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Autore: CrisBo    18/04/2020    2 recensioni
Il mio dosso non era l'iceberg del Titanic. Era la montagna di Maometto. Era il monte Fato appena ristrutturato. Era quel simpaticone del kraken in digiuno da quarant'anni. Era un machiavellico tranello del diavolo che persino il diavolo, vedendolo, mi aveva dato una pacca sulla spalla compatendomi. La famosa pacca di consolazione del diavolo era, in realtà, Yoongi che mi guardava con aria tremendamente
demoniaca
paradossale, sembrava che stesse pensando a 101 modi per uccidersi e, allo stesso tempo, a quale nome dare al suo futuro chiosco di carne.
************
Seoyun è innamorata del suo migliore amico, vive con Namjoon e Yoongi e dovrà affrontare, durante un'estate particolare, il grande fenomeno del tempismo effetto sorpresa, con una bolgia di amici in conflitto coi problemi che la vita comune regala. Durante la stagione più calda, frizzantina e soleggiata dell'anno cosa potrebbe andare storto, in fondo?
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Seokjin/ Jin, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20 ~ Sono la persona sbagliata





 
Io e Jin avevamo fatto più cose insieme che una vera coppia di sposini, non solo con gli altri, ma anche in solitaria. C'era sempre piaciuta la compagnia reciproca, non mi ero mai divertita tanto come quando ero con lui, certe volte in passato lo avevo preferito anche a Hoseok solo che la mia mente non era in grado di  capirlo e non voleva analizzare tali ipotesi. Non avevo mai provato disagio nel vederlo, non avevo mai sentito lo stomaco ballare la lambada né tanto meno il cuore dargli il tempo con taccate di tip-tap tanto da perforarmi lo sterno. Una cosa così comune, così usuale, così banale come un'uscita con uno dei miei migliori amici, quel giorno, mi stava dando sensazioni completamente diverse.

Lui era già lì ad aspettarmi, se ne stava seduto su uno dei pilastri di pietra che circondavano la fontana, mentre si guardava in giro con aria vagamente spersa. Notai delle ragazze fermarsi a guardarlo più volte, in passato avrei rotto il silenzio facendogli battute scadenti su quanto fosse un latin-lover mancato pure in quella inusuale circostanza da persona silenziosa e immobile, ma quel giorno ogni occhiata che riceveva, di striscio o più sapiente, mi faceva ribollire il sangue. Ero gelosa, tremendamente gelosa, quanto non lo ero mai stata con nessuno. Per Hoseok, più che gelosia, avevo sempre provato una sottospecie di mortificazione mischiata ad un compatimento verso me stessa, ero sicura di non poterlo avere e quindi mi commiseravo ogni volta che una ragazza gli rivolgeva la parola, o usciva insieme a lui o, addirittura, cominciava con lui una relazione extra-salivare con palpate annesse. Anni e anni di terapia auto-indotta non aveva per niente aiutato quel processo, probabilmente donandomi altri motivi per immergermi come associata primaria del mio Guru.
Cosa avrebbe detto Minseong, in quel contesto, per aiutarmi? 

"Vedi quella cosa lì, lontana e brillante? Si chiama gioia e tu non la vedrai mai." 
No, dovevo pensare a Keisha, ai suoi positivi messaggi di amore verso sé stessi, ma pensare agli idoli filantropi di Tae, in quel momento, era una mossa a doppio taglio.

Il fatto era che Jin non era paragonabile a niente, lui scombussolava ogni mia certezza e ogni giorno era sempre più difficile controllarlo. Smisi di fantasticare sui possibili omicidi verso le povere donzelle ignare e saltellai verso di lui, zompando davanti a lui come un mostro, a braccia allargate.
«Uaaa, eccomi qua!»
Lui fece un verso di spavento, sobbalzando tutto tremante, prima di ridere da solo, mettendosi una mano davanti alle labbra.
«Ma sei scema?» Il suo saluto iniziale fu quello. «Ah, ben due minuti di ritardo, penitenza!»
Gracchiò lui prima di alzarsi dal pilastro e piantarmi un braccio sulle spalle.
«Io qui solo, al freddo e lei, e lei»
So che stava provando a cercare le parole giuste, lo vidi guardarmi da capo a piedi, senza trovare le parole.
La cosa mi fece ridere, gli pungolai un fianco con il gomito.
«Ma se ci sono ottanta gradi all'ombra.»
«Sono freddo dentro.»
Dopo quella conversazioni sulle temperature interne lui fece scivolare il braccio dalla mia spalla fino al mio braccio, Sentii la sua mano cercare la mia mano fino a intrecciare le dita con le mie. 
Provai dei brividi indescrivibili mentre la mia mente cominciava a fare cilecca. Era dannatamente bravo a farmi diventare un atomo analfabeta. Ma ero contenta per quei progressi comportamentali. Avevo ancora addosso quella sensazione della sera prima, quella strana consapevolezza che stesse fluendo via ogni cosa, che non potevo fermare, ma forse nemmeno lui poteva fermare ciò che provava. La mia unica speranza era che, nonostante le sue insicurezze verso di me, decidesse di seguire una strada diversa.

«Allora, sei pronta a questo non appuntamento galante con l'uomo più divertente, fantastico premuroso e intelligente dell'universo?»
«Veramente preferirei uscire con te.»
Si bloccò, sembrava non aver capito la mia battuta, tanto che restammo a guardarci con aria da pesce lessi per due minuti buoni prima di vederlo aprire la bocca e ridere fintamente, senza nessuna carica spassosa.
«Che simpatia.» Biascicò lui, prima di fare una smorfia. 
«No seriamente» avevo ancora la mano intrecciata alla sua, mi piazzai davanti a lui per fronteggiarlo, la differenza di altezza si faceva sempre sentire, rischiavo il torcicollo ogni volta «oggi sappi che mi odierai più del dovuto, probabilmente vorrai abbandonarmi per strada, fingerai di non conoscermi, ma credimi fa tutto parte di un piano. Se arriverai alla fine di questa cosa senza volermi uccidere allora avrai un premio.»
Non sembrava convinto, aveva sgranato lo sguardo in malo modo, pensai che si stesse spaventando sul serio.
«Non vorrai mica portarmi a fare rafting, sai che non sono per niente bravo.»
«Non esattamente.»




La prima tappa era il famoso bar caffetteria frapperia True Love, un piccolo locale per i giovani ragazzi in carenza di glicemia nel sague e ottimo ritrovo per le coppie traditrici. A quanto pare, per qualche condizione astrale allineata sopra il tetto rosso di questo luogo, avevamo scoperto che era un ottimo posto tragi-comico. Come quello del totem di drago, anche questo era stato scena del delitto di molte disgrazie. Ogni volta assistevamo alla scena da soap-opera riguardo qualche povera anima, di solito di sesso femminile, che grazie a locazioni gp-sessuali o di strani attacchi da stalker poco fiduciari, trovavano i consorti intrecciati con altre mani traditrici. 

Probabilmente era una prerogativa nostra assistere a quei drammi, o forse portavamo sfiga alle povere anime pie che tentavano di boicottare i dogmi di una relazione duratura. Non era molto sano che lo portassi proprio lì per sancire il mio percorso, ma per quanto la tragedia paradossale di True Love fosse leggendaria, io lo vedevo come un luogo di opportunità connaturale.

Jungkook era solito, per qualche insano motivo, trovare qui personaggi famosi di ogni natura, per purissimo caso. A quanto pare, oltre le costellazioni del scornamento-inflitto era allineata anche la massa gassosa della stella fortunata, una delle astrologie che Junkino si portava dietro da tutta la vita.
Era qui che aveva incontrato una famosa idol per cui fantasticava storie d'amore glassate. Sopra ogni aspettativa era riuscito, persino, a farsi salutare da lei con un semi cenno imbarazzato, tanto che aveva passato una settimana in una fase psicologica ipnotica in cui non capiva più niente. Fu così che eravamo riuscito a convincerlo a fare manipolazione di massa verso tutti
Yoongi
per travestirci, ad Halloween, come i sette nani, Yurim Biancaneve e, guest star speciale di me medesima, da Matrigna con la mela velenosa e poco sana, nomea che era costata a me e a Yurim una particolare simbologia con quel frutto del peccato, che a quanto pare ci perseguitava in qualche modo.

«Perché non mi sento per niente al sicuro?»
«Vedi lì?» Indicai con un dito allungato un punto dietro la vetrina dei dolci. Appeso al muro c'era un quadretto con un cartellone a scritte cubitali: Estate calda? Estate afosa? Partecipate in coppia / a questa gara focosa!
Lui non sembrava convinto, tanto che deglutì a vuoto, ritornando a guardarmi con l'aria più preoccupata del mondo.
«Ho prenotato questo gioco: a quanto pare, se riesci a finire le portate, ricevi in omaggio una foto di coppia vincente che verrà appesa alla vetrina del negozio e, ovviamente, un biglietto di timbri omaggio per una bevanda gratis a tua scelta.»
«Mi hai davvero portato ad una gara dove si mangia?» Mi domandò lui, stralunato. 
«Sì lo so, è una cosa che Tae adorerebbe ma ...promettimi che non mi odierai.»
«Perché dovrei-»
Non riuscì a finire di parlare perché si palesò davanti a noi una signora bassa, dalla faccia rotonda e dal sorriso gentile. Aveva i capelli raccolti da una retina e una divisa rosa confetto, impreziosita da un grembiulino pieno di ricami fantasiosi.
«Benvenuti da True Love, io sono Astrid e sono davvero felice di proporvi la nostra scelta di  dolci alla frutta per la gara prenotata di oggi. Abbiamo crostata di crema di fragole, una di crema di lamponi, tortini ripieni con sciroppo all'arancia, una coppa di gelato al limone e alla banana, biscotti fritti ripieni all'ananas, tofu con albicocche e i nostri intramontabili fagioli rossi rivisitati, ripieni di crema al melone verde. Buon appetito e buona fortuna.»
Quella sventolò via e io mi limitai a fissare quel ben di dio dolciario davanti ad una faccia di Jin che era da antologia storica.

Era risaputo ai più  che Jin, per quanto amasse la cucina, i dolci, la frutta, c'era una cosa che proprio non tollerava: le cose al sapore di frutta. Era stata una grandissima fortuna, per me, riuscire ad azzeccare la settimana giusta per la gara che più di tutti Jin avrebbe odiato nella sua vita. Ormai era confermato: quel posto era allineato. Non so a cosa, ma era allineato.

«Mi stai prendendo in giro vero?»
«Mmmh, questo tortino sembra  così buono, prova ad assaggiarlo.» Ero già pronta, con un dolce in mano, ad imboccarlo.
«Leva quelle dita da davanti a me o te le strappo a morsi.»
«O magari perché non inizi da questo gelato alla banana talmente giallo da essere, senz'altro, un prodotto chimico prodotto in un laboratorio nucleare sotterraneo dove topi e tartarughe mutano e diventano padroni delle tecniche ninja?» 
Avevo infilato un cucchiaio dentro il gelato, portando una palla solida vicino alle sue labbra. Lui provò a spostare il collo per defilarsi da quell'imboccamento, ma poi lo vidi afflosciarsi sul tavolo cominciando a ridere in maniera convulsa, affondando i gomiti sul tavolo.
«Jiiin-oppaaa.» Lo presi un po' in giro, sghignazzando.
«Tu non puoi farmi questo, vado contro tutti i miei principi, anni e anni di studio per arrivare ad una mia identità caratteriale, per essere fermo nelle mie convinzioni, impiantato nei miei più profondi concetti... e tu mi porti a mangiare una delle cose per cui mi sono così battuto fin dalla mia tenera età, per cui mia madre ha patito tormenti e per cui s'è flagellata pur di farmi cambiare idea?»
«Sì.» Risposi io, facendo ballare il cucchiaio.
Lui fece una smorfia, prima di guardarmi con un'aria serissima. Per un secondo ebbi il timore che avrebbe alzato i tacchi e avrebbe messo la parola fine. Fine a tutto. Fine a questa relazione. E invece, per mia grande sorpresa, alzò un indice intimidatorio verso di me, guardandomi con due occhi da cerbiatto per niente maligni.
«Sappi che questa me la pagherai così tanto che non ti basterà una vita intera per redimerti.»
E detto questo aprì le fauci e mangiò la palla di gelato alla banana. 

Era un evento raro, un evento così prezioso e così unico che per poco non feci cadere il cucchiaio dalle mani. Avrei dovuto immortalare quella cosa per sbatterla in faccia agli altri, come unica vincitrice della storia ad averlo convinto a tale gesto. Ma non potevo, ero rimasta imbambolata a guardarlo mentre mi rubava il cucchiaio dalle mani per finirsi il gelato. Il tutto senza dire una parola: potevo notare solo il cambiamento repentino del suo colorito, che da chiaro e perfetto, stava inoltrandosi in un rossore atipico, sintomo che si stava sforzando di ingoiare quel pastone, a detta sua.

«Seo smettila di guardarmi come se avessi visto uno zombie e aiutami a finire questo scempio culinario. Come minimo voglio una mia foto magnifica lì sopra, quindi datti da fare!»
Ah sì: primo livello decisamente promosso.




Alla fine riuscimmo a finire tutto: scoprimmo che non era prevista nessuna bevanda gratuita, per quella bisognava finire in un tempo prestabilito, ma per la felicità estetica di Jin riuscimmo a farci fare una foto di coppia. Ci misero davanti ad uno sfondo pieno di ciambelle con visetti carini e sorridenti e un cappello in testa con delle orecchie da pupazzo. Esponemmo tutto il nostro carattere in due facce tremendamente buffe, mischiate all'immenso disgusto che Jin stava ancora provando per tutta quella frutta artificiale ingurgitata. Astrid ci disse che eravamo una meravigliosa coppia da copertina, ci diede una coppia della foto ad entrambi, ma io e Jin promettemmo che sarebbe stata un'altra di quelle polaroid innominabili da seppellire nella nostra scatola di storie mai realmente esistite. 

«Seo, se stai veramente cercando di portarmi dove penso io, ti dico già che sono pronto a denunciarti per molestie.»
«Avanti mio caro oppa, ti giuro che non è così tragico come pensi.»
Lo stavo letteralmente trascinando contro la sua volontà, facendo girare diverse persone verso di noi.
«Smettila di chiamarmi oppa! Non è così che mi conquisterai, vile codarda!»
«Jin la gente ci guarda, e non in senso positivo su, non fare il frignone.»
«Aaaaish Seo lasciami, non ci voglio andare! Ho ancora quei dolci nello stomaco, di sicuro non ci rimarranno ancora per molto!»
«Oh per tutti i Buddha del mondo.» Imprecai a mio modo, avvolgendo un suo braccio intorno al mio per continuare a tirarlo verso quella che sembrava una casa.
Una casetta.
Una casetta innocua.
Una casetta innocua con le pareti pittate di rosso e un grosso cartello che diceva "Non entrate, potreste non uscirne vivi!"

«No no Seo lasciami, non ci entro, te lo scordi, porca miseriacc-»
Nonostante i borbottii vari e le proteste non era molto incline a strattonarsi, mi seguiva senza opporre resistenza, mentre le luci cominciavano a imbrattare le nostre teste e un forte odore di pop-corn dolci e zucchero filato rallegrava l'atmosfera.
L'avevo portato al parco giochi che si estendeva vicino ad un parco, per niente distante dalla frapperia. Non era molto grande, ma era tradizione della nostra città ospitare giostrai e carrettieri sgargianti per donare alla nostra estate dei pirotecnici modi di divertimento.
Per mia sfortuna era raro che convincessi gli altri ad andarci, a quanto pare era visto come uno sport di coppia e, a meno che non ci portassi Yurim, gli altri si sentivano a disagio a venirci da soli con me.  Riuscivamo a combinare quell'evento di gruppo molto raramente, probabilmente per colpa dei movimenti astro fisici deviati dalla frapperia fin dentro la mia vita, e il mio eterno amore per quel mondo fatto di giostre volanti, chioschi cioccolatosi e bambinetti allegri era sempre stato sopito contro la mia volontà. Non era raro, che in passato, mi abbandonassi a fidanzamenti lampo estivi solo per potermi godere di quel divertimento. Non era un comportamento che reputavo molto nobile, ma mi avvalevo del diritto di essere giovane e stupida, come giustificazione mi sembrava attendibile. 
A pensarci, ero contenta di essere cresciuta abbastanza da non fare più cose imbarazzanti come quelle. Almeno, in quel frangente, il ragazzo che stavo trascinando era effettivamente il mio ragazzo, in un qualche modo non ufficiale. E, ovviamente, sempre sottolineando la mia immensa fortuna, poteva solo essere un ragazzo per niente intenzionato a mostrarsi euforico davanti a quel progetto. 

Mondo meschino e crudele.

«Benvenuti nella casa degli orrori di Transylvania-city, ascoltatemi attentamente, prima di immergervi in questa temibile esperienza mi assicurate che siete maggiorenni e che non avete problemi di salute gravi?»
«Io soffro di infarto precoce.» Si lagnò Jin davanti a un ragazzino brufoloso, vestito come un porta-vivande di un hotel, rosso sangue, annoiato più di Yoongi davanti ad un evento sociale di gossip scandalistico. Per fortuna non c'era una coda immensa e il nostro turno arrivò quasi subito. Jin non sembrava intenzionato a scavalcare la fila per fuggire da lì, dovevo ringraziare il prezioso alleato che avevo: l'orgoglio.
«Non lo ascoltare, è un idiota.»
«Sei incinta, per caso?» Fece il ragazzino, guardando me, ma la mia faccia doveva aver esplicato in maniera eloquente la risposta. Lo vidi deviare verso altre tre coppie di persone, ponendo loro le stesse identiche domande. 
La casa degli orrori di Transylvania-city era una sottospecie di casa degli Orrori reale. Ci si addentrava dentro le stanze composti da un piccolo gruppo di persone, ogni stanza era un set di un film horror famoso, composti da dettagli, luci flashanti e, dal pezzo forte, attori in carne ossa truccati dal cattivo orrorifico di turno. 
«Seguite la lucina rossa, ognuno di voi deve tenere le mani sopra le spalle di quello davanti a voi, non vi staccate per nessun motivo. Sappiate che gli attori non vi toccheranno mai quindi voi non toccate loro. È permesso urlare, comunque. Buon divertimento, ah ah ah.» Con una finta risata grottesca ci spintonò dentro la casa, pronti a morire di paura.

«Non lo voglio fare, me lo sognerò di notte. Avrei preferito le montagne russe!» Urlacchiò Jin, piazzandomi le mani sulle spalle. Da vero uomo aveva fatto andare me per prima, ma per fortuna io avevo davanti altra gentaglia sconosciuta. Mi aggrappai alle spalle di un'altra ragazza, che già tremava di paura.
«Te le ho proposte ma tu ti sei messo a fare quei versi soliti. Ho pensato che l'unico modo per sconfiggere la paura è comprendere la paura e affrontarla.»
«Ma perchè dovrei affrontare la bambina dell'esorcista? O Frankestein? O Freddy Krueger? O Hannibal Lecter?» Domandò quello, stritolandomi le scapole.
Il percorso stava iniziando, completamente al buio, con un laser rosso invadente che ci indicava il percorso verso le stanze macabre.
«Jin, te lo prometto, mi perdonerai.»
Un tizio davanti a noi cacciò un urlo, facendoci frenare di colpo, prima di sentire una ragazza davanti a noi strillare.
«Oddio, oddio è piena di vomito verde! Oddio il letto si muove da solo!Andiamo via Woo, andiamo viaaa
Sentii le labbra di Jin avvicinarsi al mio orecchio, da dietro. Nonostante la situazione, nonostante il fatto che mi stesse infilando le dita fin dentro le scapole, quel particolare gesto mi fece rabbrividire.
«Ne sei proprio sicura?»

Non ero sicura più di niente.



Fu una traversata mortale piuttosto impegnativa.
Nemmeno Frodo e Sam soffrirono così tanto per arrivare a Mordor. Probabilmente fu più facile sconfiggere Voldemort o superare le paludi della tristezza. 
A quanto pare l'uscita di quel posto era la nostra luce della speranza. Lì dentro capitarono parecchie cose, alcune non del tutto comprensibili, ma ci fu un vero e proprio lavoro di gruppo per cercare di non soccombere alla paura, o alla morte.
Scoprimmo che mantenere la nostra posizione, ossia restare attaccati alle spalle del nostro compagno davanti a noi, era un compito pressoché impossibile. Io  e Jin ci ritrovammo parecchie volte indietro, a correre come due disgraziati, rincorrendo il gruppo che aveva deciso di fuggire agli orrori delle stanze come degli scattisti da maratona, urlando impanicati, sparpagliandosi in angoli remoti di quel posto buio come formichine impazzite.
La Casa degli Orrori, nonostante da fuori sembrasse un'innocua struttura con un'uscita, dentro invece la grandezza era percepita come la Reggia di Versailles, era un maledetto labirinto con Minotauro annesso, era un groviglio di trappole e spaventi mortali. Non c'era una fine. Non la trovavamo. Quella luce laser rossa era menzognera.

Ad un tratto raggiungemmo delle scale, delle scalinate enormi, che salimmo in meno di tre secondi inseguiti da uno spaventoso medico assassino. 
Uno di noi perse un sandalo.
I più coraggiosi tornarono indietro per riprenderlo, e in quei coraggiosi, a discapito di quanto avrei mai potuto immaginare, c'era proprio Jin. 
Lasciò le mie  spalle per andare a recuperare il calzare perduto, ritornando da noi proprio quando un killer, un killer armato di motosega, accendendola con uno strattone spaccò una porta con una pedata e prese a inseguirci come un macellaio forsennato.
Lo conoscevo bene, era uno dei miei preferiti, Leatherface. 
Nei film era molto più simpatico, dovevo ammettere, ma la sua corsa verso la nostra prematura uccisione ci fece trovare l'uscita immediatamente, facendoci uscire dalla casa con il fiatone, ritrovando la tanta agognata libertà. Fummo così contenti che festeggiammo tutti insieme con uno zucchero filato condiviso, facendo amicizia con quei nuovi ragazzi.
Jin, salvatore di sandali, era diventato amico ufficiale di questo Choo tanto che aveva proposto altre uscite a quattro, in futuro, magari meno pericolose e meno spaventose.

Ma non passammo con loro il resto della serata, ognuno aveva i propri piani serali, i propri appuntamenti e, alla fine, dopo qualche ora di gironzolamenti verso chioschi pieni di pupazzi e di cibarie di ogni tipo, mi ero ritrovata in piedi a fissare Jin seduto su una panchina. Il cielo si era scurito, ma non era ancora del tutto buio, era in quella fase in cui percepivi che l'aria si sarebbe rinfrescata, macchiando il tuo umore con un po' di nostalgia, dove i rumori, gli odori, addirittura le luci dei lampioni, calde e carezzevoli, subentravano nei tuoi pensieri, cullandoli in maniera dolce. Non mi ci ero mai soffermata, su quella sensazione, come in quel momento, mentre guardavo Jin con le mani sui capelli, intento a fissarmi con l'aria di chi non aveva nessuna intenzione di finire quell'appuntamento. 
Mi chiesi se anche lui, in un qualche strano modo, stava condividendo con me quel momento, in segreto, come un tassello un po' più intimo del previsto. 
«Credo che questo sia stato il peggior primo appuntamento della storia. Non solo mi costringi a ingurgitare, contro la mia volontà, quel veleno al fruttosio, per di più mi costringi a vivere dentro tutti i film più terrificanti che io abbia mai visto. Prova a farlo con Jimin questo scherzo e vediamo se ti rimane amico.»

Forse no, non lo condivideva.

«Ci ho messo dieci minuti buoni per organizzare tutto questo nella mia mente, non potresti almeno apprezzare lo sforzo?»
«Dieci minuti? Non saranno troppi?» Commentò lui, allargando le braccia.
«Te l'ho detto, è tutto per un bene superiore.»
Lui si mise a sospirare, abbozzando un sorriso. Sapevo che non era realmente arrabbiato per quella serata, sotto sotto si stava divertendo, ma ero ormai quasi giunta alla fine di quel mio esperimento sociale che prendeva il nome di Jin. Non  ero per niente sicura che avrebbe funzionato, in realtà non ero nemmeno convinta di ciò che stavo facendo. Come metodo per persuaderlo da qualsiasi decisione che, la sua testa, aveva preso mi sembrava un po' raffazzonato.
Non avrebbe mai funzionato, ma tanto valeva continuare a remare. Ormai ero salita sulla mia scialuppa di salvataggio e sì,
ebbene sì,
non avevo lasciato morire Jack annegato, stavo cercando di tirarcelo sopra con tutta la mia opinabile forza.

«Hai detto che volevi mostrarmi una cosa. Volevi per caso vedere quanto avrei sopportato prima di abbandonarti qui?»
«Dai vieni.» Allungai una mano verso di lui, ma lui la guardò con riluttanza, prima di fissarmi. 
«Giuro che questa me la perdonerai molto più facilmente.»
«Se hai intenzione di farmi camminare a piedi nudi su un letto di cicale giuro che ti lascio qui sul serio.»
«Ma che schifo, Jin.» Pigolai io, prima di afferrargli la mano con prepotenza, intrecciando le dita alle sue. 
Nonostante la superficiale esasperazione, non si fece trascinare. Mi seguì, stringendo la presa, mentre io lo portavo davanti all'attrazione più ambita di quel posto. 

Davanti a noi svettava la mastodontica, magnifica e regale ruota panoramica di Seul. Era l'unica attrazione annuale che non smetteva mai di adempiere al suo lavoro, funzionava contro ogni intemperia, decisamente angolo privato più ambito per le coppie che volevano dichiararsi, per quelle che volevano proporsi, per quelle che ancora non sapevano di amarsi ma che, davanti ad un cielo notturno e pieno di stelle, chissà magari potevano sentire il vago profumo di un amore nascente.
Io non la vedevo così. Non l'avevo mai vista così. 
Nonostante fosse stato un ottimo momento da condividere con Hoseok, in passato, non ero per niente un'amante di quella lentissima attrazione. Ma era innegabile, era decisamente la cosa più romantica a cui potevo ambire quella sera. E poi, tutta Seul dall'alto, illuminata dalle luci delle case e delle insegne, le macchine piccole e veloci, era uno spettacolo che valeva la pena di vedere.

«Ti va di fare un giro lassù con me?»
Chiesi io, una volta portato lì davanti. 
«È uno scherzo, vero? Ora mi dirai che in realtà vuoi portarmi sull'ottovolante solo per il gusto di vedermi urlare.»
«Mi credi davvero capace di tale gesto?» Commentai io, fintamente offesa.
«Sì, ovvio. Ti conosco.»
Feci uno sbuffo, imbronciandomi. Voltai  la faccia, da brava superba, prima di sentirmi tirare appena. 
Feci il grave errore di voltarmi lentamente verso di lui, notando la sua espressione sul volto. Si era addolcito, stava sorridendo con due guanciotte un po' piene, le labbra chiuse e uno sguardo che stava letteralmente mettendo a dura prova il mio equilibrio. Avrei potuto benissimo condurre uno studio, riguardo la fatto che reputavo i suoi occhi come vere nemici giurati della mia forza di gravità personale.
Alla fine mi strinse la mano, allargando le labbra.
«Sei per caso malata?»
«No.» Dissi io, cercando di fingere di non sentirmi imbarazzata. «Purtroppo quando sono sobria faccio queste cose, dovrei bere più spesso per evitarlo.»
Lui si mise a ridere un po' più forte ma senza quella sua solita aria da anatra asmatica. Era una risata più bassa, piacevole, persino suadente che mi diede quel leggero colpo di grazia finale, ma che allo stesso tempo mi tranquillizzò alquanto. 
Jin era il classico ragazzo da appuntamento romantico, qualcosa di tranquillo, senza scatti di adrenalina e sicuramente da cenetta a base di carne, in un buon ristorante. Quelle classiche cose che uno prospetta al terzo giorno, o al centesimo giorno, di uscite insieme ma noi eravamo un caso a parte rispetto ad una normale coppia e avevo bisogno di arrivare a questo punto nel momento giusto della serata.
«Tu davvero faresti questo con me? Una delle cose più noiose dell'universo, a detta  tua?»
«Già.»
Lo sentii muoversi lento verso di me, alzando le mani per prendermi viso tra le mani. Fu una sensazione davvero piacevole. Nonostante avessimo superato già la terza base, del nostro rapporto, quel tipo di contatto mi metteva ancora un po' a disagio. 
«Ma come fai?»
Mi disse solo questo, senza aggiungere altro, dandomi un leggero bacio sulle labbra. 
Valeva la pena ogni cosa, ogni secondo trascorso della mia vita fino a quel momento, per potermi godere quelle sensazioni così intense, così irrazionali. 
Come facevo io? Ma come faceva lui, accidenti.

«Ormai lo hai detto, andiamo.» Si scostò giusto per sorridermi in maniera piena, prima di tirarmi verso il bigliettaio. 
Dopo dieci minuti eravamo finalmente dentro la nostra cabina personale. 
Jin aveva il muso incollato al vetro, aveva lo sguardo pieno di incanto e le ginocchia si muovevano per l'eccitazione. Non ero convinta che non fosse mai salito su una ruota panoramica, ma la sua reazione era talmente genuina che mi fece pensare che fosse la prima volta anche per lui.
«Seul da quassù è meravigliosa.»
Mi voltai verso la finestrella e, per un secondo, mi fermai a guardare la città. 
Eravamo in silenzio, dagli altoparlanti della cabina fluttuava una soave musica romantica, di una cantante che non riuscivo a riconoscere, ma la sua voce aveva il potere di immergermi in un momento del tutto assorto.
Mi venne da ripensare a tante cose, si abbatté prepotente su di me la sensazione provata poco prima.
Provai a immaginare i miei amici, ora, in quel momento. 
Cosa stavano facendo? Cosa stavano provando? Come stavano superando quello che era successo con Tae? Stavano cercando, a loro modo, di trovare quel particolare calore, in quella serata, accarezzati da qualche musica, da qualche odore particolare?
Lo speravo. Infinitamente. 
Ognuno di loro aveva un problema da risolvere, una consapevolezza nuova, qualcuno stava sconfiggendo la propria Moby Dick, altri stavano ancora affrontando le intemperie della tempesta.
Alcuni stavano risalendo, per riprendere l'ossigeno, di nuovo. 
Se avessi potuto avrei cercato di regalare quella sensazione, a ognuno di loro, dove i pensieri quasi si amalgamavano tra loro, dove ti ritrovi solo a guardare le luci della tua città, a sentire l'estate che ti scivola addosso, a pensare che, in quel particolare momento, in quel particolare tempo, c'è qualcosa per cui valeva la pena fare silenzio e immergerti solo in quello che ti stava  capitando in quel momento, senza andare indietro, senza andare avanti. 
Che eri qui, ora e andava tutto bene così.

Mi voltai a guardare Jin, immerso in chissà quale pensiero, mentre guardava la città che diventava sempre più piccola da quella prospettiva. Stava sorridendo, senza dire una parola, la testa castana che ondeggiava a destra e a sinistra, a ritmo di quella canzone. Provai un leggero magone nel petto, qualcosa che si espanse fino alla gola, un calore opprimente. 
Allungai una mano verso di lui per prendergliela, facendolo voltare lentamente verso di me. Lui, di conseguenza, cercò di afferrare l'altra, così che ci ritrovammo coi busti inclinati e i volti vicini.

«Ecco quello che sono io.»

Gli dissi con un sussurro più sentito, alzando le spalle.
«Sono la persona più sbagliata per te. Quella che organizza appuntamenti che non hanno senso, ma che ne hanno molto allo stesso tempo. Sono piena di problemi, sono piena di contraddizioni, ho la mente perennemente confusa, penso di sapere cosa voglio ma ho paura ad ammetterlo, cambio idea continuamente, faccio fatica a esprimere ciò che sento e quando lo faccio, lo faccio nella maniera sbagliata.»
Cominciai quel discorso,guardandolo negli occhi. Lui non aveva provato a interrompermi, non faceva che accarezzarmi il dorso delle mani, lentamente, in maniera dolce.
«È vero, non posso mentirti su questo, Hobi per me sarà sempre un tassello importante. Non posso eliminarlo dalla mia testa, ogni sua azione, ogni sua parola ha un potere su di me che non controllo.»
Lo vidi abbassare lo sguardo, deglutendo qualcosa che non disse, ma non cercai una pausa, dovevo finire di parlare.
«Nella mia testa. Quello strano saggio di Yoongi me lo ha fatto capire tanto tempo fa, Hoseok è sempre stato nella mia testa. Tutto ciò che provo o ho provato per lui è stato indotto da fantasie che non esistevano, per quanto le sensazioni che provocavano erano reali, un po' come quella canzone che hai cantato, ricordi? Ma era solo questo: un'idealizzazione che avevo di  lui, ciò che la mia mente creava in contesti che non c'erano.»
«Seo non devi giustificarti con me, io»
«Non mi sto giustificando con te. Sto cercando di comunicare con te, è diverso. Mi hai sempre detto che non sono mai stata in grado di farlo, che non sono mai stata brava a combattere per ciò che ritenevo importante, facendomi scappare via dalle dita le cose solo per paura. È vero, sono una fifona. Ho perennemente paura,  come ce l'ho ora che ti sto dicendo tutto questo. È la prima volta che mi apro così tanto con qualcuno per cui provo»
Mi bloccai, appiattendo le labbra. Lui tirò di nuovo su la testa, guardandomi negli occhi. Stavo di nuovo per crollare, ma quello sguardo mi diede la forza di continuare a parlare. 
Ora o mai più, d'altronde.
«Ho una paura folle di perderti, di vederti scivolare via da me per colpa delle paure, delle insicurezze, della lontananza. Non ti sto chiedendo di fidarti di me, so che non è facile, so quanto hai paura di soffrire per colpa mia. Ma voglio che sappi una cosa, solo una cosa. È»

Dai Seo, ce la fai, ce la fai.
Minseong si è sempre sbagliato.
Lui era odiato persino dal suo cane, in fondo.
Oh cavolo ma pure io-

«è la prima volta, che io ricordi da tanto tanto tempo, che mi sento finalmente nel posto giusto. Tu sei un tormento, non fai che distruggermi ogni convinzione, lo stai facendo da anni e io me ne sono resa troppo tardi, ma non posso fare a meno di sentirmi così. E volevo che tu questo lo sapessi, e volevo dirtelo qui, su una ruota panoramica, probabilmente il posto più adatto a uno come te, dopo averti mostrato la vera me, quella che in una circostanza normale probabilmente abbandoneresti dentro una gelateria per poi bloccarla su ogni social esistente, quella che ama renderti la vita difficile ma che vede quello che sei e cerca di farlo incastrare nel suo essere. E porcaccia la vacca questa ruota è altissima ma che cavolo abbiamo fatto perché siamo saliti qui?»

Lui aveva lo sguardo  terribilmente aperto. Era sorpreso, o almeno era quello che percepivo col mio grande acume, ormai deviato dal fatto che avevo appena scoperto di soffrire di una fobia molto comune: quella delle altezze.

«Si è fermata.» Sussurrò lui, guardando dalla finestra. 
Aveva ancora le mani strette alle mie mentre guardava giù, allungando il collo.
«Oh cavolo è davvero alto qui. Forse era meglio non salire.»
«Già, siamo pazzi! Ma come fanno a dire che è una giostra per coppie, sto per morire, è terrificante!»
«Non pensarci, guarda me. Non fare a caso al fatto che la cabina sta dondolando nel nulla e che se, per sfiga, si staccasse moriremmo in maniera cruenta.»
«Jin perchè?» Lagnai io, mentre lui alzava le mani per tenermi la testa ferma, fissa su di lui.
«Devo vendicarmi per ciò che mi hai costretto a subire stasera.»
«Giuro che non lo farò mai più, te lo prometto, se solo questo coso si muovesse a scendere, voglio tornare a terra, sto iper-ventilando.»
«Tieni gli occhi fissi su di me e non pensarci.» Sussurrò lui, abbozzando un sorriso. Ma poi quel sorriso si trasformò in una risata, una risata decisamente contagiosa, che lo fece sbellicare per infiniti secondi, portandosi dietro anche me.
Era un buon modo per sconfiggere uno stato d'ansia, lui era sempre un grande maestro in quello.
«È la prima volta che salgo su una ruota panoramica, lo sai?» Confidò lui, riprendendo a respirare, dopo qualche secondo.
«Non ci credo neanche se lo vedo.»
«Beh vedilo, sono qua con te, che razza di commento è.»
«Oh ma senti, è già tanto se so parlare con una grammatica sensata ora. Oh mamma mia.» Niente, respiravo a fatica, allargando a dismisura le narici.
«Ehi pidocchietto» era bravo coi nomignoli, dovevo proprio dargli merito «sai quante volte avrei voluto portartici, in un posto simile, solo per dirti che mi piacevi? Non riuscivo a trovare altri modi per farlo. Ho sempre cercato di declinare i tuoi inviti passati per venire qui solo perché stavo aspettando l'ispirazione per farlo, volevo a tutti i costi trovare un modo per parlarti di quello che provavo senza risultare un banalissimo attoruncolo di drama incapace di trovare metodi originali per dirlo.»
«Jin, mi hai baciato su delle scale dopo un litigio degno di nota, più drammatico di così.»
Si mise a sorridere, mordendosi il labbro.
«Aggiungi anche il fatto che mi piacesse un altr»
«Seo!» Mi incitò a chiudere la bocca, non stavo aiutando quella conversazione.
«Sai tu mi spiazzi ogni volta. Ogni volta che penso a come fare, arrivi tu e la fai al posto mio. Ho sempre avuto paura che tu non fossi in grado di prendere in mano la tua vita, e io come un idiota cercavo di imboccarti per  scegliere una strada. Non per forza la mia, volevo solo che tu ...che tu scegliessi, che decidessi con la tua testa, che lottassi per qualcosa perché tu meriti di  vincere le tue partite, e sei testarda, molto testarda, quando vuoi esserlo credimi. Hai sempre le idee così chiare quando vuoi dare un punto a qualche problema, ma quando si tratta di te stessa vai nel pallone, come se non sapessi neanche più usare il cervello.»
Strinsi gli occhi con una smorfia, ormai prossima alla morte, se non fosse che la voce di Jin era l'unico piccolo nodo che mi teneva salda in quel momento.
Lui scostò delle ciocche dal mio viso, potevo sentire il suo respiro caldo e dolce su di me.
«Sei completamente sbagliata, lo so.»

Aprii gli occhi di scatto, ritrovandolo talmente vicino che facevo fatica a respirare. Era un bel grattacapo, visto che i miei polmoni avevano bisogno di ossigeno in quel momento.
«Ma sono sicuro che non ci sia nessuna più giusta per me, in questo mondo.»
Mi sussurrò quella frase in maniera così dolce che feci un respiro più calmo. Mi stava scaldando il cuore, quel maledetto.
Tirai via le mani dalle sue solo per andare a tastargli il volto. Glielo accarezzai debolmente, concentrandomi su quello, lasciando che il mio cervello smettesse di filtrare tutto quello che stavo provando in quel frangente.
Questa volta non c'era nessun intoppo,  in fondo: io piacevo a lui, lui piaceva a me, nessuna ragazza inglese subentrata per sposarlo, più facile di così non si poteva, no? 

«Una volta mia nonna mi disse una cosa, una cosa che non ho mai dimenticato. Mi ha detto che, a tavola, ognuno ha il suo posto. Il suo posto prestabilito. Anche quando non ci sei, quel posto rimane tuo, nessuno può sedersi lì.»
Glielo dissi, senza peli sulla lingua, strofinando il naso contro il suo. 
«Quel posto non verrà mai occupato.»
Lui mi guardò un po' confuso, mordendosi il labbro, così continuai.
«Puoi metterci anche dieci anni a tornare, ma magari non metterci così tanto ecco.»
Lui sospirò di nuovo, chiudendo gli occhi.
Ero arrivato al succo di tutto il discorso.
Eccolo il vero problema, la vera paura, la vera insicurezza. Sapevo perché voleva fare quel salto indietro adesso, perché eravamo ancora in tempo per salvarci, perché sapeva che, in caso sarebbe andata male per via della distanza, non avevamo ancora nulla da rimpiangere.

Ma potevo dirglielo  che, in qualsiasi caso, sarebbe stato troppo tardi?
Sarebbe stato troppo tardi oggi.
Ieri.
Un anno fa.
Due anni fa.
Lui non era nella mia testa. Lui era la cosa più reale che avevo. Lui era quello per cui mi sentivo viva. Lui metteva in dubbio ciò che pensavo che fossi, mi faceva perdere per farmi ritrovare. Lui non imponeva niente e mi costringeva a lottare per le mie priorità. Lui era sempre stata la mia epifania più grande. Lui mi faceva amare. 
Che fosse stato un mese, un anno, due, ormai non c'era modo di scampare da quello. Il mio grande dosso si era finalmente adeguato all'asfalto e io stavo correndo nella mia strada. Ed ero sveglia, ero completamente me.

«Il fatto è questo Jin: Hoseok potrà anche non sposarsi, mettere in dubbio ogni cosa, cercare di capire se davvero ama Emily o  no, ma io non ho più alcun tipo di dubbio. E prima te lo metti in testa, zuccone, meglio è. Non andrò da lui a farmi consolare perché il mio Jin s'è fatto grande ed è andato ad ammazzare la gente.»
Lui non disse niente, mi si gettò sulle spalle avvolgendomi il collo con un abbraccio stretto, la faccia incavata nel mio collo.
«Sai che non ucciderò nessuno, vero?» Sussurrò lui, facendomi rabbrividire.
«Come no?» Chiesi io. «Ma allora perché stai andando? Che senso ha tutto questo?»
Fece una pausa leggera, smorzando  una risata. Rimase abbracciato a me a lungo, senza dire niente, stringendomi in una maniera così avvolgente che, per un attimo, mi dimenticai del tutto dove fossi. C'era solo lui, ero al sicuro, non avevo paura. Mi aggrappai alla sua schiena sperando che, quello stato, perdurasse ancora un po'. Era davvero bello, fin troppo, ero consapevole che non potevo più farne a meno. 

«Mi fido di te, non voglio che pensi il contrario. Le cose che ti ho detto ieri non erano per sminuire ciò che siamo io e te e non era neanche un modo per spingerti verso Hobi. Mi dispiace che tu l'abbia percepita in questo modo. Anche io non sono molto bravo a spiegarmi, non mi sono mai trovato in una situazione così e non sei l'unica a fare cavolate, in questo stato. Siamo davvero due ottimi incapaci.» Fece una brevissima pausa. «Ho solo paura, tanta paura anche io di perderti. Come uno scemo.»
«Eh, siamo in due. Che coppia modello, oppa.» Di nuovo lo chiamai così, potevo sentirlo ghignare contro la pelle del collo.
«Oppa.» Ripeté quel soprannome. Non credevo lo odiasse sul serio ma era alquanto strano sentirlo dire da me, forse. Era giusto la ciliegina dolce di quella serata, probabilmente l'avrei debellato dal mio vocabolario una volta finita. «Non ho alcun dubbio anche io, questo voglio che ti sia ben chiaro. Neanche uno. È solo che sapere che lascerò a casa la ragazza che amo per così tanto mi fa sentire così-»
Non lo feci finire di parlare, mi scostai da lui quasi in maniera brusca, probabilmente lussandoci l'omero.

Lo aveva detto.
Lo aveva detto ad alta voce.
Non avevo sentito male. 
Non poteva essere stato uno stormo di piccioni, in quel caso, e nemmeno la voce della cantante che aveva preso connotati maschili in maniera innaturale.
Era una cosa assurda, che mi facesse quell'effetto, ma provai uno strano e incontrollabile scompenso cardiaco immediato.
Finalmente la cabina prese a muoversi, dandomi un sollievo illusorio.
«Scusa, cosa hai detto?»
«Che non ho dubbi.»
«Non fare scherzi Jin sono ad un passo così da un collasso e potrei ucciderti.»
No, non ero psicologicamente e fisicamente pronta, era chiaro.
«Qualsiasi cosa tu abbia sentito, sicuramente non l'hai sentito. Sono certo fosse la ruota, che si sta muovendo, c'era quel rumore metallico strano.»
Feci un ringhio acuto, ma così strano e improvviso che lui, per placarmi, mi strinse di nuovo la faccia per darmi un bacio. Un bacio più sentito, giocando con le mie labbra in maniera dolce, mordicchiandole appena.
Ero pronta a fingere di aver sentito male, era bravo a vincere a questo gioco.
«Che ne dici se il prossimo appuntamento lo organizzo io, eh? Probabilmente mi odierai, vorrai lasciarmi, tenterai di cambiare identità e darti per morta ma giuro che mi perdonerai.»
Mi sembravano tanto delle parole già sentite, ma quel bacio mi aveva fatto perdere l'uso proprio del raziocinio, così che annuii senza troppa enfasi, un po' inebetita.
«Non vale giocare sporco così, comunque.»
«Ne so una sullo sporco che  ti farà scompisciare.»
«Ah cavolo, mi ero scordata di questo tuo terribile difetto.»
Quello neanche mi stava ascoltando, già pronto.
«Un signore al ristorante, chiama il cameriere tutto imbronciato: "Cameriere cameriere questo tovagliolo è sporco!" E il cameriere fa: "Strano, l'ho dato ad altri cinque clienti e nessuno s'è lamentato."»

Era un'opzione quella di aprire la cabina e buttarsi di sotto, immagino, ma decisi di baciarlo di nuovo dopo una risata frettolosa. 
Avevo scelto come ragazzo un cabarettista fallito, azzardato forse?
Sì, ma nella vita valeva la pena rischiare alla fine.






 
nda: dopo un paio di giornate che vorrei dimenticare forever mi sono cimentata in uno dei capitoli più romantici (?), coppiosi (?), farfallini (?) della mia storia. Tutto merito del fatt che non dormo da due giorni probabilmente, colpa dei nostri Bitiessini che decidono di fare concerti che ci costringono a svegliarci a orari da panettieri ( lo so, non è colpa vostra ragazzacci, ma il sonno non perdona v.v ). Spero vi sia piaciuto, la SeoJin si ufficializza veramente qui presumo, speriamo perduri v_v per la gioia, in generale. Grazie per chiunque sia arrivato fin qui, per chi commenta, per chi mi legge <3 come sempre se sono arrivata quasi alla fine di questo percorso Bangtannoso è merito vostro, davvero. Per gli ultimi capitoli ho in mente cose da PA PA PA PA PA PA PA ( leggetelo con la voce di Hobi mentre spiega i passi di danza e capirete ) giusto perché sì. Quindi al prossimo capitolo <3  buona notte.
  
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