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Autore: E_AsiuL    03/05/2020    0 recensioni
Aine era stanca. Stanca di tutto e tutti. Stanca della vita che faceva. Qual era lo scopo di tutto quello che aveva passato nei suoi seicento anni? Aveva perso così tanto è guadagnato così poco… aveva perso la maggior parte della sua famiglia, tranne Marge e Adam, aveva perso i suoi amici. Sì, aveva conosciuto tantissime persone, solo per doverle perdere, prese dal freddo e implacabile bacio della morte. E aveva perso lui. L'unica persona che avesse davvero contato qualcosa per lei. L'unica persona che avesse davvero amato. L'unica persona che fosse stata in grado di farla sentire umana, quando non lo era più stata. Che l’amava, anche quando era diventata il mostro che era ancora.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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​3.Brother ​

You were always so far away
I know that pain
But don't you un away
Like you used to do
(Alice in Chains - Brother)
 
Era quasi mezzanotte quando Aine suonò il campanello della casa di Marge e Adam. Dei passi sul pianerottolo la portarono a calarsi ancora di più il cappuccio delle felpa sul viso e a stringersi nella sciarpa. Potersi imbacuccare così era il motivo principale per cui adorava l'inverno. In questo modo, nessuno avrebbe notato la sua cicatrice. E pazienza che Adam la prendesse in giro, dicendo che sembrava pronta per una rapina in una stazione di servizio.

Spostò il peso da un piede all'altro mentre i vicini di sua sorella rientravano in casa. A giudicare dall’odore di alcol e fumo di sigaretta che si portavano addosso - e che anche un umano avrebbe sentito - rientravano da una festa. Sbuffando, premette di nuovo il pulsante. Marge aveva fatto insonorizzare così bene l'appartamento che nemmeno lei riusciva a sentire nulla provenire dall'interno. Si stava esaminando le unghie, quando Adam le aprì la porta.

 «Ok, quale banca assaltiamo stanotte, splendore?», la prese in giro, facendosi da parte per farla passare. Prima di entrare, Aine lo guardò, sollevando l’unico sopracciglio visibile. Adam sbuffò. «Senso dell'umorismo, questo sconosciuto», commentò, una volta che fu entrata in casa.

«Non è colpa mia se tu fai pessime battute. E ripetitive, per giunta», ribatté lei, srotolando la sciarpa per poi appenderla all'attaccapanni. Abbassò il cappuccio sulle spalle e scosse la testa per liberare i capelli, il tutto mentre Adam chiudeva la complicata successione di catene e chiavistelli.

«Non sono pessime. Sei tu che sei troppo seria», la prese in giro, dandole un pizzicotto sul fianco. Aine gli sorrise, ricambiando il pizzico e sollevandosi sulle punte dei piedi per baciargli la guancia. Adam dovette chinarsi per contribuire a colmare il divario di altezza.

«Tua moglie?» gli chiese, precedendolo lungo il breve corridoio che dall'ingresso portava al salotto.

«Tua sorella» ribatté lui, sottolineando la parentela, «è da qualche parte nell'armadio, alla ricerca di qualcosa da mettere», disse, stravaccandosi sulla poltrona. Dal canto suo, Aine prese posto in maniera più elegante su quella di fronte, la schiena dritta, le ginocchia unite, gli stinchi perfettamente allineati. Adam la squadrò da capo a piedi, scuotendo impercettibilmente la testa. Inutile negarlo: il fatto che Aine indossasse abitualmente jeans, felpe, scarpe di gomma, insomma, si mischiasse facilmente con gli umani, ma avesse ancora gli stessi atteggiamenti da signorina per bene di quando era viva, lo faceva scompisciare. Si passò una mano fra i lunghi capelli rossi per toglierseli dal viso, passando a studiare l'espressione dell’altra. Il fatto che guardasse praticamente ovunque tranne che lui non gli faceva presagire niente di buono. Aggrottò inconsciamente le sopracciglia, studiando i movimenti di Aine: gli occhi esaminavano il tappeto come se da quello avesse potuto ricavare la risposta al senso della vita, il tutto tormentandosi un angolo del labbro inferiore con i denti e una pellicina del pollice con l’unghia dell’indice.

«Sputa il rospo», le ingiunse, cercando di catturare il suo sguardo.

«Aspettiamo Marge», fu l'unica risposta che ottenne.

Adam alzò le spalle, per poi fischiare all’indirizzo della porta della camera da letto, oltre il corridoio alla sua destra.

«È tua moglie, non un cane!» lo redarguì Aine. Lui si limitò ad alzare le spalle. «Spiegami perché non ti ho ucciso quando ti ho trovato nel suo letto la prima volta…» borbottò lei, un angolo della bocca sollevato in un mezzo sorriso.

«Sono incredibilmente irresistibile?» abbozzò lui, per poi voltarsi verso Marge che era entrata in salotto. Lo sguardo di pura adorazione negli occhi di Adam fu la risposta seria alla domanda scherzosa di Aine. Marge aveva mosso solo un passo in salotto e già era palese che fosse il centro del mondo dell’altro vampiro. Come non si era mai stancato di dimostrare in più di sei secoli. Aine non perdeva occasione di prenderlo in giro, ma era più che felice che sua sorella avesse Adam al suo fianco. Le tornò alla mente la volta a cui aveva accennato poco prima: entrando in camera di sua sorella, una mattina, aveva trovato Adam nel suo letto, avvinghiato a Marge. Era più che evidente che avevano passato la notte insieme. Ricordava come Adam non si fosse lasciato spaventare e come – nudo come un verme e con un pugnale puntato contro - l'avesse guardata negli occhi, dichiarando il suo amore per Marge e la ferma intenzione di farne sua moglie, che Aine volesse o no. Lo aveva ammirato e accettato.

«Ehi, a che dobbiamo questa visita non annunciata?» la domanda di Marge la riportò al presente. Osservò per un attimo sua sorella, mentre si appollaiava sul bracciolo della poltrona dove era già seduto suo marito, mettendogli una mano sulla spalla mentre lui le circondava i fianchi con il braccio. Sentì tutto il peso dei suoi occhi chiari che la studiavano, in attesa di risposta. Inspirando a fondo, rispose.

«Ho… ho un annuncio da fare», disse, guardando prima l’uno poi l’altra. Quando fu più che certa della loro attenzione, continuò. «Ho preso accordi con il Master per un'esecuzione» di nuovo, si fermò, in cerca delle parole più adatte. Ma come poteva dire a sua sorella e a quello che era praticamente un fratello, che aveva intenzione di morire? Come glielo diceva? Vide Adam irrigidirsi sulla poltrona, stringendo la presa sulla moglie. Lui aveva già capito, ma lasciava a lei il compito di finire la frase, di dare quella martellata in pieno petto a entrambi. A tutti e tre.

«Di… di chi?» le chiese Marge, in un bisbiglio. Aveva capito anche lei, quindi. D’altronde, non erano stupidi. La conoscevano meglio di chiunque altro.

«La mia», rispose, secca. Via il dente, via il dolore.

Il tempo sembrò congelarsi. L’orologio in cucina continuava a ticchettare, il motore del frigorifero prese a ronzare. Da qualche parte, il legno di un mobile scricchiolò, assestandosi. Per un tempo indefinito – un minuto? Un’ora? – nessuno dei tre respirò. Poi Marge si portò una mano alle labbra, gli occhi sgranati. «No…», disse, la voce ovattata dalla mano. «No…» ripeté, serrando le palpebre e scuotendo con forza la testa. Scese dalla poltrona, i tacchi degli stivaletti colpirono con forza il pavimento. Inconsciamente, si lisciò la gonna, uno sguardo accusatorio che folgorava la sorella. «Non è vero. Mi prendi in giro…», disse. «Mi state facendo uno scherzo, vero?» chiese, con voce stridula, guardando il marito, tormentandosi una ciocca di capelli fra due dita, rigirandosela intorno alle falangi come un nastro biondo.

Senza distogliere gli occhi da Aine, Adam scosse la testa. «Credo che tua sorella non sia mai stata più seria in vita sua», disse, il suo tono, così serio da far correre un brivido lungo la schiena di Aine, faceva a pugni con la tristezza che era più che evidente negli occhi blu. Gli stessi occhi in cui, per anni, Aine aveva letto scherno, risate nascoste, divertimento, e poi tutto l’affetto di un fratello. Quegli occhi che avevano riso tante volte di lei, per lei, e, soprattutto, con lei ora, ora, se avessero potuto, avrebbero pianto. Aine abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello dell’altro, spostandolo sulle mani di Adam, saldamente ancorate ai braccioli della poltrona. Poteva vedere la tensione delle dita sull’imbottitura, e il modo in cui il rivestimento dei braccioli minacciava di cedere sotto quella pressione. Sapeva tutto ciò di cui erano capaci quelle mani: lo aveva visto combattere, con quelle mani, accarezzare Marge, rimboccare coperte. Si concentrò sulla lieve deformazione di una nocca, dovuta a quella volta che, furioso con Alex, aveva preso a pugni il muro e non ne era uscito vincitore. Ripensò a quante volte quelle mani le si erano posate cameratescamente sulle spalle, o l’avessero attirata in uno degli abbracci da orso tipici di suo cognato. Di suo fratello. Guardava le mani di Adam per non guardare Marge, che attraversava il salotto in un girotondo infinito, punteggiato di “no” e singhiozzi.

«Amore, mi stai dando il mal di mare, fermati», disse Adam, con dolcezza, allungando una mano per afferrare un braccio della moglie.

«Come cazzo fai a scherzare? Ha appena detto che si farà ammazzare!» strillò Marge, ferma davanti al marito, ancora seduto in poltrona.

«Cosa vuoi che faccia?» rispose lui, senza alzare la voce.

«Non lo so! Falle cambiare idea!» ribatté lei, di nuovo stridula.

«È una sua decisione, e dobbiamo rispettarla», rispose Adam, in tono calmo, come un genitore che cerca di far ragionare un bambino capriccioso. Si alzò in piedi, una mano ancora saldamente stretta intorno al polso della moglie. «Non sono d’accordo, non approvo, fa male anche a me, ma rispetto la sua scelta», spiegò, le labbra in una linea dura, le spalle rigide. Era vero. Per quanta voglia avesse di protestare, di dare in escandescenze come sua moglie, Adam non si sentiva di biasimare Aine per la sua scelta. A ruoli inversi, se lui avesse perso Marge nel modo in cui lei aveva perso Alex, non avrebbe aspettato più di seicento anni per raggiungerla. Non aveva idea del dolore che lei potesse portarsi cucito addosso e di come avesse fatto a resistere così a lungo. Certo, quella morte aveva fatto un male d’inferno anche a lui. Erano praticamente fratelli, ma Alex era la leggendaria altra metà della mela, per Aine. Era il suo mondo, l’uomo che amava, il padre del loro figlio mai nato. Se la ricordava ancora, la notte in cui era morto. Come quello spiffero dalla finestra avesse spento la candela sul comodino. Come, subito dopo, Aine fosse caduta in ginocchio a due passi dal letto, le mani premute sulla bocca per non urlare mentre le spalle le tremavano per i singhiozzi. Come lui avesse pianto, capendo che era finta, l’avesse sollevata e stretta forte, più forte che poteva, piangendo anche per lei, lei che non poteva più farlo, lei che era già morta una volta e che, quella notte, moriva di nuovo. Ricordò i suoi “no”, così simili a quelli che aveva ripetuto poco prima Marge, e gli sembrò che il cuore gli si frantumasse, andasse in pezzi, tante piccole schegge che lo straziavano dall’interno, ricordandogli quanto fosse piccolo e impotente davanti al dolore. Davanti alla morte.

Guardò negli occhi sua moglie per non guardare Aine, che ora era quasi accartocciata sulla poltrona. Guardò negli occhi sua moglie, l’unica donna che avesse mai amato, e quasi si sentì annegare nel suo dolore. Un dolore che gli mozzava il fiato.

Aine si alzò, facendo un passo verso sua sorella, allungando una mano verso di lei, temendo quasi di toccarla.

«Marge…» bisbigliò, la voce che le tremava. Mai e poi mai avrebbe voluto farle questo. Non a lei, non a tutto ciò che le era rimasto. Non a lei, che la abbracciava al buio. Non a lei, che non capiva perché avesse dato una seconda possibilità a un uomo che le aveva spezzato il cuore, ma che poi finiva col chiamarlo fratello. Non a lei, che, timida, le aveva annunciato la sua gravidanza, chiedendole sottovoce il permesso di chiamarlo Alexander, se fosse stato un maschio. Non a lei, che si era fidata così tanto da piazzarle un neonato in braccio, affermando sicura che sapeva che non gli avrebbe mai potuto fare del male. Non a lei, che le aveva sempre ripetuto che non era un mostro. A lei, sulla cui spalla era sempre andata a piangere.

«No», disse Marge decisa, voltandosi verso Aine, sollevando una mano per tenerla a distanza. «Non mi toccare», aggiunse, brusca. Aine arretrò. «Non voglio le tue scuse, le tue spiegazioni», continuò, allontanandosi anche da Adam. Inspirò a fondo, scostandosi una ciocca di capelli dal viso e portandosela dietro l’orecchio. «Ci arrivo, a perché vuoi morire, davvero», proseguì. «Hai resistito, e resistito, e resistito ancora… che c’è, ora noi non ti bastiamo più? Non siamo più abbastanza? Non valiamo più nulla?» ad ogni domanda, la sua voce si alzava di un’ottava. Aine aprì la bocca per replicare, ma lei la zittì. «Vattene! Se davvero noi non contiamo più niente, se davvero non ti interessa il male che fai a noi, a me, vattene! Sei solo una stronza egoista, ecco che sei!» strillò, voltandole le spalle e fuggendo in camera, sbattendo la porta tanto forte da far cadere briciole di intonaco.

Aine accennò un passo verso la porta chiusa, ma Adam la fermò, trattenendola per un polso. Lo guardò, le sopracciglia aggrottate. Lui scosse la testa.

«Lasciala stare», disse, a voce bassa. «Sai com’è fatta. Se ha alzato la voce e detto cose che non pensa è solo perché…»

«Perché le ho appena fatto del male», finì per lui Aine, la voce rotta. «E anche a te», concluse, in un bisbiglio.

Adam annuì, accennando un sorriso. Le liberò il polso e allargò le braccia. «Vieni qui», le disse, invitandola a farsi abbracciare. Aine si strinse a lui, la testa contro la clavicola – l’avevano sempre presa in giro, lui e Alex, per quanto era bassa, e lei aveva sempre ribattuto che erano loro ad essere mostruosamente alti – e si lasciò andare ai singhiozzi. L’impossibilità fisica di piangere le faceva bruciare e dolere gli occhi, così li chiuse, stringendo le palpebre con forza. Adam prese ad accarezzarle lentamente la schiena, cercando di calmarla. Uno dei due doveva almeno provare ad essere forte e, ancora una volta, era toccato a lui. Ma andava bene. poteva essere la sua roccia anche questa volta – almeno quest’altra volta.

«Mi dispiace» bofonchiò Aine, allontanandosi. Adam le sorrise, sfiorandole i capelli.

«Sapevo che sarebbe successo, prima o poi», le rispose. «Marge sperava che non succedesse, ovviamente. Ma io… me l’aspettavo», aggiunse, alzando le spalle. Aine abbassò lo sguardo sulle scarpe, affondando le mani in tasca. «Anzi, mi aspettavo succedesse proprio quella notte», riprese lui, riferendosi alla notte della morte di Alex. «In tutti questi anni, non c’è stato un giorno in cui non abbia ringraziato per il fatto che avevi rimandato… per averti avuta ancora un giorno con noi. Ma sapevo che non sarebbe stato in eterno. Che, alla fine, ti saresti arresa», alzò una mano per fermarla appena lei aprì bocca. «Fammi finire. Non potrei mai essere arrabbiato per questa scelta. Ci hai dato seicento anni. Hai resistito per noi per seicento anni. È perfettamente comprensibile che tu, ora, voglia tornare da lui», concluse.

«Oh, Adam…» di nuovo, Aine avrebbe voluto scoppiare a piangere. Avrebbe voluto dire tante cose. Avrebbe voluto dirgli che era stato il fratello migliore del mondo, che non avrebbe voluto nessun altro accanto a sua sorella, che non avrebbe preferito nessun altro a guardarle le spalle. Che le sarebbe mancato.

«Non dire niente. Promettimi solo che, quando lo avrai raggiunto, gli darai un pugno da parte mia», disse, con un sorriso.

Aine non riuscì a fare a meno di ricambiare. «Contaci».

«Quanto tempo, prima di…?» chiese lui, tornando serio.

«Un mese, per rimettere in ordine tutti i miei affari».

Adam annuì. «Andrai da…»

«Sì», rispose lei, interrompendolo. «Glielo devo».

Adam annuì. «Ok», annuì di nuovo. «Ok». Poi, fece un passo verso di lei, abbracciandola ancora, baciandole i capelli. «A Marge penso io», la rassicurò.

«Lo so». Si staccò da Adam, tirando di nuovo su il cappuccio della felpa. «È meglio se…»

«Sì, è meglio».

Quando raggiunse la porta del salotto, Adam le dava le spalle, immobile. Senza aggiungere altro, Aine guadagnò l’ingresso e uscì.




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A/N: se ci siete, battete un colpo!


 
  
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