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Autore: ONLYKORINE    19/04/2020    1 recensioni
Lei è un medimago e lui un Auror.
Avrebbero dovuto dichiararsi a Hogwarts al quinto anno, ma non l'hanno fatto e si sono messi con le persone sbagliate.
Ora, dopo dieci anni, si ritrovano a dover indagare su due casi che in verità è uno solo...
Per non parlare del compito più difficile di tutti: dover sopravvivere alle rispettive famiglie!
Doveva essere una Oneshot. Sarà una storia breve, giuro.
(PansyxBlaise)
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Ginny Weasley, Harry Potter, Pansy Parkinson, Theodore Nott | Coppie: Blaise/Pansy, Draco/Astoria, Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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  Il finto dottore

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-

“No, non è la maledizione che ha colpito Potter. È solo morte apparente. Basta la pozione stimolante. Si sveglierà entro poche ore.”
Pansy mise via la bacchetta, si alzò dal letto di Denys e guardò Blaise.
“Non lo portiamo al San Mungo?”
“Non c’è bisogno. Ho detto a Ginny di dire ad April di venire qui, stasera.”
Blaise alzò un sopracciglio.
“Ginny?” Pansy arrossì.
“Mi ha detto lei di chiamarla per nome. Oggi abbiamo chiacchierato…”

 

Blaise si fece più attento. Di cosa avevano parlato? Mica di Goldstein, vero?
“Di cosa avete parlato?” Pansy arrossì. Oh, Merlino! No. No.
“Chissà se la Granger è riuscita a capire cosa c’è nel calderone…” rispose lei scappando via.
Blaise si passò una mano fra i capelli. No. Lei lo aveva abbracciato quando era tornato dalla missione, era contenta di vederlo. Non pensava a Goldstein. No, no. Ma si infilò le mani in tasca e si avviò verso l’altra stanza, ciondolando nervosamente.

 

***

 

“Io vengo con voi!”
Pansy si era alzata in piedi, agitata. Erano nell’ufficio di Shacklebolt, il Ministro della magia. Blaise e la Granger stavano spiegando cosa avevano trovato in casa di Denys.
Un calderone di pozione Polisucco (e va beh, era abbastanza scontato, alla fine. Ci sarebbe arrivata persino lei e senza bisogno di analisi), più qualche boccetta di distillato di Morte Vivente (e anche lì, era normale, no? Denys era in quello stato...), ma avevano dovuto fare rapporto. Avevano poi scoperto che il mago che avevano portato al ministero, quello che segregava Denys, era il figlio illegittimo di un mangiamorte arrestato anni prima, da cui aveva imparato l’attacco che aveva scagliato a Potter. Voleva vendicare il padre che ora era ad Azkaban a vita. E chi era suo padre? Era Dolohov. E per forza! La sua maledizione era una variante di quella creata da Dolohov! Ma ci voleva un indagine per arrivarci? Davvero?
Pansy sbuffò quando dissero che dovevano organizzare la cattura di Harris. Organizzare? Ma non bastava andare al San Mungo e schiantarlo? Santo Salazar, come la facevano difficile! Rapporti qua, indagini là, prove su e sospetti giù. Era così e basta. Harris aveva preso il posto di Denys al San Mungo, solo Salazar sapeva cosa combinava con i pazienti, e loro volevano aspettare di organizzare un piano?
Le prudevano le mani, ma stavolta per altri motivi. Si sentiva arrabbiatissima. Soprattutto quando Blaise le aveva detto che lei non sarebbe potuta andare con loro. Ma come? Lei sapeva ogni cosa sul San Mungo, conosceva i posti in lungo e in largo e conosceva tutte le persone che ci lavoravano. Come si permettevano di lasciarla fuori? Harris non solo aveva rapito Denys, ma aveva lanciato a lei un incantesimo Oblivion e aveva tentato di rovinarle la reputazione in ospedale! Possibile che non capissero? Aveva bisogno di vederlo faccia a faccia.
Merlino, avrebbe voluto schiantarlo o lanciargli una maledizione. Era stata buona e paziente e aveva fatto tutto quello che avevano detto. Ma ora…
“Vieni con me.”
Blaise la prese per mano e la condusse fuori dall’ufficio del Ministro, nel piccolo corridoio cieco.

 

Blaise doveva riuscire a far capire a Pansy che non era una sciocchezza. Non bastava andare in ospedale e dire a Harris: ‘Ciao, sappiamo che non sei il vero dottore. Vieni con noi al Ministero’.
“Ascolta” le disse, prendendole le spalle. “Non puoi venire. So che sei arrabbiata ed è giusto, ma potresti fare qualcosa di pericoloso, per te o per gli altri. Potrebbe finire male. Potrai parlare con lui, te lo prometto, ma qui. Al sicuro. OK?”
Non voleva assolutamente che lei potesse farsi male. Merlino l’aveva appena ritrovata! E se Harris le avesse lanciato una maledizione? Cosa avrebbe fatto, lui?

 

Certo! Lei, poverina, non era capace di fare niente, eh? Era convinto che fosse un’inetta? Mettere in pericolo gli altri? Ma quando mai.
“Non metterò in pericolo nessuno. Voglio solo esserci. Voglio sentire cosa dice, come reagisce.”
Merlino voleva vederlo tremare al pensiero di essere stato scoperto. Quel viscido essere immondo! Era peggio di un Troll.
“No”. Blaise scosse la testa per rafforzare il divieto.
“Fammi parlare con la Granger, o con Shacklebolt…” Blaise scosse ancora il capo.
“Con loro ho parlato io. Pensiamo tutti che non sia il caso che…”
“Ho capito: non mi volete.”
“Non è che non ti vogliamo…” Pansy si arrabbiò ancora di più. In quel momento il moro sembrava lei quando aveva dei piccoli pazienti che non volevano farsi curare e doveva convincerli con parole gentili. Ma lei non aveva cinque anni.
“Ho capito. Dimmi almeno quando sarà.”
“Perché?”
“Così smetterò di preoccuparmi”. Lui sorrise e Pansy si sentì quasi male per la menzogna.
“Penso stasera. Appena sarà pronto tutto.”
“Posso andare da Denys, almeno?” Lui si adombrò un po’, ma poi annuì.
“Penso non ci siano problemi.”
Perfetto. Non aveva specificato quale ‘Denys’.
Quando tornarono dentro l’ufficio, il Ministro alzò gli occhi su di loro. Vide Blaise annuire. Bene. Aveva acquietato il cagnolino. Bravo Blaise.
“Ti ha spiegato il tuo fidanzato i motivi per cui è meglio se…”
“Lui non è il mio fidanzato”. Pansy interruppe il Ministro. Al diavolo tutto. Non si voltò verso Blaise perché sapeva che non avrebbe retto il suo sguardo.
Il Ministro annuì e lei disse: “Mi ha spiegato tutto, comunque”.

 

***

 

“Ciao, April.”
Pansy si sedette vicino all’amica che vegliava Denys ancora sotto pozione. Ci sarebbe voluto ancora un po’, prima che si riprendesse.
“Pansy! Non pensavo venissi qui. È una… sorpresa?” Pansy guardò il collega ancora steso a letto.
“Sono venuta a chiederti un favore. Per me. Ma anche per lui” disse, indicando il letto.
“Certo. Cosa posso fare?” Lei gli allungò un piccolo bastone di legno”
“Ma questa è…”
“No. Ma se ci sei cascata anche tu, vuol dire che è fatta bene”.
April annuì. L’avrebbe aiutata.
“Dimmi cosa devo fare.”

 

***

 

“Denys.”
L’uomo si voltò, sorpreso. Era appena entrato nell’ufficio della dottoressa Parkinson, non si aspettava nessuno. Ma invece, sul divano, quello su cui aveva dormito gli ultimi sei giorni, era seduta proprio lei.
La ragazza si alzò quando lo chiamò. Aveva la bacchetta in mano, ci giocherellava, ma non fece nessun incantesimo.
“Pansy. Come stai? Non dovresti essere qui, lo sai, con quello che è successo…”
“Sai, Denys, io non mi ricordo cos’è successo. Non è che potresti spiegarmelo? Perché lo psicomago dice che ricordare mi sarebbe utile. Sai, capire gli errori, e quelle menate lì…” Fece girare la bacchetta come un bambino che giocava con la sua prima scopa.
“Io l’ho detto, allo psicomago, che non è stata colpa tua, che facciamo turni assurdi e la stanchezza a volte ti porta a fare errori stupidi. A volte gravi. Ma stupidi. Gliel’ho detto, che non dovrebbero toglierti il lavoro, ma non so se li ho convinti. Loro sono così… fiscali, con queste cose… Però dai, al massimo, se non potrai più fare il medimago, potrai pensare ad altro, a sposarti, magari, e avere dei bambini. Non hai detto che ti piacciono i bambini?”

 

Pansy strinse la bacchetta. Forte. Le sue nocche divennero bianche per lo sforzo, ma lei non lo notò. Dovette fare uno sforzo tremendo per non schiantarlo. Aveva bisogno di chiedergli ancora qualcosa. Ma non sapeva come fare. Non era troppo preparata per una cosa del genere. In quel momento se rese conto di non sapere troppe cose. Da quanto tempo lui aveva preso il posto di Denys? Lei ci aveva pensato, il giorno prima, e cercava di capire quale poteva essere un momento in cui lui gli era sembrato diverso. Ma non ci era riuscita. Aveva pensato anche di chiederlo alla contessa Helena del quadro, ma sapeva che spesso i quadri avevano le idee confuse per quanto riguardava lo scorrere del tempo.
In quel momento, mentre ascoltava il dottore parlare, notò che la sua voce era un po’ diversa. Ma i giorni che lavorava, come diceva il mago davanti a lei, facevano turni assurdi, dormivano poco e a volte le cose sfuggivano. Si ricordò di quando lei aveva dovuto far ripetere a Potter il colore della maledizione. O del fatto che non si ricordasse di preciso quale delle due fosse. Per quello avrebbe dovuto parlare con il direttore del San Mungo. Presto lo avrebbe fatto. I turni andavano ridotti.

 

“Hai ragione. Forse è il caso che pensi a sposarmi. Così farò anche contento mio padre…”
L’uomo annuì. Sperò di fare presto e di mandarla via. Era meglio non attirare l’attenzione, se qualcuno l’avesse vista lì al San Mungo, magari avrebbero iniziato a fare domande e non era il caso.
Doveva aspettare solo altri due giorni e Potter sarebbe morto. Due giorni in quel posto orrendo e poi avrebbe potuto andarsene. Il figlio di Dolohov gli aveva promesso del denaro, tanto denaro. Avrebbe potuto vivere senza più lavorare, in un bel posto sperduto da qualche parte.
Già gustava il sapore del dolce far niente, altro che luridi folletti che controllano ogni singolo zellino che usciva dalle camere blindate. Se una camera blindata non ha eredi non è più di nessuno, no? E invece no. Aveva dovuto lottare contro quel folletto impiccione e l’aveva dovuto sistemare in una delle cantine. Era stato bravo con gli incantesimi, quella volta. Sospirò. Se solo Potter si fosse sbrigato a passare all’altro mondo! Doveva per forza essere giovane e così in salute?
Doveva mandare via la dottoressa. Ma in quell’ufficio, come in tutti gli ambulatori e gli uffici dei dottori, non ci si poteva smaterializzare, così le propose: “Tuo padre sarà contento, sì, e magari smetterà di crearti casini alla Gringott. Che dici adesso di andare a casa? Magari ti fai un bel bagno…” Lei sorrise.

 

“Non ho mai raccontato a Denys di mio padre, Harris.”
Quando lui capì quello che intendeva, la sua faccia fece una smorfia così strana che Pansy quasi rise. Ma non c’era niente da ridere. Pansy alzò la bacchetta e incantò la porta. Poi continuò. “So che mi hai lanciato un Oblivion. Ma non è una cosa un po’… vile, Harris? E poi per cosa? Per uccidere una persona? Una sola persona? Tutto questo casino per Potter?” Lui  spalancò gli occhi.
“Potter ha fatto rinchiudere i mangiamorte!” Lei annuì.
“È vero. Persone che agivano illecitamente per scopi personali. Non è la cosa giusta?” Lui alzò le spalle.
“Non mi interessa di Potter o dei mangiamorte. Carter ha denaro a sufficienza da farmi vivere da nobile purosangue per tutta la vita. Non dovrò più lavorare. Stare a contatto con i folletti, o con gente come te, ricca e viziata. E lui voleva Potter morto. L’ho solo aiutato. Uno scambio di favori. E ormai sarà morto. Ricordi? Otto giorni al massimo.”
“Chi è Carter?” chiese ancora lei. Doveva essere l’altro mago, il figlio illegittimo. Oppure un altro ancora.
“Il figlio di Dolohov. Pensavi che non sapessi che Potter fosse stato colpito da una maledizione discendente da quella di Dolohov? Tu lì che controllavi e tastavi, con la bacchetta lo visitavi e gli facevi tutte quelle domande. Io lo sapevo già. Fuori non si vede niente: i danni sono tutti all’interno!” Rise nervosamente e prese la fiaschetta da cui beveva. Diceva che doveva idratarsi, ma adesso Pansy sapeva cosa c’era dentro: la pozione polisucco!
Ecco da quanto tempo era stato sostituito, da quando aveva iniziato a ‘idratarsi’ così spesso. Merlino, e quando aveva iniziato?
“Pozione polisucco, eh? Ci vuole quasi un mese per prepararla. Chissà come dev’essere stato difficile aspettare tutto quel tempo prima di poter agire, vero?”
“Non abbiamo aspettato la pozione, piccola idiota. Abbiamo aspettato il momento giusto per colpire Potter. La pozione era già pronta.”
Pansy sorrise: era quello che voleva sapere.
“Quindi sei diventato Denys solo una settimana fa? Quando Potter è stato attaccato? Al momento giusto?”
“Già. Non sei proprio sveglia, vero? Forse ha ragione tuo padre, che dice che dovresti sposarti. E farti guidare da un uomo…” Pansy strinse i denti e alzò la bacchetta.
Quando lui alzò quella del dottor Denys, lei rise, perché non ne uscì nessun incantesimo. Lui guardò la bacchetta, sorpreso. “È una copia innocua. Te l’ho fatta sostituire prima di venire qui. Sembra che un bel paio di gambe ti facciano perdere la ragione come a me la mancanza di sonno. Ora chi è quello poco sveglio?”
Comunque lei aveva finito. Voleva solo sapere da quanto tempo fingeva di fare il dottore. Avrebbe dovuto controllare tutti i pazienti che aveva visitato, gli incantesimi che aveva fatto e le pozioni che aveva prescritto. Per il resto… Poteva lasciarlo agli Auror.
“È stato un piacere, Harris.”
Ma mentre si incamminava verso la porta, questa venne spalancata e lei si trovò di fronte Blaise con la bacchetta in mano. Merlino! Ci aveva messo troppo tempo?

Blaise spalancò la porta, che era bloccata magicamente e fece per entrare. Quando si trovò davanti Pansy spalancò gli occhi sorpreso. E preoccupato. E arrabbiato.
“Cosa ci fai qui?” In un lasso di tempo veramente breve vide il dottore tirar fuori la bacchetta, prendere Pansy per la vita e tirarla indietro verso il centro della stanza, tenendosela davanti. La bacchetta della ragazza era caduta e lui teneva la sua puntata contro di lei.
“Ok, che bella sorpresa!” Rise un po’ nervosamente.
Vide Pansy guardare la bacchetta con gli occhi spalancati.
“Ma la bacchetta di…”
“Taci, questa è la mia bacchetta, non quella del dottore. Pensavi che lasciassi la mia a casa? Con cosa credi tu abbia ricevuto l’oblivion?”

 

Pansy spalancò gli occhi. O Merlino! Non ci aveva pensato! Ecco perché non doveva fare quelle cose! Non era addestrata a pensare come un Auror! Le venne quasi da piangere. Avevano ragione tutti. Era un’incapace, aveva sottovalutato un idiota come Harris.
E li aveva messi tutti in pericolo.

 

Blaise vide gli occhi di Pansy farsi lucidi. No. No! NO!
“Ok, ragazzi, tutti indietro e nessun ‘Avada’ scapperà da questa bacchetta. Ora, voglio solo riuscire a passare quella porta, vedete? Tutti da quella parte lì e alla ragazza non succederà niente. Su…”
Voleva uscire dalla porta per smaterializzarsi! No! E Pansy? Se la sarebbe tirata dietro? No. No.
“Aspetta. Ti lasceremo andare. Tutti indietro” disse, rivolto agli altri. “Ma lascia lei. Prendi me”. Cercò di non guardare Pansy. “Prendi me” ripeté. Lasciò cadere la bacchetta per terra. “Prendi me”.
“No, lei è molto più carina”. Fece un passo indietro. “Tutti su quel lato lì. Presto!” Voleva arrivare alla porta. Fece un altro passo mentre ridacchiava. “E poi lei è abbastanza stupida. Sarà più facile”.
Vide il viso di Pansy imbestialirsi. Il dottore però non lo notò e quando fece un altro passo verso la porta, Pansy si aggrappò al suo braccio e lo fece inciampare all’indietro, spostandogli una gamba con uno sgambetto. Appena mollò la presa su di lei, lei si chinò e andò a raccogliere la bacchetta.
Come lui fu per terra gli furono addosso in tre, Pansy compresa. “Expelliarmus!” gridò la ragazza. La bacchetta di Harris volò via dalle sue mani come una saponetta sotto la doccia.
“Brutto Troll!” Pansy gli diede un calcio a un piede e rimase a osservare la Granger che lo immobilizzava subito, mentre il suo collega Santos le chiedeva: “Sei un Auror?”
La mora scosse il capo guardando la riccia che sequestrava la bacchetta di Harris. “Sicura di non averlo già fatto?” Lei annuì silenziosamente mentre si asciugava una lacrima.
Poi si voltò verso Blaise. Un’altra lacrima scese sulla guancia ma non la fermò.
“Pansy…” Lei scappò via.

 

Fuori dall’ufficio, Pansy si scontrò con il direttore del San Mungo e con Shacklebolt. Oh, stupendo. Avrebbe dovuto spiegare cosa ci facesse lì.
“Dottoressa Parkinson! Ho appena fatto una chiacchierata con il Ministro e mi ha raccontato quello che è successo…” Il medimago si voltò verso il Ministro e poi tornò a guardarla. Cosa stava succedendo?
“Ora sappiamo che non è colpa sua. Ci dispiace essere stati…” Lei ciondolò una mano nella sua direzione.
“Avremo tempo per parlare di questo. Voglio vedere la pergamena con il registro dei pazienti. Ho bisogno di sapere cosa ha fatto quel…” In quel momento gli Auror portarono fuori Harris dall’ufficio di Pansy.
“Aspettiamo al Ministero che la polisucco smetta i suoi effetti?” Il Ministro annuì. L’Auror che le aveva chiesto se fosse una loro collega, se ne andò lungo il corridoio con Harris.
“Abbiamo comunque la sua bacchetta. Sappiamo chi è”. La Granger era molto efficiente, mostrò la bacchetta a Shacklebolt e lui sorrise e annuì. Ma la Granger continuò: “Abbiamo anche trovato questa…” Mostrò la finta bacchetta che aveva usato Harris.
“È la bacchetta del dottor Mills” disse il direttore.
“Mmm… Non è una bacchetta funzionante, dottore” disse Blaise, vicino alla Granger.
Pansy tossì. “È un bastone trasfigurato. L’ho fatto io. Abbiamo sostituito la bacchetta di Harris per precauzione. Non avevo pensato che potesse avere addosso due bacchette…” Era stata troppo stupida. Avevano ragione: poteva finire male.
“Davvero? Gran bella idea. E dov’è la bacchetta originale?” chiese la Granger.
Pansy tirò fuori la bacchetta di Harris dalla borsa che aveva a tracolla e gliela allungò. Era avvolta in uno straccio rosso. Sorrise appena e annuì verso la ex Grifondoro. Non guardò mai verso Blaise.
Si voltò verso il direttore. “Posso vedere il registro dei pazienti, adesso? Ha detto di aver sostituito Denys da lunedì ma preferirei…”
Il direttore annuì. Dovette capire le sue intenzioni perché disse che l’avrebbe accompagnata onde evitare problemi burocratici di qualsiasi genere.
Shacklebolt chiese ancora: “Lunedì scorso? Quando è stato colpito Harry… Siete riusciti a interrogarlo prima di portarlo via?” La riccia guardò verso Pansy.
“No, ancora no, Kingsley.”
Il Ministro si voltò verso di lei e la guardò curioso. Pansy si incamminò lungo il corridoio con il direttore. Non salutò nessuno.

 

***

 

Blaise si materializzò al San Mungo e prese il corridoio verso il reparto di Pansy. Non le aveva più parlato. Avevano interrogato Harris. Ci avevano messo tantissimo tempo, ma alla fine avevano fatto tutto. Che brutta faccia che aveva quel mago di suo!
Avevano aspettato che l’effetto della polisucco sparisse, prima di interrogarlo e Blaise ne fu contento. Non voleva odiare la faccia dell’amico di Pansy e sapeva che sarebbe successo se l’avessero fatto intanto che aveva ancora le sue sembianze. E avevano richiamato anche Carter, il figlio illegittimo di Dolohov. Chissà che piacere per lui finire ad Azkaban insieme al padre!
Erano riusciti a ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno. Ora se ne sarebbe occupato il tribunale. Questa volta avrebbe dovuto presentarsi davanti al Wizengamot? Non ne era sicuro. Era un lavoro così diverso da quello che faceva di solito…
La porta del reparto era chiusa e c’era scritto che non si poteva entrare se non all’orario delle visite. Ma l’orario delle visite era valido anche per andare a trovare un dottore? Blaise non era così sicuro di essere accolto bene da Pansy, così non si azzardò a entrare. Si sedette su una sedia lì nel corridoio e aspettò che passasse quella mezz’ora.
“Zabini!” Alzò gli occhi sulla moglie di Potter che arrivava, reggendo un contenitore di plastica. Si sedette vicino a lui. “Vuoi un po’ di torta di melassa? Mamma l’ha mandata per Harry, ma sembra ne abbia bisogno anche tu…” Blaise scosse la testa.
Lei era contenta. E già. Stava andando da suo marito. Cercò di sorriderle. “È già sveglio?” Lei scosse la testa.
“Dovrebbe svegliarsi fra quarantacinque minuti” lo disse come se stesse contando il tempo. Probabilmente era così. “Sono contenta di come sono andate le cose.”
“Sì, anch’io. Posso chiederti una cosa, Wea… Potter?” Lei si voltò verso di lui, incuriosita.
“Dimmi, Zabini.”
“Di cosa avete parlato tu e Pansy quando siete rimaste sole?” Ti prego non mi dire Goldstein.
“Mi ha chiesto di duellare con lei.”
COSA? “Duellare?”
“Sì, mi ha chiesto di insegnarle qualche incantesimo. Mi ha detto di non aver mai avuto bisogno di proteggersi o di attaccare qualcuno, ma che voleva imparare a farlo. Le ho mostrato qualcosa. Qualcosa di semplice. Quello che Harry ci aveva insegnato a scuola…”
Blaise annuì. Pansy non era stupida. Non era andata da Harris totalmente impreparata. Era stata audace e astuta. Voleva parlare con lui, sapere perché e da quanto tempo. E ci era riuscita. E invece lui non l’aveva aiutata. Aveva pensato che non ce l’avrebbe fatta. Beh, a dir la verità non voleva che lo facesse perché aveva paura che potesse finire male, non perché lei non ne sarebbe stata capace. Aveva paura di non poter fare niente in caso di pericolo, come effettivamente era successo. Lei era stata bloccata da Harris e lui non era riuscita a salvarla.
Si passò la mano fra i capelli. Era lui quello impreparato. Era lui che l’aveva messa in pericolo. Se avesse accettato di farla venire con loro, come aveva anche suggerito la Granger, non si sarebbero scontrati sulla porta e non ci sarebbe stato quel pasticcio.
E lei non si sarebbe trovata in pericolo. Aveva visto come l’aveva guardato. E non poteva farci niente, era davvero colpa sua. Sospirò e si passò di nuovo la mano fra i capelli.  Avrebbe dovuto essere lui, a insegnarle a difendersi. Avrebbe dovuto avere più fiducia. Ora lei…
“Abbiamo anche parlato di ragazzi.”
La Potter interruppe i suoi pensieri.

 

Ginny pensò di dover alleviare la pena di quel povero ragazzo. Cosa era successo? Non era andato tutto bene? Non sapeva bene cos’era avvenuto, ma lui sembrava nervosissimo. Si voltò verso di lei, quando pronunciò quelle parole.
“Di chi avete parlato? Di Goldestein?” Chi? Anthony? Perché avrebbero dovuto parlare di Anthony?
“Anthony? No. Abbiamo parlato di te.”
“Di me?” Si tirò un po’ su. E sorrise. Bene, bravo Zabini.
“E cosa vi…?” Il rumore della porta del reparto che si apriva lo interruppe e un’infermiera la salutò.
“Buonasera signora Potter.”
Lei ricambiò il saluto ed entrò velocemente. Non vedeva l’ora di tenere la mano di Harry. Entro poco si sarebbe svegliato e avrebbe potuto baciarlo.

 

Blaise osservò la rossa scappare dentro il reparto e non le disse niente. Andava da suo marito. Era giusto così.
Si alzò e attraversò la porta. Imboccò il corridoio e si incamminò verso l’ufficio di Pansy. Gli avevano detto che era ancora lì. Era arrivata quando aveva affrontato Harris. E non era più tornata a casa. Gli aveva detto che l’idea che lui visitasse i suoi pazienti la metteva in agitazione ed era preoccupata. Avrebbe dovuto capire meglio il suo stato d’animo.
Sospirò. Poi la vide. Aveva il camice e parlava con un altro dottore. E sorrideva. Sorrideva contenta.

 

“Meno male che ci hai pensato tu, Philip. Non sai quanto mi faccia sentire più tranquilla.”
Il dottore dalla folta barba scura le sorrise. “Quando sei stata sospesa è stato sospetto, per tutti noi. E Mills non sembrava troppo in forma…” Pansy sorrise.
Harris non era pratico dei turni dell’ospedale. Per chi non è abituato sono massacranti. Non averlo trovato fuori di testa era già una bella cosa. Così non aveva combinato troppi danni.  
Dopo aver scoperto della settimana di Harris come dottore, si era preoccupata. Ma aveva controllato tutti i pazienti, nessuno escluso (era andata anche da Potter, ma era ancora incosciente) e dopo aver finito tutto il giro e aver controllato ogni cosa, aveva scoperto che qualcuno degli altri dottori si erano insospettito e avevano coperto i suoi turni spontaneamente, vegliando i pazienti senza lasciarli in balia di Harris.
Oh Merlino, avrebbe voluto abbracciare Philip. Lì in quel momento. I suoi pazienti erano salvi.
Sorrise. Per la prima volta sorrise, soddisfatta e serena. Poi, lungo il corridoio vide arrivare una persona: sorrise ancora di più. Gli andò incontro e a metà strada si accorse di aver accelerato l’andatura. Quando se lo trovò di fronte l’abbracciò forte. Quanto le era mancato!

 

Blaise vide Pansy correre ad abbracciare Denys. Il vero Denys. Una morsa gli stritolò forte lo stomaco, salì veloce lungo il petto e gli afferrò la gola. Non riuscì a fermarlo. Una fitta potente che gli bloccò il respiro.
Poi una ragazza al suo fianco disse: “Ehi, giù le mani dal mio ragazzo, dottoressa Parkinson!”
La guardò. Era l’infermiera che li aveva guidati a casa del dottore. Lei si voltò verso di lui e ammiccò, facendogli cenno con la testa di seguirla. Si incamminò dietro di lei e si avvicinò a Pansy. Quando Pansy lo vide spalancò gli occhi e poi guardò da un’altra parte. Oh, no. No.

 

“Cosa fai qui?” chiese a Blaise appena riuscì a raccogliere tutto il coraggio che aveva.
April lo prese a braccetto e le disse: “Siamo venuti a darti una grande notizia”, ma poi si zittì. Lo faceva apposta.
Così strinse le labbra in un sorrisetto e si rivolse direttamente a lei. “Dimmi, che notizia?” era un giochetto. L’avevano fatto milioni di volte. Ma questa volta April non voleva giocare, perché subito rispose: “La tua amica Daphne ha partorito”. Come? Daphne? Il bambino?
Si voltò verso Blaise. E perché lui era andato da Daphne? 

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