"Perché dal dì ch'empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d'oro, arte è in me fatta, e vanto."
(Sonetto)
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2 aprile.
Oggi non ho forza. Non ho neanche mangiato. Stamattina mi sono guardato allo specchio e i miei capelli biondi sono luridi, pieni di polvere, grasso e chissà che altro, la mia pelle è piena di macchie viola e verdi e mi faccio schifo e non voglio mangiare, respirare o vivere se non ci sei più tu.
Chi sei davvero Zacinto? Il frutto proibito della mia fantasia perversa?
Un tempo sono stato un bel giovane e non so se si parla di anni, mesi, settimane, giorni, ma sembrano passati secoli e i miei occhi sono opachi. Ho un compagno di stanza e si chiama Lorenzo, lui non parla mai. Ogni tanto annuisce o storce il naso, apre la finestra tutte le mattine alla stessa ora e la richiude quando lo chiamano per pranzo. Non ho molta voglia di parlare o fare amicizia, quindi la sua muta presenza non mi disturba.
A volte Lorenzo piange la notte ma smette da solo. Non sa leggere ma di tanto in tanto copia le lettere, solo le vocali, e le decora con fiori, linee e macchie d'inchiostro. Lui sbircia sulle mie carte ma non ho paura che legga.
Forse ha la tua età, o l'età che mi ricordo tu avevi quando mi hanno chiuso qui, e io sono rincuorato che tu non ci sia in questo posto freddo. Non c'è neanche il sole.
Ora Lorenzo è ancora pulito, elegante, curato; indossa il suo cravattino giallo con orgoglio e mi rivedo in lui. Avevo tante speranze, la prima era quella di uscire di qui e la seconda quella di trovarti.
Adesso vorrei solo provare qualcosa.
Ugo
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