle noci che mangiò di gusto e carne cotta in un sugo denso che sapeva di vino.
“È la salsa che usiamo qui” disse Lura orgogliosa. “Non la troverai da nessun’altra parte.”
“È molto buona” ammise Joyce.
“Usa il pane per raccogliere il sugo rimasto nel piatto” le suggerì una ragazza.
Joyce fece come le avevano detto e lo trovò delizioso. Bevve una coppa di vino ma rifiutò una seconda.
Mentre le ragazze sparecchiavano, Lura la scortò nel dormitorio. “Ci sono un paio di letti liberi. Puoi prenderne uno.”
Joyce accettò e scelse il letto più vicino alla finestra. Era sicura che non avrebbe dormito quella notte e invece la stanchezza accumulata in tanti giorni di viaggio la vinsero e cadde in un sonno profondo.
Quando si vegliò, le ragazze si erano già alzate e nel dormitorio c’era solo lei con Cellica e Kaerla.
E Dyna.
La ragazza la fissava con sguardo cupo ai piedi del letto.
“Lady Nimlothien mi ha mandata a prenderti. Lord Malag è arrivato.”

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