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Autore: Mordekai    11/05/2020    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le foreste, i fiumi, le verdeggianti vallate e le alte montagne vennero inghiottite dalla fredda e lugubre morte che i Rovi Neri portavano con sé. Le splendenti abitazioni degli umili popoli vennero ridotte in rovine ricoperte di fiori in grado emettere spore velenose e che provocavano febbricitanti allucinazioni. I fuggitivi, invece, venivano condotti su uno dei tanti altari che l’esercito costruiva per i Tre Principi e lì tramutati in orripilanti abomini deformi.

Tra gli alberi ormai massacrati e anneriti dalla melma, le urla di atroci sofferenze potevano udirsi ancora. Così acute e strazianti da poter penetrare fin dentro l’anima di coloro che viaggiavano su quei sentieri remoti. La Dea del Cosmo cercava di rassicurare i regni confinanti rispondendo alle loro preghiere.
Maeris, la Creatrice continuava con inesorabile calma il suo operato. Le lingue incandescenti del suo cuore incastonate come pietre preziose nel petto dei soldati di polvere stellare donavano un bagliore sinistro, seppur emanassero una splendida aura angelica. La Dea del Cosmo, esasperata dal quel comportamento, si presentò al suo cospetto cercando di convincerla ad inviare subito l’esercito sulla Terra per contrastare il continuo avanzare dei Rovi Neri e il massacro di innocenti.

L’Essere Ancestrale, infastidita da quel continuo blaterare della donna, usò il suo vasto potere per strapparle la voce e rispondere con rabbia ardente nella sua voce:
‘’Prestami ascolto Eshreal. Io sono la Creatrice degli Universi, tu sei la mia intermediaria. Sarò io a decidere il momento opportuno per inviare l’armata sulla terra. Mi imprigioni per millenni, mi liberi perché da sola non sei in grado di fronteggiare quel popolo nato dalla fame e violenza di un angolo di foresta e mi ordini di intervenire immediatamente? Osa presentarti nuovamente al mio cospetto e verrai tramuta in polvere cosmica. Vattene.’’

Maeris le ridonò la voce e la fece svanire in un bagliore biancastro. La Fiamma del Gelo e la Fiamma Arcana iniziarono a subire gli effetti di quell’inaudita violenza, tramutandosi da guida per i pellegrini in cuori di malvagità che si riversò sugli innocenti.

Le stagioni persero i loro colori e i loro profumi, divenendo un caotico groviglio di angoscia.
Gli animali, dalle maestose pellicce e dall’impeccabile eleganza, vennero mutate in giganteschi ammassi di carne decomposta stridente che ingurgitavano gli scarti dei soldati mal riusciti. Venivano poste in profonde fosse dove attendevano il loro pasto.

Il destino peggiore era riservato a coloro che rifiutavano una Nuova Natura. Venivano legati ad un palo di legno, costretti a bere un liquido amaro e ad inghiottire un seme acuminato. In breve tempo quel seme germogliava in una spira di rovi oscuri che sventravano la vittima, paralizzandola dal dolore. Serpeggiavano dal corpo mutilato attraverso la bocca trascinandosi sulle spine le interiora del malcapitato, in una grottesca e nauseabonda opera d’arte. Anche le creature silvane non vennero risparmiate. Il loro corpo in corteccia venne strappato con forza dai soldati dei Re delle Spine, riducendoli a spoglie viventi e nude; la loro linfa smeraldina si tramutò in sangue grumoso e i loro occhi divennero vacui.

I Rovi Neri gioivano per i progressi ottenuti, ma desideravano di più. Desideravano la morte dei loro fratelli e soggiogare gli altri due Frammenti d’Ambra per riportare in vita la Fiamma d’Ambra originale.

L’odio e la bramosia di sangue avevano ormai reso la natura un cimitero di aberrazioni.

L’Ascesa dei Rovi Neri era divenuta inarrestabile.
Apocrifi del Recluso, Ascesa dei Rovi Neri; Epoca delle Cinque Fiamme.
 
                       §
 
Lynmes Alno. Concilio delle Sette Sorelle. Estate, mattino.

 
 
Dalle prime luci dell’alba, la giovane Thandulircath era in una grande sala rettangolare intenta a ripassare alcuni vecchi stili di combattimento che suo padre le aveva insegnato. Si muoveva con leggiadria tra i vari fantocci, colpendoli grazie all’ausilio dei guanti d’arme recuperati da una corazza d’allenamento. Il cozzare del metallo echeggiava in quella sala aumentando l’adrenalina della ragazza, spingendola a colpire sempre più forte finché il suo potere si sprigionò in un fascio di luce che scagliò lontano ogni bersaglio. Percepì qualcuno alle sue spalle e usò la spada munita di catena per un attacco a distanza. La lama, impregnata del suo potere, si conficcò in uno scudo a torre deformando il ferro e distruggendone le decorazioni. Dietro quel clipeo ormai rovinato si nascondeva un cavaliere con un elmo e un cappuccio bordato in acciaio, mentre il resto del corpo in una semplice armatura di cuoio con sotto abiti comuni. Arilyn recuperò la sua spada usando il meccanismo di recupero nel vambrace per poi togliersi i guanti d’arme usati per l’allenamento.
 
‘’Curioso come tu, da poco in questo palazzo, abbia già trovato il luogo dove ogni Legionario tende ad affinare le proprie tecniche.’’- disse il ragazzo, con la voce distorta dall’elmo. Si diresse ad un supporto di legno attaccato alla parete per recuperare uno stocco in pharite scintillante, elegante e minaccioso allo stesso tempo.

‘’In realtà è stato Morkai a rivelarmi come raggiungere il luogo. I vostri fantocci sono simili a quelli del regno dalla quale provengo, solo più pesanti e resistenti.’’- rispose la ragazza, usando un panno per asciugarsi il sudore.

‘’Tu sei Arilyn, vero? Mi ricordo dell’incredibile contrattacco sferrato all’esercito dei Rovi Bianchi. Sei stata addestrata bene, però tendi molto ad attacchi frontali e ad esporti. Dovresti migliorare l’istinto di sopravvivenza, è di fondamentale aiuto. Inoltre, dovrai adattarti ad ogni tipo di nemico che cercherà di ucciderti.’’- replicò il giovane, posando l’arma e recuperandone un’altra: sembrava essere un doppio scudo piccolo e tondeggiante, ma munito di coccia e rivestimenti in elbaollite. Bastò un semplice movimento per far scattare in avanti un aculeo fatto dello stesso materiale. Puntò l’arma contro l’unico bersaglio rimasto in piedi e il pungiglione venne scagliato contro di esso con un fischio assordante prima di conficcarsi nella testa.

‘’Difesa ed attacco mortale in un solo oggetto. Il fabbro del regno è geniale, crea armi dal nulla e con pochi materiali. Il vambrace meccanico è una sua creazione, vero?’’- domandò il ragazzo, ricordandosi del fulmineo recupero della spada con catena. La ragazza rispose con un cenno del capo e la rinfoderò, prima di avviarsi verso l’uscita. Si fermò poco dopo l’uscio e pose un quesito al cavaliere:

‘’L’elmo non dovrebbe essere usato solo in battaglia?’’
Il ragazzo ridacchiò, intento a recuperare l’aculeo e a inserirlo nuovamente nell’arma. La ripose e brandì un mazzapicchio con una sola mano facendolo volteggiare con precisione:

‘’Quest’elmo e cappuccio bordato sono stati costruiti con materiali magici che si adattano alle condizioni esterne e di chi li indossa. Oltre questa comodità, purtroppo, io devo indossarlo per celare il mio volto. Perdonami, adesso vorrei allenarmi in silenzio. Grazie per la breve conversazione. Oh, che sbadato io sono Allric.’’- disse il paladino, agitando il mazzapicchio imitando un saluto. Durante il tragitto di rientro udì discutere il Comandante dei Legionari con l’Ufficiale Sharal sugli spostamenti del Recluso e della Peccatrice. Tre erano i continenti interessati dove vi era anche un regno alleato: Eigrios, vasto territorio delimitato da montagne usato come avamposto; Davelnia Mengeo, territorio meridionale militarizzato e adibito a tratte marittime e reclutamento di nuovi soldati per il regno; Kecleoji, dove è situata anche la Cittadella degli Abbandonati e alleata del Lynmes.

‘’Nel Davelnia non è possibile dato le continue ronde militari e i branchi di chels. Ad Eigrios sono passati qualche giorno prima del mio arrivo nel Lynmes, uno dei nostri incantatori ha avvertito una forte presenza magica e ci ha informato di questo al suo rientro. L’unico regno, ed anche il più vicino, è quello del Kecleoji ma non abbiamo giurisdizione lì.’’- disse l’Ufficiale, spostando la miniatura di una bandiera sulla mappa. Il Comandante Iridia studiava con attenzione la mappa e i documenti con spostamenti, avvistamenti e possibili residui della loro magia. Agli estremi del tavolo vi erano una donna dalla muscolatura possente che lucidava un pugnale e Veldass che sonnecchiava poggiato al suo randello.

‘’Il Recluso e la Peccatrice sono immortali e dispongo di acuta astuzia. Non lasciano tracce fisiche, solo magiche dato che il loro corpo ha assorbito così tanto potere dell’Epoca Oscura e delle guerre da renderli dei nuclei magici erranti e…gradirei inoltre non avere ospiti indesiderati ad origliare discorsi privati.’’- terminò volgendo lo sguardo verso l’uscio dove vi era poggiata Arilyn. L’imbarazzo e la vergogna le impedirono di replicare, provocando l’avvicinarsi di Iridia minacciosa all’ingresso della stanza:

‘’Comandante Iridia, non vi è motivo di crucciarsi nei confronti della mia cara amica Arilyn. Vieni, entra!’’- intervenne Sharal, sorridendo ma con serietà nel tono della voce. Un flebile luce filtrava dalle vetrate colorate della stanza e si rifletteva sull’armatura verde acqua della donna, creando riflessi variopinti. Arilyn preferì restare a pochi passi dal tavolo dove si erano riunite le due donne e cercò di placare il suo imbarazzo osservando le dozzine di miniature sparse sulla cattedra: molte raffiguravano bandierine con l’incisione dello stemma del regno sopra, altre rappresentavano una torre colorate d’argento, alcune erano bianche raffiguranti un condottiero ed infine le ultime erano nere.

‘’Quella che puoi vedere è la mappa raffigurante l’intero regno di Lynmes Alno, con i suoi alleati, luoghi conquistati e tramutati in avamposti e nemici. Le bandiere rosse sono i nostri alleati, le pedine bianche e nere rappresentano gli attuali nemici mentre le torri argentate sono gli avamposti nelle varie regioni. Discutevamo dove possano essersi rifugiati queste due entità millenarie. L’unica terra vicino e alleata dei Rovi Rossi è quella del Kecleoji. Inoltre, ci chiedevamo come spostarci rapidamente tra un confine e l’altro senza essere visti…’’

‘’Gallerie sotterranee con diverse carri da miniera. Gli stessi che usiamo noi ad Huvendal.’’- fu la risposta impulsiva di Arilyn interrompendo il Comandante. Ci fu un breve silenzio, tanto da far svegliare con borbottii Veldass.

‘’Rischiamo comunque di essere visti da spie dei Rovi Bianchi.’’- obiettò Iridia, scartando l’idea proposta.

‘’Non se le gallerie vengono costruite sotto il Lynmes. Non ne serviranno molte, solo le più importanti per giungere nella Cittadella e negli avamposti. Con l’aiuto di qualche ibrido antropomorfo, i carri da miniera verranno scagliati senza alcuna difficoltà.’’- rispose Sharal, prendendo uno spago e puntine da disegno, posizionandole in corrispondenza delle pedine. Usò lo spago per tracciare i diversi sbocchi delle gallerie, incuriosendo gli altri due Legionari che restarono affascinati dalla precisione dell’Ufficiale.
Una volta terminato, lo spago mostrava linee serpeggianti che si intrecciavano ed incontravano in diversi punti dove erano incastrati gli spilli così da mostrare una perfetta piantina di costruzione.

‘’D’accordo. Le gallerie verranno costruite, lei Ufficiale si occuperà della supervisione dell’opera, se può. Onorata di lavorare con lei, ma adesso gradirei di parlare in privato con…Arilyn.’’- disse con freddezza il Comandante.

‘’Nessun elogio. Ossequi, comandante Iridia.’’- rispose l’Ufficiale dirigendosi all’uscio e dando una gomitata amichevole ad Arilyn, complimentandosi per l’idea. Al suo seguito si unirono anche Veldass e la donna muscolosa sconosciuta, con lo sguardo fisso davanti a loro. Quando le due donne restarono sole, la giovane Thandulircath percepì una asfissiante tensione all’interno della sala e irritazione nei movimenti della donna.

‘’Le gallerie sono sempre state utili per il mio regno. Sia per gli spostamenti che per il trasporto di viveri.’’- esordì Arilyn, nervosa per un possibile scatto d’ira da parte del comandante.

‘’Hai origliato una discussione riservata solo ai tre legionari più anziani e la tua bislacca idea come pensi possa tornarci utile? Lì fuori è un mondo selvaggio e bisogna avere occhi ovunque…’’

‘’Volevo solo rendermi utile!’’- replicò con fermezza Arilyn, avvertendo il suo potere avvolgerle flebilmente le mani ma con un calore ed intensità mai provati prima.

‘’Utile?! L’unica cosa utile che tu possa fare è rispettare gli ordini. Sei qui solo per una casualità, non per il volere delle stelle o della Dea del Cosmo. Non te lo ripeterò una seconda volta.’’- replicò ruggendo Iridia, avvicinandosi minacciosa verso la ragazza, che ricambiava il suo stesso sguardo torvo.

‘’Hosral aveva ragione, siamo identiche ma allo stesso tempo con un fardello sulle spalle.’’- rispose Arilyn, con amarezza, scuotendo il capo e lasciando la sala. Il Comandante si meravigliò nuovamente di come quella ragazza fosse in grado di ferire il suo orgoglio, paralizzandola.
La giovane Thandulircath, dopo un bagno ristoratore, si dedicò nuovamente ai suoi appunti modificandone il contenuto e aggiungendo qualcosa di nuovo. In quel momento giunse Morkai a riferirle che il Concilio l’attendeva nella sala del trono per discutere dell’idea delle gallerie; Sharal probabilmente aveva informato le Sette Sorelle di quel piano, spingendole ad una riunione con l’autrice dello stratagemma. Una volta riposatasi, indossato la divisa con la spilla e la spada sul fianco si avviò verso l’atrio ove l’attendevano diversi soldati.

‘’Buongiorno Arilyn. L’Ufficiale Sharal ci ha informato che, a seguito del tuo innocente origliare, hai suggerito la costruzione di gallerie all’interno del Regno per lo spostamento rapido di truppe nei nostri avamposti e per restringere il perimetro di fuga delle due entità leggendarie. Confermi?’’- chiese con gentilezza la Prima Sorella.

‘’Confermo. Poche gallerie munite di rotaie e carri da miniera. Per azionarle serviranno delle creature forti abbastanza da donare una spinta sufficiente per permettere ai carri di muoversi.’’- rispose Arilyn, a testa alta ed evitando gli sguardi inquisitori dei soldati. Il costante brusio da parte dei prodi cavalieri infastidì le Sette Sorelle che li richiamarono immediatamente all’ordine.

‘’Hai altri possibili consigli, Arilyn dei Thandulircath?’’- chiese Hallothel, la Seconda Sorella quasi timidamente.

‘’Ad Huvendal, il regno dalla quale provengo, avevamo progettato un vecchio strumento di difesa. Consiste nella costruzione di una lunga catena di scudi che si attivavano al cambio di pressione. Utili per mantenere la posizione e consentire ai soldati stremati di riposare.’’- rispose la giovane sperando che tra quei prodi uomini vi erano anche il fabbro del regno, immaginando lo sguardo di gioia per le nuove creazioni da costruire. Il Concilio si consultò brevemente e accettarono entrambe le idee della Thandulircath, suscitando la disapprovazione dei più anziani:

‘’Non possiamo accettare il cambiamento delle nostre strategie! Dobbiamo rinforzare le mura, le torri e aumentare la resistenza delle falangi. Per gli spostamenti possiamo sempre attraversare il sottobosco e inviare ricognitori.’’- esordì un cavaliere dall’armatura bronzea e dai folti baffi grigi.

‘’Generale, preferisce sacrificare innocenti anime piuttosto che preservarne la loro integrità? Se non agiamo immediatamente, rischieremo l’ennesimo massacro e noi vogliamo che tale sciagura non si ripeta nuovamente.’’- rispose Erthaor, cercando di placare gli animi dei soldati contrari all’inaspettata decisione. Il generale scosse la testa e andò via, seguito da un suo subordinato e uno scudiero.

‘’Comprendiamo il vostro dissenso, ma è per proteggere voi e il Regno. Chiediamo che anche voi comprendiate i rischi di restare con vecchie tecniche belliche. Rompete le righe, Signori.’’- sentenziò Daernith, massaggiandosi le tempie come se fosse stanca e dolorante. Dall’ingresso principalmente giunse uno dei ricognitori appena reclutati che annunciò a gran voce l’arrivo di truppe nemiche dal fronte orientale, allarmando i presenti che brandirono immediatamente le loro armi e prepararsi a cavalcare contro i Rovi Bianchi.

‘’Recluta, uno di loro aveva un corno da richiamo?’’- domandò Arilyn al giovane soldato, sfinito per la lunga corsa.

‘’Sissignora! Un corno da richiamo impreziosito da gemme. Sono quasi all’entrata del bosco, vi conviene sbrigarvi.’’- replicò lui, posandosi su una delle panche; un curatore giunse in suo soccorso per aiutarlo a riprendere fiato. Arilyn, senza attendere oltre, si diresse alle stalle e salì in groppa ad uno degli stalloni rimasti. Inseguendo il plotone notò Veldass correre a piedi con il randello metallico sulle spalle e la forma della sua arma fece scaturire in lei un piano di attacco.

‘’Veldass, avete delle balliste nascoste sulle colline?’’- chiese la giovane Thandulircath, mandando al trotto il cavallo.

‘’Sul fronte orientale c’è un sentiero che attraversa le uniche due colline presenti. Con la fitta vegetazione, nascondere armi è prioritario. Ti servirà il mio aiuto per azionarle e per qualunque cosa tu abbia in mente. Ti faccio strada!’’- rispose l’omaccione, scattando in direzione delle trappole nascoste. Appena giunti nel luogo nascosto alla vista del nemico, Arilyn scrutò che sulla collina opposta le fiamme stavano divorando tutto e l’esercito dei Rovi Rossi aveva innalzato una barriera di scudi, nel mentre che un soldato di alto rango armato di grossi martelli da guerra inveiva contro di loro e ordinava agli arcieri di far piovere frecce su di loro fino allo sfinimento.

‘’Dobbiamo fare in fretta o l’esercito avrà la peggio!’’- disse Veldass, cercando di rimettere in sesto le balliste, tirando le corde fino a bloccarle nell’apposito gancio.

‘’Il nostro esercito dispone anche di bombe incendiarie?’’- chiese improvvisamente la giovane Thandulircath cogliendo alla sprovvista il Legionario.

‘’Sì…Sì abbiamo sempre una scorta di quelle in caso di animali o creature più feroci e gigantesche. Fortuna vuole che siano coperte di olio combustibile.’’- fu la risposta dell’uomo, sistemando l’ultima ballista e recuperando in un cespuglio una rete colma di bombe cosparse d’olio.

‘’Saranno centocinquanta unità, compresi gli arcieri. Dobbiamo eliminare loro per primi, poi ci occuperemo del plotone massiccio al centro. Azioneremo l’ultima ballista, scaraventando su di loro tre bombe incendiarie così da provocare scompiglio da indurli a distrarsi. Poi azioneremo le altre fino a rinchiuderli tra le fiamme.’’- replicò Arilyn, iniziando a legare tre bombe strappando parte della rete per crearne una catena esplosiva e Veldass posizionava i lunghi e spessi dardi.
Un gran fragore allarmò i due giovani: notarono l’incrementare della pioggia di frecce e dell’imminente breccia da parte dei Rovi Bianchi che spingevano e percuotevano con barbarica violenza gli scudi. Arilyn legò fulminea le varie catene esplosive attorno la punta dei giganteschi dardi e ordinò a Veldass di far fuoco. Un semplice schiocco metallico dell’arma scagliò lo strale sugli arcieri. La ragazza convocò il suo potere, emanando saette dorate contro le bombe che esplosero sventrando e riducendo in poltiglia carbonizzata le file degli arcieri. L’olio combustile infiammato cadde, in parte, sulla fanteria corazzata tramutandola in lucciole e permettendo ai Rovi Rossi di contrattaccare e respingere il nemico. Non appena tutte le balliste terminarono la pioggia esplosiva, Arilyn e Veldass corsero giù dalla collina massacrando i fuggiaschi:

‘’Luridi cani, pensate di vincere con questo banale stratagemma? Affrontatemi!’’- sbraitò quello che doveva essere il generale dei Rovi Bianchi, agitando i suoi martelli da guerra contro gli scudi dei soldati imperterrito. Iridia, di soppiatto, estrasse il suo pugnale e lo conficcò nell’occhio del bruto per poi gettarlo nel fango con un poderoso calcio nello stomaco.
Arilyn usò nuovamente il suo potere per scatenare falci di luce che piombarono sui soldati, mutilandoli. Alcuni cercarono di fronteggiarla, ma rimasero terrorizzati dalla luce abbagliante che sprigionavano i suoi occhi. Piccole scintille, saette di pura essenza la rendevano quasi una divinità guerriera instancabile. Brandì la sua spada ed eseguì mulinelli continui aiutandosi con la catena. La lama, impregnata del suo potere, sbriciolò chiunque cercava di contrastare il colpo.

Le fragorose esplosioni innalzarono giganteschi muri di polvere che resero irrespirabile l’aria e divisero i Legionari: il Comandante Iridia e altri soldati si ritrovarono disorientati da quella foschia; Veldass ed Elurek contavano quanti nemici riuscivano ad uccidere come se fosse un gioco per loro; Allric, il Paladino d’acciaio trafiggeva i corpi dei suoi avversari con un pugnale muovendosi come un danzatore di morte aiutato da Hildel, Olfhun e la donna dalla muscolatura possente che spezzava i colli e frantumava le teste delle sue vittime con facilità.

‘’Ucciderti sarà un piacere!’’- rispose il generale ferito dei Rovi Bianchi, pronto a colpire Iridia con i suoi martelli. Il Comandante dei Legionari brandì la sua spada di rovi viventi e trafisse il fianco dell’uomo che reagì afferrando per il collo la donna e lanciandola tra i cadaveri. Prontamente si rialzò e i due condottieri si contrastarono a vicenda la raffica di fendenti finché Iridia, accecata dall’odio che provava verso il Regno nemico, trafisse la sua spalla con la spada per poi tranciarla di netto.

‘’Arrenditi o metterò fine alla tua misera esistenza!’’- ordinò la donna mentre la sua armatura si ricopriva di un intenso fulgore rossastro. Il generale, imperterrito, alzò l’arma al cielo e tentò di sferrare un altro colpo ma una spada giunse con un sibilo dalle ombre e lo trapassò lateralmente.

‘’Non…vincerete!’’- disse con un filo di voce il generale, sanguinando copiosamente dalle ferite. Dalla polvere e fanghiglia giunse Arilyn, anch’ella iraconda e strinse la sua mano attorno il collo dell’uomo. La pelle si ricoprì di venature dorate fino ad avvolgerlo completamente in una fiamma bianca mettendo fine alla sua esistenza.

‘’L’idea della pioggia esplosiva è stata mia, ma sono sicura che non hai gradito.’’- disse Arilyn, rinfoderando la spada.

‘’Grazie per l’aiuto.’’- rispose Iridia, passandosi una mano fra i capelli. Si rese conto di averli sciolti, ma la stanchezza le impedì di tenerli legati.

‘’Il Comandante dei Legionari che mi ringrazia. Questa è una novella…divertente…’’- rispose la giovane Thandulircath, prima di crollare stremata sui corpi esanimi di alcuni soldati. Iridia urlò ai Legionari di convocare un guaritore e di perlustrare l’area, catturando possibili fuggiaschi. Lo scontro fu debilitante per molti soldati, dovuto anche all’intenso calore delle fiamme sul terreno di guerra e dai raggi del sole che rendevano le loro armature delle fornaci roventi.

La giovane Thandulircath si ritrovò nel mondo onirico ancora una volta o almeno così sembrava. Notò i frammenti delle balliste sparsi su entrambe le colline che continuavano a bruciare lentamente, il terreno era diviso da profonde crepe in più punti e una falotica luce proveniva da esso. L’oscurità inghiottì quel luogo di morte, lasciando la ragazza alla mercé dell’accecante luce che avanzava dalle viscere del suolo. D’un tratto scomparve lasciando posto ad una fiamma ambrata:

‘’E così ho l’onore di conoscere una Thandulircath che combatte per un regno non suo.’’- disse una voce femminile proveniente da quel fuoco vivente che si tramutò in una slanciata figura femminile, avvolta dal suo fulgore etereo.

‘’Combatto per coloro che meritano di essere protetti, anche se non è il mio regno!’’- rispose Arilyn, alzandosi faticosamente ma con tenacia. La donna si muoveva quasi danzando, osservando ogni dettaglio di quella giovane Thandulircath. Tentava di indebolirla con il suo potere ancestrale, per poi meravigliarsi del fallimento. Riconobbe una grande volontà ferrea, un senso del dovere che sembrava essersi dissolto come polvere al vento eppur non comprendeva quello spirito fiero.

‘’Ogni secolo che trascorre, la guerra ha sempre lo stesso volto. Lo stesso volto che è in grado di soggiogare le menti dei condottieri valorosi. Ho cercato di indebolire il tuo spirito per convincerti ad abbandonare questa…’’

‘’No! Ho giurato di proteggere i Rovi Rossi, di proteggere la Fiamma d’Ambra. Non resterò qui a vedere un altro regno sprofondare.’’- la interruppe con ferocia. In quell’istante l’oscurità iniziò a frantumarsi, lasciando filtrare raggi luminosi e variopinti. Si sentivano voci, colpi metallici e baccano assordante infestare le sue orecchie. Arilyn si risvegliò su una brandina dolorante, con delle fasciature sulle braccia e sulla spalla. La stanza era illuminata da poche candele profumate, priva di finestre o altri sbocchi per consentire al sole di entrarvi.

‘’Alzati lentamente. I rumori improvvisi o assordanti aggraverebbero lo stato febbricitante di alcuni soldati e non voglio che accada. Non badare alla mia maschera, serve solo per evitare possibili contagi.’’- disse a bassa voce un guaritore lì vicino, con indosso una maschera da corvo rossa e delle piume che ricoprivano parte del becco. L’uomo aiutò Arilyn a rialzarsi, accompagnandola all’uscita prima di donarle un sacchetto con erbe essiccate e tramutate in dolciumi.

‘’Inizialmente avranno un gusto amaro, poi la tua lingua si abituerà al sapore. Hai ancora sintomi simili a quello dei soldati, ma queste caramelle saranno utili contro le contusioni riportate.’’- terminò di dire il guaritore, congedandosi con un suntuoso inchino e ritornando al proprio dovere. Durante il tragitto, la giovane Thandulircath venne ringraziata da alcuni condottieri complimentandosi per aver usato le balliste come diversivo, nonostante la perdita di alcuni valorosi. Altre voci echeggiavano nei corridoi, voci familiari e concitate. Si ritrovò così nella sala dei troni, ove i Legionari avevano catturato ed incatenato un soldato dei Rovi Bianchi: era spaventato, coperto di lividi e ferite sanguinanti. Non appena le Sette Sorelle giunsero sui loro troni, il prigioniero abbassò la nuca attendendo la sentenza:

‘’Io non volevo, sono stato costretto ad unirmi al plotone…’’- disse sottovoce il ragazzo, osservando le mani strette da cinghie e corde.

‘’Ragazzo, quanti anni hai?’’- chiese Daernith, unendo le mani e sollevandosi dal suo trono. Il fanciullo era paralizzato dal terrore e dall’agonia, ricevendo un brusco strattone che lo costrinse ad inginocchiarsi.

‘’Diciotto, signora.’’- rispose, ormai privo di speranze.

‘’Mi rincresce doverti annunciare che verrai giustiziato nelle segrete da uno dei nostri Legionari. Le conseguenze del tuo atto saranno marchiate sulla tua pelle.’’- sentenziò con solennità Daernith, seppur combattuta. Il terrore si tramutò in un pianto sommesso.

‘’Perdonate l’intrusione Concilio ma non accetto che la terra anneghi nel sangue di altre persone. Ha solo diciotto anni ed è un ragazzo arruolatosi con la forza, ha paura come tutti noi. Giustiziarlo non porterà in vita i caduti e non ci renderà migliori dei Rovi Rossi.’’- esordì Arilyn, camminando lentamente e mascherando il dolore delle ferite. Scrutò i volti dei Legionari, riuscendo a scorgere nei loro occhi il senso di colpa, fatta eccezione per la donna dalla muscolatura possente. I suoi occhi smeraldini incrociarono quelli di Irdia e per un breve attimo sembrò di vederla sorridere. Sentì uno strano calore cullare il suo cuore.

‘’Costretto o meno, ha ucciso per il volere del suo Re…’’- si alzò dal trono la Sesta Sorella Rivaltnith, con indosso la propria corona d’oro.

‘’…e le sue azioni non potranno restare impunite.’’- continuò la Settima ed ultima Sorella Rivornith, anch’ella con una corona sul capo, ma nera.

‘’Verrai rinchiuso nelle segrete fino a nuovo ordine. Devi alla Dea del Cosmo ogni singolo istante della tua vita, ragazzo.’’- furono le parole della Sorella Maggiore, scendendo dalla pedana dei troni e seguita dalle altre donne che non si degnarono di posare i loro occhi sul prigioniero risparmiato ad una morte orribile. La donna dalla muscolatura possente strinse forte le corde sui polsi dello sventurato e lo trascinò con sé verso le segrete:

‘’Pensi che i tuoi cambiamenti giovino? Non sperarci. La feccia, come questo ragazzo, meriterebbe una morte dolorosa.’’- disse con rabbia mal celata la donna, strattonando il suo prigioniero come un puzzolente mulo. Udì con un fil di voce i ringraziamenti del giovane Rovo Bianco e in quel momento giunse Oghan con uno strano oggetto metallico sulle spalle, simile ad una trave ma dal fracasso emesso era tutt’altro. Alcuni soldati domandarono quale altra mirabolante fosse e non appena il fabbro poggiò la lunga trave sul suolo, scattarono verso l’alto sei scudi a torre schermabili:

‘’Ho usato diversi materiali, tra elbaollite e androkite, per consentire agli scudi di non danneggiarsi durante il trasporto e lo scatto verso l’esterno. La parte quasi complicata è stata creare la lastra inferiore che vedete e i segmenti degli scudi. Entro sera invierò i restanti cento quarantanove.’’

‘’Come? Hai ricevuto solo questa mattina i progetti.’’- rispose il ricognitore che aveva dato l’allarme dell’arrivo del plotone nemico.

‘’Le abilità di un fabbro non vanno mai rivelate, giovanotto. Oh, tra una settimana riceverete anche le balestre spara arpioni d’assedio.’’- replicò Oghan lisciandosi i baffi e girando una piccola manopola posta sulla trave, consentendo così agli scudi di riposizionarsi nel contenitore. Non appena si volse per varcare l’uscita, ci fu una esplosione di luce brillante che si investì in presenti costringendoli a sguainare le armi e a suonare una campana d’allarme.
Quel fulgore assunse una tonalità rossastra, dal suo interno si potevano intravedere stelle e nubi cosmiche vorticare freneticamente in diversi punti. Da quello spazio incastonato come una gemma si materializzò il braccio squamato di una creatura fatta in onice, seguito poi dalla testa e il resto del corpo: dei filamenti bianchi gli rendevano difficile l’uscita. Facendosi leva sui bordi del portale riuscì finalmente ad uscirne, ritrovandosi dozzine di condottieri con spade, lance e bastoni puntate contro di lui.

‘’Placate la vostra sete di sangue, condottieri, non ho losche intenzioni.’’- disse la creatura facendo guizzare i suoi occhi da rettile sui presenti e alzandosi, rendendo la loro presenza ed altezza insulsa alla sua. Anche i Legionari accorsero, seguiti da altri svariati soldati e dai culiars. Quando gli occhi dell’essere in onice si posarono su Arilyn, esordì gioioso avanzando verso di lei ma si paralizzò non appena la ragazza chiese:

‘’Tu saresti?’’

‘’Vidthar, il Titano della Vita e della Morte.’’- rispose lui, alquanto imbarazzato e con un velo di sconforto negli occhi. La ragazza, anch’essa amareggiata, scosse il capo in segno di negazione.

‘’Non hai alcuna memoria? Abbiamo lottato contro Gallart il Re della Prima Fiamma Arcana insieme e abbiamo vinto. Che cosa ti è accaduto?’’- chiese il Titano d’Onice, con voce tremante seppur privo di bocca.

‘’Non ho alcuna memoria, se non miseri frammenti, di quello che è successo negli ultimi mesi.’’

 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, primo pomeriggio.

L’ennesimo massacro di soldati ed ennesima sconfitta, costrinsero Darrien ad agire senza attendere oltre. Seguito da Batkiin e altri soldati, si diresse nella sala del trono dove il Re ascoltava e giudicava le offerte che venivano proposte da commercianti d’armi e nobili signori. La grande porta a doppio battente con decorazioni era chiusa e protetta da due spadaccini:

‘’Alt! Il Re è occupato in questioni economiche e politiche.’’- disse il primo soldato, minacciandolo con la sua spada. Il ragazzo evocò il suo potere, avvolgendo il suo corpo di una terrificante oscurità e facendo brillare gli occhi di bianco. I due spadaccini si allontanarono lentamente di qualche passo, consentendo a Darrien di varcare la porta, cigolando pesantemente. I nobili signori, i commercianti e il resto dei cavalieri del Re sfoderarono le loro armi.

‘’Perché siete qui? Non vedete che sono impegnato in questioni importanti?’’- domandò Galeren, con il viso poggiato su una mano.

’Batkiin non sarà più il generale dell’esercito. Questa mattina è stato destituito dal suo incarico e, entrambi concordi, si occuperà dei vari plotoni negli avamposti e confini conquistati. Con effetto immediato, subentro io.’’- replicò Darrien, con sguardo torvo verso il Re. Il nobile signore ridacchiò, incredulo per quello che aveva sentito. Il potere dell’ultimo dei Varg vorticava furiosamente tra le sue mani, come stelle incandescenti generatesi dall’esplosione di polvere cosmica fredda: nonostante fosse estate molti soldati provarono un brivido gelido lungo la schiena e si allontanarono.

‘’Giovanotto, il Re sono io e decido io come e quando destituire un mio alleato. Attieniti solo agi ordini se vuoi renderti partecipe della gloriosa vittoria che otterremo.’’- rispose il Re, scacciandoli come moscerini. In un batter di ciglia, parte del trono si distrusse in mille frammenti e le sue preziose gemme incastonate caddero come pioggia scintillante sul raffinato tappeto. Le schegge di marmo graffiarono il viso curato dell’uomo, sporcando la sua suntuosa armatura di zampilli di sangue.
Lingue oscure e serpeggianti scaturivano dalle dita del ragazzo, con lo sguardo colmo d’ira e sottili linee nere che si diramavano sotto gli occhi.

‘’Osi disobbedire agli ordini del tuo Re? Insolente che…’’- non riuscì a terminare la sua ramanzina che un altro fascio d’oscurità lo immobilizzò sul trono, come una lunga e sottile ragnatela fatta di lucenti fili neri.

‘’Lei non è il mio Re e non lo sarà mai. Sarò io a guidare le truppe d’ora in avanti. Il vostro dovere sarà restare a palazzo e inviarci rinforzi, quando saranno richiesti. Intesi?’’- replicò sibilando Darrien mentre quell’oscura ragnatela si dissolveva nel nulla. Piombò un silenzio innaturale nella sala del trono, interrotto solo dai borbottii dei grassocci commercianti. Quando tutti i presenti abbandonarono la sala fatta eccezione per Batkiin, il Re Galeren recuperò un pezzo del trono demolito e restò a contemplarlo tra le mani: sul bordo di esso vi erano dei piccoli specchi che gli permisero di notare le ferite riportate.

‘’Perché Batkiin? Hai tradito il tuo Re per unirti ad uno spocchioso fanciullo trovato un mese fa a pochi metri dal nostro porto…’’

‘’Quel ragazzo ha ragione, mio Sire. Troppe strategie fallaci, troppe vittime. Il vento dei cambiamenti doveva giungere prima o poi. Buona giornata, Sire.’’- rispose Batkiin, inchinandosi e dirigendosi nel suo alloggio. Il Re lasciò cadere quel marmo specchiato, riflettendo sulle parole dell’ormai decaduto generale e del neo comandante dell’esercito reale.
Quell’evento eclatante si espanse in tutto il regno, come una goccia d’inchiostro nell’acqua, generando reazioni contrastanti l’una con l’altra: i cittadini più giovani e di mezz’età accolsero calorosamente la novità, speranzosi che i loro cari tornassero vivi, mentre i cittadini più anziani e veterani di guerre centenarie consideravano la presenza del giovane una sciagura ed una blasfemia all’ordine cavalleresco.
Anche Dolmihir gioì quando incontrò il ragazzo, complimentandosi per sfrontatezza nei confronti del Re. Quando notò delle pergamene tra le dita del giovane comprese che si trovava nel suo ufficio per parlargliene. Riconobbe la calligrafia e i disegni dell’armaiolo, constatando che quei progetti erano concretamente fattibili.

‘’Ci servono solo pochi materiali per la seconda variante dell’ariete. L’unica pecca è che Galeren non si fida dei commercianti che conosco e li paga scarsamente.’’- affermò il nano di montagna, grattandosi la testa rugosa alla ricerca di una soluzione disperata. Darrien posò una manciata di rubini e altre gemme sulla scrivania di Domihir meravigliandolo:

‘’In preda all’ira ho distrutto parte del suo prezioso trono. Ognuno di loro riceverà una gemma come compenso.’’- rispose il giovane dei Varg, sedendosi al tavolo in attesa di una risposta. Dolmihir prese una lente e osservò il taglio, la lucentezza e il peso di ognuna.

‘’Ragazzo tu hai salvato sei famiglie da una morte dolorosa. La paga è sempre stata cinquanta monete d’argento, non riuscendo a comprendere che i commercianti da dove provengono non sfamano nemmeno sé stessi con l’argento. Lurido imbecille e taccagno. Invierò subito una lettera per consentirgli lo scambio merci. Già che sei qui, puoi prendere quella corazza e indossarla.’’- replicò Dolmihir scrivendo lettere che consentivano lo scambio e, aiutandosi con i suoi arti meccanici, recuperò altri fogli.
Vicino al focolare basso, poggiato ad un supporto di legno, Darrien prese lentamente quella corazza e la indossò: leggera e che permetteva ampli movimenti del corpo senza impedimenti. Sui bordi dove le braccia passavano notò dei rovi che sembravano esser nati dalla forgiatura. Li sfiorò ed essi presero vita, avvolgendosi come vipere sulle braccia del ragazzo fino a non lasciar scoperto neanche un centimetro di nuda pelle.

‘’La corazza che indossi è fatta di elbaollite e pietra di fuoco, per questo è così scura. Mentre quei rovi viventi sono una mia creazione e giammai rivelerò la loro natura. Ora ho da fare ragazzo e cerca di non rovinarla altrimenti userò il tuo corpo come fantoccio.’’- disse Dolmihir, mettendo le gemme in un sacchetto e preparando le lettere una per una con il sigillo in cera. Azionò la botola, ma il ragazzo la evitò prontamente.

‘’Dilettante.’’- sentenziò il nano di montagna, pigiando un pulsante sotto il bordo del camino che azionò una seconda botola facendo precipitare il giovane Darrien. La sua rocambolesca discesa terminò con una rovinosa caduta sul pavimento in legno del suo alloggio, accompagnata da pittoresche imprecazioni. Dopo essersi ripreso dal capitombolo, posò la corazza ai piedi del letto e cominciò a studiare le mappe degli avamposti conquistati e costruiti negli ultimi anni. La maggior parte di essi erano avamposti montanari che si estendevano per chilometri, protetti da ripide pareti rocciose o correnti d’acqua violenti. Altri, invece, erano più piccoli protetti da alte mura e fossati ricolmi di catrame. Quattro avamposti, in particolare, presentavano il disegno di una bandiera bianca con una linea dorata nel centro. Sul bordo inferiore della mappa erano descritti tutti i simboli che le terre possedevano e quelle quattro terre dalla bandiera bianca e dorata rappresentavano gli avamposti principali e strettamente militarizzati.

‘’Dovrò inviare un telegramma ad ognuno dei capitani informandoli delle nuove regole che questo regno metterà in atto ed invitarli a corte per parlarne concretamente.’’- disse ad alta voce analizzando ogni simbolo, confini e nomi. Molte di quelle terre erano segnate da lunghe linee grigie ed oblique, denominate Terre Nere. Non trovò alcuna informazione su di esse, ma vi erano altre priorità da rispettare. Qualcuno, però, disturbò il suo lavoro bussando alla porta dell’alloggio.

‘’Chi è?’’- chiese infastidito Darrien, posando penna e calamaio. Quando aprì la porta, vi trovò sua madre con le braccia conserte e il viso segnato dalla preoccupazione.

‘’Figlio mio, dobbiamo parlare di quella scellerata decisone.’’- furono le sue parole.
 
Lynmes Alno, Concilio delle Sette Sorelle. Estate, sera.

Non riuscendo a dormire, Arilyn preferì osservare le stelle che brillavano nel cielo e ammirare l’estrema bellezza della luna. La brezza che proveniva da oltre le montagne rinfrescava l’aria e l’erba che le solleticavano le dita, rendendo lo star distesa sul manto verdeggiante piacevole. In quel momento osservò alcuni fili d’erba volteggiare e danzare nella lieve brezza tramutandosi, successivamente, in scintille rossastre e luminose. Gli sfavillii divennero incandescenti fiamme che formarono un solo fuoco e, da esso, comparve lo spettro di Gallart con la sua armatura spinosa.

‘’I miei complimenti, Arilyn dei Thandulircath. Vivere in questo luogo giova al tuo spirito e hai smesso di considerarti inutile. Di autocommiserarti.’’- esordì l’uomo, standole a pochi passi di distanza nel mentre alcuni sottili fili d’erba e petali continuavano a vorticargli intorno per poi ridursi in cenere.

‘’Ti ringrazio, ma non sei qui per gli elogi.’’- rispose la ragazza, evocando istintivamente il suo potere e cercando di rendersi minacciosa.

‘’Esattamente. Non sono qui per elogiarti. Essendo a conoscenza del tuo incontro con la Fiamma d’Ambra e che hai giurato di proteggere un regno dagli usi e costumi a te sconosciuti, volevo metterti in guardia da una minaccia nascosta nell’ombra. Qualcosa che supera di gran lunga il mio potere e della mia defunta e sciocca sorella. E restando lì stesa, in panciolle, non aiuterà la tua causa.’’- replicò lui, scomparendo e ricomparendo in un batter di ciglio al fianco di Arilyn, ancora distesa nel manto verde.

‘’Perché sei così amichevole?’’- chiese la giovane, osservandolo dal basso e scorgendo la freddezza dei suoi occhi seppur il volto fosse rilassato e pallido. L’uomo sorrise, trasmettendo angoscia nella giovane che si ritrovò nuovamente avvolta dal buio.

’Voi esseri umani considerate l’amicizia la costruzione di un profondo e duraturo legame, quando in realtà è solo un espediente per non sentirvi soli. Questo, a malincuore, vi è difficile comprenderlo. Ricorda ciò che ho detto Arilyn dei Thandulircath.’’- furono le sue parole, prima di dissolversi in migliaia di piccoli sfavillii simili a lucciole rosse. Un improvviso brivido gelido le attraversò le ossa come spilli, così da costringerla a passeggiare per la città. Ogni angolo di essa nascondeva abitazioni costruite egregiamente, decorate con umili monili da sembrare creazioni della terra stessa. Lunghe catene di edera circondavano le colonne di alcune case di artisti, di facoltosi mercanti e veterani di guerra distinguendosi solo per i colori: fili di seta blu per gli artisti di ogni tipologia legati sugli steli; seta arancione od ocra per i mercanti; seta bordeaux e grigia per i veterani. Notò anche un monile con la raffigurazione di una divinità che brandiva una lancia nella mano destra ed una bandiera nella sinistra, sorridente e allo stesso tempo tenace in volto. Un uomo con una lunga barba legata in una treccia comparve sull’uscio della sua abitazione con una brocca piena d’acqua:

‘’Mi perdoni per il disturbo, ero solo incuriosita dalla raffigurazione di questa divinità.’’- disse Arilyn, cercando di nascondere l’imbarazzo.

‘’Oh non preoccuparti. Colei che vedi nel quadro è Ifheia la dea della conquista. Oltre la Dea del Cosmo, vi sono altre divinità ancestrali venerate da migliaia di popoli. Eccetto due che, secondo gli antichi scritti, vennero esiliati ed imprigionati nelle oscure profondità della terra. Sei la nuova arrivata del regno, giusto? Ho sentito parlare di te e, da buon vecchio veterano di guerra, ti dono la mia benedizione. Buona serata, cavaliere.’’- replicò lui, con un sorriso bonario mentre inumidiva e carezzava le foglie d’edera della sua dimora. La giovane Thandulircath sorrise e lo ringraziò, proseguendo la passeggiata tra i vialetti circondati di vasi, piante e lanterne di carta. Un gruppo di sentinella, intente nella loro ronda notturna, si ritrovarono sullo stesso percorso di Arilyn ma riconobbero la spilla del Regno:

‘’Signorina, la invitiamo a rientrare a palazzo. Molti abitanti, soprattutto gli anziani, non amano che qualcuno passeggi in questi vicoli seppur invitanti all’occhio. Nessun risentimento.’’- disse uno di loro, robusto e alto protetto da una spessa armatura in piastre d’osso ed elbaollite.

‘’Nessun risentimento.’’- ripeté Arilyn, imitando un saluto militare e ritornando a palazzo. Sorrideva durante il tragitto, ripensando a tutte le bellezze e ai colori dalle tonalità calde che aveva potuto osservare. Il Lynmes Alno le ricordava molto Huvendal, solo meno a contatto con la natura e con meno gruppi di sentinelle atte alle loro ronde. Giunta a palazzo, notò il Titano d’Onice seduto all’ingresso che meditava, avvolto da una lugubre luce violacea. Ciò le ricordò della divinità narrata dall’attempato uomo incontrato poche ore prima e si diresse nel suo alloggio per apprenderne le storie.
A pochi passi da esso, però, vi era una donna che attendeva pazientemente.

‘’Iridia?’’- domandò Arilyn, assicurandosi che fosse il Comandante dei Legionari e non una spia. La donna si voltò e allungò il braccio nella sua direzione. Stringeva tra le dita un ciondolo con l’effige di un lupo, ormai coperto di graffi e piccole bruciature.

‘’Essendo la testimonianza del tuo popolo, perderlo sarebbe stato disonorevole. Buon riposo, Arilyn dei Thandulircath.’’- disse lei sbrigativamente.

‘’Basta solo il nome, non vi è necessità di nominare le mie origini. Grazie.’’- rispose la ragazza, indossandolo nuovamente.

‘’Di nulla, solo Arilyn.’’- replicò Iridia, con provocazione prima di svanire nelle ombre del corridoio. La giovane Thandulircath preferì scoprire le storie delle varie divinità venerate nel Lynmes e dagli altri popoli. Scavando nella libreria della sua stanza trovò finalmente il tomo che narrava la nascita, l’adorazione e le grandi imprese compiute da ognuna di esse. Su una intera pagina era raffigurata quel che sembrava essere una gigantesca stella, avvolta da polvere stellare e al suo centro una fiamma bordeaux. Il nome di quella stella o dea era Maeris, la creatrice. Sotto la sua immensa corona di luce vi erano dodici sfere, ognuna con il proprio simbolo, nome e storia:

Amarysso, dea della fioritura e nascita di nuova vita. Nacque da una lacrima della Creatrice, il suo compito fu quello di ridonare armonia e vegetazione rigogliosa in zone colpite da cataclismi o conseguenze di guerre.

Porfyrios, dio dagli occhi violacei o volgarmente definito ‘’il dio cieco.’’ Il fulgore emanato dai suoi occhi gli consentono di vedere l’anima di coloro che lo venerano e di chi si presenta al suo cospetto, seppur impossibilitato nel vedere la loro forma fisica. Maeris la Creatrice lo prese sotto la sua protezione e lo incaricò di giudicare i popoli e i defunti.

Ceallach, il dio della guerra. Si narra che la sua alba avvenne con lo scontrarsi di due soli, ricolmi di energia, un calore quasi asfissiante e un riverbero da sovrastare quello degli altri astri. La sua strenua ed impeccabile predisposizione alla belligeranza si rivelò utile per la Guerra dei Tre Rovi.

Kreine, la dea regina degli astri lontani. Una delle dee dall’estrema benevolenza che governa antiche galassie. Venerata dai popoli predicatori delle stelle consentiva ai prescelti di conoscere eventi del passato e di come ogni anello stellare sia cambiato con il corso dei millenni. Tale dono, però, richiedeva un voto di silenzio per evitare di perdere il lume della ragione o peggio.

Tahmuras, il dio della forza. Una divinità che infondeva la sua volontà nel corpo, nell’anima e nelle armi dei soldati, consentendo loro infinite vittorie. Si racconta che quest’essere supremo discendeva sui campi di battaglia in favore di coloro che temevano la sconfitta e con la sua luce donava loro nuove energie per contrastare il nemico.

Muirgen, la dea degli oceani. Nacque anch’ella da una lacrima della Creatrice, ma cadde negli oceani cristallini della Terra dove risiedeva la Fiamma Astris. I marinai, viaggiatori e popoli che vivevano a stretto contatto con il mare gioirono per quell’inaspettato dono. La Fiamma e la Dea decisero di proteggere insieme quelle meravigliose creature che si rivelavano sempre ricche di sorprese.

Steinär, il dio delle montagne. La sua nascita avvenne per una richiesta disperata dei Nani di Montagna e di Legnoscuro. La Creatrice esaudì la richiesta scagliando un frammento del suo cuore: il Chaos. Quella gigantesca scheggia assunse l’aspetto di una stella cadente e penetrò nel cuore delle montagne espandendo tutto il suo potere come rami di fuoco. Dal nucleo magmatico della terra assunse così la sua forma corporea, mostrandosi come un gigante di ossidiana e solcato continuamente da getti e soffi di lava bollente.

Ifheia, la dea della conquista. Originalmente nata come umana e temibile conquistatrice. Alla sua morte, la Creatrice decise di tramutarla in una divinità venerata esclusivamente dai comandanti, ufficiali e capitani di frontiere. Maeris le donò la capacità di reincarnarsi, sostituendo lo spirito morente delle guerriere con il suo per continuare il loro operato.

Eledros, il dio caotico. Quest’essere divino nacque in seguito all’espandersi del potere scaturitosi dal frammento del cuore della Creatrice. La sua indole irascibile, alimentata anche dall’odio degli umani e i continui massacri, costrinsero sua Madre ad incatenarlo nelle profondità irraggiungibili della terra. Si narra che durante le notti invernali si possano udire ruggiti e gemiti provenire da pozzi e burroni.

Luqnera, dea dell’Autunno. Compagna di Gaelia, il suo compito era vegliare sul lento tramutare delle foreste, della crescita dei frutti e consentire un raccolto migliore ai contadini. Quando Gaelia morì e il tanfo nauseante di morte che i Rovi Neri portavano con sé, la Dea provò un profondo dolore che provocò danni fatali alle valli, alle popolazioni e ai raccolti. Trovò pace solo quando l’esercito delle stelle eliminò i Rovi Neri.

Sehher, dio dell’Abisso e delle Ombre. Fu il frutto della follia dei Rovi Neri, i suoi seguaci, e dello spirito corrotto del Terzo Frammento d’Ambra. Anch’egli venne sconfitto dall’esercito stellare, ma la corruzione che si sprigionò dal suo nefasto potere tramutò gran parte delle foreste in fetide paludi e mangrovie.

Arilyn restò affascinata da tutti quei nomi, seppur molti da ricordare, e dalla loro storia. Giunse all’ultima sfera, la più piccola ma luminosa come i suoi fratelli e sorelle: Eshreal, la Dea del Cosmo. Venerata dal popolo alleato di Huvendal, ovvero Darnassea. Si stupì, però, di come quel tomo non narrasse delle magnifiche gesta compiute da quell’essere supremo e di gran bellezza. Voleva leggerne ancora, assaporare le vecchie storie dei popoli che veneravano le dodici Entità, ma il sonno la stava lentamente indebolendo. Dopo essersi lavata e aver indossato una camicia da notte, spense le candele e si apprestò a stendersi sul letto:

‘’Arilyn? Chiedo umilmente perdono per l’ora, devo parlarti.’’- disse qualcuno, bussando alla porta. Cautamente la giovane Thandulircath l’aprì per trovarsi il messaggero del Concilio impassibile sull’uscio.

‘’Di cosa si tratta Morkai?’’- chiese la ragazza, nascondendo un lungo sbadiglio.
‘’Sono qui per informarti che tu ed i Legionari partirete per il primo avamposto dai noi controllato per ricevere aggiornamenti e i nuovi armamenti. Da lì nei giorni vi sposterete negli altri finché tutti non avranno difese necessarie per difendersi dai Rovi Bianchi. La partenza è prevista per mezzodì.’’- rispose il ragazzo, porgendole una lettera con il nome del luogo e di chi lo comanda. Arilyn stava per replicare, ma il messaggero era già andato via senza emettere alcun suono. Prima di addormentarsi, la giovane Thandulircath lesse il fronte della lettera dove vi erano raffigurati un falco che stringeva tra i suoi artigli una corona di agrifoglio, con scritto sottostante ‘’Il Falco è il principe dei cacciatori.’’
 
Estremo Ovest. Cittadella degli Abbandonati. Estate, notte.

Dopo l’inattesa visita del Recluso e della Peccatrice le difese della cittadella vennero migliorate e rese quasi impenetrabili dal lavoro di alcuni zadanri che vivevano nei paraggi e vennero ricompensati con una scorta di un anno di cibo. Da quando la piaga oscura dei Rovi Neri aveva ripreso il suo ciclo, molti animali vennero ritrovati sventrati o impiccati con le loro stesse interiora causando così lo scarseggiare di cibo fresco per quelle creature. Nell’unica prigione presente all’interno del palazzo reale, giunse un uomo con un pesante giaccone militare decorati da piccole cinture argentate dalla quale pendevano dei teschi di corvi. Sotto di essa indossava una camicia porpora con un cinturone pieno di fiale, erbe e minuscoli utensili. Quello che incuteva, però, maggior timore era il suo volto coperto da bende che lasciavano scoperto solo gli occhi color ardesia. Il grosso boia non appena vide il suo arrivo, si allontanò impaurito attirando l’attenzione Hrjelvul; solo le sbarre dividevano i due uomini avvolti da fasciature:

‘’Prendi, è un medicinale che ti aiuterà a guarire rapidamente dall’innaturale perdita di sangue. Voi semi immortali siete diversi da noi comuni esseri viventi.’’- disse lui, porgendo una fiala contenente un liquido scuro e denso.

‘’Oh Rogvor, il mio buon vecchio amico alchimista che viene a farmi visita. Grazie, ma sto meglio.’’- rispose il prigioniero, afferrando la fiala e osservandola.

‘’Non si direbbe dalle fasciature sporche di sangue e dalla pozza essiccata qui fuori. Bevi.’’- replicò l’uomo, con tono gelido. Giunse, dal lato opposto, il grassoccio giustiziere Wozemhri con un sorriso furbesco. Gli occhi erano alti al soffitto decorato da piccoli affreschi e più camminava con i pensieri rivolti ad altro, più ignorava la presenza del robusto alchimista. Quando i due incrociarono i loro sguardi, Wozemhri esordì come un maiale al macello:

‘’Che ci fai tu qui Rogvor? Il prigioniero è d’acciaio, non ha bisogno di cure.’’

‘’Tu, invece, di non ingozzarti di dolci alla crema. Sembri un maiale con un costume.’’- rispose con brutale schiettezza l’alchimista, scagliando uno spillo verso il bottone indebolito dal ventre pronunciato del giustiziere. La camicia si strappò, mettendo a nudo il grosso pancione e costringendolo a coprirsi con parte della giacca. L’alchimista recuperò lo spillo strattonando un sottile filo di seta che era annodato alla cruna, facendolo poi scomparire nella manica della giacca.

‘’Se è per quella storia di quell’intruglio che ti ho fatto esplodere, per errore, sul viso mi sono scusato migliaia di volte. Che altro dovrei fare?’’- domandò seccato il giustiziere, contorcendosi per nascondere la pancia ed ignorando di proposito i risolini di Vòh il boia.

‘’Provare vergogna. La stessa vergogna che provo io nel dover nascondermi.’’- replicò quasi sibilando Rogvor. Per evitare possibili battibecchi o offese verbali, Hrjelvul domandò all’alchimista il motivo della sua presenza nella prigione del palazzo, dato che raramente si faceva vedere nei paraggi o alle riunioni con il sovrano.

‘’Tutti sono a conoscenza del Recluso e della Peccatrice, ma loro come conoscono te?’’- chiese l’uomo dagli occhi d’ardesia, aprendo la cella ed entrandovi. Il prigioniero non potendo controbattere a quella richiesta, narrò della famosa e brutale Guerra dei Tre Rovi avvenuta quasi tre millenni fa. La sua semi immortalità era una conseguenza indiretta dell’immane potere derivante dalla Creatrice e la Fiamma d’Ambra. Quando quell’essere supremo lo scoprì, lo punì rilegando tutte le anime agonizzanti dei popoli nel suo corpo; in presenza del Frammento o di entità venuta a contatto con un potere divino, la pelle si ricopre di pustole e piaghe violacee infliggendo atroci sofferenze.

‘’Dalla sconfitta dei Rovi Neri e di Sehher il dio dell’Abisso e delle Ombre, ogni regno di ogni continente è cambiato. I territori del Nord, dell’Estremo Est e quelli del sud si salvarono da tale supplizio. Non sono preoccupato per il loro ritorno, ma mi preoccupa di più l’aver percepito altre fonti di energia.’’- terminò di narrare Hrjelvul, poggiando la testa alla fredda parete della cella. L’alchimista e il boia rimasero rapiti da quel racconto, ad eccezione di Wozemhri che contava quante monete d’oro avesse guadagnato quel giorno.

‘’Quindi questa dea è stata cattiva con te?’’- chiese Vòh, poggiandosi alle sbarre tenendo saldamente la presa sulla sua arma. Il galeotto scosse la testa, sorridendo malinconico. D’un tratto Rogvor si diresse nello studio del giustiziere per poi tornare con un libro rilegato in cuoio. Lo aprì fermandosi a metà di esso, posò il libro sul pavimento e facendolo scivolare in direzione del galeotto semi immortale, disse:

‘’Hai detto di aver percepito altre due fonti di energia, ma non di entità superiori. Indicale.’’

Hrjelvul fece guizzare con rapidità lo sguardo sulle pagine colme di vecchi racconti, disegni sbiaditi e inchiostro sbavato riuscendo a scovare due nomi: Eulkan Aanekhi e Isedavar. Li riconobbe e restò a bocca aperta per quella sua scoperta.

‘’Non è possibile! Nessun Araldo della Luce e Predone dell’Oscurità verrebbe nei nostri territori dimenticati dalle divinità o popoli lontani.’’

‘’L’aura di un Araldo della Luce è paragonabile al calore ed intensità di un sole. L’aura di un Predone, invece, è simile alla gelida mano della morte e della paura. Insieme, queste due figure possono essere inarrestabili e in grado di sconfiggere anche un dio della guerra. Sono le forze che hai percepito, vero?’’- chiese con tono imperioso l’alchimista, chiudendo bruscamente il libro e facendo cadere le monete dalle mani di Wozemhri che imprecò.

‘’Sì Rogvor, ma non vi è un nesso tra loro e l’imminente Epoca Oscura. Non credo sia un trucco della Dea Eshreal per riappacificare questi due popoli e, dunque, non…’’

‘’Lo è. L’Araldo della Luce è dai Rovi Rossi mentre il Predone dell’Oscurità è dai Rovi Bianchi.’’- lo interruppe, uscendo dalla cella e aspettando anche il grassoccio giustiziere. L’incredulità del prigioniero era ben visibile, nonostante le bende sporche. Il boia, invece, sonnecchiava poggiato alla parete opposta alla cella del tutto ignaro di quello che stava accadendo.

‘’Le tue spie di frontiera, vero? Quasi cinquant’anni che sono qui, dovrei conoscere tutti i vostri segreti eppure non è così. Buonanotte, e lasciate i candelabri accesi cortesemente.’’- asserì Hrjelvul, picchiettando con il pugno sul muro, rivelando una brandina nascosta per poi stendersi su di essa.

Nella piazza centrale dove si ergeva la Torre dell’arciere Tyarjes, invece, il turno di vedetta toccò a Fjolvor. Grazie all’ausilio di piccoli specchi magici che reagivano all’ambiente, non aveva bisogno di spostarsi per tutta la torre. I suoi occhi guizzarono da uno specchio all’altro finché non notò l’avanzare frenetico di alcune creature dalla stanza imponente e ricoperti di melma viscida. Brandì il suo arco, ma udì anche altri due rumori provenire dalla punta della torre:

‘’Non li hai visti solo tu. Quei Krinxs non sono pacifici!’’- esordì Nyr’kyl, caricando la sua balestra a ripetizione, aiutato da sua sorella. Fjolvor diede l’ordine e una pioggia di dardi dalla punta in ottone cadde su quelle bestie simili a giganti e dalla pelliccia di lupo. Le frecce penetrarono con un sibilo nelle loro carni, trapassando gli occhi, il petto e ginocchia. Il sangue e la melma viscida schizzò sul terreno, accompagnata da rantoli mostruosi. Qualcuno suonò un corno dalle torri opposte, piccole sfere infuocate piovevano sul terreno e gemiti terrificanti echeggiavano nell’aria: uno zadanri legò una bomba nera sul suo quadrello che, una volta sparato, esplose sul cranio della bestia generando accecanti lingue di fuoco.

‘’La piaga dei Rovi Neri ha soggiogato alcuni Krinxs. Dobbiamo subito farlo presente al Concilio del Lynmes.’’- disse Fjolvor, saltando dalla torre e scendendo sulle mura. Corse a perdifiato e scagliò tutte le sue frecce finché l’avanzata delle bestie non si arrestò del tutto, mentre la terra intorno ardeva.
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Fyrisvellir. Estate, mattina.

Non appena il sole si destò, illuminando e avvolgendo con i suoi caldi raggi le vallati verdeggianti, il giovane Darrien radunò un plotone di centocinquanta uomini pronti a raggiungere il primo avamposto poco fuori il regno. Un capitano di frontiera si offrì volontario per scortarli lungo un percorso sicuro, così da evitare trappole ed imboscate fatali. In groppa a dei glerrus, quadrupedi simili ad equini ma dalla pelle squamosa e testa di una lucertola spinosa, il capitano narrò di come l’avamposto fosse una semplice piana paludosa governata da un mezzo silvano che si occupava di curare la vegetazione che la circondava. Quando il Re Galeren decise di occuparla sotto la sua bandiera, il governante del luogo accettò cordialmente.

‘’Invito formale o con la forza?’’- chiese Darrien, conoscendo alla perfezione l’indole dell’uomo.

‘’Se per formale intendiamo di persona, è stata la sua compagna a chiedere di annettere la terra al Regno dei Rovi Bianchi. Come tutti i capitani di ogni avamposto del Draal, il loro potere e controllo è rimasto intatto ma in caso di guerra devono comunque unirsi.’’- rispose l’uomo da sotto il pesante elmo in rame. Superata una fitta vegetazione, il plotone venne investito da uno strano odore di miele e salvia che rese l’avanzamento piacevole. Giunti ad una ripida discesa di una collina, si poteva già intravedere a pochi chilometri la piana paludosa e una immensa costruzione di pietra bianca decorata da robuste edere, protetta da mura fatte interamente di emplectite e rinforzate da cortecce di Legnoscuro. Evitando le pozze d’acque colme di ninfee in fiore, i soldati giunsero finalmente alla fortificazione dove ad attenderli vi era un gruppo di soldati con indosso armature fatte dello stesso materiale delle mura.

‘’Finalmente ci inviano uomini. Sono quasi tre mesi che attendiamo! Il Re Galeren ha preso una decisione alla fine.’’- esordì un uomo con un lungo mantello che gli arrivava alle ginocchia; doveva essere uno dei generali.

‘’In realtà visitare i vari avamposti è stata una mia decisione, non del Re. Lui dovrà inviare solo i rinforzi se necessari. Ho assunto il comando dell’esercito con votazione unanime.’’- rispose Darrien, avanzando di pochi passi in groppa al glerrus. I vari soldati si scambiarono sguardi di stupore e perplessità, altri impallidirono credendo che fosse accaduto qualcosa di eclatante per far subentrare qualcuno di sconosciuto.

‘’Giovanotto, qual è il tuo nome? E, soprattutto, Batkiin dove è?’’- domandò il cavaliere con il mantello.

‘’Batkiin è stato destituito dal suo ruolo ed è qui con noi, nel plotone. Prenderà posto in uno dei vostri avamposti, ma non ho ancora scelto di preciso quale. Io sono Darrien, figlio di Searlas. Provengo da Huvendal. Convinto di essere l’ultimo dei Varg, ho scoperto che mia madre è la vostra Regina…’’- rispose il ragazzo, non celando il suo disgusto per un vile tradimento.

‘’Cosa? La Regina ha avuto un primogenito e noi non sapevamo nulla? C’è del marcio nel Draal.’’- asserì uno dei soldati, ricevendo una sonora sberla sulla nuca per la sua mancanza di rispetto.

‘’Onorati di conoscerla messere Darrien. Se siete qui per il capitano Sador, lo trovate nel suo giardino pensile all’esterno del palazzo. Seguite il viottolo di perle, è facile.’’- replicò il generale, ordinando alle sentinelle sulle mura di aprire il cancello. Una volta all’interno, centinaia di case di legno decorate da edera bruna e gelsomino azzurro lasciarono esterrefatto il giovane comandante. La terra, seppur di natura paludosa, donava un tocco quasi surreale alle strade costruite in ciottoli bianchi come la neve: particolare che si notava subito erano le fessure che brillavano sotto i raggi del sole, come se tante piccole pagliuzze d’oro fossero state fuse.

‘’Quello che noti Darrien non è oro ma ambra. Il nostro capitano trovò un residuo della Fiamma d’Ambra anni fa e, per evitare che andasse perduta, la usò per decorare le fessure delle strade. Da allora, seppur questa landa paludosa spaventi e disgusti, tali sentieri così decorati rendono il tutto piacevole.’’- disse Batkiin, avvicinandosi quasi di soppiatto al destriero del ragazzo. A pochi metri dal giungere al giardino pensile Darrien sì fermò impartendo diversi ordini, come i turni di vedetta e ronde per tutto il perimetro.

‘’Vi dividerete in quindici gruppi, ognuno composto da dieci soldati. I primi cinque gruppi si occuperanno delle ronde di guardie all’esterno delle mura sistemandosi in una formazione a stella. Il secondo gruppo si occuperà delle mura interne e della sicurezza degli armamenti. L’ultimo, invece, pattuglierà sul camminamento e farà da vedetta in caso arrivino potenziali minacce dai vari fronti. Prendete queste pergamene, vi verrà spiegato dettagliatamente cosa fare. Rompete le righe!’’- terminò di dire Darrien, attendendo che tutti eseguissero gli ordini come scritto dalle pergamene che lui stesso aveva stilato e consegnato. Insieme a Batkiin, lasciò i destrieri ad uno scudiero lì vicino e seguirono la stradina di perle che li condusse ad un porticato in legno di rovere con intarsi dorati. Sulle loro teste si estendeva un lungo manto di passiflora, mentre ai piedi delle colonne del porticato vi erano grandi vasi colmi di viburno e alloro. Avvertirono una soave melodia provenire dalla fine del giardino pensile, seguita dal lento frusciare delle piante.

‘’Capitano Phorcys Sador?’’- chiese Darrien, notando una figura alta e coperta da un mantello intenta a cantare e a sfiorare gli esili steli facendo nascere, come per magia, tanti fiori variopinti. Quando l’individuo si voltò, mostrò in tutta la sua umile nobiltà e essenza: le braccia, le mani, il petto e parte del collo erano interamente lignei come se fossero avvolti da tessuto brunastro mentre il resto del corpo era normale. I suoi occhi ambrati tradivano innocenza e sorpresa.

‘’Sì? Desiderate?’’- domandò il Capitano, mostrandosi nella sua completa eleganza. La sua stazza sembrava simile a quella del giovane Darrien ma non appena si avvicinò di qualche passo ai due uomini, il ragazzo dovette alzare la testa.

‘’Io sono Darrien, comandante dell’esercito reale. Lieto di conoscerla, Capitano.’’- rispose il ragazzo, tendendo la mano verso il mezzo silvano. Gli occhi del capitano Sador si socchiusero quasi in minuscole fessure, lasciando intendere perplessità.

‘’Quel lumacone di Galeren ha mandato centocinquanta uomini in questa terra? Così come un fiore che non può crescere in zone aride, lui stesso non può aver cambiato indole nei confronti dei suoi uomini.’’- asserì lui, facendo germogliare un fiore dalle sue mani lignee per poi essiccarlo.

‘’Il Re Galeren non ha preso alcuna decisione, bensì il comandante Darrien. Dopo un acceso diverbio, si è giunto ad un patto. Il Re si limiterà ad inviare rinforzi se necessari, mentre il nostro comandante si occuperà di ogni azione bellica o di natura negoziativa.’’- rispose Batkiin, intromettendosi in quel breve dialogo ma allo stesso tempo teso. L’essere silvano sorrise e applaudì con veemenza.

‘’Pur non essendo stata la sua consorte a farlo rigare dritto, tu ragazzo hai avuto sangue freddo e tenacia. Mi congratulo con te. Prego, seguitemi.’’- disse il Capitano, precedendoli durante il cammino nel mentre sotto i suoi piedi germogliavano nuovi fiori che ricoprivano le perline del vialetto. All’interno della residenza, i tre cavalieri focalizzarono la loro discussione sui punti più deboli del Draal e dell’eventualità di costruire cinta murarie munite di cannoni e granatieri oppure trappole esplosive nascoste nell’acqua paludosa. Nel mentre Batkiin e Sador conversavano, il giovane dei Varg osservava le varie mappe dei confini indeboliti, i punti strategici per predominare e ottenere un vantaggio sul nemico. Si rese conto che molti di quei luoghi erano posizionati in zone difficili da poter rinforzare e propose l’unica idea sensata:

‘’Non credo che la costruzione di cinte murarie con cannoni possa aiutare. Troppi materiali e poco tempo. Degli specchi ustori potrebbero, invece, fare al caso nostro. Posizioniamo una decina di specchi sulle mura e a pochi metri dall’avamposto in modo tale da poter indebolire gli invasori.’’- terminò di dire, creando una bozza degli specchi e porgendola al Capitano che osservò con interesse le bozze delle armi naturali.

‘’Idea eccellente. Per vostra fortuna nel mio avamposto vi è un soldato in grado di costruire tali armi. Signor Darrien, la ringrazio per la sua collaborazione. Da quel che ho udito, lei deve proseguire per gli altri punti di controllo, è corretto?’’- chiese Sador, custodendo quel minuscolo progetto nelle tasche del suo pantalone di tela.

‘’Confermo. Devo raggiungere gli avamposti Tara, Uldronoss e Jossul. Non conoscendo questo regno e i possibili pericoli che nascondo, qual è il più vicino?’’- replicò Darrien con un’altra domanda. Il Capitano sorrise, conoscendo benissimo il disagio dei nuovi arrivati.

‘’Il più vicino è l’avamposto collinare Tara. Lo si può raggiungere percorrendo la foresta di mangrovie e l’acqua paludosa ormai bassa. La avverto. Tenga alta la guardia, la foresta non ama ospiti indesiderati o che abbiano un’aura così oscura come la tua.’’- rispose il Capitano Sador, porgendogli una lettera ed una mappa per raggiungere nel più sicuro la meta. Il giovane restò attonito da quelle parole, ma sorrise appena.

‘’Tutto ciò mi lusinga. Vuol dire che i nostri futuri rivali ci temeranno quando sarò presente. Quanto tempo impiegherò per arrivare…’’- Darrien si fermò, udendo qualcuno bussare con veemenza fuori l’ufficio del Capitano. Batkiin andò ad aprire, trovando un soldato ricoperto di fango e sudore che respirava a fatica.

‘’Krinxs! Ci stanno attaccando! Provengono dalla foresta di mangrovie e dal terreno!’’

I tre cavalieri corsero all’esterno, notando colonne di fumo nero che si estendevano al cielo oscurando la luce del sole e udendo grugniti rabbiosi provenire dalla prima cinta di mura dell’avamposto. Darrien corse verso un montacarichi e tranciò di netto la corda che lo catapultò sui merli, guadagnando una perfetta visione: creature enormi con le fattezze di un troll, di un gigante e un lupo cercavano di far breccia nel perimetro. La loro pelle squamosa e ricoperta di melma viscosa putrescente disgustò Darrien, costringendolo ad usare la sua oscurità. Fasci serpeggianti trafissero le gole e le teste di quelle orride bestie, creando schizzi di sangue grigiastro sulle pareti; alcune gocce, per il violento impatto, piombarono sulla carne degli arcieri liquefacendola tra atroci urla. Raccolse un dardo, immerse la punta nel sangue acido e ordinò ad un balestriere di far fuoco su una di quelle bestie. Il balestriere eseguì l’ordine e con un singolo scocco il proiettile si conficcò nell’occhio vitreo di uno dei Krinxs trapassandolo da parte a parte. Il sangue acido, seppur linfa vitale per loro, si rivelò letale a contatto con l’aria e distrusse i loro tessuti esponendo le ossa.
Darrien, stanco di aspettare, scese dalle mura usando una carrucola che si trovava vicino una delle torri di guardia e tranciò le loro membra ed arti con movimenti energici. Altri soldati e i centocinquanta uomini del Regno dei Rovi Bianchi misero a repentaglio la loro vita per salvare il loro comandante da morte certa conficcando le spade, i tridenti e le lance nello loro fauci e strappando i cuori dal petto.

‘’Soldati concentrate i fendenti sui loro arti! Balestrieri fuoco!’’- ordinava a gran voce Darrien, mentre la sua lama si faceva spazio nel corpo di un Krinxs che cercava di azzannarlo, finendo per essere eviscerato da un violento colpo. Dei dardi incendiari piombarono sui nemici, rendendo l’aria irrespirabile ed esplosero sulle teste delle belve, ricoprendoli di olio cocente. Quando l’assedio terminò, centinaia di corpi in liquefazione e smembrati giacevano al suolo o nelle pozze d’acqua paludosa tingendole di grigio.

‘’Rapporto soldato!’’- disse Darrien ad un soldato che reggeva a malapena sulle sue gambe.

‘’Abbiamo perso un plotone di sessanta uomini, dieci di cui arcieri. Le mura esterne sono danneggiate in più punti, servirà una settimana o due per riparare il tutto. Ci è giunta notizia che prima di noi, i Krinxs hanno attaccato in minor numero la Cittadella degli Abbandonati alleati dei Rovi Rossi. Si registrano quasi cento feriti nei reparti.’’- rispose lui, togliendosi dalla divisa brandelli di carne marcia.

‘’Oltre ai Rovi Rossi dobbiamo vedercela anche con queste luride belve.’’- pensò Darrien, pulendo la spada nell’acqua paludosa. L’intera landa era un cimitero di corpi circondato da una corona di fiamme e morte.
 
Lynmes Alno, Regno dei Rovi Rossi. Avamposto Soros. Estate, mezzodì.

La brezza estiva, seppur piacevole e donatrice di intensi profumi, stava attanagliando le narici dei condottieri in marcia verso l’avamposto Soros. Odori intensi che trasudavano morte ed angoscia che provenivano da terre lontane. Arilyn cercava di proteggersi con un fazzoletto di velluto da quelle sgradevoli fragranze, inutilmente mentre avanzava in groppa ad un destriero corazzato tra le fronde degli alberi che avevano raggiunto il suolo. I lunghi coltelli dei soldati in prima linea tranciavano con violenza quei rami spogli che ostacolavano la vista, cadendo e spezzandosi sotto gli zoccoli dei quadrupedi. Da dietro gli alberi, alcune creature silvane osservavano curiose quella carovana di uomini protetti da possenti armature comunicando tra loro con strani ma innocui versi. D’un tratto il loro cammino venne sbarrato da una creatura che giaceva morente nel fango, sporca di sangue rappreso sul pelo e con diversi lembi di carne mancanti. Il Comandante dei Legionari brandì immediatamente la spada, pronta a mettere fine alle sofferenze dell’animale ma venne fermata dalla creatura stessa:

‘’Peste oscura avere attaccato noi Krinxs. Miei fratelli e sorelle impazziti, affamate di carne. Fare attenzione, molto pericolosi…’’- disse l’essere, cercando di imitare la lingua umana. Iridia smontò dal suo destriero e si avvicinò cauta alla bestia, incuriosita da quelle parole seppur dette in modo grossolano.

‘’Sono stati i Rovi Neri? I tuoi fratelli e sorelle hanno attaccato altri avamposti o villaggi oltre al tuo?’’- chiese la donna, osservando gli enormi squarci sui fianchi e come gli arti inferiori ed uno superiore furono strappati con violenza.

‘’Avere attaccato Cittadella degli Abbandonati e altro avamposto di Rovi Bianchi. Cercato di impedire loro attaccare. Loro punito per tradimento…’’- rispose con un rantolo profondo il krinxs, sputando un grumo di sangue compatto dalle sue fauci.

‘’Ci sono feriti? Parla!’’- replicò Iridia, intimorendo la creatura morente con la punta della spada sulla sua gola. La sua rabbia fece brillare di un cupo rosso la sua armatura, costringendo gli altri ad indietreggiare. Il krinxs allontanò la lama con i suoi artigli e rispose:

‘’Cittadella degli Abbandonati salva. Io visto massacro con miei occhi. Krinxs morti, umani salvi. Loro grandi guerrieri. Voi salvare ultimi krinxs ancora vivi. Per favore.’’- furono le ultime parole della belva, prima di ricoprirsi di una viscida melma nera e diventare un ammasso di putridume. I suoi acuti strilli vennero arrestati da un singolo colpo di spada tra le fauci.
Giunti nell’avamposto, Arilyn e i Legionari rimasero affascinati dalle intricate e complesse costruzioni che si innalzavano al cielo quasi a raggiungere la maestosità delle querce e a fondersi quasi con loro. Le mura erano costruite con massicci tronchi di frassino rivestiti da elbaollite, dotati di lunghi ed affilati spezza-lame che formavano quasi una rete quadrata su ogni lato. Le torri difensive presentavano delle ventiere costruite con scaglie di qualche animale leggendario dato lo strano alone che emanavano, mentre la merlatura di tutta la cinta muraria era stata edificata con l’uso di arbusti di rovi, dipinti di rosso e decorata con foglie di pietra dello stesso coloro. L’Istinto di Arilyn, però, iniziò a fremere tramutando la sua sorpresa in pura allerta. Udì un qualcosa scattare e fendere l’aria con dei sibili. Prontamente usò i suoi poteri per creare una barriera di luce accecante che mandò in frantumi delle lance rudimentali. I soldati alzarono i loro scudi e crearono una griglia di metallo splendente per proteggere i Legionari e loro stessi.

‘’Siete impazziti soldati? Dobbiamo fare rapporto al Concilio e farvi marcire nelle segrete?’’- domandò Iridia, colma di rabbia. Ci fu dapprima un breve silenzio, poi qualcuno imprecò e richiamò l’artefice dell’attacco:

‘’Stolto, ti avevo detto che erano nostri alleati! Apri loro il cancello o uso le stesse lance per tramutarti in groviera. E sai benissimo quanto io ami quel tipo di formaggio.’’- esordì un condottiero con una grossa armatura simile ad una cipolla, mascherando quella minaccia in una allusione al cibo. La terra iniziò a tremare, innalzando cumuli di fango e polvere. Una parte della fortificazione si abbassò lentamente sprofondando nel terreno. Il plotone varcò quella soglia, venendo accolta dagli altri alleati con entusiasmo.

‘’Legionari, con me. Dobbiamo informare subito il Capitano del nostro arrivo. Arilyn, tu vieni con noi.’’- disse Iridia, lasciando che l’elmo di rovi si ritirasse nell’armatura mostrando il viso delicato ma che esprimeva durezza. Lasciarono i cavalli ad alcuni scudieri e si diressero verso un grande albero che fungeva da abitazione del capitano, anch’esso dotato di torri e ballatoi dove vi erano balestrieri armati fino ai denti. Appena varcata la soglia, la pesante porta di legno si richiuse dietro di loro con violenza rivelando la presenza di uno dei soldati armato di lancia ed indirizzata contro Arilyn. La ragazza estrasse la sua spada e convocò il suo potere pronta ad attaccare.

‘’Traditori! Portate una sconosciuta dotata di questa arcana stregoneria nel nostro avamposto? Perirai qui, senza esitazione!’’- ruggì il soldato, balzando con rabbia contro la giovane Thandulircath che contrattaccò con un montante. Lo scudo parò il duro impatto, ma si ricoprì di crepe luminose che giunsero fino ai bordi incrinandoli. Il soldato tentò un affondo sulle ginocchia della ragazza, fallendo e ritrovandosi la lancia distrutta con un calcio. Arilyn stava per attaccare quando risuonò nella sala una piccola campana, richiamando all’attenzione i presenti:

‘’La nostra giovane ospite non si è lasciata intimorire da questo…bambinesco trucco. Affascinante, hai dimostrato di avere sangue freddo.’’- esordì una voce femminile dall’oscurità di alcuni ballatoi all’interno dell’abitazione. I passi, leggeri ma rapidi, preannunciavano l’arrivo di qualcuno. Arilyn era confusa nel vedere i Legionari, tranne Iridia, sorridere e salutare amichevolmente il soldato corazzato. Dalla penombra degli scaloni comparve una donna dal fisico seducente e occhi felini, con una carnagione olivastra. I capelli, lunghi e neri, le ricadevano sulle spalle e sulla schiena come un lungo velo da sposa; solo due ciocche bianche le cingevano il capo, avvolte in una minuscola treccia e tenute insieme da una spilla a forma di falco. Indossava una divisa rossa decorata da ricami grigi raffiguranti le spine dei rovi, con una fila di bottoni argentati e un pantalone di tela. Sulla schiena era possibile intravedere il manico di un’arma innastata, anch’essa decorata sfarzosamente.

‘’Considerala una cerimonia di benvenuto. Anche i Legionari hanno ricevuto lo stesso trattamento e, una di loro non ha gradito molto.’’- disse la donna volgendo lo sguardo su Iridia che a stento tratteneva la rabbia, mascherandola con un sorriso poco convincente. Il soldato che precedentemente aveva attaccato Arilyn, fece scomparire lo scudo danneggiato in una intercapedine del muro e posò la lancia sul supporto vicino l’immensa porta.

‘’E per quella sorpresa non gradita, ho rischiato di perdere un occhio.’’- rispose il lanciere, indicando la cicatrice marcata sotto la palpebra sinistra che si estendeva, come una piccola saetta, di poco sul labbro superiore. La donna scese la grande scalinata e si diresse da Arilyn, che stringeva ancora la spada brillante nella sua mano e nell’altra il suo innato potere che serpeggiava e saettava in diverse direzioni:

‘’Io sono Jelka Kaur, principessa guerriera dell’avamposto Soros. Il Concilio mi ha informato del vostro arrivo e di questa splendida Thandulircath. Come ti chiami, giovane cavaliere?’’

‘’Arilyn Saavick. Non ho gradito questo bambinesco trucco. Potevo ucciderlo!’’- replicò infastidita la giovane, rinfoderando la spada e placando il suo potere.

‘’Oh, ti ci abituerai. In guerra ci sono fin troppi eventi cupi e macabri, qualche burla non guasta mai. Adesso seguitemi, così da potervi rivelare le varie informazioni che i miei amati soldati hanno raccolto dai vari avamposti. Siete fortunati, dato che tre di loro sono già qui.’’- disse Jelka, invitando i Legionari ed Arilyn a seguirla nei piani superiori della sua residenza arborea. La giovane Thandulircath, nonostante la seccatura per quel benvenuto, apprezzò le complesse e studiate decorazioni sulle pareti che si estendevano lungo le colonne decorate da perline in osso. Tra i vari ghirigori vi erano anche delle rune di difesa incise e dipinte di rosso, ognuna di essa con la propria origine e forma. Poteva udire, nelle varie stanze che la residenza disponeva, rintocchi metallici e gorgoglii di liquidi che emanavano strani odori e boati. Più salivano, più la ragazza constatava che quella immensa scalinata assumeva la forma di una chiocciola, divenendo sempre più scura ed illuminata da poche lanterne alimentate da fuoco magico. Non appena giunsero al pianerottolo superiore, la porta dell’ufficio si aprì rivelando una grande stanza con un largo tavolo al centro colmo di carte e mappe topografiche. Seduti al tavolo vi erano tre capitani, entrambi con i colori dei loro avamposti d’origine: il primo seduto alla sinistra del tavolo aveva capelli rossicci corti, una folta barba legata in una treccia e un anello a fare da fermaglio, occhi infossati e neri che uniti alla penombra della stanza lo rendevano inquietante. La possente corazza sembrava essergli stata modellata sul corpo, risaltando la sua stazza e forza. L’emblema dorato sulla spalliera destra raffigurava una montagna circondata da una corona di spine. Al suo fianco pendeva un picco d’armi dall’aspetto minaccioso e a pochi metri da lui una carabina con un sacchetto di polvere nera che pendeva dalla canna. Al lato destro del tavolo, invece, vi erano due donne entrambe con lunghi capelli castano chiari e legati in una coda alta, con lineamenti marcati ma allo stesso tempo delicati. Indossavano una camicia verde oliva con decorazioni ambrate sul bavero. L’armatura leggera che indossavano sembrava esser stata forgiata con lo stesso materiale usato per le torri dell’avamposto, donando anche a loro lo spirito combattivo. Caratteristica che le rendeva diverse, però, erano gli occhi e parte della loro armatura: il capitano superiore lo si riconosceva dal mantello a mezza ruota rossiccia, tendente all’arancione che indossava sulle spalle. Gli occhi erano grigi con qualche sfumatura di azzurro, rendendola affascinante ma terrificante. Entrambi gli arti superiori erano protetti da vambrace spinati e con il sigillo dei Rovi Rossi.

Il vice-capitano, invece, indossava una cappa grigia rettangolare che le ricopriva le spalle. I suoi occhi nocciola tradivano l’espressione gelida che aveva assunto il suo viso, condito anche dai guanti artigliati che indossava. Sui loro fianchi pendevano dei baselardi e un cannone da mano.

‘’Vi presento Dunnstan Ryo, Primo Capitano dell’avamposto montanaro Kyatolos. Comunica nella Lingua Invisibile, avendo fatto voto di silenzio in seguito ad un evento tragico. Loro due, invece, sono Kalanthos Chriyse e Themis Adastreia, rispettivamente Capitano Superiore e Vice dell’avamposto collinare Resopha Esari.’’- terminò di dire la donna, invitando tutti gli altri ospiti a sedersi. Arilyn preferì sedersi sul fondo, osservando i capitani intenti a sistemare i loro rapporti di guerra. Le discussioni iniziarono immediatamente, spostandosi sulle condizioni degli armamenti e dei soldati ai costi per trovare dei guaritori esperti fino a giungere alle strategie di spostamento rapido senza dare nell’occhio. Avvertì una falotica presenza provenire dalla sua sinistra e notò lo spettro di Gallart, nuovamente con il suo sorriso da gelido assassino.

‘’Sparisci.’’- sussurrò flebilmente Arilyn, desiderando che quella vile carogna si volatilizzasse. Qualcuno riuscì a riportarla nel mondo reale chiedendo:

‘’Hai idee su come spostarci rapidamente senza essere scoperti, giovane Thandulircath?’’- domandò il Capitano Superiore, con aria quasi seccata. Arilyn osservò la mappa, identica a quella vista a palazzo solo più estesa e dettagliata. Si ricordò del piano condiviso e lo sfruttò nuovamente per replicare:

‘’Gallerie sotterranee con rotaie e carri da miniera. Delle creature instancabili e forzute daranno la spinta per muoverci e ad ogni punto di controllo vi sarà un soldato del Regno e uno dell’avamposto corrispondente. Per le creature potremmo chiedere ai…krinxs. Spero sia questo il loro nome.’’
Dunnstan volse lo sguardo verso Jelka, l’unica capace di comprendere la Lingua Invisibile. Dopo un breve gesticolare e movimento delle labbra, la principessa guerriera e capitano replicò:

‘’Dunnstan approva l’idea, ma trovare dei Krinxs che non siano stati soggiogati dalla Peste Oscura è alquanto difficile. Sono creature restie al contatto umano, soprattutto ora che siamo in guerra. Nel suo avamposto montanaro ha alcuni zadanri instancabili, volendo può portarne alcuni. Kalanthos e Themis? Voi cosa ne pensate?’’

‘’Solo due soldati a sorvegliare i punti di controllo non bastano. Possiamo prestarvi i nostri Wol, utili per il combattimento e mansioni quotidiane. Non mangiano molto e la loro forza deriva dalla conformazione cranica, unita alle corna acuminate.’’- esordì Kalanthos con voce quasi assonnata. Il vice-capitano si limitò ad annuire, scrivendo su un foglio lì vicino ogni informazione importante nel mentre il Comandante dei Legionari mostrava ai vari capitani lo schema delle gallerie con delle puntine da disegno e dello spago rosso, quasi a creare una ragnatela. Giunse il momento di mostrare le nuove armature per affrontare l’autunno e l’inverno; quest’ultimo era rigido, con nevicate continue e temperature che potevano uccidere anche il mammifero più resistente. Nel mentre che il grande tavolo veniva ripulito dalle scartoffie, Arilyn strinse il suo medaglione avvertendo un tenue calore sui polpastrelli della mano destra. Notò piccole sfarfallii su di essi, come se il suo innato potere si stesse fondendo con una fiamma invisibile. Qualcosa o qualcuno di molto potente era nei paraggi, e solo lei era in grado di avvertire quell’aura.

‘’Thandulircath, perché esiti ad alzarti?’’- chiese improvvisamente Iridia, attendendola all’uscio dell’ufficio con sguardo torvo.

‘’Riflettevo, per questo esitavo ad alzarmi. Azione abituale che tutti dovrebbero fare, come ricordarsi i nomi.’’- replicò con lo stesso sguardo Arilyn, punzecchiandola pur sapendo di mancarle di rispetto. L’armatura spinata della donna si tinse di rosso, ma ritornò subito normale.

‘’Va bene, Arilyn. Quel lardoso energumeno che ti importunò nella taverna qualche settimana…che fine ha fatto?’’- domandò con un sorriso volpesco la donna sistemandosi i capelli in modo da non finirle sul volto. Quel repentino cambiamento d’umore non piacque molto alla giovane, accrescendo l’intensità del calore nelle sue mani e nella spada che vibrava nel fodero. Il ricordo di quel soldato dal ventre pronunciato e dall’odore nauseabondo le fecero brillare gli occhi di una abbagliante luce dorata, creando piccole venature sopra e sotto gli occhi. Li richiuse, placando l’improvvisa rabbia e rispose con freddezza:

‘’Decapitato. Il suo insulso cadavere è scivolato nella corrente del fiume lì vicino. Hai altro da chiedermi? A giudicare dal tuo sguardo vorresti farmi la predica per come ferisco il tuo orgoglio vero?’’- domandò avvicinandosi, dandole testa.

‘’Non immagini quanto io desideri fartela, ma non si addice ad un comandante. Il Concilio ti reputerà pur la nostra salvezza, ma non credere che il tuo passato burrascoso e le guerre compiute possano renderti speciale. Muoversi, ora.’’- replicò Iridia, socchiudendo gli occhi e poggiando la fronte a quella di Arilyn. I loro sguardi erano colmi di emozioni contrastanti, come il rossore formatosi sulle guance di entrambe. La giovane Thandulircath con una leggera spallata allontanò Iridia, dirigendosi alla grossa scalinata a chiocciola alla ricerca degli altri compagni.
Una volta all’esterno dell’enorme albero, il gruppo si diresse dietro la residenza dove si ergeva una struttura esagonale priva di qualsiasi decorazione ma ben protetta da alcuni soldati, inferriate di ottone, un lucchetto che andava aperto con uno specifico sigillo e un muretto di nodosi rovi acuminati che si muovevano minacciosi. Jelka invitò i Legionari, i Capitani ed Arilyn ad entrare in quello che sembrava essere un deposito per gli armamenti. All’interno, tra la polvere e ragnatele, vi erano decine di bauli accatasti l’uno sull’altro con vari simboli di altri regni tra i quali quello dei Vadmadra.

‘’Nei vari bauli troverete diversi indumenti, parti di armature e potenziali armi utili per l’autunno e l’inverno. Gli altri bauli invece verranno inviati alle rispettive zone, evitando possibili tafferugli con gli scudieri.’’- disse Jelka, mostrando le gigantesche casse con i rispettivi nomi dei luoghi. I Legionari si diressero subito alle casse più vicine l’uscita, i tre Capitani preferirono bauli semplici in legno ed Arilyn ispezionò con metodicità tutti gli altri. In alcuni di essi trovò pugnali da lancio dalla lama seghettata vantaggiosi per eliminare silenziosamente nemici, ma gli indumenti erano troppo grandi per la sua corporatura o troppo appariscenti. Lasciò per ultimo quello dei Vadmadra, dedicandosi ad altri molto più vecchi abbandonati in fondo la stanza e trovandovi, a malincuore, un paio di guanti che arrivavano a metà polso, dei triboli e degli aghi da lancio tenuti da un piccolo fermaglio in acciaio. I Legionari e i Capitani avevano già trovato il necessario per affrontare le future temperature e Arilyn si sentì amareggiata nel non aver trovato nulla che avesse uno scopo preciso:

‘’Ciarpame…’’- sospirò, constatando la scarsità degli elementi. L’unico baule rimasto fu quello dei Vadmadra e così, la giovane Thandulircath, si decise ad aprirlo: al suo interno trovò un mantello di lana con cappuccio foderato in pelliccia, un vambrace con rovi viventi che iniziarono ad emanare un fulgore dorato e a muoversi come serpi ed un contenitore con della cera giallastra dall’odore acre, quasi pungente. Decise di indossare quel mantello e quello strano vambrace, non avendo uno zaino dove poterli ben custodire. Una volta indossato l’equipaggiamento volle provare quella strana cera: con due dita prese una piccola quantità di quella sostanza a tratti grumosa e la poggiò sul mantello. Per il volere di una forza misteriosa, la cera prese vita e penetrò nelle fibre dell’intero indumento lasciando una patina grigiastra.

‘’Hai buon gusto, giovane Thandulircath. Suppongo che, dal luogo dove provieni, hai già avuto a che fare con il popolo vadmadriano. Sono eccellenti guerrieri, nonché esperti delle varie arti tessili e magiche. La cera su quel mantello è una delle loro tante creazioni.’’- constatò la Vice Capitano Themis, osservando con interesse gli oggetti trovati da Arilyn.

‘’Il popolo dei Vadmadra giunse ad Huvendal dopo la sconfitta della Regina di Ghiaccio, condividendo con noi antiche storie e conoscenze. Senza chiedere nulla in cambio.’’- rispose la ragazza, sistemandosi il mantello sul fianco così da coprire solo la spada. Nell’udir il regno d’origine, Kalanthos si meravigliò e domandò curiosa:

‘’Vorresti dire che tu hai sconfitto la Regina di Ghiaccio con l’esercito huvendaliano e sei la stessa ragazza che ha fronteggiato il Re della Prima Fiamma Arcana senza ripercussioni?’’

‘’Se per ripercussioni intendi il rimorso, no. Esseri spregevoli come loro due, guidati da ambizioni diverse che avevano in comune solo la sofferenza dei popoli non meritavano di restare in vita.’’- asserì duramente Arilyn, ricordandosi della morte di suo padre e del tradimento di Ryre. Dopo un breve momento di imbarazzo, Jelka suggerì di non restare in panciolle e di fare rapporto al Concilio inviando subito alcune scorte di viveri e rifornimenti. Con un fischietto ricavato da una vertebra di qualche strano mammifero, il Capitano dell’avamposto richiamò una bestia dall’imponente stazza, con tre paia di zampe artigliate, ali meravigliose dalle piume sgargianti che si estendevano per una lunghezza di tre braccia, un becco grande quanto una mano e occhi simili a quelli di un rettile. Un predatore impareggiabile.
Due soldati si occuparono di legare le prime casse con diversi nodi per evitare che andassero perdute durante il volo. Una volta eseguita la mansione e concesso al predatore di avere libertà di movimento, un altro fischio leggermente più acuto fu il segnale di partenza: con un semplice balzo, il volatile si librò in volo e sparì oltre la vegetazione. Una volta all’esterno del magazzino i Legionari ed Arilyn lasciarono i capitani a discutere sulle ultime trattative, quando si udirono dei corni d’allarme provenire dalle mura a nord dell’avamposto. Dalle ventiere, da ogni fessura e spioncino vi erano arcieri e balestrieri con le armi puntate sulla minaccia nascosta.

‘’Vengo per il volere del Concilio delle Sette Sorelle. Il prigioniero catturato il mattino precedente ha informazioni sui vostri nemici.’’- disse una voce profonda che suonò familiare ad Arilyn. La giovane Thandulircath salì sulle mura e, in piedi nella vegetazione del sottobosco, scorse il Titano d’Onice Vidthar. I due si scambiarono un breve saluto prima di parlare:

‘’Tradimento pur di restare in vita?’’- chiese Arilyn, massaggiandosi le dita avvertendo di nuovo il formicolio incandescente sui polpastrelli. Il Titano annuì, facendo guizzare i suoi occhi sui soldati.

‘’Un tradimento più che giusto. Ha espresso chiaramente di parlare solo con te, Arilyn. Vi aspetto qui fuori.’’
 
Terzo Frammento. Profondità.

All’ombra del Terzo Frammento seduto sul proprio trono vi era il Re delle Spine, che attendeva pazientemente il ritorno del suo secondo genito e osservava la sua terzo genita intenta a mescolare in alcuni alambicchi diversi oli e spezie miste a sangue raccolto in precedenza. La follia negli occhi della ragazza mentre creava i suoi intrugli era visibile e ciò fece sorridere il Re, attirato da quel lavoro metodico e senza errori; vi era un altro spettatore, poggiato sulla base del muro di basalto, ovvero Liedin. Quando avvertirono l’arrivo di qualcuno dall’entrata della sala, si volsero a guardare all’unisono. Le luci delle candele illuminarono i volti di Pheros e Terbius che portavano con sé tre nuovi premi di caccia, di cui uno ancora in vita che si contorceva nella sua crisalide ragniforme.

‘’Riconosco questo odore! Non è il tipico sangue umano o di altri mammiferi. Avete con voi i cadaveri di un krinxs e di uno zadanri? Finalmente potrò creare qualcosa di sublime usando la loro linfa. Soprattutto con il krinxs, dato che il suo sangue funge da acido!’’- disse Ignea, con occhi sprizzanti di insana malvagità e lussuria. Le tre crisalidi si aprirono, mostrando i corpi avvolti da spine arcuate e grigiastre ormai tinte di cremisi splendente. Il soldato tentò di liberarsi da quella prigionia brandendo un pugnale scheggiato, arrestandosi sul colpo grazie alla presa salda di Liedin che iniziò a ricoprire il corpo della vittima di una strana sostanza verdastra:

‘’Non uccidetemi…’’- implorò il soldato, mentre la sua bocca si riempiva di schiuma rosa.

‘’Chi ti ha fatto queste ferite?’’- domandò Liedin, inespressiva mentre stringeva le sue dita sul polso dell’uomo. Gli occhi si tinsero di giallo, secernendo un grumo spugnoso e maleodorante. Tra i lamenti e la bile che si faceva largo nel suo esofago, l’uomo con un flebile sospiro replicò:

‘’Una ragazza dai capelli rossi…ha un ciondolo con un lupo ed…emana una luce abbagliante.’’

Liedin riconobbe quei due unici particolari e con un brutale movimento strappò mandibola e lingua del soldato, facendo zampillare il sangue ovunque tra gorgoglii atroci e brandelli di carne che si staccavano cadendo con un tonfo sul pavimento; Ignea approfittò di quel gesto per mescolare il sangue delle creature con quello dell’uomo, aggiungendo un frammento d’Ambra nel recipiente che crepitò al contatto. Terbius e Pheros invece tramutarono quei tre cadaveri in una aberrante creazione formata da tre bocche, dal ventre lercio e diversi arti dalle forme bizzarre. L’intero corpo violaceo era avvolto da diversi rovi reni che sgusciavano fuori da quelle bocche e muovendosi convulsamente, mentre altri formavano una bislacca cotta di maglia.

‘’Vai nelle catacombe e attendi fino a nuovo ordine.’’- disse Pheros, indicando la strada per le catacombe e attendendo che l’ammasso putrido di carne si muovesse. O rotolasse, data la sua mole. Liedin frantumò la mandibola strappata al soldato, ancora preda dell’ira.
‘’Maledetta. Hai deturpato il mio corpo, ma la vendetta nei tuoi confronti è ancora viva come una fiamma!’’- esordì la ragazza, imprecando e scagliando i frammenti d’osso con il piede.

‘’Otterrai la tua vendetta a tempo debito. Finché anche il Dio dell’Abisso e delle Ombre dorme in questo ventre della terra, noi ci occuperemo di creare un esercito e di avere informazioni da entrambi i regni. Punti deboli, schemi di lotta…Tutto sarà utile.’’- replicò il Re delle Spine, sorseggiando una bevanda dall’odore acre.

‘’Per quanto ancora? Voglio bagnare queste mani nel suo sangue, estirparle il cuore dal petto e vederla spegnersi ai miei piedi per poi fracassarle il cranio.’’- replicò febbricitante, mentre dai suoi occhi si manifestavano minuscoli cristalli di ghiaccio: qualcosa del suo vecchio potere permeava ancora.

‘’Non siamo noi a decidere, ma gli Dei e le Stelle. La tua lama quel giorno potrà dissetarsi con il sangue della tua nemesi. Sarà un glorioso giorno per tutti noi.’’- e coinvolse in una risata cupa tutti i presenti, fatta eccezione per Liedin che restò impassibile ma sorpresa per la scoperta di un’altra divinità. L’apertura cigolante di una botola proveniente dall’ingresso del loro antro, preannunciò l’arrivo di qualcuno inatteso. Pheros generò con la sua oscurità una spada dalla lama nera e affilata pronta ad attaccare l’invasore, ma si trattenne riconoscendo una delle trappole ragniforme del fratello. La crisalide si schiuse e rigurgitò un altro cadavere in avanzato stato di decomposizione, con le vertebre cervicali rotte e annerite. Ignea emise un grugnito disgustato per non aver ricevuto il sangue di quella vittima prima della decomposizione. Terbius notò l’assenza parziale di una costola deformata e appuntò il tutto su un foglio finché Liedin non prese nuovamente parola:

‘’Un traditore di Huvendal. Come me, dopo tutto. Il suo nome è Ryre, vecchio capo medico degradato ad inserviente alla corte di Searlas.’’- affermò, dirigendosi verso uno degli alambicchi per prendere una boccetta di liquido arancione luminescente e lo versò nelle cavità vuote, suscitando l’ammirazione di Ignea. La sostanza si riversò sulle ossa, sulla pelle marcia e i vestiti logori producendo placidi sfrigolii. Il cadavere iniziò a muoversi incontrollato sul duro pavimento, emanando fulgori variopinti e ricostruendosi come un vaso di vetro; Pheros approfittò nuovamente per scagliare la sua magia sul nuovo arrivato, trasformando parte del suo corpo in una corazza di legno e carne. Le vertebre cervicali si ricomposero scricchiolando in una sinfonia ossea. Ryre, o quel che ne restava, si alzò e si meravigliò di essere in un nuovo luogo con strane persone:

‘’Liedin? Non eri deceduta quasi tre anni fa?’’- fu la prima domanda, tastandosi il viso e scoprendo che la pelle non si era ricostruita, esponendo l’osso mandibolare. Notò la sua nuova forma, un misto tra carne e natura decomposta. Liedin si limitò ad annuire con disappunto, prima che il Re delle Spine ordinò a Pheros di farlo inginocchiare con forza:

‘’Benvenuto Ryre di Huvendal. La nostra Liedin ti ha riconosciuto dalla tua costola deformata. Ti è stata offerta un’altra possibilità di rivalsa e spero che tu possa tornarmi utile alla mia causa. Ti invierò nel punto più basso di questa fortezza per occuparti del risveglio del Dio Sehher. Una volta appurato la tua fedeltà, avrai un posto nell’esercito.’’

‘’Grazie mille…mio Sire. Non la deluderò.’’- rispose incerto l’uomo, cercando di non distrarsi dai continui sfarfallii che vedeva dall’occhio sinistro. Lanciò una occhiataccia nei confronti di Liedin, sentendosi tradito dal comportamento.

‘’La mia costola deformata doveva restare un segreto. Screanzata e pidocchiosa!’’- pensava tra sé e sé, scendendo una lunga scalinata illuminata da fiaccole e scortato da una grossa aberrazione in armatura. Ignea, d’un tratto, esultò per essere riuscita nella sua creazione con il sangue dei tre prigionieri: piccole sfere in argento ricoperte d’essenza del Frammento d’Ambra con diversi fori e un meccanismo che si azionava in base all’impatto ricevuto.

‘’Il sangue di un krinxs, seppur usato da artisti di popoli orientali, è in grado di uccidere una bestia più grande di loro. Sono esseri speciali, che vivono con una linfa mortale anche per loro. E con questa mandibola potrò ricavare piccoli spilli da usare come armi da lancio avvelenati. Pregusto già i risultati!’’- constatò tra un risolino psicotico e spasmi delle mani. Pheros scagliò una di quelle sfere contro una creatura necrofaga all’interno del pozzo doveva giungevano gli scarti della natura. L’essere immonde afferrò il piccolo oggetto e provocò la fuoriuscita di un gas rossiccio che sciolse tessuti e legamenti della mano e del polso, tra urla stridule. Il vapore aumentò e andò a colpire gli occhi e la bocca. Un grumo deforme di sangue, muscoli e cartilagine ricaddero sulle mattonelle con un tonfo, accompagnando la morte della creatura con spasmi e tentativi inutili di ricomporre i pezzi. Il primo genito usò una fiaccola per bruciarne i resti e recuperare l’arma. Con cura, l’avvolse in un panno ed esordì con gelido sadismo:

‘’Le tue creazioni alchemiche con il sangue dei nemici saranno vitali per noi. E una atroce morte per gli altri.’’
 
Draal In'llolus Gaeur, Regno dei Rovi Bianchi. Avamposto Tara, primo pomeriggio. Estate.

Dopo l’efferato scontro avuto con i krinxs, il giovane Darrien si affrettò a raggiungere il secondo avamposto dove lo attendevano due fratelli entrambi capitani. Per far recuperare le forze al suo destriero decise di accamparsi brevemente in un piccolo spazio erboso assicurandosi che la foresta non lo aggredisse. Analizzò nuovamente la mappa donatagli da Sador segnando con un pezzo di carbone la strada percorsa e quanto ancora mancasse all’arrivo. Rifletteva, nonostante la sua nuova missione intrapresa, alle parole della madre contrariata dalla scelta di destituire uno dei suoi uomini migliori e prendere il comando. Il ragazzo replicò con freddezza che il dovere di un comandante va sempre rispettato, prendendosi responsabilità anche più grandi di lui.

‘’Io non fallirò e non abbandonerò nessuno. Non sono come te.’’

Sistemata la mappa nei gambali, un altro dono per evitare punture di insetti velenosi, Darrien svegliò con delicatezza il quadrupede stringendo le briglie per poi salirvi in groppa. Istintivamente piegò la testa all’indietro, evitando un dardo fuligginoso che si conficcò nell’albero alla sua sinistra. Dalle fronde degli alberi che giungevano sul terreno fangoso comparve un animale a quattro zampe, dal corpo massiccio a scaglie bluastre che rimandavano ad una corazza. Il ragazzo scagliò nella sua direzione un pugnale che tagliò in due la bestiaccia simile ad un coleottero. Le scaglie, per il violento impatto, si staccarono dalla carcassa e il giovane le recuperò usando un fazzoletto:

‘’Mi torneranno utili, in un modo o nell’altro.’’- disse, ripartendo in groppa al suo destriero attraverso la foresta di mangrovie. Con la spada sguainata, tranciò i diversi rami e licheni che ostruivano il passaggio venendo ingurgitati dal suo fedele destriero. Superata la foresta di mangrovie si ritrovò su un altopiano collinare dalle punte appiattite come se una forza invisibile avesse tagliato loro la testa verdeggiante e sostituito con strutture piramidali collegate tra loro da mura spigolose. Ogni struttura piramidale poggiava su cinque piccoli piloni rinforzati da anelli di ottone: in quegli angusti spazi Darrien notava qualcosa di metallico oltre a del fumo provenire oltre la cinta muraria. A pochi passi da quello che sembrava essere ormai l’avamposto, si udirono dei corni di richiamo risuonare nell’aria provocando una sola nota cupa e distorta. Ai piedi delle colline deturpate dalla mano dell’uomo, una gigantesca porta di pietra si aprì concedendo al ragazzo di proseguire indisturbato ma vigile. Qualcuno esultò e riconobbe il giovane:

‘’Quel ragazzo ha salvato la vita a sei famiglie che rischiavano la morte per stenti. Fronteggiare Galeren e renderlo docile come un cucciolo non deve essere stato facile. Grazie per il tuo coraggio, ragazzo.’’- disse uno scudiero intento a lucidare gli armamenti. Lasciato il suo destriero ad un altro scudiero, sopraggiunsero tre cavalieri in una armatura leggera a piastre e uno di loro invitò Darrien a seguirlo nell’abitazione:

‘’I Capitani hanno preferito costruire la loro residenza sottoterra per evitare attacchi inaspettati. Le mura sono costruite, in base alla forma e al colore, per ingannare il nemico. L’aspetto è proprio quello da rovine abbandonate alla natura.’’- disse il cavaliere senz’elmo, azionando la leva di uno dei tanti ascensori posti poco sotto i camminamenti di ronda delle mura. Il fragoroso rumore di ingranaggi, contrappesi e leve di cambio accompagnavano la discesa dei due condottieri nel ventre terroso con lentezza. La luce del sole pomeridiano scomparve, lasciando posto ad una luce di lanterne e fiaccole disposte in giganteschi cunicoli di pietra levigata protette da almeno cinque soldati.

‘’Quanto è profondo il vostro avamposto?’’- chiese Darrien, osservando il continuo cambio di stanze e arredamento; tra loro spiccava anche una piccola prigione con pochi carcerati che ruggivano, chi colpiva le sbarre e chi implorava pietà.

‘’Il nostro avamposto, oltre al piano in superficie, dispone di tredici livelli alternati tra loro per evitare di ammassare tutti su uno solo. Gli ultimi tre si dividono in: fornace dove abbiamo i migliori fabbri su commissione provenienti da terre remote. Una grande prigione per i criminali privi d’umanità ed esche di diverse razze come troll, orchi e mezzosangue che si percuotono tra loro ed infine la residenza dei fratelli.’’- rispose con un sorriso il suo accompagnatore, mentre scorrevano le diverse placche con il numero della stanza ove si trovavano. Quando l’ascensore arrestò finalmente la sua discesa, Darrien poté ammirare la monumentale opera sotterranea: colonne portanti decorate da foglie d’oro, con incisioni in argento; arazzi di pregiata qualità e manifattura; dipinti che sembravano prendere vita grazie alla mistura di metalli, colori e smalti luminescenti. La stanza era circolare, con diverse volte a vela poste sulle porte di ogni stanza per distribuire il peso. Il pavimento era ricoperto da broccati finemente disposti ai piedi di alcuni divani e sedie in pelle.

‘’Troppa ricchezza anche qui.’’- disse tra sé e sé Darrien, storcendo il naso alla vista di quell’arrendamento così pacchiano per i suoi gusti. Il soldato andò a riferire il suo arrivo ai due Capitani, chiedendo di attendere il suo rientro al giovane e scomparve dietro una delle porte in legno massello. Sul tavolo presente al centro della stanza vi erano poggiate diverse carte topografiche legate da uno spago azzurro, mentre altre di media dimensione occupavano tutto il piano: mostravano varie punti d’assedio di minor rilevanza conquistati anni prima, tra cui spiccava una zona segnata da uno strano sigillo e una piccola didascalia recitava: Progetto bastione incompiuto causa mancanza di materie prime. La planimetria principale di quel futuro bastione era di forma esagonale, circondata da sei di forma pentagonale che formavano un fiore geometrico molto simile alle mura dell’avamposto. Altri fogli mostravano solo turni di guardia, compiti dei fabbri, sentenze di prigionieri e questioni burocratiche. Nuovamente il suo istinto lo mise in all’erta di una minaccia che giungeva lenta alle sue spalle. Estrasse il pugnale, si girò di scatto e conficcò il pugnale tra la clavicola e il collo di una aberrazione: il corpo esile e verdognolo, la testa di un orco e gli arti da troll. Notò con disgusto che quegli arti erano stati cuciti rozzamente.

‘’Uccidimi, ti prego. Tutto questo per me è umiliante ed insopportabile…’’- lo implorava quella bestia, cercando di imprimere forza al colpo dato da Darrien, con il sangue nero che sgorgava e zampillava dalla lacerazione.

‘’Che razza di creatura sei?’’- domandò il ragazzo, ruotando lentamente la lama per avere una risposta.

‘’Non…non sei uno dei Rovi Bianchi? Quindi non conosci i grotteschi esperimenti che compiono i loro alchimisti e burattinai. Tutto quello che fanno è orripilante e disumano anche per gli orchi…’’

In quell’istante la porta varcata precedentemente dal soldato si aprì, mostrando i due capitani con indosso una semplice divisa bianca, adornata da una armatura in cuoio nera e le gambe protette da piastre in acciaio. Erano un uomo e una donna, dalla corporatura quasi esile ed entrambi con lunghi capelli biondi. Il viso, privo di imperfezioni, poteva confondere molti avversari a causa dell’estrema somiglianza:

‘’Oh, uno dei nostri prigionieri è fuggito ma è stato catturato da questo prode ragazzo. Puoi anche ucciderlo, è solo uno dei tanti esperimenti mal riusciti. Mi auguro che tu sia in grado di farlo.’’- disse l’uomo, sistemandosi i capelli e chiudendo la porta. Darrien, per evitare di risultare debole, afferrò il collo della creatura e lo spezzò con un singolo movimento. Negli occhi lattiginosi della creatura si percepiva un profondo ringraziamento:

‘’Non bastavano vittime innocenti di un Re incapace, ora anche esperimenti disumani da parte di due gemelli.’’

‘’Re incapace? Non tollero che un ragazzino come te, al servizio del suo Re, abbia la lingua da serpente. E tu porta via quell’inutile ammasso di carne. Gettalo in qualche fornace o in un pozzo.’’- rispose con tono accusatorio la donna, invitando poi il soldato senz’elmo a portare via il cadavere della creatura.

‘’Io sono qui solo per un volere superiore. Galeren non è il mio Re, non combatto sotto il suo vessillo. Le decisioni sono una mia responsabilità, non più sue. Lui invierà rinforzi e materiali necessari nei vari avamposti. Osate contraddirmi e destituirò anche voi. Con disonore.’’- rispose il ragazzo, con fermezza mentre il suo oscuro potere iniziava a propagarsi dalle sue mani minacciosamente.

‘’Predone dell’Oscurità. Tu sei il primogenito della Regina! Per tutte le stelle, non è possibile. Non ci hanno mai informato che la Regina avesse un primogenito…Zephyr, c’è da fidarsi di questo comandante?’’- chiese la donna, stringendosi al fratello. Darrien finalmente seppe il nome dell’uomo che continuava ad osservare intimorito la nebbia nera che si stava estendendo sul pavimento in basalto.

‘’A quanto sembra, la nostra diffidenza è un’arma a doppio taglio. Io sono Zephyr, come hai potuto ben sapere da parte di mia sorella Anthousa. Questo è il suo nome. Dalle tue parole, possiamo comprendere che non combatti per Galeren e per il regno del Draal. Perché lo fai dunque e soprattutto come ti chiami?’’- domandò il Capitano, con voce mielosa tentando di placare l’animo iracondo del ragazzo.

‘’Io sono Darrien, figlio di Searlas di Huvendal. Lo faccio perché le vostre strategie sono fallaci, vi siete crogiolati per troppo tempo nel lusso e vita mondana perdendo di vista ogni fondamento. Adesso, mostratemi qualcosa che sia paragonabile al vostro grado.’’- replicò Darrien, estraendo un altro pugnale dal cinturone e conficcandolo nel tavolo. I due capitani impallidirono e fecero quanto chiesto. Anthousa andò in un ufficio posto vicino l’ascensore mentre Zephyr recuperò diversi rapporti posti su di uno scaffale impolverato. La porta dell’ufficio si riaprì bruscamente, rivelando il Capitano ed un’altra donna con indosso un caftano verde e grigio argento decorato da una doppia fila di bottoni in bronzo. I capelli ricci e castani contrastavano il suo viso dai lineamenti marcati e dallo sguardo torvo.

‘’Lei è la nostra Ufficiale montanara in servizio da noi, Narilii. Tutti i rapporti sono stati compilati da lei e firmati da noi.’’- disse il Capitano presentando l’Ufficiale a Darrien, che volle sapere ogni dettaglio dei vari rapporti stilati proprio da lei. Quando vennero rimossi i sigilli in cera e le varie cordicelle, Narilii lesse con attenzione tutto ciò che aveva visto o eseguito a partire dal sorgere del sole fino all’imbrunire: perlustrazione dei confini, identificazione di mercanti e viandanti della zona finché non giunse all’ultima riga. Esitò, ma lo sguardo di ghiaccio di Darrien la costrinse a terminare:

‘’Breccia nel confine ad est, a partire dalla quarta torre di vedetta. Possibile evasione.’’

‘’Ufficiale Narilii, lei era al corrente di tale evasione?’’- chiese il comandante.

‘’Sì, signore. Mi rincresce dover anche dire che non è stato predisposto nessun piano di cattura per i fuggitivi, né tantomeno una riparazione.’’- rispose lei. Darrien portò l’indice e il pollice tra il naso e la fronte, incredulo di aver udito quelle parole. La negligenza dei due fratelli era inaccettabile tanto da far serrare le labbra del ragazzo in una smorfia di disappunto.

‘’Narilii, grazie per il suo tempo. Può ritornare alle sue mansioni. Quanto a voi due pelandroni, domani all’alba analizzerete quella breccia e disegnatela su un foglio, tenendo conto del diametro e profondità. Una volta terminato, consegnatemi il tutto così vedrò di far consegnare il materiale nel minor tempo possibile. Non possiamo rischiare un assedio da parte dei Rovi Rossi. E adesso, andate.’’- congedò i presenti. Avvertì il braccio sinistro formicolare improvvisamente. Tolse il vambrace e alzò la manica, notando la pelle cicatrizzata in alcuni punti e in altri del tutto spaccata.

‘’Deve essere una delle conseguenze del mio spiacevole incontro con i krinxs…Per fortuna questa mia maledizione è in grado di guarirmi.’’- mormorò il giovane, sedendosi al tavolo e restando con lo sguardo fisso sulle varie mappe. Per non perdere altro tempo prezioso, scrisse qualche telegramma da spedire nel regno, richiedendo l’invio di truppe e primi materiali da usare a Tara. Darrien era in una nuova posizione da comandante e i risultati, fino ad ora, lasciavano l’amaro in bocca; dal palazzo agli avamposti, non mancavano elementi di ricchezza accumulata negli anni e ciò aveva reso docili, pigri e negligenti gli uomini del Re fatta eccezione per alcuni. Tolse i lacci dal resto delle carte arrotolate sul tavolo, scoprendo a suo malgrado altre copie della medesima mappa poggiata sotto i suoi gomiti. Tra quei fogli sgualciti, però, comparve una lettera di reclamo dalla prigione:

‘’Cinque prigionieri reclamano condizioni indicibili nelle loro celle e chiedono un patteggiamento. Unirsi alle truppe in cambio della libertà. Si attende risposta.’’- lesse anche i nomi dei carcerati, constatando le loro origini non umane e i crimini commessi tra cui lo sterminio di interi villaggi rurali, assassinio di re e invasioni terminate in violenti massacri. Determinato dalle sue azioni, ordinò ad un soldato di condurlo nella prigione maggiore e di fargli incontrare i cinque prigionieri che richiedevano tale patteggiamento:

‘’Signore, è convinto della sua scelta? Quelle bestie sanno essere meschine e doppiogiochiste.’’- disse il soldato, tentando di dissuadere Darrien da quella scelta.

‘’Anche noi sappiamo esserlo.’’- rispose il comandante, tenendo il foglio con il nome dei prigionieri tra le dita. L’ascensore si mosse, cigolando e gracchiando, facendo piovere minuscoli frammenti di terra all’interno della cabina. La pietra, dall’eccellente levigatura, si tramutò in semplici mattoni grigi spogli di qualsiasi decorazione ed un maleodorante odore investì le narici dei due soldati:

‘’Hanno intasato nuovamente la latrina! Quei troll mangiano fino a gonfiare il loro ventre e poi...Per tutte le stelle!’’- asserì il soldato, coprendosi il naso con la mano e rimandando giù nel suo stomaco il pranzo. Una volta giunti nel luogo prestabilito, Darrien poté osservare le varie celle contenenti creature dalla pelle squamosa e dalla corporatura possente, esseri informi derivati da esperimenti bizzarri, nefandezze innominabili che si stringevano quelle sbarre metalliche e osservavano con vacuità il ragazzo avanzare.

‘’Carne fresca.’’- disse maliziosamente uno dei prigionieri: era un orco, affetto dalla scabbia, con una capigliatura simile ad un buffone di corte e con indosso diversi pezzi di metallo fusi tra loro a creare una corazza per la sua muscolatura vigorosa che a malapena gli stracci che aveva riuscivano a coprirlo. Qualcuno con fare intimidatorio gli ordinò di tacere da sopra una brandina arrugginita. Un sibilo proveniente dalle celle opposte fece scattare il giovane comandante che afferrò rapidamente quell’arma in volo.

‘’Un dardo strappa carne rudimentale. Complimenti.’’- disse Darrien, ammirando l’estrema cura per la costruzione di quella freccia.

‘’Gradirei riaverla.’’- replicò una voce femminile, irritata per il suo tentativo fallito. Darrien spezzò quella freccia e la lanciò nella cella di provenienza. Riprese il foglio tra le mani e a gran voce chiamo i prigionieri che richiedevano il patteggiamento. Immediatamente due soldati per cella si tennero pronti e percuotere potenziali fuggiaschi:

‘’Gli orchi Jabir e Igges, il troll Rogomesh, l’huerdakhal Yuvio e l’umana Edsel Danhalm, cortesemente uscite dalle vostre celle e mostratevi. Questo è un ordine.’’
Si udirono risate di scherno, schiamazzi vari e rintocchi metallici delle sbarre mentre i cinque prigionieri uscivano dal loro bugigattolo quasi contro voglia. Darrien si meravigliò che uno degli orchi affetto da scabbia fosse lo stesso che avesse chiesto il patteggiamento. L’altro orco, ancora assonnato, aveva la stessa corporatura ma più pelosa, gialla ocra e ricoperta di tatuaggi e cicatrici con poche protezioni arrugginite. Il troll e l’umana, invece, erano i più curati e in forma.

‘’Dal tuo accento, oserei dire che non sei di queste parti ma indossi la divisa dei Rovi Bianchi.’’- disse il troll, lisciandosi la barba intrecciata.

‘’Sì, e ci saranno cambiamenti in ogni avamposto. Niente più esperimenti scabrosi, niente più negligenza e soprattutto disonore. Voi cinque avete richiesto un patteggiamento quasi sei mesi fa ma nessuno vi ha ascoltato. Accetto il patteggiamento, ma ad una condizione.’’

‘’E quale sarebbe, bamboccio?’’- chiese con spietata freddezza la donna, incrociando le braccia e cercando di sedurre Darrien.

‘’Calmati, mercenaria inetta.’’- si intromise uno degli orchi, insultandola. Ne nacque un alterco che risuonò in tutta la prigione, attirando l’attenzione dei carcerati deformi che osservarono perplessi i cinque camerati pronti a percuotersi o pugnalarsi l’uno contro l’altro.

‘’Silenzio.’’- disse piano Darrien, evocando il suo potere in diversi fasci serpeggianti che andarono a stringere le gole dei carcerati, così forte da farli inginocchiare e impaurire. Gli occhi azzurri splendenti come zaffiri lasciarono brevemente il posto ad un imperscrutabile nero abissale che si espandeva con piccole venature sotto gli occhi, tramutandolo quasi in un incubo in carne ed ossa.

‘’Vi unirete all’esercito, guiderete i plotoni che verranno formati in futuro e li addestrerete secondo le tradizioni del vostro popolo. Ricordatevi solo che non sono come voi. Invece tu, Edsel, ti occuperai di insegnare alle spie come infiltrarsi in luoghi ben sorvegliati, trafugare documenti ed uccidere silenziosamente.’’- riprese il filo del discorso, facendo dissolvere l’oscurità e tornando impassibile sui nuovi alleati.

‘’Non abbiamo alternative. Per il nostro passato, i nostri popoli nativi non gradirebbero la nostra presenza e farebbero di tutto pur di tramutarci in poltiglia per vermi.’’- sentenziò Yuvio, l’huerdakhal; rispetto ai due Guardiani del Frammento a palazzo, lui possedeva una corporatura robusta e massiccia che ad ogni movimento i muscoli si contraevano. La pelliccia era grigio argento, con pochi ciuffi neri e sul ventre si estendeva una grossa cicatrice violacea che partiva dal pettorale destro fino ad arrivare al bacino.

‘’Il lupetto ha ragione. Non c’è spazio per fuorilegge come noi nella propria terra.’’- prese parola Jabir, nonostante le zanne arcuate che gli donavano un buffo aspetto. Il troll si limitò ad annuire e a sbadigliare, quasi assonnato. Il comandante ordinò ad alcuni suoi sottoposti di predisporre delle stanze in disuso per i nuovi membri e di tenerli sotto stretta sorveglianza per non farli uscire. Quelle parole fecero socchiudere gli occhi della mercenaria, tentata da voler trafiggere il cuore del comandante.

‘’Vorresti pugnalarmi Edsel? Ho letto della tua precedente vita. Omicidi commissionati da nobili che poi hai ucciso una volta terminato il lavoro, furti di preziosi artefatti e rivenduti a popoli barbari, hai provocato faide tra alleanze secolari e nessuno ti ha mai catturato. Fino ad ora. Vuoi coronare il tuo ultimo lavoro uccidendo un comandante con lo stesso potere della Regina del Draal, il suo primo genito? Prego, ma sappi che la tua testa verrà sciolta nell’acido e il tuo corpo usato come passatempo per gli arcieri dopo tale violenza.’’- furono le parole del ragazzo, osservando quegli occhi colmi di ira della mercenaria. Il silenzio della prigioniera fu la risposta tanto attesa. Quando i cinque vennero condotti nei loro alloggi e Darrien tornò in superficie per scoprire un plotone di uomini intenti ad attaccare quello che sembrava essere un nano munito di braccia robotiche che percuoteva e scagliava lontano i soldati senza ferirli gravemente:

‘’Voi marmocchi con le vostre accozzaglie di ferro non avete alcuna speranza!’’- disse, colpendo con una sonora testata il mento di un soldato, facendo sputare denti e sangue. Usò i suoi arti robotici per sferrare diversi pugni in sequenza sul viso di un altro cavaliere con una tale forza da farlo volare all’indietro su altri commilitoni. Darrien riconobbe Dolmihir, l’esperto nano di montagna e corse in suo aiuto per arrestare quella ressa.

‘’Per quale motivo sei qui?’’- chiese il ragazzo, incuriosito dalla presenza dell’amico. Il nano con un fischio convocò un suo scudiero che trascinava una pesante cassa di metallo. Per quel piccolo servigio, venne ricompensato con due monete di platino.

‘’Scortese come sempre, vero giovanotto? Tralasciando il fatto di averti seguito furtivamente, in questa cassa vi è una speciale armatura. Io e il fabbro ci siamo messi d’impegno per forgiarla nel più breve tempo possibile. Oh, l’elmo è una mia invenzione. Se ti considerano il suddetto Predone dell’Oscurità, diamogli motivo concreto per farlo.’’- rispose Dolmihir recuperando la chiave dal suo marsupio e porgendola al ragazzo che, senza attendere oltre, si decise ad aprire quel tesoro.






















 
Angolo dello scrittore: Dopo un lungo periodo, torno a pubblicare i vari capitoli delle Cronache ormai terminate 8 mesi fa. Pubblicherò in base al mio tempo libero i restanti capitoli così da poterveli far leggere! Buona lettura.
 
   
 
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