Il
finto dottore
“No, non è la
maledizione che ha colpito Potter.
È solo morte
apparente. Basta la pozione stimolante. Si sveglierà entro
poche ore.”
Pansy mise via la bacchetta, si alzò
dal letto di Denys e guardò Blaise.
“Non lo portiamo al San Mungo?”
“Non c’è bisogno. Ho detto a Ginny di
dire ad April di venire qui, stasera.”
Blaise alzò un sopracciglio.
“Ginny?” Pansy arrossì.
“Mi ha detto lei di chiamarla per
nome. Oggi abbiamo chiacchierato…”
Blaise si fece più
attento. Di cosa
avevano parlato? Mica di Goldstein, vero?
“Di cosa avete parlato?” Pansy
arrossì. Oh, Merlino! No. No.
“Chissà se la Granger è riuscita a
capire cosa c’è nel
calderone…” rispose lei scappando via.
Blaise si passò una mano fra i
capelli. No. Lei lo aveva abbracciato quando era tornato dalla
missione, era
contenta di vederlo. Non pensava a Goldstein. No, no. Ma si
infilò le mani in
tasca e si avviò verso l’altra stanza, ciondolando
nervosamente.
***
“Io vengo con
voi!”
Pansy si era alzata in piedi, agitata.
Erano nell’ufficio di Shacklebolt,
il
Ministro della magia. Blaise e la Granger stavano spiegando cosa
avevano
trovato in casa di Denys.
Un calderone
di pozione Polisucco (e va beh, era abbastanza scontato, alla fine. Ci
sarebbe
arrivata persino lei e senza bisogno di analisi), più
qualche boccetta di
distillato di Morte Vivente (e anche lì, era normale, no?
Denys era in quello
stato...), ma avevano dovuto fare rapporto. Avevano poi scoperto che il
mago
che avevano portato al ministero, quello che segregava Denys, era il
figlio
illegittimo di un mangiamorte arrestato anni prima, da cui aveva
imparato
l’attacco che aveva scagliato a Potter. Voleva vendicare il
padre che ora era
ad Azkaban a vita. E chi era suo padre? Era Dolohov. E per forza! La
sua
maledizione era una variante di quella creata da Dolohov! Ma ci voleva
un
indagine per arrivarci? Davvero?
Pansy sbuffò
quando dissero che dovevano organizzare la cattura di Harris.
Organizzare? Ma
non bastava andare al San Mungo e schiantarlo? Santo Salazar, come la
facevano
difficile! Rapporti qua, indagini là, prove su e sospetti
giù. Era così e
basta. Harris aveva preso il posto di Denys al San Mungo, solo Salazar
sapeva
cosa combinava con i pazienti, e loro volevano aspettare di organizzare
un
piano?
Le prudevano
le mani, ma stavolta per altri motivi. Si sentiva arrabbiatissima.
Soprattutto
quando Blaise le aveva detto che lei non sarebbe potuta andare con
loro. Ma
come? Lei sapeva ogni cosa sul San Mungo, conosceva i posti in lungo e
in largo
e conosceva tutte le persone che ci lavoravano. Come si permettevano di
lasciarla fuori? Harris non solo aveva rapito Denys, ma aveva lanciato
a lei un
incantesimo Oblivion e aveva tentato di rovinarle la reputazione in
ospedale!
Possibile che non capissero? Aveva bisogno di vederlo faccia a faccia.
Merlino,
avrebbe voluto schiantarlo o lanciargli una maledizione. Era stata
buona e
paziente e aveva fatto tutto quello che avevano detto. Ma
ora…
“Vieni con
me.”
Blaise la
prese per mano e la condusse fuori dall’ufficio del Ministro,
nel piccolo
corridoio cieco.
Blaise
doveva riuscire a far capire a Pansy che non era una sciocchezza. Non
bastava
andare in ospedale e dire a Harris: ‘Ciao, sappiamo che non
sei il vero dottore.
Vieni con noi al Ministero’.
“Ascolta” le
disse, prendendole le spalle. “Non puoi venire. So che sei
arrabbiata ed è
giusto, ma potresti fare qualcosa di pericoloso, per te o per gli
altri.
Potrebbe finire male. Potrai parlare con lui, te lo prometto, ma qui.
Al
sicuro. OK?”
Non voleva
assolutamente che lei potesse farsi male. Merlino l’aveva
appena ritrovata! E
se Harris le avesse lanciato una maledizione? Cosa avrebbe fatto, lui?
Certo! Lei,
poverina, non era capace di fare niente, eh? Era convinto che fosse
un’inetta? Mettere
in pericolo gli altri? Ma quando mai.
“Non metterò
in pericolo nessuno. Voglio solo esserci. Voglio sentire cosa dice,
come
reagisce.”
Merlino
voleva vederlo tremare al pensiero di essere stato scoperto. Quel
viscido essere
immondo! Era peggio di un Troll.
“No”. Blaise
scosse la testa per rafforzare il divieto.
“Fammi
parlare con la Granger, o con Shacklebolt…” Blaise
scosse ancora il capo.
“Con loro ho
parlato io. Pensiamo tutti che non sia il caso
che…”
“Ho capito: non
mi volete.”
“Non è che
non ti vogliamo…” Pansy si arrabbiò
ancora di più. In quel momento il moro
sembrava lei quando aveva dei piccoli pazienti che non volevano farsi
curare e
doveva convincerli con parole gentili. Ma lei non aveva cinque anni.
“Ho capito.
Dimmi almeno quando sarà.”
“Perché?”
“Così
smetterò di preoccuparmi”. Lui sorrise e Pansy si
sentì quasi male per la
menzogna.
“Penso
stasera. Appena sarà pronto tutto.”
“Posso
andare da Denys, almeno?” Lui si adombrò un
po’, ma poi annuì.
“Penso non
ci siano problemi.”
Perfetto.
Non aveva specificato quale ‘Denys’.
Quando
tornarono dentro l’ufficio, il Ministro alzò gli
occhi su di loro. Vide Blaise
annuire. Bene. Aveva acquietato il cagnolino. Bravo Blaise.
“Ti ha
spiegato il tuo fidanzato i motivi per cui è meglio
se…”
“Lui non è
il mio fidanzato”. Pansy interruppe il Ministro. Al diavolo
tutto. Non si voltò
verso Blaise perché sapeva che non avrebbe retto il suo
sguardo.
Il Ministro
annuì e lei disse: “Mi ha spiegato tutto,
comunque”.
***
“Ciao, April.”
Pansy si
sedette vicino all’amica che vegliava Denys ancora sotto
pozione. Ci sarebbe
voluto ancora un po’, prima che si riprendesse.
“Pansy! Non
pensavo venissi qui. È una… sorpresa?”
Pansy guardò il collega ancora steso a
letto.
“Sono venuta
a chiederti un favore. Per me. Ma anche per lui” disse,
indicando il letto.
“Certo. Cosa
posso fare?” Lei gli allungò un piccolo bastone di
legno”
“Ma questa
è…”
“No. Ma se
ci sei cascata anche tu, vuol dire che è fatta
bene”.
April annuì.
L’avrebbe aiutata.
“Dimmi cosa
devo fare.”
***
“Denys.”
L’uomo si
voltò, sorpreso. Era appena entrato nell’ufficio
della dottoressa Parkinson,
non si aspettava nessuno. Ma invece, sul divano, quello su cui aveva
dormito
gli ultimi sei giorni, era seduta proprio lei.
La ragazza si
alzò quando lo chiamò. Aveva la bacchetta in
mano, ci giocherellava, ma non
fece nessun incantesimo.
“Pansy. Come
stai? Non dovresti essere qui, lo sai, con quello che è
successo…”
“Sai, Denys,
io non mi ricordo cos’è successo. Non è
che potresti spiegarmelo? Perché lo
psicomago dice che ricordare mi sarebbe utile. Sai, capire gli errori,
e quelle
menate lì…” Fece girare la bacchetta
come un bambino che giocava con la sua
prima scopa.
“Io l’ho
detto, allo psicomago, che non è stata colpa tua, che
facciamo turni assurdi e
la stanchezza a volte ti porta a fare errori stupidi. A volte gravi. Ma
stupidi. Gliel’ho detto, che non dovrebbero toglierti il
lavoro, ma non so se
li ho convinti. Loro sono così… fiscali, con
queste cose… Però dai, al massimo,
se non potrai più fare il medimago, potrai pensare ad altro,
a sposarti, magari,
e avere dei bambini. Non hai detto che ti piacciono i
bambini?”
Pansy
strinse la bacchetta. Forte. Le sue nocche divennero bianche per lo
sforzo, ma
lei non lo notò. Dovette fare uno sforzo tremendo per non
schiantarlo. Aveva
bisogno di chiedergli ancora qualcosa. Ma non sapeva come fare. Non era
troppo
preparata per una cosa del genere. In quel momento se rese conto di non
sapere
troppe cose. Da quanto tempo lui aveva preso il posto di Denys? Lei ci
aveva
pensato, il giorno prima, e cercava di capire quale poteva essere un
momento in
cui lui gli era sembrato diverso. Ma non ci era riuscita. Aveva pensato
anche
di chiederlo alla contessa Helena del quadro, ma sapeva che spesso i
quadri
avevano le idee confuse per quanto riguardava lo scorrere del tempo.
In quel
momento, mentre ascoltava il dottore parlare, notò che la
sua voce era un po’
diversa. Ma i giorni che lavorava, come diceva il mago davanti a lei,
facevano
turni assurdi, dormivano poco e a volte le cose sfuggivano. Si
ricordò di
quando lei aveva dovuto far ripetere a Potter il colore della
maledizione. O
del fatto che non si ricordasse di preciso quale delle due fosse. Per
quello
avrebbe dovuto parlare con il direttore del San Mungo. Presto lo
avrebbe fatto.
I turni andavano ridotti.
“Hai
ragione. Forse è il caso che pensi a sposarmi.
Così farò anche contento mio
padre…”
L’uomo
annuì. Sperò di fare presto e di mandarla via.
Era meglio non attirare l’attenzione,
se qualcuno l’avesse vista lì al San Mungo, magari
avrebbero iniziato a fare
domande e non era il caso.
Doveva
aspettare solo altri due giorni e Potter sarebbe morto. Due giorni in
quel
posto orrendo e poi avrebbe potuto andarsene. Il figlio di Dolohov gli
aveva
promesso del denaro, tanto denaro. Avrebbe potuto vivere senza
più lavorare, in
un bel posto sperduto da qualche parte.
Già gustava
il sapore del dolce far niente, altro che luridi folletti che
controllano ogni
singolo zellino che usciva dalle camere blindate. Se una camera
blindata non ha
eredi non è più di nessuno, no? E invece no.
Aveva dovuto lottare contro quel
folletto impiccione e l’aveva dovuto sistemare in una delle
cantine. Era stato
bravo con gli incantesimi, quella volta. Sospirò. Se solo
Potter si fosse
sbrigato a passare all’altro mondo! Doveva per forza essere
giovane e così in
salute?
Doveva
mandare via la dottoressa. Ma in quell’ufficio, come in tutti
gli ambulatori e
gli uffici dei dottori, non ci si poteva smaterializzare,
così le propose: “Tuo
padre sarà contento, sì, e magari
smetterà di crearti casini alla Gringott. Che
dici adesso di andare a casa? Magari ti fai un bel
bagno…” Lei sorrise.
“Non ho mai
raccontato a Denys di mio padre, Harris.”
Quando lui
capì quello che intendeva, la sua faccia fece una smorfia
così strana che Pansy
quasi rise. Ma non c’era niente da ridere. Pansy
alzò la bacchetta e incantò la
porta. Poi continuò. “So che mi hai lanciato un
Oblivion. Ma non è una cosa un
po’… vile, Harris? E poi per cosa? Per uccidere
una persona? Una sola persona?
Tutto questo casino per Potter?” Lui
spalancò gli occhi.
“Potter ha
fatto rinchiudere i mangiamorte!” Lei annuì.
“È vero.
Persone che agivano illecitamente per scopi personali. Non è
la cosa giusta?” Lui
alzò le spalle.
“Non mi
interessa di Potter o dei mangiamorte. Carter ha denaro a sufficienza
da farmi
vivere da nobile purosangue per tutta la vita. Non dovrò
più lavorare. Stare a
contatto con i folletti, o con gente come te, ricca e viziata. E lui
voleva
Potter morto. L’ho solo aiutato. Uno scambio di favori. E
ormai sarà morto.
Ricordi? Otto giorni al massimo.”
“Chi è
Carter?” chiese ancora lei. Doveva essere l’altro
mago, il figlio illegittimo.
Oppure un altro ancora.
“Il figlio
di Dolohov. Pensavi che non sapessi che Potter fosse stato colpito da
una
maledizione discendente da quella di Dolohov? Tu lì che
controllavi e tastavi,
con la bacchetta lo visitavi e gli facevi tutte quelle domande. Io lo
sapevo
già. Fuori non si vede niente: i danni sono tutti
all’interno!” Rise
nervosamente e prese la fiaschetta da cui beveva. Diceva che doveva
idratarsi,
ma adesso Pansy sapeva cosa c’era dentro: la pozione
polisucco!
Ecco da
quanto tempo era stato sostituito, da quando aveva iniziato a
‘idratarsi’ così
spesso. Merlino, e quando aveva iniziato?
“Pozione
polisucco, eh? Ci vuole quasi un mese per prepararla. Chissà
come dev’essere
stato difficile aspettare tutto quel tempo prima di poter agire,
vero?”
“Non abbiamo
aspettato la pozione, piccola idiota. Abbiamo aspettato il momento
giusto per
colpire Potter. La pozione era già pronta.”
Pansy
sorrise: era quello che voleva sapere.
“Quindi sei
diventato Denys solo una settimana fa? Quando Potter è stato
attaccato? Al
momento giusto?”
“Già. Non
sei proprio sveglia, vero? Forse ha ragione tuo padre, che dice che
dovresti
sposarti. E farti guidare da un uomo…” Pansy
strinse i denti e alzò la
bacchetta.
Quando lui
alzò quella del dottor Denys, lei rise, perché
non ne uscì nessun incantesimo.
Lui guardò la bacchetta, sorpreso. “È
una copia innocua. Te l’ho fatta
sostituire prima di venire qui. Sembra che un bel paio di gambe ti
facciano
perdere la ragione come a me la mancanza di sonno. Ora chi è
quello poco sveglio?”
Comunque lei
aveva finito. Voleva solo sapere da quanto tempo fingeva di fare il
dottore.
Avrebbe dovuto controllare tutti i pazienti che aveva visitato, gli
incantesimi
che aveva fatto e le pozioni che aveva prescritto. Per il
resto… Poteva
lasciarlo agli Auror.
“È stato un
piacere, Harris.”
Ma mentre si
incamminava verso la porta, questa venne spalancata e lei si
trovò di fronte
Blaise con la bacchetta in mano. Merlino! Ci aveva messo troppo tempo?
Blaise
spalancò la porta, che era bloccata magicamente e fece per
entrare. Quando si
trovò davanti Pansy spalancò gli occhi sorpreso.
E preoccupato. E arrabbiato.
“Cosa ci fai
qui?” In un lasso di tempo veramente breve vide il dottore
tirar fuori la
bacchetta, prendere Pansy per la vita e tirarla indietro verso il
centro della
stanza, tenendosela davanti. La bacchetta della ragazza era caduta e
lui teneva
la sua puntata contro di lei.
“Ok, che
bella sorpresa!” Rise un po’ nervosamente.
Vide Pansy
guardare la bacchetta con gli occhi spalancati.
“Ma la
bacchetta di…”
“Taci,
questa è la mia bacchetta, non quella del dottore. Pensavi
che lasciassi la mia
a casa? Con cosa credi tu abbia ricevuto
l’oblivion?”
Pansy
spalancò gli occhi. O Merlino! Non ci aveva pensato! Ecco
perché non doveva
fare quelle cose! Non era addestrata a pensare come un Auror! Le venne
quasi da
piangere. Avevano ragione tutti. Era un’incapace, aveva
sottovalutato un idiota
come Harris.
E li aveva
messi tutti in pericolo.
Blaise vide
gli occhi di Pansy farsi lucidi. No. No! NO!
“Ok,
ragazzi, tutti indietro e nessun ‘Avada’
scapperà da questa bacchetta. Ora,
voglio solo riuscire a passare quella porta, vedete? Tutti da quella
parte lì e
alla ragazza non succederà niente. Su…”
Voleva
uscire dalla porta per smaterializzarsi! No! E Pansy? Se la sarebbe
tirata
dietro? No. No.
“Aspetta. Ti
lasceremo andare. Tutti indietro” disse, rivolto agli altri.
“Ma lascia lei.
Prendi me”. Cercò di non guardare Pansy.
“Prendi me” ripeté. Lasciò
cadere la
bacchetta per terra. “Prendi me”.
“No, lei
è molto più carina”. Fece un passo
indietro. “Tutti su quel lato lì.
Presto!” Voleva arrivare alla porta. Fece un
altro passo mentre ridacchiava. “E poi lei è
abbastanza stupida. Sarà più
facile”.
Vide il viso di Pansy
imbestialirsi. Il
dottore però non lo notò e quando fece un altro
passo verso la porta, Pansy si
aggrappò al suo braccio e lo fece inciampare
all’indietro, spostandogli una
gamba con uno sgambetto. Appena mollò la presa su di lei,
lei si chinò e andò a
raccogliere la bacchetta.
Come lui fu
per terra gli furono addosso in tre, Pansy compresa.
“Expelliarmus!” gridò la
ragazza. La bacchetta di Harris volò via dalle sue mani come
una saponetta
sotto la doccia.
“Brutto
Troll!” Pansy gli diede un calcio a un piede e rimase a
osservare la Granger che
lo immobilizzava subito, mentre il suo collega Santos le chiedeva:
“Sei un
Auror?”
La mora
scosse il capo guardando la riccia che sequestrava la bacchetta di
Harris.
“Sicura di non averlo già fatto?” Lei
annuì silenziosamente mentre si asciugava
una lacrima.
Poi si voltò
verso Blaise. Un’altra lacrima scese sulla guancia ma non la
fermò.
“Pansy…” Lei
scappò via.
Fuori
dall’ufficio, Pansy si scontrò con il direttore
del San Mungo e con Shacklebolt.
Oh, stupendo. Avrebbe dovuto spiegare cosa ci facesse lì.
“Dottoressa
Parkinson! Ho appena fatto una chiacchierata con il Ministro e mi ha
raccontato
quello che è successo…” Il medimago si
voltò verso il Ministro e poi tornò a
guardarla. Cosa stava succedendo?
“Ora
sappiamo che non è colpa sua. Ci dispiace essere
stati…” Lei ciondolò una mano
nella sua direzione.
“Avremo
tempo per parlare di questo. Voglio vedere la pergamena con il registro
dei
pazienti. Ho bisogno di sapere cosa ha fatto
quel…” In quel momento gli Auror
portarono fuori Harris dall’ufficio di Pansy.
“Aspettiamo
al Ministero che la polisucco smetta i suoi effetti?” Il
Ministro annuì. L’Auror
che le aveva chiesto se fosse una loro collega, se ne andò
lungo il corridoio
con Harris.
“Abbiamo
comunque la sua bacchetta. Sappiamo chi è”. La
Granger era molto efficiente, mostrò
la bacchetta a Shacklebolt e lui sorrise e annuì. Ma la
Granger continuò:
“Abbiamo anche trovato questa…”
Mostrò la finta bacchetta che aveva usato
Harris.
“È la
bacchetta del dottor Mills” disse il direttore.
“Mmm… Non è
una bacchetta funzionante, dottore” disse Blaise, vicino alla
Granger.
Pansy tossì.
“È un bastone trasfigurato. L’ho fatto
io. Abbiamo sostituito la bacchetta di
Harris per precauzione. Non avevo pensato che potesse avere addosso due
bacchette…” Era stata troppo stupida. Avevano
ragione: poteva finire male.
“Davvero?
Gran bella idea. E dov’è la bacchetta
originale?” chiese la Granger.
Pansy tirò
fuori la bacchetta di Harris dalla borsa che aveva a tracolla e gliela
allungò.
Era avvolta in uno straccio rosso. Sorrise appena e annuì
verso la ex Grifondoro.
Non guardò mai verso Blaise.
Si voltò
verso il direttore. “Posso vedere il registro dei pazienti,
adesso? Ha detto di
aver sostituito Denys da lunedì ma
preferirei…”
Il direttore
annuì. Dovette capire le sue intenzioni perché
disse che l’avrebbe accompagnata
onde evitare problemi burocratici di qualsiasi genere.
Shacklebolt
chiese ancora: “Lunedì scorso? Quando è
stato colpito Harry… Siete riusciti a
interrogarlo prima di portarlo via?” La riccia
guardò verso Pansy.
“No, ancora
no, Kingsley.”
Il Ministro
si voltò verso di lei e la guardò curioso. Pansy
si incamminò lungo il
corridoio con il direttore. Non salutò nessuno.
***
Blaise si
materializzò al San Mungo e prese il corridoio verso il
reparto di Pansy. Non
le aveva più parlato. Avevano interrogato Harris. Ci avevano
messo tantissimo
tempo, ma alla fine avevano fatto tutto. Che brutta faccia che aveva
quel mago
di suo!
Avevano
aspettato che l’effetto della polisucco sparisse, prima di
interrogarlo e
Blaise ne fu contento. Non voleva odiare la faccia dell’amico
di Pansy e sapeva
che sarebbe successo se l’avessero fatto intanto che aveva
ancora le sue
sembianze. E avevano richiamato anche Carter, il figlio illegittimo di
Dolohov.
Chissà che piacere per lui finire ad Azkaban insieme al
padre!
Erano
riusciti a ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno. Ora se
ne sarebbe
occupato il tribunale. Questa volta avrebbe dovuto presentarsi davanti
al
Wizengamot? Non ne era sicuro. Era un lavoro così diverso da
quello che faceva
di solito…
La porta del
reparto era chiusa e c’era scritto che non si poteva entrare
se non all’orario
delle visite. Ma l’orario delle visite era valido anche per
andare a trovare un
dottore? Blaise non era così sicuro di essere accolto bene
da Pansy, così non
si azzardò a entrare. Si sedette su una sedia lì
nel corridoio e aspettò che
passasse quella mezz’ora.
“Zabini!”
Alzò gli occhi sulla moglie di Potter che arrivava, reggendo
un contenitore di
plastica. Si sedette vicino a lui. “Vuoi un po’ di
torta di melassa? Mamma l’ha
mandata per Harry, ma sembra ne abbia bisogno anche
tu…” Blaise scosse la
testa.
Lei era
contenta. E già. Stava andando da suo marito.
Cercò di sorriderle. “È già
sveglio?” Lei scosse la testa.
“Dovrebbe
svegliarsi fra quarantacinque minuti” lo disse come se stesse
contando il
tempo. Probabilmente era così. “Sono contenta di
come sono andate le cose.”
“Sì,
anch’io. Posso chiederti una cosa, Wea…
Potter?” Lei si voltò verso di lui,
incuriosita.
“Dimmi,
Zabini.”
“Di cosa
avete parlato tu e Pansy quando siete rimaste sole?” Ti prego non mi dire Goldstein.
“Mi ha
chiesto di duellare con lei.”
COSA? “Duellare?”
“Sì, mi ha
chiesto di insegnarle qualche incantesimo. Mi ha detto di non aver mai
avuto
bisogno di proteggersi o di attaccare qualcuno, ma che voleva imparare
a farlo.
Le ho mostrato qualcosa. Qualcosa di semplice. Quello che Harry ci
aveva
insegnato a scuola…”
Blaise
annuì. Pansy non era stupida. Non era andata da Harris
totalmente impreparata.
Era stata audace e astuta. Voleva parlare con lui, sapere
perché e da quanto
tempo. E ci era riuscita. E invece lui non l’aveva aiutata.
Aveva pensato che
non ce l’avrebbe fatta. Beh, a dir la verità non
voleva che lo facesse perché
aveva paura che potesse finire male, non perché lei non ne
sarebbe stata
capace. Aveva paura di non poter fare niente in caso di pericolo, come
effettivamente era successo. Lei era stata bloccata da Harris e lui non
era
riuscita a salvarla.
Si passò la
mano fra i capelli. Era lui quello impreparato. Era lui che
l’aveva messa in
pericolo. Se avesse accettato di farla venire con loro, come aveva
anche suggerito
la Granger, non si sarebbero scontrati sulla porta e non ci sarebbe
stato quel pasticcio.
E lei non si
sarebbe trovata in pericolo. Aveva visto come l’aveva
guardato. E non poteva
farci niente, era davvero colpa sua. Sospirò e si
passò di nuovo la mano fra i
capelli. Avrebbe
dovuto essere lui, a
insegnarle a difendersi. Avrebbe dovuto avere più fiducia.
Ora lei…
“Abbiamo
anche parlato di ragazzi.”
La Potter
interruppe i suoi pensieri.
Ginny pensò
di dover alleviare la pena di quel povero ragazzo. Cosa era successo?
Non era
andato tutto bene? Non sapeva bene cos’era avvenuto, ma lui
sembrava
nervosissimo. Si voltò verso di lei, quando
pronunciò quelle parole.
“Di chi
avete parlato? Di Goldestein?” Chi? Anthony?
Perché avrebbero dovuto parlare di
Anthony?
“Anthony?
No. Abbiamo parlato di te.”
“Di me?” Si
tirò un po’ su. E sorrise. Bene, bravo Zabini.
“E cosa
vi…?” Il rumore della porta del reparto che si
apriva lo interruppe e un’infermiera
la salutò.
“Buonasera
signora Potter.”
Lei ricambiò
il saluto ed entrò velocemente. Non vedeva l’ora
di tenere la mano di Harry. Entro
poco si sarebbe svegliato e avrebbe potuto baciarlo.
Blaise
osservò la rossa scappare dentro il reparto e non le disse
niente. Andava da
suo marito. Era giusto così.
Si alzò e
attraversò la porta. Imboccò il corridoio e si
incamminò verso l’ufficio di
Pansy. Gli avevano detto che era ancora lì. Era arrivata
quando aveva
affrontato Harris. E non era più tornata a casa. Gli aveva
detto che l’idea che
lui visitasse i suoi pazienti la metteva in agitazione ed era
preoccupata.
Avrebbe dovuto capire meglio il suo stato d’animo.
Sospirò. Poi
la vide. Aveva il camice e parlava con un altro dottore. E sorrideva.
Sorrideva
contenta.
“Meno male
che ci hai pensato tu, Philip. Non sai quanto mi faccia sentire
più tranquilla.”
Il dottore
dalla folta barba scura le sorrise. “Quando sei stata sospesa
è stato sospetto,
per tutti noi. E Mills non sembrava troppo in
forma…” Pansy sorrise.
Harris non
era pratico dei turni dell’ospedale. Per chi non è
abituato sono massacranti.
Non averlo trovato fuori di testa era già una bella cosa.
Così non aveva
combinato troppi danni.
Dopo aver
scoperto della settimana di Harris come dottore, si era preoccupata. Ma
aveva
controllato tutti i pazienti, nessuno escluso (era andata anche da
Potter, ma
era ancora incosciente) e dopo aver finito tutto il giro e aver
controllato
ogni cosa, aveva scoperto che qualcuno degli altri dottori si erano
insospettito
e avevano coperto i suoi turni spontaneamente, vegliando i pazienti
senza
lasciarli in balia di Harris.
Oh Merlino,
avrebbe voluto abbracciare Philip. Lì in quel momento. I
suoi pazienti erano
salvi.
Sorrise. Per
la prima volta sorrise, soddisfatta e serena. Poi, lungo il corridoio
vide
arrivare una persona: sorrise ancora di più. Gli
andò incontro e a metà strada
si accorse di aver accelerato l’andatura. Quando se lo
trovò di fronte
l’abbracciò forte. Quanto le era mancato!
Blaise vide
Pansy correre ad abbracciare Denys. Il vero Denys. Una morsa gli
stritolò forte
lo stomaco, salì veloce lungo il petto e gli
afferrò la gola. Non riuscì a
fermarlo. Una fitta potente che gli bloccò il respiro.
Poi una
ragazza al suo fianco disse: “Ehi, giù le mani dal
mio ragazzo, dottoressa
Parkinson!”
La guardò.
Era l’infermiera che li aveva guidati a casa del dottore. Lei
si voltò verso di
lui e ammiccò, facendogli cenno con la testa di seguirla. Si
incamminò dietro
di lei e si avvicinò a Pansy. Quando Pansy lo vide
spalancò gli occhi e poi
guardò da un’altra parte. Oh, no. No.
“Cosa fai
qui?” chiese a Blaise appena riuscì a raccogliere
tutto il coraggio che aveva.
April lo
prese a braccetto e le disse: “Siamo venuti a darti una
grande notizia”, ma poi
si zittì. Lo faceva apposta.
Così strinse
le labbra in un sorrisetto e si rivolse direttamente a lei.
“Dimmi, che
notizia?” era un giochetto. L’avevano fatto milioni
di volte. Ma questa volta
April non voleva giocare, perché subito rispose:
“La tua amica Daphne ha
partorito”. Come? Daphne? Il bambino?
Si voltò
verso Blaise. E perché lui era andato da Daphne?
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