Videogiochi > Dragon Age
Segui la storia  |       
Autore: LysandraBlack    18/04/2020    3 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 31
Watch me rise up like a Champion



 

Quando raggiunsero finalmente la Comandante Meredith e il resto delle forze templari, trovarono la donna a discutere animatamente con il Primo Incantatore Orsino.

«Non possiamo perderci in chiacchiere, dobbiamo attaccare il Palazzo e trovare il Visconte.»

«Ho già perso la metà dei miei, Comandante, un attacco frontale non è l'unica soluzione.»

Meredith Stannard rivolse al mago uno sguardo di sufficienza misto ad un ben poco velato disprezzo, indicando i cadaveri di una mezza dozzina di maghi a terra poco lontano, circondati da un numero almeno triplo di Qunari e soltanto due templari. «Vi avevo detto di portare con voi i migliori. Hanno fatto la loro parte.»

Orsino resse il confronto limitandosi ad assottigliare le palpebre, ma Marian non lo aveva mai visto così arrabbiato in anni alla Forca. «Non mi preoccupa aiutare a salvare la nostra città, Comandante, ma seguire i vostri ordini dritti al macello!»

«Comandante, scusate il ritardo.» Si intromise prima che Meredith potesse rispondere al Primo Incantatore. «Abbiamo incontrato parecchia resistenza, ma siamo riusciti a portare alcuni civili sani e salvi alla Chiesa, la Guardia Cittadina ha il controllo dell'edificio. Immagino che il Capitano Cullen stia proteggendo la Somma Sacerdotessa di persona assieme ai suoi, perché non l'abbiamo visto.»

Non le sfuggirono i cinque cadaveri davanti al portone d'ingresso del Palazzo del Visconte: erano uomini di Aveline, uno era ancora tenuto inchiodato al muro dalla grossa lancia che l'aveva ucciso.

«Ottimo lavoro, Tenente. Sì, il Capitano ha ricevuto ordine di proteggere la Chiesa, non ho dubbi che questi bovini troveranno pane per i loro denti. Ma ora dobbiamo entrare nel Palazzo e salvare il Visconte, prima che sia troppo tardi.»

«Ripeto che potremmo provare un approccio meno-»

«Seguirete i miei ordini, Primo Incantatore, la questione è chiusa!» Sbraitò Meredith in tono che non ammetteva repliche.

L'elfo arricciò le labbra sottili, la punta delle orecchie che vibrava impercettibilmente. «Mi permetto di dissentire. So quali sono le capacità dei miei, e come sfruttarle al meglio. E non è-»

«Il Primo Incantatore non ha tutti i torti, Comandante.» Si intromise Marian, un'idea a farsi strada nella sua mente. «I maghi non sono equipaggiati per il combattimento in mischia, e per noi non è un problema gestire un attacco frontale al Palazzo anche senza il loro supporto.»

Meredith la scrutò torva. «Cosa avete in mente, tenente Hawke?»

«Noi attiriamo la loro attenzione qui, sperando di toglierli dal resto della Città Superiore e magari addirittura di farne uscire alcuni dal Palazzo. Nel mentre, il Primo Incantatore e il resto dei maghi possono passare dal retro. Ci sarà meno resistenza, potranno infiltrarsi nel palazzo e seminare il caos, i Qunari non sanno gestire la magia. Li attaccheremo su due fronti, costringendoli ad allentare la presa sugli ostaggi per cercare di fermarci.»

Le narici della Comandante si allargarono in uno sbuffo. «Non è una cattiva idea, sempre che i maghi ne siano in grado, ovviamente. Orsino?»

L'elfo ci pensò un attimo, poi annuì gravemente. «Lo siamo.»

«Allora andate, ma non avvicinatevi agli ostaggi. Non sappiamo come potrebbero reagire i Qunari, quel che è certo è che sembrano temere la vostra magia più di quanto non temano qualsiasi altra cosa, e possiamo usarlo a nostro favore. Pur di uccidere voi, si distrarranno dagli ostaggi.»

Marian deglutì, sperando di non aver appena mandato Orsino e i suoi incontro a morte certa. Incrociò lo sguardo di Alain: il ragazzo stringeva il suo bastone magico come se potesse arrivare da un momento all'altro una folata di vento a strapparglielo dalle mani.

«Mentre voi, Tenente.» Riportò immediatamente l'attenzione su Meredith, che la scrutava con un cipiglio severo. «Appena saremo riusciti a farci largo tra il grosso delle loro forze, prenderete un piccolo manipolo di uomini ed entrerete nel Palazzo. La vostra priorità sarà salvare il Visconte, a qualunque costo.»

Annuì. «Sì Comandante.»

Ruvena, Hugh, Andrew e Trevelyan si spostarono impercettibilmente verso di lei. Fece loro un cenno affermativo, cercando di non pensare a quanto le bruciasse il fianco, a quanti Qunari si trovassero all'interno dell'edificio o al numero di ostaggi che avrebbero dovuto ignorare per salvare la vita di una sola persona. Serrò la mascella. Capiva l'importanza del Visconte, ma l'idea di dover sacrificare qualcun altro solo per una testa coronata le dava il voltastomaco, soprattutto dopo tutto quello che era successo tra Seamus e il padre. Era anche colpa di Dumar se si trovavano in quella situazione. “Ma mai quanto quella stronza bugiarda...” Scosse la testa, allontanando il pensiero. Non era il momento.

Mentre Orsino e il resto dei maghi svoltava a sinistra in una strada laterale, la Comandante li guidò attraverso l'imponente colonnato che portava all'ingresso principale del Palazzo.

I cancelli erano stati abbattuti, le guardie che avevano cercato inutilmente di resistere ancora schiacciate sotto le pesanti grate di metallo, il sangue cristallizzato sulla neve scarlatta.

I Qunari li stavano aspettando.

Erano più di una ventina di grossi bestioni in armatura, tra cui Marian riconobbe tre Karasten, l'equivalente di un ufficiale dell'esercito, e tre Saarebas, le cui catene tintinnarono all'unisono appena il loro Arvaarad mosse un braccio verso i Templari. Aspettavano pazienti che i nuovi arrivati si scagliassero contro di loro, ben consci che il tempo fosse dalla loro parte.

Per quanto fossero ben organizzati i Qunari, però, la Comandante Meredith aveva alcuni dei suoi uomini e donne migliori con sé: per prima cosa, neutralizzarono i maghi incatenati, poi si scagliarono con forza contro i soldati.

Il cozzare delle armi, le grida di guerra e le urla dei feriti, il sangue che pompava nelle orecchie e gli ordini dei comandanti dei due schieramenti si fusero in una cacofonia che la faceva sentire viva, ogni colpo sferrato era subito seguito da un altro, parata, contrattacco, colpo di scudo, un passo avanti, parata, affondo, un altro passo avanti, e così si ritrovò a solo pochi metri dal portone di legno parzialmente sfondato, a separarla dalla meta solo uno dei Karasten.

Al suo fianco, Ruvena scagliò una freccia, seminascosta dietro lo scudo di Hugh, colpendo il Qunari ad una spalla. Quello puntò verso di loro, sferrando un colpo in pieno petto con l'ascia al templare con cui stava combattendo e spedendolo contro una delle colonne in un clangore di metallo contro marmo, e avanzò deciso. Con una mano afferrò l'asta della freccia, spezzandola con un movimento secco e gettando a terra l'impennaggio con aria di sfida.

«Bovino del cazzo.» Sentì ringhiare Ruvena.

Marian rimase impassibile, avanzando lentamente. Il Karasten fece lo stesso, scostando il capo solo quel tanto necessario perché la seconda freccia, che gli passò ad un soffio dalla guancia, lasciasse solo una striatura rossa sullo zigomo.

Hugh lo caricò a destra, mentre Marian sollevò lo scudo andandolo a colpire sul fianco sinistro con la spada. Il primo colpo andò a vuoto, ma il Qunari si beccò un'altra freccia nell'addome e, quando abbassò il capo per un attimo, lo scudo da templare gli sfracellò il mento, facendogli scattare la testa cornuta all'indietro. Barcollò fino al muro dietro di lui, scuotendo le corna e sputando un grumo di sangue nel fango a terra.

Una quarta freccia gli si piantò nel collo esattamente tra le clavicole, con precisione magistrale, troncando qualsiasi cosa stesse loro ringhiando addosso in un verso strozzato. Crollò a terra cercando inutilmente di artigliare la freccia, annaspando nel suo stesso sangue.

Marian si voltò ammirata verso Ruvena, ma l'amica e Hugh erano impegnati a difendersi da uno Sten e non poteva essere stata lei a scagliare il dardo. Poco lontano, intravide dietro la seconda colonna alla sua sinistra la figura minuta di Kelsey, l'arco ancora sollevato. Le fece un cenno di approvazione, l'ombra di un sorriso che si apriva prima di congelarlesi sulle labbra.

Dal fondo del viale, altre figure cornute stavano salendo le scale verso di loro.

«Hawke, vai!» Sentì la voce di Meredith urlare, e si costrinse a voltare le spalle ai compagni, lo scudo sollevato. Ruvena e Hugh si erano liberati dello Sten venendo verso di lei, e anche Andrew e Trevelyan si stavano muovendo in direzione dell'ingresso.

Strinse i denti, scavalcando l'imponente battente di legno a terra e varcando la soglia.



 

Il grande portone della sala del trono era sbarrato, due Qunari a presidiarne la soglia.

Prima ancora che potessero arrivare a metà della sala nella loro carica, vennero abbattuti come rami secchi dai Templari. Il pavimento era disseminato di macchie di sangue, oggetti in frantumi, tessuti strappati e qualche ornamento che doveva essere caduto agli ostaggi.

Incontrarono un solo cadavere Qunari, mentre a terra vi erano molte guardie cittadine e alcuni templari, massacrati nelle loro armature imbrattate di visceri.

I compagni che le guardavano le spalle, Marian aprì i battenti con entrambe le mani, spalancandoli.

L'Arishok era in cima alle scale, proprio dove di solito il Visconte presiedeva le udienze, lo scranno ora vuoto, un fagotto di stoffa insanguinata ai suoi piedi. «Ecco il vostro Visconte.» Si voltò a lanciare qualcosa giù per gli scalini, e con fremito di rabbia Marian riconobbe la testa di Marlowe Dumar rotolare con una serie di tonfi sordi fino al centro del salone. Gli ostaggi, quasi tutti nobili della città, si ritrassero indietro con grida di orrore.

Avanzò di tre passi, fermando la corona che era rotolata fin lì con il piede. «Arishok!»

Le iridi pallide del Qunari sembrarono trafiggerla sul posto. «Shanedan, Hawke. Ti stavo aspettando.» Iniziò a scendere i gradini, appoggiandosi con facilità l'enorme ascia su una spalla. «Maraas toh ebra-shok. Tu sola sei basalit-an.» Si voltò verso i nobili terrorizzati con un'espressione di disgusto. «Questo è il rispetto, bas. Quello che la maggior parte di voi non guadagnerà mai.»

Accanto a lei, sentì i compagni muoversi per accerchiarlo. Fece segno di stare indietro, e seguire i suoi ordini.

«Voi, parlate di rispetto?» Ringhiò Marian, facendosi avanti fino ad essergli di fronte. «Mettere a ferro e fuoco l'intera città, massacrarne gli abitanti, macellarne il regnante come un pezzo di carne e prendere ostaggi? Non vedo nulla che sia degno di rispetto.»

«Questi sono bas, indegni.» Rispose l'Arishok, come se stesse spiegando un'ovvietà ad un bambino. «Come grassi dathrasi, passano il loro tempo a mangiare gli uni sugli altri, e alzano la testa solo per lamentarsi quando vengono interrotti. Non vedono che il terreno su cui pascolano così voracemente è ormai arido e spoglio! Il Qun aprirà loro gli occhi. Tu, Hawke, tu puoi vederlo da sola. Conosci i parassiti che hanno intaccato la tua città, il marcio che non riesci ad estirpare.» Le tese una mano, come aveva fatto a Seamus. «Il Qun ti darà una nuova strada. Ordine, equilibrio, in un caos che cerchi di raddrizzare con le tue sole forze, non comprendendo che una roccia da sola non può arginare il fiume in piena. Scegli la strada che ti farà diventare parte di qualcosa di più grande.»

Marian dovette trattenersi dall'attaccarlo lì, a metà del discorso. «Ordine.» Sibilò, la voce pregna del disgusto e della rabbia che l'immensa pila di corpi della giornata le facevano crescere dentro, un incendio più alto della stessa Chiesa. «Questo non è ordine, Seamus si sbagliava, e tu non hai fatto altro che prenderlo in giro. Il vostro Qun non è che una scusa per assoggettarci ad un unico volere, giustificare la vostra violenza. Equilibrio? Questo è un massacro, in una città che vi ha accolto quando avrebbe invece dovuto cacciarvi a pedate nel culo anni fa.»

L'Arishok parve deluso. «Speravo potessi capire almeno tu la grandezza del Qun, Hawke. Ma a quanto pare proteggere il ladro tra i tuoi amici non è stato un errore di calcolo.» Scosse il capo una singola volta. «Meravas. Sai che Par Vollen mi è negata finché non torno in possesso del Tomo di Koslun. Dimmi, come pensi di poter risolvere l'attuale situazione?»

Avrebbe voluto suggerirgli dove poteva ficcarselo e quanto in alto, quel maledetto libro, ma la situazione era già abbastanza disperata senza che lei perdesse pure quello strano rispetto che l'Arishok le stava concedendo. «Posso aiutarvi a recuperare il Tomo, a patto che fermiate il vostro attacco.»

Il Qunari non battè ciglio. «Sappiamo entrambi che il ladro è ormai a molte miglia da qui, e non avete le risorse né le capacità per ritrovarlo, ovunque sia fuggito.»

Un tonfo alla loro destra li fece voltare di scatto, e in una pioggia di vetri rotti un Qunari venne scaraventato al suolo, un coltello conficcato in orbita. Sopra di esso, scarmigliata ma incolume, Isabela troneggiava con un sorriso beffardo, il Tomo di Koslun stretto tra le braccia. «Non osare dire alla mia migliore amica che non è in grado di fare qualcosa, Arishok.» Sollevò il libro, per poi lanciarlo dritto tra le braccia del Qunari, che lo afferrò al volo stringendolo con reverenza.

«Il Tomo di Koslun...»

Marian si disinteressò completamente dell'Arishok, troppo concentrata su Isabela. Una parte di lei avrebbe voluto staccarle quella testa sorridente e mandarla a fare compagnia ai centinaia di cadaveri che aveva sulle spalle, mentre una piccola, infinitesimale fiammella di affetto le guizzava in petto a vederla di nuovo lì, ad affrontare le conseguenze del suo egoismo. «Hai deciso di farti crescere una coscienza?» Le chiese aspramente.

Il sorriso dell'altra tremò per un attimo. «Ero già a metà strada verso Ostwick, quando mi sono accorta che non potevo andare più avanti di così. Avevo ragione io, i sensi di colpa fanno schifo.»

«Non so se prenderti a pugni o esserne sollevata.»

«Accetterò entrambe le cose, credo. Togliti quei guanti prima, però, ci tengo alla mia faccia.»

Un altro Qunari nel frattempo si era avvicinato, prendendo il Tomo dalle mani dell'Arishok, che si girò verso le due donne. «Ora, posso tornare a Par Vollen. Questa città e la sua malattia non sono più un problema del Qun. Consegnaci il ladro e lasceremo questo luogo.»

La protesta scioccata di Isabela le suscitò una risata sprezzante. «Pensavi di poterla passare liscia, Bela? Non hai visto come hanno ridotto la città? E non li abbiamo fatti incazzare nemmeno lontanamente quanto hai fatto tu.» Portò una mano alla spada, sollevando faticosamente lo scudo di fronte a sé. Pesava quanto una montagna, si sentiva il fianco zuppo di sangue nonostante l'impiastro che ci aveva applicato su Sebastian, e il braccio della spada le formicolava dalla spalla alla punta delle dita, ma si posizionò di fronte ad Isabela, frapponendosi tra lei e il Qunari.

Quello sollevò a sua volta la propria arma. «Ha rubato il Tomo di Koslun. Tornerà con noi.»

Marian scosse la testa, gonfiando il petto con una smorfia di sfida a sollevarle un angolo delle labbra. «Si merita una sonora strigliata e qualche osso rotto, sono d'accordo, ma se avete intenzione di torcerle anche un solo capello, dovrete passare sul mio fottuto cadavere.»

L'Arishok chinò un poco il capo. Sembrava deluso. «Non mi lasci altra scelta, Hawke.» Sollevò l'ascia dalla spalla, afferrandola con entrambe le mani e portandola di fronte a sé. «Ti sfido a duello, fino alla morte, per decidere della sorte del ladro.»

«Marian...»

«Stà zitta, Bela.» L'ammonì furente, serrando la presa sul suo scudo. «Accetto. Se vinco, i vostri soldati se ne torneranno a casa con la coda tra le gambe.»

Non parve minimamente impressionato, né offeso. «I Qunari non hanno la coda.»

Isabela fece appena in tempo a scostarsi, che l'enorme ascia del Qunari si abbattè sullo scudo di Marian, dando inizio allo scontro.

Il braccio le riverberò dall'impatto, facendole stringere i denti con un gemito soffocato mentre quello attaccava di nuovo. Era forte, troppo forte per lei in quelle condizioni. Sperava di averlo fatto incazzare per costringerlo ad un passo falso, ma l'Arishok non era diventato tale cadendo in qualche trucchetto da quattro soldi.

Schivò un altro colpo, preferendo puntare sull'agilità e mirando a stancarlo un poco, per risparmiare le poche forze che aveva. L'ascia si abbattè ad un soffio dai suoi piedi, e il pavimento della sala tremò mentre il marmo si spaccava in una pioggia di schegge. Approfittò del secondo in più che l'Arishok impiegò per risollevare l'arma per tentare un affondo, ma oltre che dannatamente grosso era pure veloce, e la sua lama riuscì solo a scalfirne il fianco, una striatura scarlatta sul torso nudo. “Ora capisco perché ad alcuni piacciono così tanto i veleni...” pensò mentre si aggrappava di nuovo allo scudo, parando un altro colpo e serrando i denti quando lo scudo si piegò sul lato destro, il metallo ormai contorto all'interno che rendeva difficile continuare a tenerlo sollevato. Barcollò all'indietro, il fianco che le doleva da impazzire, e si spostò di lato riprendendo l'equilibrio e schivando per poi affondare di nuovo la lama.

Metallo cozzò contro metallo, e per un attimo la sua spada lunga rimase incastrata in una scanalatura dell'ascia, per poi liberarsi di nuovo e allontanarsi, girandosi attorno come mabari.

Desiderò intensamente avere un'altra fiaschetta di lyrium, l'avrebbe aiutata ad ignorare il dolore. Prese un respiro profondo, cercando di regolare il battito del cuore.

Lo scontro successivo fu più serrato, e piano piano divenne palese che la templare non poteva farcela. Il suo scudo con la spada fiammeggiante era ormai un rottame di metallo inutilizzabile, e dopo un ultimo scambio fu costretta ad indietreggiare di nuovo e staccarselo con foga dal braccio intorpidito. L'Arishok la lasciò fare, in attesa di finirla.

Marian scagliò a terra lo scudo, estraendo la spada corta. Aveva il fiatone, i capelli appiccicati alla fronte dal sudore e dal sangue che le colava da un taglio poco sopra la tempia, che si era fatta parando un colpo particolarmente infido, e la gamba destra iniziava a tremare.

L'Arishok, a parte il graffio di sbieco sul costato e uno degli spallacci praticamente a pezzi, sembrava illeso.

Ringhiò tra i denti un'imprecazione, costringendosi ad avanzare come un gatto verso l'avversario.

Il suo cambio di stile parve destabilizzarlo per qualche secondo, ora i suoi colpi arrivavano a pochi centimetri da lei ma non venivano fermati dallo scudo, e ciò le permise di impegnarlo con la spada lunga e dargli una stoccata sul braccio con la daga corta, tranciando i bracciali di cuoio e affondando la lama fino all'osso. La liberò con uno strattone, balzando nuovamente indietro, l'ascia dell'altro che le roteò ad un soffio dalla testa.

L'Arishok afferrò l'arma con il braccio sano, scuotendo quello offeso come se fosse una spiacevole seccatura, il sangue che gli imbrattava la mano.

Da lì in poi, i suoi attacchi si fecero più veloci. Marian non riusciva a capacitarsi di come potesse muovere quel gigantesco affare con tale facilità, arrivando persino a parare col braccio ferito la sua seconda lama quando riuscì di nuovo ad incastrare le armi per forzare un'apertura sul ventre, ricavandole solo altro sangue, un grugnito infastidito ed entrambe le armi impegnate: la destra, che reggeva la spada lunga, teneva bloccata a terra l'ascia del Qunari, mentre la sinistra era conficcata tra le due ossa dell'avambraccio dell'Arishok, che sollevò l'arto costringendola a sbilanciarsi.

“Quanto cazzo è alt-” La testata la scaraventò all'indietro, la vista improvvisamente oscurata, l'impatto la stordì al punto che ci mise qualche secondo a rendersi conto che non aveva più la daga. Indietreggiò lentamente, cercando di rimettere a fuoco il Qunari.

Lo vide osservare l'elsa che gli usciva dalla carne con un'espressione annoiata, per poi appoggiare l'ascia di fianco a sé e, con la mano ora libera, staccarsi la daga dal braccio per poi lanciarla a terra, facendola rotolare troppo lontano perché lei potesse recuperarla. «Ebasit kata.»

Marian sputò un grumo di sangue per terra. «Vaffanculo.»

Strinse con entrambe le mani la spada. Sarebbe morta. “Male.” Avrebbero preso Isabela per farle chissà cosa, Garrett sarebbe rimasto da solo, non avrebbe più avuto la possibilità di tirare fuori le palle e baciare Sebastian come voleva fare da anni. “Peggio.”

Se doveva proprio morire uccisa da un gigantesco stronzo come quello, non gli avrebbe di certo semplificato il lavoro.

Aspettò che fosse lui ad attaccare per primo, girandogli attorno, calcolando ogni passo. Quando finalmente quello le si gettò di nuovo addosso, guizzò di lato, evitando anche il secondo colpo e colpendolo con una gomitata nel fianco, superando il braccio ormai a penzoloni dell'Arishok e ferendolo con la sua armatura appuntita.

Il ringhio di dolore del Qunari le diede abbastanza forza da tentare un altro affondo, che però l'altro riuscì a parare all'ultimo. Lo vide sollevare di nuovo l'ascia, era esattamente di fronte a lei e non aveva abbastanza spazio per schivare a sinistra e raggiungere di nuovo il suo lato offeso, quindi non le restò altro che indietreggiare, sollevando la spada sopra la testa e parando di piatto, spostandosi leggermente di lato mentre si abbassava.

Crollò in ginocchio sotto il colpo.

Un dolore lancinante la fece boccheggiare, mentre la spada le sfuggiva dalle dita irrigidite. Guardò sconvolta ciò che restava dell'arma, rotta all'incirca a metà, cadere a terra senza un suono. O forse era lei che non sentiva più nulla. Spostò lo sguardo sulla massa gigantesca nel suo campo visivo. “Cazzo.”

La gigantesca ascia dell'Arishok aveva spezzato la sua spada, che non era riuscita a fare altro che rallentarne un po' la corsa, superando la sua guardia e conficcandosi nella sua spalla, spezzando lo spallaccio, tranciando la cotta di maglia e qualsiasi altra cosa ci fosse sotto.

Sollevò di nuovo gli occhi, incrociando quelli del Qunari, la vista annebbiata.

«Asit tal-eb, basalit-an.»

Boccheggiò, inerme, l'Arishok che troneggiava su di lei, impassibile come al solito. Lo vide serrare la mano sana sull'ascia, per liberarla e darle il colpo di grazia, ma prima che potesse fare forza col braccio uno spasmo sorpreso gli solcò il volto.

Ci fu come uno scoppio di luce e il Qunari barcollò da un lato, rischiando di finirle addosso, le vene nere ed esposte sulla pelle grigia e una puzza di bruciato a riempire l'aria che si sommò a quella ferrosa e nauseabonda del sangue che le inondava le narici. Scosse il capo, frastornato, per poi guardare la freccia conficcata nella spalla con odio, cercando il responsabile alle sue spalle.

Con un ultimo sforzo, Marian mise a fuoco una figura atterrare poco dietro il Qunari, risollevarsi in piedi e puntargli addosso quello che sembrava un globo di luce accecante.

«Non toccare mia sorella.»

Svenne.







 

Nel momento stesso in cui aveva visto la sorella sollevare la spada in un disperato tentativo di parare la mostruosa arma dell'Arishok, Garrett aveva incoccato un'altra freccia, superando con una spallata i due Qunari che avevano provato a fermarlo.

Aveva urlato quando Marian era caduta a terra di fronte al bestione, e senza nemmeno pensarci si era sporto dalla balaustra, lasciando andare la freccia che si era conficcata poco sotto lo spallaccio di pelle dello stronzo che stava per ammazzare la sua famiglia.

E Garrett non avrebbe permesso più a nessuno di fare del male alla sua famiglia.

Rilasciò l'incantesimo con facilità, mentre saltava di sotto.

Quasi non si accorse dell'impatto, le gambe che cedevano momentaneamente sotto il suo peso, costringendosi poi a rimettersi in piedi, l'arco stretto tra le mani che brillava di luce pura, il Velo che vorticava attorno a sé. Non c'erano templari, non c'erano segreti, c'era solo quel maledetto bastardo che aveva osato cercare di strappargli via Marian.

L'Arishok si voltò verso di lui, una furia rovente negli occhi. Urlò qualcosa in Qunari, ma non ebbe il tempo di recuperare la sua ascia perché l'incantesimo successivo di Garrett lo abbattè al suolo, schiacciandolo contro il pavimento. Con una rotazione del bastone, il mago lo allontanò di peso dalla sorella, facendolo sbattere violentemente contro una delle colonne del salone.

«Basra vash-» Il Qunari provò ad alzarsi, ma Garrett non glielo permise, intrappolandolo in una barriera di pura forza pulsante, bianca accecante.

Incanalò sempre più energia, il Velo ormai squarciato mentre attingeva un immenso potere dall'Oblio, infischiandosene dei demoni che avrebbero potuto cercare di insinuarsi in quella faglia, li avrebbe schiacciati come l'essere che aveva di fronte, come chiunque si fosse frapposto tra lui e coloro che amava.

Non si sarebbe lasciato strappare dalle braccia la sorella, i loro amici e la loro città.

Utilizzando la freccia come catalizzatore, puntò il bastone magico contro il Qunari.

L'Arishok esplose.

L'onda d'urto del fulmine che aveva scagliato contro il Qunari distrusse ossa, tessuti e armatura come carta col fuoco, ma venne contenuta dalla prigione di luce che aveva lanciato prima, che si deformò per la pressione ma resse.

Si sentiva meglio di come non si fosse mai sentito. Una risolutezza che non aveva mai provato si impossessò di lui, e si voltò a fronteggiare i Qunari che erano corsi a circondarlo con la sicurezza di chi ha la vittoria in tasca. Sollevò di nuovo il bastone, colpendo il pavimento con uno schiocco secco, e una scarica di elettricità li travolse all'unisono, paralizzandoli al suolo in preda agli spasmi, le carni bruciate che fumavano, le loro urla disarticolate che riempivano la sala.

Sentiva quell'immenso potere ancora in lui, si rese conto di non capire più dove iniziasse il Velo e finisse la sua persona e per un solo, lunghissimo istante, si ritrovò come sospeso.

Poi, com'era arrivato, il momento passò e Garrett cadde carponi sul pavimento distrutto, improvvisamente svuotato da ogni forza, il bastone del padre rotolato lontano dalla sua presa.

Un gemito si sollevò alle sue spalle. “Marian.”

Si voltò con immensa fatica e vide Isabela china sulla sorella, Andrew e Trevelyan che cercavano di fermare il sangue che usciva copioso dallo squarcio che l'ascia dell'Arishok le aveva inflitto, ancora conficcata nella sua spalla.

Strisciò verso di lei, non aveva la forza di alzarsi, ma due figure in armatura si pararono di fronte a lui. “Templari”, pensò confusamente. Alzò un braccio, come ad intimargli di spostarsi, ma il gesto successivo dei due lo lasciò spiazzato. Lo sollevarono di peso, aiutandolo a raggiungere la sorella.

«Serah Hawke, è viva, grazie a voi.»

Marian era pallida, zuppa di sangue e svenuta, ma respirava debolmente.

Isabela gli sfiorò il braccio, mentre con l'altra sorreggeva Marian, appoggiata tra lei e Andrew. «Hai salvato la situazione, Garrett.»

«Scheggia!» Anche Varric l'aveva raggiunto, stringendogli la spalla. «Ce l'hai fatta.»

Confusamente, si rese conto che un altro gruppo di persone stava entrando nella sala. Esclamazioni di sorpresa, grida di vittoria e qualche pianto disperato, tutto era un sottofondo ovattato mentre cercava di incanalare abbastanza energia da rallentare l'emorragia della sorella, senza risultati. Non era mai stato in grado di alleviare più di qualche livido, era al di là delle sue possibilità, e ora il Velo sembrava impenetrabile, ogni energia svanita.

Venne spinto da parte, mentre due figure in abiti da mago si avvicinavano a Marian.

«Alain, stabilizzala!»

Riconobbe vagamente il ragazzo che si chinò sulla sorella, chiudendo gli occhi e posando le mani su di lei mentre Andrew rimuoveva l'ascia dell'Arishok, il sangue che smetteva di fuoriuscire, il colore che tornava piano piano sulle guance della donna.

«Serah Hawke!»

Sollevò lo sguardo, e improvvisamente si rese conto di quello che aveva appena fatto. La Comandante Meredith lo squadrava sconvolta, gli occhi che dardeggiavano di furia. «Siete un mago, e un eretico.» L'aura antimagia di almeno quattro templari si scagliò su di lui, e sentì un conato di vomito salirgli dallo stomaco, costringendolo a piegarsi su sé stesso. «Immobilizzatelo e portatelo alla Forca.»

«Comandante!» Conosceva quella voce. Marlein Selbrech uscì dalla folla di ostaggi, il volto tumefatto e una gamba inzaccherata di sangue, ma lo sguardo fermo mentre si parava davanti a Meredith e la fronteggiava a testa alta. «Serah Hawke e Ser Marian sono eroi, hanno salvato tutti noi! Non potete portarlo alla Forca.»

Per un attimo, Garrett temette che Meredith l'avrebbe passata a fil di spada lì, davanti a tutti. Evidentemente però, Lady Selbrech non era sola, perché si alzò tutto un coro di voci in loro difesa.

«Il fatto che abbia sconfitto l'Arishok non toglie che sia un eretico!» Urlò poi con voce ferrea, mettendo tutti a tacere. «Alain, curate la Tenente lo stretto necessario per scortarla in cella. Voi,» disse alla manciata di templari al suo fianco, «portateli entrambi alla Forca. Decideremo del loro destino appena ci saremo occupati del resto della città.» Al vedere i suoi uomini esitare un attimo, alzò di nuovo la voce. «È un ordine, Templari!»

Garrett incrociò lo sguardo di Varric, riuscendo a sussurrargli un avvertimento.

L'amico si limitò ad annuire, per poi indietreggiare tra la folla senza che nessuno gli prestasse alcuna attenzione.



 

Cinque giorni dopo, fissava annoiato il soffitto della cella di pietra chiedendosi cosa avesse dovuto fare Varric per impedire ad Anders di irrompere nella Forca armato di Giustizia e farlo evadere come nelle migliori storie d'amore.

Il sassolino sbatté di nuovo contro la parete, rotolando indietro sul pavimento.

«Marian-»

La sorella non gli rispose, riprendendolo in mano e lanciandolo ancora contro il muro.

«Parlami.»

«Non ho niente da dire.»

«Lo so, ma questo silenzio mi sta facendo ammattire.»

La sorella si limitò a sbuffare, ma non allungò la mano a recuperare il ciottolo.

Garrett stese le gambe, cercando di mettersi un po' più comodo sulla brandina angusta. «Ci tireranno fuori da qui, vedrai. Li hai sentiti là fuori, dubito Meredith voglia mettersi contro l'intera città...» Indicò col dito il soffitto sopra di loro, dove una grata che comunicava con l'esterno portava fin là sotto il rumoreggiare della folla che si era radunata nella piazza di fronte alla Forca.

«Non credo che alla Comandante interessi un accidente dell'opinione pubblica.»

«Allora confidiamo che i nostri amici siano riusciti a pararci le chiappe.»

Marian si voltò finalmente a fissarlo. «Non sono nostri amici. Se Trevelyan ha davvero chiesto alla sua famiglia di intercedere per noi, vorranno qualcosa in cambio. Sebastian ha chiesto alla Somma Sacerdotessa di mettere una buona parola con Meredith, e anche quello non sarà senza ripercussioni.»

Scosse la testa. «Non parlavo né dei Trevelyan, né della Chiesa. Li senti? Sono i nostri nomi che acclamano, non quelli dei Templari o della Chiesa. Hawke. Noi due.» Abbozzò un sorriso fiducioso, era stanco, ancora provato dalla strana esperienza di avere tutto quel potere a portata di mano e quel posto gli riportava a galla i quasi due anni che aveva passato a dormire sul pavimento del tugurio di Gamlen, ma aveva bisogno di restare positivo, almeno uno di loro doveva farlo.

«Possono urlare fino a seccarsi la gola, dubito che farà qualche differenza.» Gli rispose lei tetra.

«Immagino di dover tenere io alto il morale di entrambi, allora. Come va il fianco?»

Marian emise un grugnito soffocato. «Bene.»

«Sicuro, come andava benissimo avere tre costole rotte e buttarsi a testa bassa contro un bestione cornuto di due metri.»

«Sto bene, Garrett.»

«Dovresti avere più fiducia negli altri.»

«Mi stupisce che tu ne abbia così tanta, piuttosto.»

«Isabela è tornata.» Le lanciò uno sguardo di sottecchi. Aveline l'aveva presa in custodia, ma a quanto pare assieme a Varric erano riusciti a trovare il modo di scagionarla, più o meno.

Vide la sorella storcere la bocca in una smorfia arrabbiata. «Questo non cancella il fatto che sia stata una stronza irresponsabile.»

«Ma ha provato a rimediare.»

«Sì, e ci sono andata di mezzo io, come sempre.»

Si sporse un poco verso di lei, dandole una pacchetta sulla spalla con fare canzonatorio. «Questa è la mia sorellona. Sempre pronta a mettersi in mezzo.»

Marian lo spinse con malagrazia, ma aveva un accenno di sorriso sulle labbra. «Con due fratelli così, mi ci sono abituata.»

«Ti ricordi quando hai gonfiato di botte Vic? Ah, nostra madre era furiosa, ma è stata la prima volta che ho sentito Carver pronunciare la parola “grazie”. Anche se negherebbe tutto, ne sono certo.»

«L'aveva quasi buttato nel pozzo. Se l'è meritato.»

«Ma Carver è sempre stato uno stronzetto fastidioso, l'aveva probabilmente provocato.» Commentò lui, recuperando il sassolino da terra e rigirandoselo tra le mani. «Eppure, l'hai difeso.»

«Penso che qui la situazione sia giusto un filo più grave.»

Le rivolse un gran sorriso. «Ma tu sei rimasta la stessa.»

Marian scosse la testa, sbuffando di nuovo mentre le compariva un leggero rossore sul volto pieno di lividi multicolori. Si indicò la faccia. «E guarda quanto bene mi ha fatto.»

«Ah, non dire così. Siamo dei fottuti eroi.»

Dei passi lungo l'angusto corridoio di pietra li fecero voltare entrambi. Andrew e Macsen Trevelyan fecero capolino da dietro le sbarre, sorridenti e freschi come rose.

«E io che pensavo di trovarvi qui col muso lungo... manie di grandezza?» Gli chiese l'amico, facendogli tintinnare un mazzo di chiavi davanti al naso. «Forza, vi portiamo a fare una passeggiata.» Aprì la porta della cella, entrando e afferrandogli i polsi per armeggiare poi con i lucchetti delle pesanti manette di ferro inciso di rune che gli impedivano di lanciare incantesimi e contribuivano ad aumentargli il senso di spossatezza. Quelle cedettero, cadendo a terra con un gran fracasso mentre varcavano la soglia.

«Ce l'avete fatta, quindi?» Chiese Marian ai due templari, squadrandoli sospettosa.

Fu Trevelyan a rispondere, facendosi da parte con un gesto galante per farli passare. «Avete fatto voi gran parte del lavoro. Diciamo che alcuni di noi ne hanno solo... diffuso il Canto.»

«Fino alle orecchie della Divina in persona, si dice in giro.» Commentò Andrew mentre salivano le scale verso la superficie.

Ad ogni gradino che lo portava via da quel posto, Garrett si sentiva più leggero.

Emersero alla luce del sole, l'aria fredda che gli sferzava piacevolmente il viso, tagliando per il cortile della Forca pieno di Templari sui due lati.

Il vociare della folla era ora scemato, centinaia e centinaia di persone accalcate davanti ai cancelli erano in attesa di ascoltare il verdetto della Comandante, che li fronteggiava rigida come un palo.

Meredith dava loro le spalle, ma si voltò a squadrarli con un cipiglio indecifrabile quando la raggiunsero. Era circondata dai suoi uomini, il Capitano Cullen in primis nella sua armatura lucida, il quale lanciò loro un'occhiata d'odio molto meno celata della Comandante.

«Tenente. Serah Hawke.» Li salutò la donna, mantenendo un tono di voce perentorio ma apparentemente calmo.

«Le accuse contro di voi sono gravi, e vanno contro le parole della Benedetta Andraste, il volere del Creatore e le fondamenta stesse dell'Ordine Templare: Tenente, avete per anni nascosto la magia di vostro fratello, mettendo a rischio la sicurezza di tutta la città.» Garrett storse il naso, ma si morse la lingua. Come lui, parecchi nella folla attorno a loro commentarono acidi. «Tuttavia,» riprese Meredith, alzando di un tono la voce «Garrett Hawke, vi siete dimostrato un mago degno di fiducia, nonostante siate un eretico.» Lo sguardo della donna lo trafisse così aspramente da fargli quasi rimpiangere i Qunari. «Se non fosse stato per voi, non solo la Tenente Marian sarebbe morta, ma gli ostaggi sarebbero stati massacrati o convertiti.» Fece un cenno seccato alla gente radunata attorno a loro. «Molti qui vi devono la vita, in un modo o nell'altro, e non si sono fatti remore ad esternarlo, in questi giorni. È quindi dopo una lunga analisi di tutto quello che avete fatto per la cittadinanza, e per il coraggio che avete dimostrato durante l'attacco Qunari, che vi conferiamo il titolo di Campione di Kirkwall. E l'autorizzazione a continuare come avete sempre fatto la vostra vita di cittadino esemplare di questa città.»

La folla esplose in un ruggito di vittoria, acclamando il suo nome. Vide i Selbrech, Myranda al braccio di James Selwyn, la madre Marlein in prima fila ad applaudire elegantemente guardandoli con un cipiglio fiero. Scorse Elin e Rasiel, le elfe della forneria che aveva aiutato, appollaiate sotto le grandi statue che facevano guardia alla piazza, Aveline e Donnic che sorridevano, il Siniscalco con il figlio da un lato in mezzo ad un gruppetto di nobili, Lunette Dewine accanto alla madre, alcuni dei suoi compagni di bevute all'Impiccato, un paio dei lavoratori del porto. Gli parve di scorgere Merrill tra la folla, e poi notò Fenris, appoggiato con la schiena ad uno dei palazzi più lontani, fare un cenno col capo nella loro direzione, le braccia incrociate sul petto.

«Mentre voi, Tenente.» Proseguì Meredith, portando la sua attenzione su Marian. «Dovrei cacciarvi dall'Ordine seduta stante e condannarvi, ma nonostante quello che avete fatto per nascondere vostro fratello, vi siete rivelata preziosa in questi anni di servizio e avete mostrato un animo saldo e sangue freddo nell'affrontare l'attacco Qunari, arrivando al punto di essere disposta a sacrificarvi per l'intera città.» Si alzarono altre urla di approvazione. «Pertanto,» scandì la Comandante, ogni parola che trasudava astio, «siete assolta dalle accuse e riconfermata al vostro rango.»

Vide Marian concedersi un impercettibile sospiro di sollievo, rilassando un poco le spalle. «Vi ringrazio immensamente, Comandante. Farò in modo di ricambiare la vostra fiducia.»

«Sarà meglio, Tenente.»



 

I giorni che seguirono furono assolutamente caotici, e Garrett non riuscì a trovare un attimo libero per andare a cercare Anders in Città Oscura. C'era da aiutare le Guardie Cittadine a coordinare i lavori per togliere le macerie dalla strada, un invito dopo l'altro da parte di nobili e ricchi mercanti che Garrett rifiutava molto cortesemente, una serie di impicci che non gli diedero pace fino a quando, stufo marcio e coi nervi a fior di pelle, si infilò un mantello lurido e dei vecchi stivali che cadevano quasi a pezzi e svicolò nel passaggio segreto sotto la cantina, percorrendo i cunicoli che puzzavano di fogna fino a sbucare poco lontano dalla Clinica. Si tirò il cappuccio sul capo.

Trovò la Clinica particolarmente affollata, ma in molti sembravano lì per dare una mano, anche solo di conforto ai feriti. Elfi dell'enclave, nani del Carta, gente della Cerchia, per la seconda volta i bassifondi di Kirkwall si univano a sostenersi gli uni con gli altri.

Scivolò non visto oltre una coppia di elfi coperti di bende insanguinate, evitando per un pelo un nano rubizzo che trasportava un secchio dal contenuto innominabile, ed entrò nella piccola stanza dove Anders teneva le varie riserve medicinali.

Il Guaritore era impegnato a ridurre in polvere delle erbe dall'odore acre, e non si accorse di lui finché Garrett non si schiarì la voce, appoggiato sulla soglia.

«Arrivo subito, datemi solo il tempo di-» Anders sgranò gli occhi, l'espressione stanca che svaniva sostituita da un lieve rossore sulle guance incavate, restando immobile a guardarlo, il pestello a mezz'aria mentre un sorriso di sollievo gli compariva sulle labbra.

«Non mi merito nemmeno un bacio di bentornato?» Scherzò lui, avvicinandosi e afferrandogli il volto tra le mani prima di posare le labbra sulle sue.

Il pestello cadde a terra, mentre Anders lo tirava a sé e approfondiva il contatto. «Ho temuto di perderti.» Gli sussurrò con un filo di voce, il naso nascosto nell'incavo tra il collo e la spalla quando dovettero riprendere fiato. «Varric ed Aveline mi hanno impedito di fare qualcosa, ma se avessi dovuto aspettare ancora un giorno soltanto, sarei-»

Garrett lo strinse a sé, baciandogli la fronte, passando le dita tra i suoi capelli e sciogliendoli dal nastro che li teneva legati. «Sono contento che ci siano riusciti. Non me lo sarei mai perdonato.»

Anders si allontanò quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi, serio. «Giurami che non farai mai più una cosa simile. Non mi lascerai di nuovo da solo, a chiedermi se potrò mai rivederti. Non posso sopportare l'idea che tu sia a fare l'eroe rischiando tutto mentre io sono al sicuro qui sotto, non ce la faccio. Stavo per impazzire, Giustizia non capisce cosa provo per te e...» gli occhi dell'altro si fecero lucidi, mentre tratteneva un singhiozzo. «Non posso perderti, Garrett, ti amo troppo. Sei l'unica cosa che mi tiene ancorato alla realtà. Promettimi che mi permetterai di restarti al fianco.»

Gli asciugò la guancia umida col pollice, delicatamente, il senso di colpa e la felicità di averlo di nuovo tra le sue braccia troppo grande per essere capace di esprimerla. «Te lo prometto. Mi dispiace, sono stato avventato, ma dovevo farlo. Per Marian. E per te, ho chiesto a Varric di tenerti al sicuro, non potevo lasciare che ti facessi ammazzare.»

Anders si fece sfuggire uno sbuffo a metà tra il divertito e un singhiozzo. «Ha dovuto usare del veleno paralizzante che avrebbe steso un altodrago, per impedire a Giustizia di fare irruzione nella Forca. Non gli è piaciuto, come puoi immaginare, ma poi mi hanno convinto che saresti uscito da lì. Gli ho concesso qualche giorno di tempo, pregando che avessero ragione.»

«Ammetto che persino io ho avuto qualche dubbio, con Meredith così furiosa.»

«E Cullen, non dimenticarti di lui. Aveline ha detto che ha chiesto la testa di Marian, ciarlava di fiducia tradita e templari corrotti dalla magia del sangue, si è già dimenticato che non fosse stato per lei sarebbe rimasto alla mercè di quel demone ai Satinalia... Quando ho saputo che voleva sottoporti al Rituale nonostante tutta quella gente ti acclamasse come un eroe, stavo per andare a fargli visita.»

«Capitan Culo è solo un coglione che si crede il salvatore dell'intero Ordine. Se persino Meredith ha dovuto ingoiare il rospo, il suo cane può anche strattonare la catena quanto gli pare, ma senza il permesso della padrona non va da nessuna parte.»

Riuscì a strappargli una risata. «Vorrei vederlo, al guinzaglio.»

Gli lanciò un'occhiata divertita. «Non pensavo avessi questo genere di perversioni...»

«Sei un cretino.»

Prima che potesse divorare di nuovo quel sorriso, una voce li raggiunse alle spalle. «Hei, voi due piccioncini, se avete finito di tubare qui ci sarebbe del lavoro da fare.»

Garrett si voltò, sorpreso di trovare lì Isabela. Non la faceva decisamente il tipo da aiutare la comunità senza avere nulla in cambio e, a giudicare dall'espressione vagamente infastidita della donna, non era l'unico a pensarlo.

«Non guardarmi così, la ragazzona mi ha lasciato in libertà vigilata.»

«Sono il suo carceriere, per così dire...» Confermò Anders, sollevando poi un dito verso Garrett per troncare sul nascere ogni altra battuta. «E no, non è divertente come può sembrare.»

Abbozzò un sorrisetto sghembo. «Se volete però renderlo più interessante, io non mi tiro indietro. Giusto per mettere le cose in chiaro.»

Isabela scoppiò a ridere, spostandosi i capelli corvini da una spalla all'altra in maniera sensuale. «Sarebbe la seconda volta che un Hawke mi propone una cosa a tre... ora mi manca solo Junior.»
























Note dell'Autrice: e così si chiudono le vicende coi Qunari. Che ne pensate? Questo capitolo ce l'avevo in mente da quasi due anni, spero sia stato soddisfacente da leggere quanto lo è stato da scrivere. Dopo tutto quello che gli Hawke hanno fatto per la città, Kirkwall li ha ripagati schierandosi in loro difesa, e Meredith ha dovuto capitolare.
L'Atto II è agli scoccioli, ma a Marian manca ancora una cosa da fare... e sarebbe anche ora.

Questo capitolo e il precedente sono scritti sulle note di "Champion" di Tommee Profitt, da cui prendono anche i titoli. Mi sono sembrati particolarmente calzanti (quasi tutti i capitoli di questa storia per il momento stanno prendendo titoli o testi di qualche canzone, a proposito). Qui il link per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=DSv_MCFhBQg

Alla prossima!  :D 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dragon Age / Vai alla pagina dell'autore: LysandraBlack