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Autore: ChiiCat92    19/04/2020    2 recensioni
[...] "Lan Zhan non aggiunse altro a quell’occhiata, gli volse le spalle e se ne andò.
« Te l’avevo detto, amico. » Troy, trombonista, portò un braccio intorno alle spalle di Wei WuXian. Doveva essersi avvicinato a lui nell’infinito, dilatato momento che aveva passato a fissare il vuoto dopo che Lan Zhan se n’era andato. « Quel tipo ha un palo in culo. Non poteva capitarti di peggio. Fai prima a dire a Jackson che non vuoi suonare con lui, è una perdita di tempo. »
Wei WuXian si scrollò l’amico di dosso, con uno sbuffo infastidito.
« Lo vedremo. » presa la custodia del flauto, si lanciò all’inseguimento dell’arpista." [...]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Lan Wangji/Lan Zhan, Wei Ying/Wei WuXian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Da accompagnare alla lettura del capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=RIYA69AAo6k

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La
Source, opera 44, Alphonse Hasselmans, 1898. 

Fa maggiore, sei ottavi. 

Forte, piano, pianissimo crescendo, forte diminuendo, ritardato e…

Andantino a tempo, piano, con moto e delicatezza. 

Nella stanza il suono lieve delle dita sulle corde riempiva l’aria, satura e calda. Lui inspirava ed espirava ogni sei, mentre il cuore batteva due contro la cassa dell’arpa.

Il viso concentrato sul movimento delle mani, le braccia sollevate parallele alle spalle. Di tanto in tanto gli occhi nocciola chiaro saltavano alla sua sinistra, sul leggio con lo spartito diventato più un conforto visivo che un reale aiuto: conosceva il brano a memoria, braccia, mani, dita, gambe, piedi, tutto il corpo si muoveva consapevole preciso come un orologio.

Forte, sdrucciolando, Re bequadro, poco ritardando.

Un respiro più profondo, per raccogliere i pensieri dispersi nell’etere in migliaia di particelle d’acqua di fonte. 

Tempo I°, ripresa del tema iniziale. 

Il fruscio della carta che viene girata sul leggio non lo distrasse e l’impeccabile infallibilità delle sue dita lo portarono volando verso l’ultimo accordo, alla fine dello spartito, il punto fermo di una frase lunga undici pagine.

Lasciò vibrare la corda di Fa finché il suono non divenne così sottile da non poter essere udito, sebbene il movimento della grossa corda di metallo nera fosse ancora visibile. 

Andò quindi a fermare le corde più gravi poggiandovi sopra il palmo aperto della mano sinistra, e lo stesso fece con quelle più acute, ma con la mano destra, ammutolendo così l’arpa con un solo deciso movimento.

L’incantesimo che aveva evocato, la fonte d’acqua limpida che si era come materializzata nell’aria mentre suonava con cristallina precisione ogni nota del brano, si spezzò. 

Non si trovava più alla fonte di un fiume sciabordante e sereno, ma nell’aula nr.2, seduto su uno sgabello sgangherato, di fronte al nuovo acquisto del Conservatorio: un’arpa Aurora, marca Salvi, di noce opaco, con la tavola rotonda. Lo strumento profumava ancora di smalto fresco, le corde di metallo scintillavano sotto le luci al neon anche nelle giornate plumbee. A non tutti gli studenti era permesso usare quell’arpa per studiare e il Direttore del Conservatorio si era accertato che non venisse inclusa nell’organico degli strumenti da trasferta: troppo preziosa per lasciare l’istituto. 

In ogni caso, alcune di quelle restrizioni non valevano per Lan Zhan. 

Con la cautela insita in chi conosce fin troppo bene il valore di ciò che ha tra le mani, poggiò lo strumento a terra, accompagnandolo finché i quattro piedini che reggevano i trentanove chili non furono ben saldi sul pavimento. 

Solo allora si volse con il busto verso l’insegnante. Il professor Jackson, docente di arpa del Conservatorio, era uno dei motivi per cui l’istituto poteva vantare musicisti come Lan Zhan, provenienti da ogni dall’altra parte del mondo per imparare da lui. 

« Bellissimo. » disse, dopo un silenzio madido di aspettative. Lan Zhan sentì il corpo rilassarsi appena. 

Studiare lontano da casa, in un paese dove non si parlava la sua lingua madre, non era stato un problema. Suo zio aveva fatto in modo che l’inglese fosse una parte importante della sua istruzione sin da bambino, così che non fosse tagliato fuori dal mondo accademico, dai concorsi internazionali, dalla possibilità di raggiungere la vetta. 

E lui l’aveva raggiunta, o meglio, era ad un buon punto della scalata, perché si trovava a New York, in un campus universitario con una borsa di studio integrale, ad inseguire i suoi sogni. 

« Bellissimo, davvero. » ripeté il professore. Lan Zhan annuì, le mani adagiate con grazia in grembo. Lunghe, leggere, ogni dito era stato creato per quello scopo e quello soltanto. O almeno, era l’unico che il ragazzo conoscesse. « Ma… » gli occhi nocciola di Lan Zhan si sollevarono verso l’uomo, frementi, mentre le labbra si tendevano in una linea di neutrale stupore. « ...sei freddo. Sei ancora terribilmente freddo. »

« Mh. » fu l’unica cosa che lasciò le labbra semichiuse di Lan Zhan. Le mani ebbero solo un fremito, minacciando di serrarsi in un frustrato pugno. 

« Questo non vuol dire che tu non sia bravo, anzi, sei il migliore. » precisò il professore, chiedendosi se fosse il caso di poggiare una mano sulla spalla di quel giovane arpista per fargli sentire la sua presenza, il suo supporto, o se la distanza culturale tra l’America e la Cina fosse superiore a quella fisica e che li rendesse impossibilitati dal creare un effettivo legame empatico. « Però sento ancora una...mancanza di sentimento. Vedo la fonte. » disse, indicando il titolo del brano. La Source, la fonte. « Vedo l’acqua, ma non riesco a sentirla, capisci cosa intendo? » 

Lan Zhan annuì, greve. Lo capiva fin troppo bene. All’improvviso l’arpa che aveva davanti, la più bella e scintillante tra le cinque accostate al muro, gli sembrò un inutile pezzo di legno: questo era senza un’anima, e lui non era poi tanto diverso, no? 

« Come vanno le altre materie? » 

Il ragazzo si raddrizzò sullo sgabello, a disagio. 

« Bene. » 

E non era una menzogna. Anche in quelle teoriche, dove la lingua avrebbe potuto costituire il problema principale se non l’unico problema, brillava per intelligenza e preparazione. Aveva ottenuto ottimi risultati sia nella classe di Composizione sia in Storia della Musica. 

« Hai già cominciato musica da camera? » 

« No, non ancora. » decise subito che avrebbe taciuto sul fatto che il suo insegnante aveva avuto problemi a trovargli un compagno, o più d’uno, che fosse al suo stesso livello e che non avesse paura di suonare con lui. 

« Avete già deciso un organico? » 

Difficile deciderlo quando i pochi pretendenti diventavano incapaci di tirar fuori un suono decente in sua presenza. « Forse arpa e violino. » rispose però, tenendo per sé i vaghi pensieri. 

« Che ne pensi di arpa e flauto? Conosco qualcuno che potrebbe fare al caso tuo. Posso parlare io con l’insegnante. » 

« Va bene. » una scrollata di spalla era insita nelle sue parole. Lan Zhan era molto simile allo strumento che suonava: incredibilmente bello e affascinante a vedersi, capace di produrre meravigliose melodie se toccato da mani competenti, ma irraggiungibile e misterioso. Veniva da un passato lontano fatto di lunghi abiti e cerimoniose abitudini, di musica nell’aria a rallegrare i saloni, di apparenze troppo belle per essere vere, più adatto ad adornare una stanza come parte del mobilio. Troppo difficile da comprendere.

« D’accordo allora. » sorrise l’insegnante, senza aspettarsi che il ragazzo ricambiasse. « Puoi andare, qui abbiamo finito. Ti farò avere gli spartiti entro la settimana e gli daremo un’occhiata insieme la prossima lezione. » l’occhiata liquida, sorpresa, che Lan Zhan gli rivolse con quegli occhi nocciola fu chiara più che se avesse usato le parole. « Sì hai capito bene, non ti lascio niente da studiare, puoi prenderti un po’ di riposo. »

Lan Zhan annuì, di nuovo, mentre il cuore accelerava i battiti. Pensava già a come impegnare quel tempo libero. Avrebbe potuto portarsi avanti con il progetto di Composizione, o studiare un capitolo extra di Pedagogia Musicale. 

Prese lo spartito della Source dal leggio, lo sistemò con cura nella borsa e salutò l’insegnante con un cenno del capo.

Conosceva il repertorio per arpa e flauto, ma non conosceva nessun flautista dell’istituto.  

Forse avrebbe potuto sfruttare quel tempo per scoprire chi il professor Jackson avesse in mente.

 

*

 

All’ora di pranzo Lan Zhan andò a mangiare in mensa, da solo, come sempre. La confusione irritava i suoi nervi e le urla stridule dei colleghi lo faceva sentire come se quello fosse un campo estivo e non un rispettabile istituto di alta formazione musicale. 

Avrebbe di gran lunga preferito mangiare i baozi ripieni di cavolo di Xichen, ma in America non c’era un solo ristorante decente dove mangiarli, e men che meno li poteva pretendere dalla mensa.

In momenti come quelli, mentre mangiava con attenzione pollo ai ferri e verdure grigliate, sentiva la mancanza di casa. 

Non era tipo da lasciarsi andare alla nostalgia o alla tristezza, ed era pronto ad affrontare la vita lontano da casa. Eppure, per qualche ragione, la parte più bassa del cuore pungeva fastidiosamente, tanto che lui dovette massaggiarsi il petto per placare il dolore.  

Approfittò del momento di calma per tirare fuori gli spartiti che aveva preso prima di pranzo dalla biblioteca e cominciare a dargli una rapida lettura. La musica danzava davanti ai suoi occhi trasformandosi in melodia nella sua mente. La voce che sentiva risuonare era quella di un’arpa mentre le note scorrevano sul pentagramma.

Nonostante fosse concentrato sullo spartito con la coda dell’occhio notò il movimento alla sua sinistra. 

Finse di essere troppo impegnato, cosa che in fondo era, per preoccuparsi di chi si stava avvicinando al suo tavolo. 

Almeno finché quel qualcuno non esclamò con voce querula un: « Ciao! » 

Lan Zhan sollevò, stupito e infastidito, lo sguardo dagli spartiti, non senza prima mettere un segnalibro tra le pagine per evitare di perdere il segno. 

Il Conservatorio non aveva un dress code né obbligava gli studenti a portare una divisa, ma lo scompigliato e sciatto modo in cui era vestito il ragazzo di fronte a lui fece tremare pericolosamente un sopracciglio verso l’alto: il massimo di espressione sdegnata a cui Lan Zhan si lasciasse andare.

Jeans strappati, scarpe da ginnastica, una maglia rossa scolorita che aveva visto giorni migliori, una giacca di pelle leggera, la custodia di un flauto a tracolla.

Il pensiero dell’arpista scivolò verso un abisso di negazione. 

Il ragazzo era cinese. Ovviamente era cinese, perché mai affiancargli un occidentale? Gli americani sapevano essere così razzisti. Come se Lan Zhan facesse distinzione di razza, come se non li trovasse tutti ugualmente incompetenti.

Dal momento che non aveva ricevuto risposta, il ragazzo lanciò verso di lui la mano destra, un sorriso largo e amichevole sulle labbra.

« Sono Wei WuXian. » la mano rimase sospesa tra loro per un minuto buono prima che il ragazzo la ritraesse, scontento ma non abbattuto. « Il prof Jackson mi ha detto che ti serve un compagno per musica da camera. » gli mostrò la custodia del flauto come se fosse stupido o cieco e non l’avesse notata fino a quel momento. Il suo accento e il fluido parlare suggerì a Lan Zhan che dovesse essere cresciuto in America. « E quindi...beh, sono io. Sono il tuo compagno per musica da camera. » senza che gli avesse dato il permesso, e comunque senza chiederlo, Wei WuXian sedette vicino a lui. 

Poggiò con cura il fodero del flauto sul tavolo e gli rivolse il più spiazzante e idiota dei sorrisi. 

Con lui? Avrebbe dovuto suonare con lui

Lan Zhan fu svelto a prendere gli spartiti e infilarli nella borsa, a prendere il vassoio con il pranzo che non aveva più intenzione di mangiare e ad alzarsi.

« Ehi! » Wei WuXian saltò in piedi, rapido come un coniglio. « Aspetta! » lo afferrò per la manica della camicia.

Lo sguardo di vetro di Lan Zhan era tagliente quanto freddo, le iridi nocciola irradiavano gelide sferzate di neve. « Scusa. » lo lasciò andare immediatamente.

Lan Zhan non aggiunse altro a quell’occhiata, gli volse le spalle e se ne andò. 

« Te l’avevo detto, amico. » Troy, trombonista, portò un braccio intorno alle spalle di Wei WuXian. Doveva essersi avvicinato a lui nell’infinito, dilatato momento che aveva passato a fissare il vuoto dopo che Lan Zhan se n’era andato. « Quel tipo ha un palo in culo. Non poteva capitarti di peggio. Fai prima a dire a Jackson che non vuoi suonare con lui, è una perdita di tempo. » 

Wei WuXian si scrollò l’amico di dosso, con uno sbuffo infastidito.

« Lo vedremo. » presa la custodia del flauto, si lanciò all’inseguimento dell’arpista. 

 

Wei WuXian rotolò fuori dalla mensa, guardò frettolosamente a destra e a sinistra, poi il fulgore bianco che avvolgeva Lan Zhan sotto il sole caldo di quella giornata catturò la sua attenzione. Si precipitò nella sua direzione.

Bisognava aver vissuto sotto un sasso per non conoscere la reputazione di Lan Zhan, il mistico, ascetico arpista venuto dalla Cina. E bisognava essere stupidi come una zappa per ignorare le frecciatine degli amici occidentali che tendevano ad associare lui e l’arpista in un’unica sentenza. 

“Perché non sei come lui? Eppure vi somigliate!”

“Pensavo che tutti i cinesi fossero uguali!”

Ah, ah, ah, da morir dal ridere. 

Wei WuXian era americano, come teneva spesso a ricordare ai compagni, al di là del nome e festeggiare il Capodanno Cinese lui la Cina non l’aveva mai vista. Okay, forse viveva vicino a China Town, ma per ragioni che non avevano niente a che fare con la cultura. 

Erano tutti dei razzisti di merda, ecco cosa. 

L’arrivo di Lan Zhan non aveva reso più facile né più piacevole il suo già faticoso percorso di studi. Quel ragazzo era così bravo, brillante, perfetto che la gente cominciava a chiedersi se non dovesse essere così un vero cinese. Il cinese che viene cresciuto seduto alla scrivania per eccellere in ogni cosa e che viene punito con il frustino quando fallisce. Il genere di cinese che si vede nei film, lo stereotipo dalla strana parlata, che possibilmente mangia i cani.

Wei WuXian era stato messo a paragone con Lan Zhan troppe volte per non essere arrabbiato con lui.

Non si erano mai parlati, si erano a malapena visti di sfuggita da quando lui era arrivato, eppure a causa delle loro origini, degli occhi a mandorla, dei capelli nero inchiostro, erano stati gettati nella stessa arena. 

Nel giro di soli sei mesi Lan Zhan aveva sconvolto l’equilibrio che tanto faticosamente Wei WuXian aveva costruito con il suo giro di colleghi, scrollandosi di dosso una volta per tutte certe sottili insinuazioni. 

L’avrebbe ignorato se il professor Jackson non fosse andato da lui in cerca di aiuto.

Tralasciando il fatto che il suo patetico discorso si era fin troppo fissato sui toni da quel-povero-cinesino-non-sa-farsi-degli-amici-tu-puoi-capirlo-di-certo, a far scattare la molla dentro Wei WuXian era stata l’altra parte, quella in cui saltava fuori che Lan Zhan non era in grado di lavorare in gruppo e che avrebbe potuto essere bocciato all’esame di musica da camera.

Che disdetta che per essere musicisti bisognasse suonare con altri musicisti! 

« Ehi! Lan Zhan! » Wei WuXian raggiunse il ragazzo correndo. Finse di non vedere il modo in cui la mano di lui si strinse intorno alla tracolla della borsa e invece gli rivolse un sorriso. L’ennesimo. « Non possiamo almeno parlarne? Guarda che sei tu ad aver bisogno di un compagno per musica da camera, io quell’esame l’ho già fatto la scorsa sessione. » 

Lan Zhan aveva occhi spaventosamente chiari, come ghiaccio sottile illuminato dal sole d’autunno, e del ghiaccio avevano la stessa freddezza. Come potevano occhi così belli contenere tanto risentimento senza andare in frantumi? 

« Troverò qualcun’altro. » disse, senza crederci davvero. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare quella materia, nonché la sua incapacità di lavorare con qualcuno che non fosse se stesso. Prima o poi, certo.

« Puoi...fermarti…? » dal momento che Lan Zhan continuava a camminare spedito, Wei WuXian lo afferrò nuovamente per la camicia. Nonostante l’occhiataccia riuscì a farlo fermare, così da riprendere fiato. Platealmente, prendendo grandi boccate, alzando il viso verso l’alto come se avesse appena corso la maratona. « Lan Zhan. » Wei WuXian unì le mani in preghiera, accennò persino un inchino. « Non ho mai lavorato con un arpista, ti piacerebbe suonare con me? » 

« Ridicolo. » Lan Zhan fece per voltare la schiena di nuovo, imbarazzato oltre il consentito dall’atteggiamento di Wei WuXian. Pensava che adularlo sarebbe servito a qualcosa? 

Un gruppetto di ragazzi si era persino fermato a guardarli. 

« Lan Zhan! » chiamò ancora il ragazzo. Lan Zhan odiava già la sua voce, come di certo avrebbe odiato quella del suo flauto. « Ti sto facendo un favore. Nessuno vuole suonare con te. »

Lan Zhan, però, non gli rispose. 

Stavolta, quando gli volse le spalle per andarsene a passo svelto, Wei WuXian non lo seguì.

Rimase per un po’ a fissare quella schiena dritta e orgogliosa mentre si allontanava. 

Sorrise, l’esca era stata lanciata. Ora doveva aspettare che il pesce abboccasse.

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1 musica da camera: tra le materie obbligatorie da frequentare nel corso di studi in Conservatorio ce ne sono alcune di gruppo. Lo studente viene affiancato ad uno o più ragazzi dall’insegnante che sceglie il repertorio da eseguire. Tra i criteri di giudizio dell’esame vi è anche la capacità di suonare insieme, lo studente viene giudicato non per la sua performance ma per quella dell’intero gruppo.

2 organico: l’insieme dei componenti di una compagnia d’arte drammatica; in musica, il complesso degli strumentisti e, eventualmente, delle voci, necessarî per l’esecuzione di una determinata composizione vocale, strumentale o mista.

 

 
   
 
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