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Autore: ValeDowney    26/04/2020    6 recensioni
"Una strana sensazione mi pervase per tutto il corpo. La morte dovrebbe essermi vicina eppure è come se qualcosa, o qualcuno, mi trattenesse. Perchè non mi lasciate andare? Ormai non ho più nulla per la quale combattere"
Una storia di redenzione. La vita di un uomo che, nel mondo magico, ha dovuto portare una maschera per nascondere il suo vero intento. Una "morte" che gli ha donato una seconda possibilità, in una donna che nasconde un misterioso passato
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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REDEMPTION



Capitolo I: Sensazioni

 
 
Lily. Finalmente ti rivedrò e stavolta non solo nei miei rimorsi. Tanto ho cercato il tuo perdono, che forse riavrò dopo anni di dolori e sacrifici. Sento in me scorrere il veleno di quel serpente e il mio corpo diventare troppo debole per poter rimanere in questo mondo. Dolce Lily, vorrei rivedere il tuo viso, ma è solo buio ciò che mi circonda. La morte giunge a me e sono pronto ad accoglierla. Ma una carezza si posa sulla guancia. Davvero sono morto?

 
Ma se non sono morto, allora dove mi trovo? Non sento più sotto di me le assi ruvide e scomposte della stramberga strillante, né gli scricchiolii, ma solo silenzio e quella mano sulla mia guancia.
Vorrei poter aprire gli occhi e osservare il luogo nel quale mi trovo. Ma continuo a vedere buio. I miei sforzi, a quanto pare, vengono notati da quel qualcuno che mi sta accanto. Sento la sua voce parlarmi, ma sembra più un sussurro, come se fosse lontana.
“Cerchi di non muoversi e di non affaticarsi. È molto debole e l’antidoto non è circolato ancora del tutto nel suo corpo” mi spiega.
La sua mano si allontana dalla guancia. Sento degli strani rumori che non riesco ad associare. D’istinto, la mia mano destra scorre lungo il mio corpo: prima al petto e, subito, non sento i bottoni del mio vestito, ma solo il sottile tessuto di un comunissimo camice; poi, scorre fino ad arrivare nella parte sinistra del collo, dove fa da padrona una lunga e profonda cicatrice.
Un segno indelebile, che simboleggia la mia sconfitta. Non sono riuscito a proteggere quel ragazzo che tanto ho odiato, ma per cui ho sacrificato la mia stessa vita pur di far vivere il ricordo di Lily. L’ho fatto solo per lei e anche per abbandonare questo mondo con un po' di dignità. La mia anima rimarrà sporca come la maschera che ho dovuto indossare negli anni e non sarà di certo la mia morte a cancellare tutti gli sbagli commessi.
Continuo a toccare la cicatrice, quando qualcosa si posa sul mio polso, allontanando la mia mano e depositandola nuovamente sul letto. È la stessa voce di prima a parlarmi: “Lo so che sente dolore, ma vedrà che prima o poi tutto passerà. È forte, ne sono sicura. Ha combattuto fin’ora. Non può mollare proprio adesso.”
Perché trasmettermi false speranze? Non ho più nulla per il quale combattere. Lasciatemi morire. Lasciatemi ancora la mia dignità.

 
Qualche minuto prima

 
Se qualcuno avesse dovuto descrivere la puntualità, di certo non l’avrebbe associata ad Althea Carter. Fin dai tempi della scuola lei e la puntualità non erano mai andate d’accordo, tanto che più volte si era ritrovata a scontare punizioni per ricordarle l’importanza della sua istruzione. Eccome se se lo ricordava. Le mani rosse dopo aver passato ore a pulire calderoni con un normale strofinaccio o sradicare le erbacce accanto alla capanna di Hagrid, senza l’uso della bacchetta. A volte, risultava molto meno noioso che ascoltare le appunto noiose lezioni del professore Binns, un fantasma che ancora pareva non accorgersi di essere passato a miglior vita da secoli.
Non aveva mai spiccato in nessuna materia, non almeno nei primi due anni, non rendendosi mai conto di come il Cappello Parlante l’avesse potuta smistare in Corvonero. I suoi compagni di casa guadagnavano sempre punti, mentre lei era solamente brava a rinchiudersi in qualche angolo della biblioteca. Il Quidditch non le era mai andato a genio, e il più delle volte finiva come bersaglio degli studenti più grandi, finendo anche in infermeria. Madama Chips, l’infermiera, le aveva detto di cominciare ad aver fegato, ma lei non ne aveva, o in caso contrario sarebbe stata smistata in Grifondoro. Era lieta di essere finita tra i corvi, perché molti dei leoni risultavano insopportabili.
E neanche da adulta aveva imparato ad essere puntuale. Sveglie ed incantesimi non sarebbero mai serviti per svegliarla in tempo. Eppure al San Mungo, dove lavorava, non l’avevano ancora licenziata e, forse, lei sapeva anche il perché.
Quella mattina non era diversa dalle altre. Dopo essersi alzata, lavata e vestita e dopo aver preso il solito tè con biscotti, uscì, aprendo l’ombrello per proteggersi dalla pioggia che, ormai, era padrona del cielo da diversi giorni, per poi avviarsi camminando lungo il marciapiede di una delle tante strade trafficate di Londra. L’autobus ormai era perso da mezz’ora e di usare la magia non se ne parlava. Ormai era già diplomata, ma usare la magia tra i babbani avrebbe compromesso il loro mondo e, di certo, non voleva mancare di rispetto alla sua famiglia che, invece, aveva da sempre goduto di ottima stima nel mondo magico.
Arrivata a destinazione, chiuse l’ombrello ed entrò, dirigendosi nello spogliatoio. Dopo essersi cambiata in fretta e furia, salì velocemente le scale dirigendosi al primo piano, ma non fece in tempo a voltare l’angolo che le si parò davanti il suo capo reparto. Quest’ultimo sogghignò per poi dire: “In ritardo come sempre, vero, signorina Carter?”
“Non ho sentito la sveglia” si giustificò lei.
“Credo di averla già sentita… ah… sì… ieri. Mentre l’altro giorno mi aveva detto che un cane le aveva mangiato il biglietto dell’autobus” disse, mentre scriveva qualcosa sulla cartella che teneva in mano. Poi si incamminò. Althea gli si affiancò, dicendo: “Ma è vero. Be’… in parte. Quel cane mi aveva veramente preso il biglietto dell’autobus, ma poi ho perso l’autobus. Ma sono qua ed è questo che conta, no?”
“Signorina Carter, sarò sincero con lei: non mi è mai piaciuta fin dal primo momento che ha messo piede qua dentro, ma grazie alla cospicua somma donataci dai suoi genitori, non possiamo buttarla fuori. E glielo dico con tutto il garbo possibile” spiegò lui, fermandosi.
“È stato chiarissimo. Allora oggi cosa ci aspetta? Morsi da lupi mannari?  Arti da rimettere a posto?” domandò Althea.
“Se fosse per me le farei pulire i bagni, ma oggi voglio essere gentile” rispose lui, facendo un accenno di quello che pareva un sorriso ma che per Althea era solo l’ennesima presa in giro nei suoi confronti e, appena lui voltò i tacchi, entrando nell’enorme stanza, lei ne approfittò per fargli la linguaccia, che non sfuggì ad alcune persone presenti nei quadri lì appesi. Poi lo seguì.
Mentre passavano tra i vari letti, Althea guardava, di tanto in tanto, quei pazienti che non rimanevano mai più di tanto in quel reparto. Seppur capitassero spesso pazienti affetti da morsi di lupi mannari o altre creature pericolose, venivano prontamente guariti in fretta con qualche antidoto o incantesimo e dismessi. Avrebbe voluto occuparsi per più tempo di almeno uno di loro. Seguirlo passo dopo passo nella guarigione, ma sembrava che il suo capo reparto non la considerasse mai all’altezza della situazione. Per lui era come una ragazzina che frequentava ancora la scuola, non dandole mai il rispetto necessario e nemmeno un caso nel quale potesse mettere in pratica le sue conoscenze da guaritrice.
Si fermarono. Smethwyck, il capo reparto, si voltò, dicendo: “Questo sarà il paziente di oggi.” Tolse le tendine che contornavano il letto. Althea si avvicinò lentamente, osservando quell’uomo così pallido in viso e pieno di morsi e sangue. Teneva gli occhi chiusi e respirava affannosamente.
“Che… che cosa gli è successo?” chiese Althea, non distogliendo lo sguardo dall’uomo, a lei così misterioso ma al contempo anche familiare.
“Morso di un serpente molto velenoso. Era ridotto peggio quando è arrivato qua. I suoi vestiti erano a brandelli e gli abbiamo già dato quasi due unità di sangue e un antidoto. Stranamente sembrerebbe lo stesso tipo di veleno che avevamo trovato nel Signor Weasley un paio di anni fa. È fortunato che abbia trovato l’antidoto adatto o sarebbe morto ancor prima di essere messo su questo letto” spiegò Smethwyck.
“Non sa chi l’abbia portato qua?” chiese lei.
“Ha importanza?” domandò lui. Althea lo guardò, scuotendo negativamente la testa; poi ripose lo sguardo verso l’uomo e, allungando una mano, gliela mise sulla guancia. Lo vide muovere gli occhi come se stesse cercando di aprirli. Quindi gli disse: “Cerchi di non muoversi e di non affaticarsi. È molto debole e l’antidoto non è circolato ancora del tutto nel suo corpo.” E mosse la mano sulla flebo, controllando che fosse tutto a posto. Poi ripose lo sguardo su di lui, notando che si stava toccando la profonda cicatrice posta sul lato sinistro del collo. Delicatamente, gli prese il polso, allontanandogli la mano e depositandola sul letto per poi dirgli: “Lo so che sente dolore, ma vedrà che prima o poi tutto passerà. È forte, ne sono sicura. Ha combattuto fin’ora. Non può mollare proprio adesso.”
“Non gli dia false speranze. È già un miracolo che sia su questo letto” disse Smethwyck. Althea continuava a guardare quell’uomo e un’idea le balenò in testa. Si voltò verso il suo capo, proponendogli: “Lo affidi a me. Mi occuperò io di lui.”
“Avevo sempre pensato che la sua mancanza di disciplina fosse associata alla sua ingenuità, e ora ciò non fa altro che confermare questa mia teoria” disse Smethwyck.
“Sono sicura di poterci riuscire” disse Althea.
“Si è forse dimenticata di ciò che accadde l’ultima volta?” domandò lui.
“Ma lì era diverso. La prego, mi dia una seconda possibilità” lo implorò.
“Le ho già dato parecchie seconde possibilità a suo tempo ed ha sempre fallito. Cosa le fa credere che anche stavolta sia incline alla sua proposta?” chiese lui, avvicinandosi al letto e controllare il paziente.
“Perché conosco quest’uomo” rispose Althea.
Smethwyck la guardò per poi dirle: “Tutti conoscono quest’uomo. Anche se al momento il suo volto è quasi irriconoscibile, la sua identità non la è. È stato preside di Hogwarts per poco tempo ed è colui che ha assassinato Silente. Per non parlare del suo servizio a Colui Che Non Deve Essere Nominato. Non oso pensare al suo passato, ma posso immaginarlo, come tutti quelli che hanno scritto sulla Gazzetta del Profeta o parlato al Ministero. Sa, sono quasi contento che ora si trovi in queste condizioni, ma non sta a me giudicare. Il mio lavoro è quello di guarire chi si presenta qua e salvargli la vita. Il resto sarà qualcun altro a deciderlo.”
“Tutti nascondono qualcosa del proprio passato e, sono anche sicura che dai propri sbagli si possa imparare qualcosa. Non penso che quest’uomo abbia voluto veramente uccidere Silente. Se già aveva macchie nel suo passato, questo gesto gliene avrebbe create altre. Neanche io sono nella posizione di poter decidere cosa fare, ma vorrei potergli stare accanto e seguirlo passo dopo passo nella sua guarigione. Prometto che, una volta finito con lui, mi dedicherò a tutto ciò che lei mi affiderà. Anche pulire i bagni, se la può far felice” spiegò Althea.
Calò il silenzio. Entrambi guardarono l’uomo e poi Smethwyck disse: “Va bene. È affidato a lei, ma appena avrà finito con lui la voglio fuori da questo reparto. Non sarà più una guaritrice, così almeno la smetterà di voler fare di testa sua. Stavolta nemmeno i soldi dei suoi genitori potranno salvarle il posto” e se ne andò.
Althea lo osservò allontanarsi. Si riavvicinò al letto, guardando l’uomo. Era davvero ridotto male. Sarebbe stata in grado di curarlo? Perché aveva accettato un caso simile? Lei e la sua testardaggine. Mai che tenesse la bocca chiusa. E questa volta aveva anche rischiato il posto di lavoro. Cosa avrebbe detto ai suoi genitori? Si preoccupavano sempre tanto. Era il modo di ricompensare tutto quello che avevano fatto per lei?
Incominciò a camminare avanti e indietro. Lo faceva sempre quando ero nervosa. Poi disse: “Althea… ora datti una calmata. Dopotutto, che sarà mai prendersi cura di un uomo che già conosci e che quando eri a scuola…” Si fermò per guardarlo, non finendo la frase. Poi però…
Estrasse la bacchetta magica, puntandogliela contro. Con un semplice incantesimo lo avrebbe guarito o gli avrebbe alterato la memoria, così si sarebbe dimenticato di lei. No, non poteva farlo. Era contro il regolamento e la sua natura. Non era da lei comportarsi così. Si era presa una responsabilità e l’avrebbe portata fino in fondo. Eppure, la tentazione di fargli un incantesimo di memoria era tanta.
Le tremava la mano, poi però abbassò la bacchetta, che successivamente rimise via. Gli incantesimi non avrebbero risolto nulla. Non riguardo il suo passato, almeno. Perché non si poteva cancellare e dimenticare ciò che era accaduto e forse, proprio da quel passato, avrebbe potuto trarre delle decisioni per non farle compiere nuovamente quegli errori che l’avevano fatta allontanare dall’unico amico che forse avesse.

 
Qualche ora dopo

 
Da quanto tempo sono qui? Sembra un’eternità. Perché non riesco a svegliarmi? Forse sono davvero già morto. Eppure sento ancora il mio cuore battere. Battere per cosa? Non c’è più niente per il quale combattere. Perché la morte non è ancora venuta a reclamarmi?
Cerco di aprire gli occhi, ma l’oscurità continua a pervadermi. Se davvero non è ancora giunta la mia ora, non posso mollare. Chi sta cercando di tenermi in vita con così tanta bramosia? La mia mano destra si muove, in cerca di un possibile indizio e… si posa su qualcosa di morbido, non dello stesso tessuto delle lenzuola. No, non tessuto, ma qualcos’altro.
Mi sforzo. Non posso vivere per sempre nell’oscurità. I miei occhi si aprono, ma ciò che per ora vedo è tutto così offuscato, finché il mio sguardo non si abbassa sulla mia mano e su quel qualcuno a bordo del letto. La luce dell’abat jour sul comodino accanto illumina timidamente il mio visitatore e, proprio quando la mia mano fa per allontanarsi, costui si sveglia e rimane a bocca aperta non appena vede il mio sguardo posarsi su di lei.





Note dell'autrice: Ed eccomi qua con una nuova storia e stavolta nel mondo di Harry Potter. L'avevo da tempo in testa e finalmente, con questa quarantena (a proposito, come sta passando? spero bene) sono riuscita a metterla giù. Lo so, dovrei continuare con quella di C'era una volta ma, momentaneamente, ho un blocco (le idee ci sn, ma nn riesco a metterle giù)
In questa storia ovviamente il protagonista è severus piton (che ho sempre adorato e sempre adorerò) e un altro personaggio dal passato misterioso (ditemi se l'adorate o odiate, ma è solo il primo capitolo, quindi c'è molto ancora da dire) Stavolta (come invece ho fatto per C'era una volta) cercherò di non dividere i capitoli in due parti, ma di farne uno unico (così magari non vi annoio troppo)
Con ciò ringrazio coloro che sono arrivati fin qua; che leggono; che recensiscono o passano solamente. Ringrazio la mia carissima amica lucia
Ci vediamo al prossimo capitolo e grazie ancora
Una buona notte a tutti, maghi, maghetti, streghette, babbani e altro.
 
  
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