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Autore: heliodor    12/04/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Faccia a faccia

 
Joyce camminò con fare incerto. Dyna la precedeva di qualche passo, gli occhi bassi e lo sguardo serio.
Potrei scappare, si disse. Dyna non sembra molto forte e nemmeno porta il mantello grigio. Sarebbe facile ma poi?
Il villaggio si stava animando. Gente usciva dalle capanne e le baracche. Uomini, donne, ragazzi e persino qualche bambino si stavano dirigendo verso la stessa zona, quella che sembrava l’unica vera piazza, uno slargo quadrato in un incrocio. Qui sorgeva l’edificio più alto del villaggio. Aveva la base in pietra e un paio di livelli costruiti con assi di legno e massi impastati tra loro. Il tetto spiovente svettava sopra tutto il resto dei piccoli edifici che sorgevano lì attorno.
Dyna la guidò tra la folla muovendosi con agilità e Joyce faticò a reggere il suo passo.
Sembra quasi che stia cercando di lasciarmi indietro, si disse.
Nimlothien attendeva in un angolo della piazza, circondata da soldati e mantelli grigi. Quando li vide arrivare il suo viso si illuminò.
“Passata una bella giornata con Naevis, principessina?”
“Sono stata molto bene” disse Joyce. “Anche se il posto era sporco, la gente rozza e il cibo immangiabile. Per non parlare dei letti scomodi e duri.” Era una menzogna, ma non voleva dare a Nimlothien quella soddisfazione.
La strega bianca si lasciò sfuggire una risata. “Spiacenti, ma qui non siamo nella tua bella Valonde. Temo che dovrai accontentarti.”
“È vero” disse Joyce. “Questa non è Valonde.”
Nimlothien le rivolse un’occhiata di sbieco. “Non somigli affatto a lei.”
Joyce si accigliò.
“Mi riferisco a tua sorella, la strega dorata. Lei sarà anche altezzosa e in cerca della gloria facile, ma si è comunque conquistata il rispetto dei suoi. Prima di buttare via tutto. Tu invece” Scosse la testa.
Continua, pensò Joyce. Le tue parole mi renderanno solo più determinata in quello che sto per fare.
“Tu invece sei solo uno scarto. Non vali niente. Come tutti quelli come te.”
Joyce trasse un profondo sospiro e cominciò a pensare alla formula dei dardi magici.
Chissà che faccia farebbe la strega bianca se glieli puntassi contro, pensò. Penserebbe che sono ancora uno scarto e che non valgo niente?
“Sai cosa non capisco?” proseguì Nimlothien. “Il motivo per cui il maestro ti trova così importante. È da qualche anno, da quando ha iniziato a fidarsi di me e mi ha elevata al ruolo di comandante, che ogni tanto parla della figlia minore dei Valonde. La principessa nata senza poteri.” Scosse la testa. “Se sapesse quanto sei insignificante mostrerebbe lo stesso interesse?”
La folla iniziò ad agitarsi. Qualcuno gridò, una donna applaudì e alcuni ragazzi levarono grida di incitazione.
“Malag, Malag, Malag” urlò la folla mentre qualcosa la fendeva e divideva facendosi largo tra di essa.
Joyce allungò il collo e vide un corteo di cavalli e soldati a piedi. Vide mantelli agitati dalla brezza e lance levate al cielo.
“È arrivato” disse Nimlothien con sguardo raggiante.
Il corteo si fermò davanti all’ingresso del palazzo a tre piani e una mezza dozzina di figure, tra cui una che indossava un saio bianco crema, salì le scale di pietra che portavano al primo livello.
Malag, pensò Joyce. Deve essere lui.
Il cuore prese a martellarle nel petto.
“Dyna” disse Nimlothien. “Io vado. Fai compagnia alla principessa.” Guardò Joyce. “Non fati illusioni, ci sarà da aspettare parecchio. I comandanti locali devono conferire col maestro e ricevere i nuovi ordini. Tu non sei così importante.”
Nimlothien si fece strada tra la folla dirigendosi al palazzo. Joyce la seguì con lo sguardo finché non la vide sparire oltre la porta di legno a due ante che chiudeva l’ingresso. Due soldati di guardia la salutarono con un leggero inchino mentre entrava.
Joyce cercò di rilassarsi, ma il cuore continuava a batterle senza sosta e sentiva una strana sensazione alle gambe, come se stessero per cederle all’improvviso. Aveva la gola secca e doveva lottare per ingoiare ogni sorsata d’aria. Le sembrava che i polmoni le si fossero rimpiccioliti o che l’aria si fosse rarefatta.
I minuti trascorsero senza che nulla accadesse. La folla che si era riunita nella piazza sembrava in attesa che accadesse qualcosa e nessuno era intenzionato ad andarsene. Alcuni guardavano con sguardo eccitato verso il palazzo dove era entrato Malag.
Nimlothien uscì dal palazzo e si diresse verso di loro, lo sguardo cupo. Quando giunse di fronte a Joyce le rivolse un’occhiataccia. “Che tu ci creda o meno, il maestro vuole vederti subito.”
Joyce lottò per non vacillare e cadere.
“Andiamo” disse Nimlothien.
Joyce la seguì attraverso la folla che si divise per farli passare. Salì le scale con il cuore che le batteva all’impazzata nel petto.
Rimani calma, si disse. Puoi farcela, è facile.
Aveva pensato a quel momento fin da quando aveva chiesto a Halux di portarla il più vicino possibile al campo dell’orda.
Aveva immaginato il momento in cui si sarebbe trovata davanti all’arcistregone, faccia a faccia, come nei romanzi d’avventura col protagonista che arriva a confrontarsi con il malvagio stregone che tanto lo ha fatto penare.
Poteva immaginare Malag considerarla inutile e patetica, debole. La principessina che non era mai uscita dal suo palazzo dorato. La nata senza poteri.
Ma lei ora i poteri li aveva ed era pronta a usarli.
Aveva sognato quel giorno, in cui avrebbe evocato i dardi magici davanti a uno sgomento Malag e lo avrebbe colpito, perché sarebbe stato troppo sorpreso per difendersi dal suo attacco.
Quello che sarebbe accaduto dopo era meno chiaro. Poteva cercare di fuggire con la levitazione o rendendosi invisibile, ma sapeva che tutti quei piani non avrebbero funzionato.
Combatti da sola.
Muori da sola.
Nimlothien le fece strada nel palazzo. Dopo l’ingresso vi era una lunga sala illuminata da finestre poste sotto al soffitto. Lugo la navata vi erano soldati e stregoni che chiacchieravano tra loro e che rivolsero a Nimlothien degli sguardi incuriositi quando la videro passare con Joyce al fianco.
“È lei?” le domandò un giovane stregone dai capelli radi e corti.
“Fatti indietro Garrik” disse Nimlothien con una punta di disprezzo.
“La tua è stata solo fortuna, strega bianca” disse uno stregone dai capelli grigi e il viso sfregiato.
Nimlothien si limitò a sorridergli.
In fondo alla navata c’era un corridoio e, alla fine di questo, dopo un paio di svolte, una porta di legno.
La strega bianca bussò due volte.
“Entrate pure” disse una voce dall’interno.
Nimlothien aprì la porta.
Joyce sentì il cuore battere così forte da scoppiarle nel petto. Ogni passo le costò una fatica immensa ma riuscì a varcare la soglia ritrovandosi in un nuovo ambiente.
Era una stanza spaziosa, con un tavolo rettangolare circondato da una ventina di sedie tutte diverse. Sulla destra, lungo la parete, c’erano diversi scaffali pieni di libri, alcuni dai dorsi consumati dal tempo e altri che sembravano in uno stato migliore
Sulla sinistra vi era un focolare dove ardeva un fuoco scoppiettante sopra il quale c’era una pentola di rame che borbottava.
In fondo si apriva un’ampia finestra. Una figura si stagliava nella luce che filtrava attraverso le tende colorate di giallo limone.
Un gradevole odore di lavanda permeava l’aria spandendosi da una dozzina di piantine che crescevano nei vasi piazzati un po’ ovunque, negli angoli e sopra le mensole a fare da fermalibri.
Nimlothien si fermò al centro della stanza. “Io ti saluto maestro.”
È lui, pensò Joyce. Ci siamo.
Il cuore si calmò all’improvviso e lei ritrovò la serenità.
La figura emerse dalla luce abbacinante, mostrando un viso grinzoso con la pelle cadente e i capelli radi e grigi arruffati sulla fronte ampia. Gli occhi chiari la sfiorarono per un attimo per poi dirigersi verso la strega bianca.
“Ben fatto, mia cara” disse Malag con voce tremante.
Camminava con passo incerto, le mani nascoste dietro la schiena e un sorriso bonario disegnato sul viso.
Nimlothien fece un leggero inchino.
“Ora lasciaci da soli per favore.”
La strega bianca scivolò qualche passo indietro e, raggiunta la porta, la richiuse con un leggero tonfo.
Joyce trasse un profondo sospiro mentre Malag sembrava studiarla in silenzio.
È questo il momento? Si chiese. Devo colpirlo ora o attendere che sia girato di spalle?
Colpire un nemico mentre era voltato sarebbe stato disdicevole, in un romanzo d’avventura. Lì i buoni affrontavano i cattivi guardandoli in viso. Erano gli altri a usare il sotterfugio e l’inganno per uccidere.
Ma quello era Malag.
Il re degli inganni.
L’uomo che aveva dato il via alla rivolta.
Che aveva cercato di rapirla.
Che aveva attaccato Valonde il giorno del suo matrimonio.
Il demone che gli inferi avevano vomitato.
L’elfo crudele sopravvissuto ai secoli e alla decadenza della sua malvagia razza.
Eppure, quello che aveva davanti non somigliava affatto all’essere mostruoso che aveva immaginato.
È un vecchio, pensò Joyce.
Malag indicò una delle sedie. “Accomodati pure, principessa di Valonde.”
“Io ti saluto” disse Joyce muovendosi a scatti, come una marionetta.
Malag si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. “Sei anche molto educata.”
Joyce sedette composta, le mani sotto il tavolo. Il suo intero corpo fremeva e a stento riusciva a dominare il tremito che avvertiva.
Malag camminò verso il focolare. “Così” disse con voce tremante. “Tu sei la ragazzina che ho tanto temuto.”
Joyce trattenne il fiato. Nella sua mente prese forma la formula dei dardi magici. Non era come aveva immaginato la scena, ma sarebbe andata bene lo stesso.
Malag allungò una mano verso la pentola e agitò il mestolo di legno al suo interno. “La zuppa di carne di coniglio sta cuocendo bene” disse.
“Prego?” fece Joyce sbattendo le palpebre.
“Vuoi assaggiarla?”
“Io non so se…”
“È buona, vedrai. È quella che mi riesce meglio, anche se non sono un grande cuoco.”
Malag prese due piatti di legno e ne posò uno davanti a lei. Mise l’altro un paio di posti più lontano. Afferrò anche un cucchiaio di legno e lo porse a Joyce, che lo prese dopo un attimo di esitazione. Infine, ne prese uno anche per sé e tornò al focolare.
“Hai fatto un lungo viaggio, immagino” disse l’arcistregone mentre mescolava la zuppa. “Il portale evocato da Rancey ti ha portata lontano da qui?”
Sa leggere le menzogne come Dyna e Brun? Si chiese Joyce. Se gli mentissi cosa mi succederebbe? Forse mi sta mettendo alla prova.
“Molto lontana da qui, ma non so quanto di preciso” disse Joyce. “Sono arrivata in un piccolo villaggio e due contadini mi hanno aiutata. Erano brave persone.”
Malag annuì deciso. “Non se ne trovano più tante in giro. Di brave persone. Sei stata fortunata.”
Tolse la pentola dal fuoco e la poggiò sul tavolo. Aiutandosi col mestolo ne versò un po’ nel suo piatto e in quello di Joyce alternandoli.
“Se ne vuoi ancora non esitare a chiedere” disse riponendo la pentola vicino al focolare. Sedette al tavolo e prese il cucchiaio. “Serviti pure. Non è un banchetto degno di Valonde ma è buono.”
Joyce esitò.
E se fosse avvelenato?
Mettere del veleno nel cibo era un classico dei libri d’avventura. Nei romanzi l’eroe riusciva sempre a evitare la morte con qualche trucco o la sua intelligenza e astuzia.
Lei non aveva idea di come scoprire se in quel piatto ci fosse o meno del veleno, a parte assaggiarlo.
Nella zuppa galleggiavano dei generosi pezzi di carne. Ne raccolse uno e lo portò alla bocca. Facendosi coraggio lo addentò con calma, masticando senza fretta.
Se sentirò qualcosa di strano lo sputerò, si disse.
Ma non accadde.
La zuppa era speziata e buona e la carne morbida anche se un po’ troppo cotta.
Notò che Malag sorrideva e mangiava dalla propria ciotola con gusto. “Che cosa ti dicevo? È buona.”
Joyce annuì.
Malag tornò serio. “Devo farti le mie scuse, Joyce di Valonde.”
Si fece attenta.
“Non era mia intenzione causarti tante sofferenze. È stato spiacevole venire a sapere che cosa fosse accaduto a Valonde il giorno del tuo matrimonio. Molto spiacevole.” Posò il cucchiaio a lato del piatto. “Devi credermi quando ti dico che non ho mai ordinato quell’attacco.”
“Ti credo” disse subito Joyce.
Non così in fretta, si disse. O capirà che stai mentendo.
Malag annuì grave. “A volte i miei luogotenenti sono così ansiosi di servirmi che esagerano con lo zelo. Come Fennir.”
Joyce lo ricordava bene. Era stato lui a cercare di rapirla e aveva causato la morte del povero Mythey.
“Fen aveva solo il compito di osservare le vostre mosse, non certo di intervenire. Pur di compiacermi ha cercato di strapparti ai tuoi affetti ed è stato giustamente ucciso. Anche Rancey è stato punito per i suoi errori perdendo la vita.”
Anche grazie a me, pensò Joyce trionfante.
“So che questo non ti ripagherà di tutte le sofferenze patite, ma spero di potervi porre rimedio in qualche modo.”
E come speri di riuscirci? Si chiese Joyce.
Malag trasse un profondo sospiro e si alzò, avvicinandosi agli scaffali pieni di libri.
“Ho sentito dire che sei una grande lettrice di romanzi.”
Immagino siano state le tue spie a riferirtelo, pensò.
“Anche se la mia collezione non è ampia come la tua, possiedo alcuni pezzi molto rari.” Prese un libro dallo scaffale e lo pose sul tavolo.
Joyce cercò di leggere il titolo sulla copertina consunta dal tempo. Le parole, che una volta dovevano essere dorate, erano quasi del tutto sparite ma si riusciva ancora a leggere qualcosa.
“L’ascesa del Drago” sussurrò.
Malag annuì. “Il capolavoro di Olofir Vadi.”
“Ne ho letto una copia a Valonde” disse perplessa.
“Questa è molto antica. È una prima edizione.”
“È impossibile” disse Joyce.
Olofir era vissuto settant’anni prima e aveva scritto solo cinque romanzi. I primi quattro erano molto famosi ed erano stati copiati numerose volte. Il quinto, l’Ascesa del Drago, non aveva goduto della stessa fortuna e ne esistevano poche copie originali. Solo col tempo era diventato un classico venendo ricopiato centinaia di volte.
Malag prese un altro libro e ci soffiò sopra. “È tanto che non leggo questo” disse mettendolo sopra quello di Olofir.
“La Strega Bambina” disse Joyce con voce sorpresa.
“Prima edizione anche questa” disse Malag con tono gioviale. “Praticamente introvabile, se non sai dove cercarla. È probabile che questa sia una delle dieci o dodici copie di quella edizione rimaste in tutto il continente. E forse in tutto il mondo conosciuto.”
Joyce stava ancora ammirando la copertina del libro quando Malag ne posò un altro vicino ai primi due.
Era un tomo piccolo e sottile, con la copertina scura e le scritte in caratteri d’argento. “Il Flauto dell’Incantatore” annunciò con orgoglio.
“Di Gorre Mirasalor” disse Joyce con voce appena udibile. “Il cantore maledetto.”
Malag annuì. “Sai perché lo chiamavano così?”
“Scriveva solo di brutali omicidi e assassinii” disse Joyce. “Le sue opere vennero vietate quasi ovunque e distrutte. Solo poche copie si salvarono.”
Nessuna delle quali si trovava a Valonde.
“Potremmo passare intere giornate a parlare di vecchi libri e autori maledetti” disse Malag. “Ma il tempo a nostra disposizione volge al termine e i miei comandanti sono impazienti di conferire con me. È tempo di salutarci, Joyce di Valonde.”
È il momento, si disse. Ora mi annuncerà la mia condanna a morte, come nei romanzi d’avventura. Ma non mi troverà impreparata.
Malag indicò i libri. “Scegline uno.”
Joyce esitò. “La Strega Bambina” disse. “Non l’ho mai letto.”
Malag sorrise incerto. “Sarà doloroso separarsene.” Le porse il libro.
Joyce lo fissò senza muoversi.
“È tuo. Te ne faccio dono.”
Dopo qualche istante di esitazione, prese il volume tra le mani. Quasi provò la sensazione di scottarsi soppesandolo.
Malag sorrise compiaciuto. “Ora è il momento di salutarci, Joyce di Valonde. Non posso rimandarti a casa e qui non sarebbe sicuro per te, quindi ti farò scortare fino a un luogo adatto.”
Joyce immaginò una puzzolente prigione o una torre dove avrebbe passato i suoi ultimi giorni.
Non morirò così, si disse. Lotterò, se necessario e sceglierò la morte che voglio.
Stava per evocare i dardi magici quando Malag proseguì: “Ti farò scortare da tuo padre, fino al campo dell’alleanza. Solo così spero di porre rimedio agli errori fatti in passato.”
 
***
 
Preceduta da Nimlothien e Malag e seguita da Garrik, Joyce venne scortata fuori, sulle scale dell’edificio.
All’esterno la folla era aumentata e quando superarono le porte vennero accolti da un boato assordante.
“Malag, Malag, Malag” urlò la folla.
L’arcistregone discese le scale senza fretta. A ogni gradino la folla premeva per farsi avanti ma nessuno si avvicinava troppo.
Quando Malag giunse davanti a quelli nella prima fila, questi si inginocchiarono col braccio teso verso l’arcistregone.
Il silenzio cadde sulla piazza mentre Malag fendeva la folla sfiorando le mani tese verso di lui. Quelli che venivano toccati rispondevano con una sola parola che riecheggiava attraverso la piazza.
“Malag.”
“Malag.”
“Malag.”
L’arcistregone tornò sui suoi passi riguadagnando le scale.
“Nimlothien” disse rivolgendosi alla strega bianca. “Fai in modo che la principessa viaggi sana e salva fino al campo di suo padre.”
Nimlothien si esibì in un inchino. “Garrik.”
Lo stregone raddrizzò la schiena.
“Vieni con noi.”
Mentre Malag risaliva le scale, Joyce si ritrovò a camminare tra la folla ancora silenziosa che si stava rialzando.
Vide volti eccitati, guance arrossate e persino occhi pieni di lacrime. Una ragazza le stava asciugando col dorso della mano senza riuscire ad arrestare il pianto.
Camminarono fino a lasciare la piazza e solo allora Garrik disse qualcosa. “Grazie per aver scelto me, strega bianca.”
“Hai sempre desiderato un’occasione per mettere in mostra le tue capacità e ora te l’ho concessa. Riporta la principessa da suo padre e poi fai ritorno qui, senza fermarti per nessun motivo. Prendi una scorta piccola, solo cinque o sei persone di tua fiducia. Non dovranno dire a nessuno dove siete diretti. Seguite sentieri poco battuti in modo da evitare le pattuglie. È tutto chiaro?”
Garrik fece un leggero inchino. “Come desideri.”
“In quanto a te” disse Nimlothien rivolgendosi a Joyce. “Spero che ricorderai la generosità del maestro, quando sarai al sicuro. Avrebbe potuto usarti per ricattare tuo padre.”
Mi chiedo perché non l’abbia fatto, pensò Joyce.
Poche ore prima era certa di morire e adesso si ritrovava sul punto di tornare da suo padre. Al sicuro.
“Il maestro è un comandante leale e giusto” disse Nimlothien. “Non usa le ragazzine come scudo.”
“Ringrazialo da parte mia” disse Joyce stringendo al petto il libro che Malag le aveva regalato.
Appena al sicuro lo butterò via, si disse.
“È tutta tua, Garrik. Io devo tornare a conferire col maestro.”
Nimlothien girò su sé stessa e si allontanò diretta alla piazza.
“Vieni con me” disse Garrik. “Il tempo di radunare la scorta e partiremo. C’è ancora molta luce e dobbiamo approfittarne.
 
La scorta scelta da Garrik era composta da due mantelli e tre soldati. Uno dei mantelli era una ragazza dai capelli neri e lucidi e il naso aquilino. L’altro era un uomo dalla pelle scura e le labbra sottili.
Joyce viaggiava tra i due. Più indietro i tre soldati e Garrik a guidare il gruppo in testa. Tutti avevano dei cavalli freschi scelti dalla loro guida.
A Joyce era stata data una borsa a tracolla dove aveva infilato la Strega Bambina e abiti nuovi e più adatti a quel viaggio. Indossava una blusa con mantellina e dei pantaloni di pelle completati da stivali pesanti.
Garrik li aveva portati su di un sentiero che era appena visibile. “Di qui non passa nessuno” disse mettendosi in testa al gruppo.
Joyce cercò di concentrarsi, ma senza riuscirci davvero. Non riusciva a tenere lontano dalla sua mente il ricordo dell’incontro con Malag e di quanto strano fosse stato.
Aveva pianificato di uccidere l’arcistregone e morire lei stessa nel tentativo, ma qualcosa dentro di lei gli aveva impedito di portare a termine il suo piano.
Ho avuto paura, si disse. Dovevo avere il coraggio di colpire Malag quando ne ho avuto l’occasione. Forse sono l’unica ad aver avuto l’opportunità di ucciderlo e l’ho sprecata come una stupida. Nimlothien ha ragione. Sono debole e patetica. Inutile. Anche con tutte le formule magiche che ho imparato a memoria. Se Bryce fosse stata al mio posto, non avrebbe esitato e ora la guerra sarebbe un ricordo. E invece…
Qualcosa sibilò nell’aria sfiorandole la testa. Si abbassò d’istinto. Sentì un grugnito sommesso alle sue spalle. Voltandosi, vide uno dei soldati col petto trafitto da un dardo che si stava accasciando in avanti sulla sella.
Venne spinta di lato e poi a terra da una forza misteriosa che l’afferrò all’improvviso. Un piccolo sole sorse davanti al gruppo, proprio dove Garrik stava cavalcando. Cavallo e cavaliere vennero spinti via e avvolti dalle fiamme.
“Dannazione” grido la ragazza dai capelli neri evocando lo scudo magico.
Joyce atterrò sulla spalla e rotolò fino al sottobosco, finendo in un cespuglio.
Un’esplosione squarciò l’aria, seguita dal rombo sommesso dei tuoni e dal balenio dei fulmini. Uno dei soldati venne avvolto dalle scariche e crollò al suolo esanime.
Joyce strisciò tra gli arbusti fino a sbucare dalla parte opposta, tra due alberi dal fusto spesso. Tentò di rialzarsi ma qualcosa le avvolse la gamba destra. Il dolore avvampò all’istante quando la morsa si strinse su di essa.
Joyce si voltò di scatto ed evocò la lama magica. Con un gesto deciso taglio la corda di energia che la stava trascinando via e si alzò con uno scatto.
Corse verso gli alberi cercando un riparo mentre dardi magici esplodevano attorno a lei e sopra la sua testa.
“È andata da quella parte” gridò una voce femminile.
“Non lasciatela scappare” disse una voce maschile.
Joyce trasfigurò in Sibyl e preparò i dardi magici.
Sono predoni o una pattuglia dell’alleanza? Si chiese. E cosa ci fanno così vicini al villaggio dell’orda? Devo scoprire che cosa sta succedendo.
Si fermò dietro un albero per cercare un riparo. Udì gli inseguitori farsi strada tre i cespugli.
“È qui” disse la voce femminile.
“Mi arrendo” gridò.
Gli inseguitori rallentarono fino a fermarsi.
“Non è un inganno” disse. “Sto uscendo.”
Se avesse fatto un errore sarebbe morta lì e in quel momento. Alzò le mani per mostrare che erano vuote e lasciò il nascondiglio.
Due stregoni col mantello azzurro la fissarono da una ventina di passi di distanza. Avevano i dardi pronti ma non si mossero.
Uno dei mantelli era donna. “Che aspetti, Elwin? Non vedi che è lì davanti? Uccidila.”
“Aspetta Lixi” disse lo stregone. “Il comandante vuole dei prigionieri vivi da interrogare. I morti non parlano.”
Lixi si accigliò. “Quegli altri lì sono tutti morti?”
“Credo di sì.”
La strega sbuffò. “Vieni avanti. Piano.”
Joyce ubbidì tenendo bene in mostre le mani vuote. “Mi chiamo Sibyl.”
“Nessuno te l’ha chiesto” disse Lixi con tono sgarbato.
“Ma tutti mi conoscono come Strega Rossa” aggiunse.
“E io sono la strega dorata” disse la ragazza. “E quello lì è il principe senza corona, il suo amante.”
Per quanto ancora dovrò sopportare questa frase? Si chiese Joyce irritata.
“Sono davvero chi dico di essere. Portatemi al campo dell’alleanza e ve lo dimostrerò.”
Con un po’ di fortuna, si disse, Elvana e gli altri mi riconosceranno.
“Noi non andiamo al campo” disse Elwin.
Joyce si accigliò. “E dove allora?”
 
La colonna di soldati a piedi e cavalieri si snodava per diverse miglia lungo il sentiero, tagliando in due la foresta.
Lixi ed Elwin la scortarono verso un carro trainato da buoi che si muoveva lento.
Joyce si guardava attorno cercando un viso familiare, ma non ne trovò. C’erano molti mantelli azzurri di Valonde, ma anche di altri colori. Non conosceva quei simboli, ma dovevano provenire da ogni regione del continente. C’erano anche i vessilli di Berger, quelli li riconobbe subito.
Anche loro si sono uniti all’alleanza, si disse.
Berger non aveva un grande esercito ma era comunque una buona cosa.
Superarono il carro e si avvicinarono a un gruppo di mantelli e cavalieri che sostavano in una radura.
 “Parla solo quando sei interrogata” l’ammonì Lixi. “Il comandante non è tenero con i ribelli, ma se ci darai informazioni utili forse ti risparmierà la vita.”
Il comandante era un omaccione alto e massiccio che voltava loro le spalle. Quando si stavano avvicinando una delle streghe col mantello azzurro la indicò.
L’omaccione si voltò di scatto per guardare a sua volta.
Joyce gli sorrise. “Martom” esclamò.
Martom emise un grugnito. “Il mondo è piccolo, strega rossa. Che cosa ci fai da queste parti?”
“Viaggiava con una pattuglia di ribelli” disse Lixi.
Martom guardò Joyce con sospetto. “È vero?”
“Mi avevano scoperta e catturata. Credo volessero interrogarmi.”
“Sta mentendo” disse Lixi. “Non era prigioniera.”
“Le catene sono superflue quando sei in mezzo a sei ribelli” si giustificò Joyce.
Martom annuì grave. “Io non posso prendere decisioni in merito, ma se hai delle informazioni utili devi rivelarcele.”
“Parlerò solo col vostro comandante” disse Joyce.
Era ansiosa di rivedere suo padre, anche solo sotto quella forma.
Martom si accigliò. “È molto occupato.”
“Dirò tutto a lui” disse Joyce sicura. “Ho informazioni importanti sui ribelli e le loro forze.”
“Bene” fece l’uomo. “Portatela da Galyon.”
Joyce ebbe un tuffo al cuore. “Galyon? È lui il comandante?”
Martom annuì.
“Non è l’armata di re Andew questa? Non è lui che sta marciando contro l’orda?”
“Re Andew è caduto in disgrazia. Ora sono Galyon, Falgan e Mardik a comandare, con Adler di Berger, il Custode della Spada. Portatela da loro” ordinò a Lixi ed Elwin.
 
La tenda sorgeva in mezzo a uno spiazzo pianeggiante ricavato abbattendo gli alberi tutto intorno.
All’ingresso erano di guardia una mezza dozzina di mantelli e altrettanti soldati armati di lancia e scudo.
Lixi si fermò davanti all’ingresso per parlare con le guardie mentre Elwin e Joyce rimasero a qualche passo di distanza.
“Sei davvero la strega rossa?” le chiese.
Joyce annuì.
“Dicono che hai ucciso Rancey.”
Scrollò le spalle con noncuranza.
“E hai aiutato lord Falgan a catturare Theroda.”
Ora si fa chiamare così? Si disse.
“In quella faccenda io non c’entro” disse sulla difensiva. Doveva iniziare a diffondere qualche voce positiva su di sé.
“Dicono che eri a Malinor quando è caduta. Lord Falgan temeva che fossi morta.”
“Temeva?”
Elwin annuì deciso. “Diceva che voleva ucciderti con le sue mani, che gli era stato rubato il diritto di dare la giusta punizione a una rinnegata. Parole sue.”
“Non stento a crederti che le abbia dette” disse Joyce.
Lixi tornò a passo svelto. “Puoi entrare” disse con tono secco. “Noi aspettiamo fuori.”
Joyce trasse un respiro e raggiunse la tenda. Le guardie non cercarono di fermarla e lei sollevò il velo che la chiudeva, infilandosi dentro.
“Mi ero ripromesso” disse una voce bassa e gutturale. “Che se ti avessi rivisto, ti avrei uccisa.”
Nella penombra individuò quattro figure in piedi.
Una era quella esile di Galyon. Non era diversa da come la ricordava. Al suo fianco c’era Mardik, quello che era stato uno dei comandanti più fidati di suo padre. La terza era in disparte e apparteneva anch’essa a un volto conosciuto.
Adler di Berger la fissava con sguardo pieno di disprezzo.
Infine, in un angolo, la sagoma di Falgan, con gli abiti di pelle gettati sulle spalle ampie e la barba incolta e sporca.
“Bentornata, strega rossa” disse Galyon con voce gracchiante. “Pensavamo tutti che fossi morta nel disastro di Malinor.”
Joyce avanzò verso i quattro cercando di non mostrarsi timorosa. “Ho visto i colossi distruggere la città” disse.
Galyon annuì solenne. “Sappiamo tutto dai racconti dei superstiti. Alcune voci ci hanno raggiunto prima di te.”
“Che pensate di fare con quei mostri?” chiese Joyce.
Falgan rise sguaiato. “Ma la sentite? È lei a interrogarci, quando dovremmo essere noi a strapparle ogni parola con un po’ di sane frustate.” Scosse la testa affranto.
Galyon si tormentò le mani ossute. “I colossi sono un grosso problema, ma dovremo occuparcene dopo aver sistemato l’orda di Malag.”
“È per questo che state marciando verso di loro?”
“Alla fine abbiamo deciso di dare battaglia” disse Mardik rompendo il silenzio. “Se avessimo atteso re Andew, saremmo ancora al campo ad aspettare che i nemici ci piombino addosso.”
“Quindi volete affrontare Malag e poi sistemare Persym?”
“Il piano è quello, strega rossa” disse Galyon. “Lixi dice che hai delle informazioni per noi. Informazioni sull’orda molto importanti.”
“Spero per te che lo siano davvero” disse Adler.
Joyce notò che al fianco portava una fodera da cui spuntava l’elsa di una spada.
È quella spada? Si chiese.
“Come pensate di affrontare Malag e di vincere?” chiese.
“Abbiamo un’armata sufficiente a schiacciarlo” disse Mardik.
“E la spada di Bellir” disse Adler.
Estrasse la spada dalla fodera e gliela mostrò.
È proprio lei, si disse Joyce.
“L’ho chiamata Distruttrice di Empi” dichiarò Adler con tono solenne. “Non ti ho mai ringraziato abbastanza per averla ritrovata per me. Grazie a questa ho potuto radunare l’armata di Berger e portarla qui.”
Avrei dovuto tenerla io, si disse. Se fosse davvero la spada di Bellir, potrei uccidere Malag con quella.
“Allora, queste informazioni?” chiese Galyon impaziente. “Siamo ansiosi di ascoltarti.”
Joyce raccolse i pensieri prima di iniziare a parlare. “Mi sono infiltrata in uno dei villaggi dell’orda.”
“Quale?” chiese Mardik. “Ce ne sono una decina.”
“Prima voglio che mi promettiate una cosa” disse Joyce. Era la parte più complicata di quel discorso e doveva usare le parole giuste.
“Dacci queste informazioni e basta” disse Mardik. “O inizierò a pensarla come Falgan su di te.”
Joyce guardò Galyon. “Il villaggio è pieno di persone indifese.”
“Si sono schierati con i rinnegati” disse Adler. “Saranno anche indifese, ma non sono innocenti.”
“Non i ragazzi e i bambini” ribatté.
Adler scrollò le spalle.
“Hai la fama di uomo giusto e rispettato” disse a Galyon.
“Attenta alle parole che usi, strega rossa” l’ammonì Mardik. “Stai mettendo a dura prova la nostra pazienza.”
Falgan ridacchiò. “Cosa ti dicevo? La strega rossa tiene più ai rinnegati che all’alleanza.”
Lo stregone inspirò una boccata d’aria. “Non farò del male a quelle persone” disse Galyon dopo qualche secondo. “Se si arrenderanno senza combattere.”
“Puoi darmi la tua parola d’onore?”
“Che sfacciata” sbottò Falgan. “Tu nemmeno sai cos’è l’onore.”
Joyce tenne lo sguardo su Galyon.
“Hai la mia parola, ma non riesco a vedere alcun vantaggio nell’informazione che pretendi di avere.”
“Morto Malag, non avranno più la loro guida e nessun motivo per proseguire la guerra” disse Joyce.
Ci aveva riflettuto a lungo. Eliminato l’arcistregone l’orda si sarebbe dissolta e la guerra sarebbe finita. L’alleanza avrebbe risparmiato le forze per affrontare Persym e i colossi.
“Ora il nome del villaggio” disse Galyon perentorio.
“Roxarr. Malag si trova lì.”
“L’arcistregone si muove spesso” disse Galyon. “Sono intere Lune che cerchiamo di scoprire dove si trova. Coglierlo di sorpresa ci aiuterebbe, ma le notizie che riceviamo sono sempre vecchie.”
“Questa non lo è” disse Joyce. “Malag è a Roxarr. Posso anche indicarvi dove si trova il villaggio.”
“Lo sappiamo già” disse Mardik.
“Tra poco Malag ripartirà” disse Joyce. “Mentre è diretto a un altro villaggio è lontano dal suo esercito. Potreste colpirlo facilmente.”
“È una buona idea” disse Galyon. “Falgan, vuoi occupartene tu? Potresti avere l’onore di uccidere l’arcistregone e mettere fine alla guerra.”
Falgan si sollevò con agilità. “Ti porterò la sua testa, sempre che la strega rossa non ci abbia detto un mucchio di bugie.”
“È tutto vero” disse Joyce.
Falgan uscì dalla tenda.
“Mardik” disse Galyon. “Ordina di prepararsi alla battaglia. Fai girare l’ordine tra i comandanti.”
Mardik annuì e lasciò la tenda marciando fuori impettito.
“Hai dato la tua parola” disse Joyce a Galyon.
“E intendo tenere fede al mio giuramento” rispose lo stregone.
Mentre Galyon lasciava la tenda, Adler si avvicinò. “Stai commettendo un grosso errore” disse digrignando i denti.
Galyon si fermò sull’ingresso. “Cos’hai da lamentarti stavolta, Adler? Non vuoi che questa guerra finisca?”
Adler rimase in silenzio. Dopo che Galyon ebbe lasciato la tenda, disse: “Dovevo essere io a uccidere l’arcistregone. Con questa spada.”
“Potrai sempre vantarti di avere un pezzo raro nella tua collezione” rispose Joyce spavalda.
L’altro si limitò ad annuire e uscì.
Fuori dalla tenda l’armata era sempre in marcia e poco sembrava cambiato, ma immaginava le staffette partire per avvertire i comandanti dell’imminente battaglia.
Falgan riunì i cavalieri e i mantelli sotto il suo comando e partì prima di tutti gli altri. “Troverò Malag e lo stanerò” dichiarò.
“Limitati a tenerlo a bada” disse Mardik. “Devi impedirgli di ricongiungersi col grosso delle sue forze. Se ci riuscirai, noi arriveremo in aiuto. Senza il suo capo l’armata si arrenderà in fretta.”
Martom e Dwili partirono con Falgan lo stesso giorno e molti altri si aggregarono all’armata. Pattuglie vennero inviate in avanscoperta per preparare l’avanzata rapida degli inseguitori.
Joyce avrebbe voluto unirsi a loro per assistere alla fine della guerra, ma Falgan non la volle con sé. “Vattene via o rimani qui, ma non con me” disse con tono rude. “Saresti un peso.”
Joyce accettò quella scelta e pensò di andarsene non appena ne avesse avuta l’occasione, ma Lixi ed Elwin, i due che l’avevano catturata, le facevano da scorta tutto il giorno.
I due si davano il cambio in modo che ce ne fosse sempre almeno uno con lei. Per due giorni dovette subire la loro compagnia e il terzo arrivarono le prime staffette da Falgan e la sua armata.
Galyon e i suoi alleati le lessero all’interno della tenda, lontano dagli occhi di tutti.
Joyce avrebbe voluto scoprire di cosa parlassero, ma era rischioso anche solo pensare di sottrarle ai proprietari.
Se ora avesse tradito la fiducia ricevuta da Galyon, non l’avrebbe più recuperata. E lì non era Joyce di Valonde, ma Sibyl la strega rossa. Un errore del genere poteva costarle la vita.
Attese paziente che qualche notizia trapelasse. E il quarto giorno Galyon annunciò a sorpresa che stavano per mettersi in marcia.
Falgan tornò il giorno successivo, accompagnato da una scorta in cui vi erano anche Martom e Dwili.
Joyce lo vide entrare nella tenda scuro in viso. Si era aspettata un suo ritorno trionfale, con la notizia che Malag era stato ucciso o intrappolato, ma l’amata di Mardik non era ancora pronta alla partenza.
Joyce si avvicinò alla tenda per ascoltare, ma la folla di soldati e mantelli glielo impedì. Galyon e gli altri comandanti uscirono solo ore dopo, quando la folla stava diventando impaziente.
Fu il loro comandante supremo a parlare: “Malag è riuscito a fuggire all’accerchiamento” disse. “Ma è lontano dalla sua armata principale. Ormai è solo questione di tempo e verrà ucciso. Mardik e tutti gli altri comandanti si metteranno subito in marcia per inseguirlo e stanarlo come l’animale feroce che è.”
Dalla folla salì un boato assordante. “I Leoni di Galyon” urlarono i soldati.
“Adler il distruttore di empi” urlarono quelli con le insegne di Berger.
Galyon, Mardik e Adler tornarono nella tenda. Falgan invece si diresse verso di lei con la solita espressione tronfia.
“Devo ringraziarti strega rossa” disse. “Per una volta ti sei dimostrata utile e sincera. Non lo avrei mai detto.”
“Non hai ucciso Malag” disse Joyce con tono accusatore.
“Il mio potrebbe sembrare un fallimento” disse Falgan. “Ma io sono soddisfatto lo stesso. La gloria effimera non mi è mai interessata. Preferisco un buon bottino, se non posso ottenere la prima.” Proseguì per la sua strada senza darle il tempo di rispondere, seguito da Dwili.
Martom si soffermò per qualche secondo, l’espressione accigliata.
“Che cosa voleva dire?” chiese Joyce.
Il guerriero scosse la testa e ripartì.
“Martom” disse Joyce raggiungendolo. “Cosa è successo?”
“Chiedilo a Galyon. Lui sa tutto.”
Joyce marciò verso la tenda del comandante ma venne bloccata dalle guardie.
“Devo parlare con Galyon” disse Joyce.
“Ci parlerai dopo.”
“Lo farò adesso.” Fece per entrare ma i soldati scattarono verso di lei, bloccandola per le braccia.
Joyce si divincolò usando la forza straordinaria e li scagliò via.
I due stregoni che facevano la guardia evocarono i dardi magici.
“Fatela entrare” disse una voce da dentro la tenda.
Le guardie e gli stregoni si fecero da parte e Joyce entrò.
Galyon sembrava attendarla. “Ho poco tempo a disposizione, strega rossa.”
“Cosa è successo a Roxarr?” chiese senza esitazioni.
Galyon scosse la testa. “Quello che non doveva accadere. Abbiamo perso un’occasione per mettere in trappola Malag e far finire la guerra oggi.”
“Non ti ho chiesto di Malag” disse Joyce. “Ma del villaggio.”
Galyon alzò la testa di scatto. “Falgan l’ha raso al suolo.”
Joyce si sentì sprofondare nel terreno. “Avevi promesso di non attaccare” balbettò. “Avevi dato la tua parola.”
“E l’ho mantenuta” disse lo stregone. “Non ho mai dato quell’ordine. È stato Falgan a farlo. Prenditela con lui.”
 “Non c’erano soldati al villaggio. Non era una minaccia.”
“Erano rinnegati” disse Adler. “Per una volta, approvo le azioni di Falgan. È un uomo rozzo e senza cultura, ma è abbastanza risoluto da sapere cosa debba essere fatto e come.”
“Non è giusto” disse Joyce. “Non è affatto giusto.”
“La ribellione è ingiusta” disse Mardik. “Ora vattene via. Abbiamo questioni importanti di cui discutere.”
Joyce fece per voltarsi.
“Strega rossa” disse Galyon alle sue spalle. “Ti ringrazio per le informazioni che ci hai dato, ma ti consiglio di tenere a freno la tua lingua. La nostra pazienza non è inesauribile.”
Nemmeno la mia, si disse.
Joyce marciò fuori dalla tenda. Lixi ed Elwin erano lì che l’attendevano. Il suo primo istinto fu di andare al recinto dei cavalli e prenderne uno, ma quei due gliel’avrebbero impedito o avrebbero dato l’allarme se ci avesse provato.
Doveva liberarsene.
Chiese in giro dove fosse Martom e lo trovò che stava parlando alla scorta di Falgan. Né il loro comandante né Dwili erano in vista.
Appena la vide arrivare il guerriero congedò la scorta e solo dopo essere rimasti soli disse: “Hai parlato con Galyon?”
Joyce annuì. “Mi serve un cavallo. Ora.”
“Non è una buona idea.”
“Puoi procurarmene uno?”
“Potrei” disse Martom. “Ma non voglio vederti morire. Anche se mi hai sconfitto, sogno di misurarmi di nuovo con te.”
“Faremo tutti i duelli che vuoi se mi farai prendere uno dei vostri cavalli.”
“Non posso dartelo di persona, ma posso fare in modo che le guardie si distraggano. Nessuno noterà un cavallo in meno.”
Joyce indicò Lixi e Elwn che li osservavano da qualche passo di distanza. “Liberami di loro due.”
“Ci penso io. E fai attenzione. Da qui in avanti sarai una rinnegata a tutti gli effetti.”
 
Cavalcò per tutta la notte. Come le aveva promesso Martom, prendere il cavallo fu facile. Non c’erano guardie al recinto e a lei bastò entrare e sceglierne uno. Lixi ed Elwin erano spariti poco prima della sua partenza e nessuno le aveva fatto domande.
Conosceva il sentiero per raggiungere Roxarr, ma si tenne lontana dalla via principale. Quell’accorgimento non era bastato a Garrik per evitare di essere sorpreso dalla pattuglia dell’alleanza, ma Joyce sperava di farcela essendo da sola.
Prima ancora di arrivare in vista del villaggio, vide il fumo levarsi da dietro gli alberi. A quella vista aumentò l’andatura incurante di sfiancare la sua cavalcatura.
Le palizzate che avevano protetto e contenuto Roxarr non esistevano più. Al loro posto c’era una distesa di tronchi spezzati e anneriti che erano stati divelti dal terreno da una forza mostruosa.
Poteva immaginare gli stregoni lanciare le loro sfere infuocate e poi i soldati lanciarsi all’assalto delle brecce aperte.
I difensori dovevano essersi arroccati dietro le mura e, una volta cadute queste, la battaglia era proseguita casa per casa, capanna per capanna.
Joyce saltò giù dalla sella e proseguì a piedi correndo. Soldati con le insegne di Valonde vagavano tra le macerie delle capanne e delle baracche. Ogni tanto qualcuno si chinava per raccogliere qualcosa e mostrarlo agli altri.
Joyce passò davanti a una coppia di soldati.
“Tu” disse uno di questi, ma lo ignorò. “Dove pensi di andare?”
“Lasciala fare” disse l’altro soldato. “È un’amica del comandante Falgan. L’ho vista parlare con lui prima della partenza.”
Entrò nella piazza dove qualche giorno prima aveva assistito all’arrivo di Malag insieme a Nimlothien e Dyna. Il palazzo dove aveva incontrato l’arcistregone era ridotto in macerie. Solo la base in pietra era sopravvissuta all’attacco. Anche lì sodati rovistavano tra le macerie e non le badarono, troppo presi da quello che stavano cercando.
Joyce uscì dalla piazza e fece al contrario la strada che portava al palazzo di Naevis. Prima ancora di arrivare vide il secondo livello annerito dagli incendi, i tronchi che formavano le mura spezzati e distrutti dalle sfere infuocate.
Lì i soldati non erano ancora arrivati o forse avevano già completato la razzia. Entrò nella sala dove le ragazze cucivano e rammendavano i vestiti. I banconi erano vuoti e silenziosi. Vide cadaveri sparsi ovunque. Alcuni indossavano l’armatura o il mantello, altri vestiti semplici di ogni giorno.
Le cucine erano distrutte e di esse restava un foro che dava accesso diretto all’esterno, dove vide altre macerie sparpagliate per strada.
Trovò le scale, ma erano crollate. Raggiunse il livello superiore levitando e aggrappandosi alle assi divelte del pavimento.
I dormitori erano vuoti, il legno annerito dagli incendi che erano divampati. Qualcosa aveva colpito il tetto facendolo crollare a metà della lunga stanza. Vide spuntare gambe e braccia da sotto le macerie ma non si soffermò su di esse.
Se lo avesse fatto le forze le sarebbero mancate.
Trovò il dormitorio di Cellica e Kaerla. Il lungo salone era anch’esso annerito dagli incendi, ma alcuni letti erano intatti. C’era puzza di carne putrefatta nell’aria. Quelli che avevano cercato rifugio dalla battaglia erano rimasti intrappolati nel dormitorio, venendo soffocati dall’incendio che era divampato attorno a loro.
Non potendo uscire per via degli assalitori, avevano scelto di restare lì fino alla fine, preferendo la morte per soffocamento a quella inflitta dalla spada. O dalla stregoneria.
Trovò Cellica e Kaerla abbracciate, vicino al letto dove quel giorno avevano parlato di ragazzi e lettere d’amore.
Il letto di Kaerla era ancora intatto e così il cuscino della ragazza. Lo afferrò e frugò sotto la fodera, trovando la lettera di cui Cellica aveva parlato.
Soppesò quel foglio di carta ripiegato in quattro tra le dita. Non osava spiegarlo. Sarebbe stato un delitto atroce leggere le parole che Ascal le aveva dedicato.
Invece prese la lettera e la infilò in una tasca della tunica di Kaerla. Quindi sedette sul bordo del letto e si portò le mani al viso. “Mi dispiace” sussurrò. “Mi dispiace.”
Una mano si posò sulla sua spalla facendola trasalire.
“Ti ho trovata” esclamò una voce dietro di lei.

Note
Quale modo migliore per festeggiare la Pasqua di un capitolo di Joyce? :D
Prossimo Capitolo Giovedì 16 Aprile
  
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