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Autore: E_AsiuL    26/04/2020    0 recensioni
Aine era stanca. Stanca di tutto e tutti. Stanca della vita che faceva. Qual era lo scopo di tutto quello che aveva passato nei suoi seicento anni? Aveva perso così tanto è guadagnato così poco… aveva perso la maggior parte della sua famiglia, tranne Marge e Adam, aveva perso i suoi amici. Sì, aveva conosciuto tantissime persone, solo per doverle perdere, prese dal freddo e implacabile bacio della morte. E aveva perso lui. L'unica persona che avesse davvero contato qualcosa per lei. L'unica persona che avesse davvero amato. L'unica persona che fosse stata in grado di farla sentire umana, quando non lo era più stata. Che l’amava, anche quando era diventata il mostro che era ancora.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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2 – Father’s son
He said don’t try to scream now
‘cause I want this one to hurt
And tonight my pretty one
I’m gonna get my money’s worth
(Three Doors Down – Father’s Son)
 
Faceva freddo, quella notte, e Lyv non sognava altro che un fuoco a scaldarla. Qualcuna delle ragazze più fortunate era riuscita a procurarsi dello sciacquabudella, per riscaldarsele, le budella, ma lei non era tra loro.
Era una delle più belle del suo gruppo, e quella era una maledizione, più che atro: il suo aspetto le portava più clienti che alle altre, e, al mattino, era sempre dolorante, alle volte sanguinava, e non aveva il tempo di respirare tra un uomo e l’altro, figurarsi darsi una ripulita.

Odiava quello che era diventata dopo essere scappata dalla casa di suo padre, ma battere le strade era meglio di qualsiasi cosa – e qualsiasi uomo – il suo vecchio avesse in serbo per lei. Lyv non voleva sposarsi per riprodursi, come un cavallo. Per cui, una notte, aveva fatto un fagotto delle sue cose ed era scappata. Ed era finita senza soldi né amici, a vendersi in un angolo.

Sospirò, muovendosi per non congelare. La primavera tardava a venire, ma il suo ultimo cliente no: tre spinte poco enfatiche e aveva finito, pagandola anche troppo poco. Per lo meno, l’aveva pagata. C’erano notti in cui qualcuno aveva pensato che si offrisse per carità cristiana, o l’aveva picchiata, rifiutandosi di pagare. Poi c’erano quelli che le regalavano qualcosa: un braccialetto, perle, anelli, profumi… che non sempre servivano a pagare quelle sottospecie di stanze dove lei e le altre dormivano, ammassate su squallidi materassi di paglia pieni di pulci. Sospirò di nuovo, passandosi le mani sulle braccia per scaldarsi. Si guardò intorno, chiedendosi se, per quella notte, non si sarebbe più fatto vivo nessuno. Se si sarebbe fatto vivo lui.

Aveva detto di chiamarsi Bryan, e di non essere della zona. Ogni volta, l’aveva portata con sé nella locanda dove diceva di alloggiare, le aveva chiesto l’onore di offrirle un piatto caldo e un bicchiere di vino, e poi l’aveva portata in camera, pagando bene per i servigi ottenuti. Erano due mesi che veniva a cercarla – lei, sempre lei, solo lei – a intervalli di pochi giorni, e Lyv era sempre più impaziente dopo ogni loro incontro. Quel giovane era stato l’amante più gentile e premuroso che avesse mai avuto – e non solo perché la rifocillava. In quella stanza in affitto nella locanda, Bryan non la usava come gli altri clienti, ma la trattava con un certo rispetto. E Lyv non aveva tardato ad innamorarsi di quel giovane che veniva da fuori città, sperando che l’avrebbe portata via con sé e magari fatto di lei sua moglie. Poi si svegliava dalle sue fantasticherie e si rendeva conto che nessuno avrebbe mai sposato una prostituta. Nemmeno se di buona famiglia.

Dei passi la fecero voltare. Passi che si avvicinavano rapidamente. Un delle altre ragazze cercò invano di attirare l’attenzione del giovane bruno, ma questi aveva occhi solo per Lyv. Lyv, che si produsse nel primo, vero, sorriso della serata, quando lo riconobbe.

«Bryan…» sussurrò, quando questi fu a pochi passi da lei, il cuore che le galoppava nel petto e lo stomaco che si scaldava alla sua vista più di quanto avrebbe fatto con una bottiglia del liquore delle altre ragazze.

«Perdona la mia assenza, angelo», le rispose lui, prendendole le mani fra le sue e portandosele alle labbra. Al gesto, Lyv arrossì, resistendo alla tentazione di sottrarre le mani a quelle del giovane e coprirsi le guance in fiamme.

La ragazza abbassò lo sguardo, cercando di nascondere un sorriso alle parole del giovane. Scosse la testa. «Non fa niente», bisbigliò, il cuore che minacciava di risalirle la gola e uscire fuori ad ogni parola.

«Posso portarti via con me, stasera?» le chiese lui, fissando gli occhi scuri in quelli chiari di lei, cercando un indizio sulla sua volontà. Lyv annuì entusiasta: stava gelando, aveva fame e un disperato desiderio di acqua e sapone, oltre che di lui. Bryan le sorrise, porgendole il braccio.


Il calore della locanda fu una benedizione per le membra intorpidite dal freddo della ragazza. Varcata la soglia, Lyv chiuse per un attimo gli occhi, inspirando a fondo il profumo di cibo, l'odore della legna che ardeva nel camino. Espirò con un mugolio di piacere. Al suo fianco, Bryan ridacchiò.

«Vieni, ti porto in camera. Ti faccio preparare un bagno caldo e qualcosa da mangiare», le disse, sospingendola verso la scala con una mano sulla schiena. Lyv aprì la bocca per protestare verso tutte quelle premure, ma lui la zittì con un dito sulle labbra. «Lascia che mi prenda cura di te, stanotte», disse, per poi spostarle la mano dietro la nuca, attirando il suo viso verso il proprio. Lyv sentì le ginocchia venirle meno quando lui le premette le labbra all'angolo della bocca.

«Va bene», riuscì a sospirare, i loro volti ancora vicini, gli occhi catturati de quelli del giovane.

Bryan annuì, un lampo negli occhi scuri. «E nessuna cameriera. Voglio essere io a toglierti questo vestito e lavarti via gli altri uomini di dosso», le soffiò in un orecchio. A quelle parole, Lyv era certa di avere le guance – e non solo – alla stessa temperatura dei ciocchi nel camino.

Appena entrata nella stanza, l'attenzione di Lyv venne attirata dal letto. Enorme, pieno di coperte e cuscini, e dall'aria estremamente confortevole, le faceva desiderare ardentemente di non dover mai tornare al suo misero pagliericcio. Di fronte al letto, il camino acceso lanciava bagliori nella stanza, riscaldandola. Non lontana dal camino, la vasca piena d'acqua da cui salivano invitanti volute di vapore e sali profumati. Alle sue spalle, Bryan armeggiava con i chiavistelli della porta, chiudendo il resto del mondo fuori. Ma quale resto del mondo? Non esisteva niente e nessun altro, solo loro due, quella stanza, quella notte. Si voltò verso di lui, tendendogli una mano, che il giovane prontamente prese baciandone le nocche. Tenendola per mano, la attirò a sé, stringendola.

«Non vedevo l'ora di rivederti», le sussurrò, sfiorandole i capelli biondi. «Questi giorni sono stati un'agonia...», confessò.

«Anche per me», ammise lei, poggiandogli le teste sulla spalla e inspirando il suo odore, assorbendo il suo calore.

Bryan le passò le mani sulle braccia, salendo dai polsi verso le spalle, fino al collo, le nuca. Cercò le forcine che le imprigionavano i capelli e le sfilò una per una, facendole cadere a terra. Ad occhi chiusi, Lyv le sentì tintinnare contro il pavimento, mentre le ciocche bionde ricadevano lungo la schiena. Il giovane fece un passo indietro per guardarla. Aprendo gli occhi per ricambiare il suo sguardo, a Lyv si mozzò il respiro in gola per la fame che poteva leggere nelle iridi di Bryan, che non fece che alimentare la sua.

«Devo farti uscire da questo vestito...», bisbiglio lui, più a se stesso che alla ragazza, chinandosi ai suoi piedi e sollevando l'orlo della gonna per sfilarle le scarpe. Quando le sfiorò le gambe per liberarla delle calze, Lyv fu certa che, se non si fosse appoggiata alle sue spalle, le ginocchia le avrebbero ceduto.

Bryan si rialzò, portando le mani ai lacci del vestito, esitando in attesa di conferma. Quando Lyv annuì, prese a sciogliere i nodi.

La carezza della stoffa che scivolava sul pavimento a formare una pozza blu intorno alle sue gambe nude le fece correre un brivido lungo la schiena. Davanti a lei, Bryan percorreva il suo corpo con lo sguardo. La curva delle spalle. Il seno che si alzava ed abbassava rapido col suo respiro accelerato, la vita stretta e la lieve curva del ventre. I fianchi, le gambe. Di nuovo, rabbrividì. E non era per il freddo.

«Dio, sei così bella…» sospirò Bryan, a sua volta a corto di fiato. Ogni volta che la guardava, scopriva un dettaglio nuovo che lo faceva impazzire. Il colore perfetto della sua pelle, così chiara. Quelle lievi lentiggini sul naso e sulle guance. Il biondo dei suoi capelli così vicino al colore del grano, che, insieme agli occhi, gli ricordava le estati assolate piene di cieli tersi. Il neo al centro del petto, alla stessa distanza da entrambi i seni, che gli riempivano le mani come se fossero stati creati solo per quello scopo. L’ovale perfetto del suo ombelico. L’odore della sua pelle, il suo sapore. Com’era calda e morbida fra le sue braccia, come il suo corpo lo accoglieva. Ingoiò rumorosamente, già pregustando il momento in cui l’avrebbe fatta sua e quanto sarebbe stato dolce il suo nome su quelle labbra, i suoi ansiti, i suoi gemiti. La sollevò fra le braccia, portandola alla vasca e deponendola piano nell'acqua che, ormai, non era più bollente, ma ancora piacevolmente calda.

Lyv chiuse gli occhi, sospirando. Non ricordava più quando era stata l’ultima volta che si era potuta concedere il lusso di un bagno caldo. Sempre di corsa, sempre al verde, una cosa che, nella sua vita di prima, le era parlato da così scontata, ora era diventata qualcosa che non riusciva più a permettersi. Qualcosa che poteva solo sognare. Si lasciò andare contro la vasca, beandosi della carezza dell’acqua. Sentì appena, alla propria destra, il fruscio della stoffa della camicia di Bryan, mentre il giovane se la sfilava, e il lieve tonfo delle sue ginocchia sul pavimento, quando si inginocchiò accanto alla vasca. Riaprì gli occhi quando sentì l’acqua muoversi perché lui vi aveva immerso una pezza, che teneva saldamente in mano. Annuì quando incontrò il suo sguardo, senza dargli il tempo di formulare la sua richiesta, e si sistemò meglio contro la vasca mentre, con solerzia e diligenza, Bryan prese a sfregarle la pezza sul corpo. Sulle spalle, le braccia. Il collo, la gola. La schiena. Di nuovo le spalle. Lentamente, indugiò sui seni, uno per volta, mandandole scariche dritte al ventre. Si morse un labbro e quasi sbuffò di disappunto quando, abbandonando l'addome, lui passò direttamente alle gambe. Tornato alle ginocchia, con un sogghigno il giovane seguì lentamente la curva delle cosce, per poi abbandonare la pezza in favore delle mani.

«Era questo, che aspettavi?» le chiese, mentre la accarezzava.

Incapace di rispondere, Lyv si limitò ad annuire, persa nelle sue carezze. Godendosi ogni gemito che riusciva a strapparle, Bryan lasciò scivolare due dita dentro di lei, fermandosi solo quando, in preda al piacere, lei urlò il suo nome. Ritirò la mano, guardandola riprendere fiato nell'acqua che stava diventando fredda. Si alzò, tendendole una mano. Quando pensò di potersi fidare delle proprie gambe, Lyv si alzò a sua volta, accettando la mano che le offriva per aiutarla a scavalcare il bordo della vasca.

«Per quanto non vorrei far altro che succhiarti via ogni goccia d'acqua dalla pelle, sarebbe meglio un telo, non credi?» le suggerì, offrendole l'asciugamani che era stato lasciato sullo schienale della sedia accanto al camino.

Lyv si avvolse nel telo, per quanto avrebbe preferito di gran lunga l'altra opzione, la cui sola idea l'aveva scaldata più del bagno e del fuoco che continuava a scoppiettare, e anche del vino bevuto a cena. Premendosi l'asciugamani sul corpo per eliminare più acqua possibile, la ragazza si chiese se la loro serata fosse finita lì, soprattutto perché Bryan si era allontanato da lei per andare a rovistare tra le proprie cose. Con un leggero disappunto, Lyv immaginò che stesse cercando di che pagarla per poterla congedare, e mosse un paio di passi con l'intenzione di raccogliere il vestito, ricomporsi e tornare in strada. Bryan si voltò verso di lei, con un ampio sorriso e un gioiello fra le mani.

«Volevo darti questo», le disse, mostrandoglielo. Era una sottile catenina d’oro con appesa una piccola pietra azzurra. «Spero ti piaccia. L’ho vista e ho pensato ai tuoi occhi», aggiunse, nascondendo l’imbarazzo.

«È bellissima», rispose lei, sfiorando appena il regalo. Era quello, il prezzo della sua compagnia, quella volta? D’altronde, le era andata fin troppo bene: Bryan l’aveva sfamata, le aveva concesso un bagno caldo e si era occupato di lei, e non aveva voluto nessun servigio in cambio, non aveva diritto di lamentarsi. «Ma... non posso accettare», protestò. «Non ho... fatto niente, per te...», ammise. Per tutte risposta, Bryan rise.

«Oh, Lyv… non ti sto pagando. È un regalo», spiegò, chiudendole la catenina intorno al collo e sistemandole la pietra nell’incavo fra le clavicole. Lyv lo guardò perplessa. «Abbiamo ancora tutta la notte, poi…» le sussurrò, le labbra a un soffio dalle sue.

Lyv sentì di nuovo il cuore impazzire nel petto. Tutta la notte? Tutta la notte! Non avrebbe potuto dirle nulla di più bello, tranne forse che, al mattino, l’avrebbe portata via con sé e che sarebbe stata sua per sempre. Si sarebbe accontentate anche di essere soltanto una serva, un’amante con cui passare qualche notte quando una moglie che nemmeno era certa lui avesse si fosse rifiutata di concedersi. Perché lei mai e poi mai gli si sarebbe negata, no. Non a lui. Gli gettò le braccia al collo, stringendolo a sé e baciandolo con quanto impeto e passione riusciva, desiderando che il telo in cui era avvolta sparisse, che i calzoni di Bryan si dissolvessero, e che fra loro non ci fosse più nulla, solo la loro pelle, le lenzuola sotto la sua schiena, Bryan sopra di lei, lei gambe avvolte ai suoi fianchi, a tenerlo contro di lei, dentro di lei, prigioniero per sempre.

«Ti prego…» ansimò, quando si separarono per respirare.

«Sì», rispose lui, strappandole di dosso il telo e sollevandola per i fianchi. Lyv gli avvolse le gambe intorno al corpo come aveva appena immaginato di fare, e quasi sobbalzò quando sentì contro di sé il rigonfiamento nei suoi calzoni. Gli poggiò la testa sulla spalla mentre, in due rapidi passi, lui raggiunse il letto, lasciandola andare sul materasso.

«Hai idea di quanto ti voglio?» le chiese, scostandole una ciocca umida dal viso e scrutandola con quegli occhi così incredibilmente scuri.

«Quanto io voglio te», rispose lei, sporgendosi quel tanto che bastava a catturare di nuovo la sua bocca.

Bryan non di fece pregare. La spinse sul letto, continuando a divorarle la bocca, passandole le mani sul corpo ovunque riuscisse. Lyv allungò le mani su di lui, cercando disperatamente di arrivargli ai calzoni, per fare loro fare la stessa fine della camicia, del telo e del vestito. Bryan si scostò da lei, allontanandole le mani.

«Guarda che non scappo» la canzonò, accontentandola e restando nudo. Dal canto suo, Lyv si sistemò sui cuscini, spalancando le gambe quanto più le era possibile, invitandolo a farla sua in fretta. A quella vista – lei, così offerta, i seni sodi che si alzavano e abbassavano veloci, le punte turgide che non aspettavano altro che essere tormentate dalla sua bocca o dalle sue mani impazienti, il suo sesso caldo e umido che lo chiamava – pensò quasi di non poter resistere un attimo in più. Doveva prenderla, ora, subito, affondare in lei anche se non fosse stata completamente pronta. Anche a rischio di farle male. Trattenne l'impulso, chinandosi di nuovo su di lei, scendendo dalla bocca alla gola, andando a tormentate i seni – quei seni che sembravano urlargli “mangiaci, mordici!” – con la bocca, la lingua, i denti, strappandole ansiti e gemiti che gli arrivavano dritti al membro teso. Scese ancora, ignorando le proteste del proprio corpo – prendila! Prendila! – e affondò la testa fra le sue gambe. Fu ricompensato per le sue cure da vocalizzi estatici ed esortazioni a non fermarsi. Le strinse i fianchi con le mani mentre il piacere la faceva contorcere e solo quando lei si fermò ansante si sollevò, allineando i fianchi ai suoi e prendendole con foga, con un’irruenza mai avuta, non con lei. Con una mano le stringeva un seno, mentre spingeva i fianchi contro i suoi. La vide chiudere con forza gli occhi, seppe di starle facendo male, ma non si fermò. Le prese una gamba, portandosela verso la spalla, affondò di più di lei, ancora e ancora, più forte che poté, fino a svuotarsi dentro di lei. Col fiato corto, si lasciò andare accanto a lei, un seno ancora stretto fra le dita. Si sollevò quel tanto che bastava per morderle l'altro fino a farla genere di dolore.

«Mia…» mormorò. «Solo mia».



A/N: c'è nessuno? Battete un colpo!
  
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