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Autore: fra_puf    13/05/2020    5 recensioni
[Dal primo capitolo:
< Cos’è? > Chiese con tono pacato. La sua voce era di una morbidezza disarmante.
Deglutii con fatica, per ritrovare la voce.
< È… un invito. Per una festa > Risposi, cercando di apparire il più disinvolta possibile.]
Isabella Swan, appena diciannovenne, inizia a frequentare un'Università in Alaska.
Grazie ad una borsa di studio alloggia in un dormitorio per studenti, al primo piano.
Al terzo, nella camera 3B, vive un misterioso ragazzo di cui nessuno sa quasi nulla… ed è il figlio adottivo della Rettrice.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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CAP. 2. Lavanda e cannella
 
Quello della mattina seguente fu un dolce risveglio.

Dopo essermi rigirata tra le coperte per alcuni minuti, nel torpore del dormiveglia, mi ero allungata a sinistra per scendere dal letto, ma avevo sbattuto la fronte contro un muro.
Un muro che non avevo idea di cosa ci facesse lì.
Solo dopo aver aperto gli occhi ed essermi guardata attorno nella luce fioca del mattino, mi ero resa conto di non trovarmi più a Jacksonville.
Con un sospiro infastidito mi lasciai sprofondare nuovamente nel cuscino, massaggiandomi la fronte. Potevo già sentire il punto colpito iniziare a gonfiarsi.

Avevo irrealisticamente sperato che, alla partenza, le mie innate capacità autolesionistiche e la mia consueta sfiga fossero rimaste in Florida, chiuse in qualche cassetto. 
Ma sapevo che non era possibile, e quella botta contro il muro era stato solo un modo gentile con cui il cosmo si era premurato di ricordarmelo.
Insomma, nulla da fare: anche in Alaska ero destinata a farmi conoscere fin dal primo giorno come quella che rischia la vita anche solo respirando.


Rimasi a letto per un altro paio di minuti, potendo finalmente osservare con calma quella che nei mesi successivi sarebbe stata la mia casa.
La camera era più spaziosa ti quanto credessi (pur rimanendo, a mio modesto parere, assolutamente inadatta ad ospitare una festa); il mio letto e quello di Tessa -che ancora dormiva della grossa- non portavano via molto posto, essendo entrambi addossati alla parete, l’uno di fronte all’altro, sotto un’ampia finestra che rendeva l’intero ambiente luminoso e dava sul cortile esterno del dormitorio.

C’era una certa simmetria nella disposizione dei mobili; agli angoli opposti della stanza erano sistemate due scrivanie, entrambe affiancate da un ampio armadio di legno chiaro.
Al centro, due poltroncine color mattone erano rivolte verso una delle pareti lunghe della camera, sulla quale era installato un piccolo televisore al plasma. La parete opposta era vuota, se non per le due porte che conducevano alla cucina e al bagno.
 
Mi stiracchiai e allungai un braccio verso il telefono che avevo lasciato in carica sul comodino, a destra del letto.
Scrissi un messaggio a mia madre per dirle che avevo un mucchio di cose da fare e che le avrei telefonato in serata. Era l’unico modo per evitare che mi tempestasse di chiamate tutto il giorno.
Ne approfittai per scrivere anche a mio padre, cosa che mi rimproveravo sempre di fare troppo poco spesso.
Gli feci semplicemente sapere che ero arrivata in Alaska e che stavo bene, anche se ero più che certa che mia madre lo stesse già tenendo costantemente informato su ogni mio movimento; nonostante fossero separati ormai da parecchi anni, mamma aveva sempre voluto renderlo partecipe della mia vita più di quanto non mi sforzassi di fare io stessa.
Era una cosa che un po’ mi imbarazzava -odiavo essere l’oggetto principale di una conversazione, persino se a farla erano i miei genitori-, ma che sotto sotto trovavo molto bella.

Scivolai fuori dal letto in punta di piedi e mi diressi in bagno, facendo attenzione a non urtare nulla per non svegliare la mia coinquilina.
Feci una doccia veloce e mi lavai i denti.

Quando uscii, trovai Tessa seduta sul mio letto, intenta a rovistare tra le cose di una delle mie valigie.

< Bella. > Disse con tono estremamente serio, alzando lo sguardo su di me. La sua espressione rivelava un enorme disappunto.

Impallidii, chiedendomi cos’avesse potuto trovare lì dentro di tanto sconveniente.
Per un attimo temetti il peggio: e se mia madre ci avesse infilato dentro qualcosa senza che me ne fossi accorta?
Qualcosa tipo, che so… un peluche della mia infanzia?!
Più ci pensavo e più l’ipotesi mi sembrava realistica. Sarebbe stata proprio una cosa da lei.

< Cosa…? > Farfugliai, sentendomi sprofondare per la vergogna.

< Qui dentro non c’è assolutamente nulla di adatto ad una festa, Bella. > Fece lei avvilita, continuando a frugare nevroticamente tra le pile di magliette larghe e maglioni dolcevita.

Non riuscii a trattenere una risata.
Grazie al cielo.
Forse avrei dovuto sentirmi offesa, ma cos’era in fondo una critica al mio modo di vestire rispetto alla possibilità di essere scoperta con un orsetto di pezza in valigia?
Inoltre, non ero particolarmente sensibile sull’argomento.
Non ero mai stata troppo attratta dai bei vestiti, o dallo shopping in generale, e non avevo alcun problema ad ammetterlo.
Un bel maglione caldo e morbido, a mio parere, batteva 10 a 0 qualsiasi altro capo di vestiario.

Mi strinsi nelle spalle, sedendomi accanto a lei.
< Non credevo di avere feste in programma > Mi giustificai, ma a giudicare dall’espressione scioccata con cui Tessa si girò a fissarmi, dovevo aver scelto la risposta sbagliata.

< Quindi tu sei una di quelle che si iscrivono all’Università per studiare? > Chiese, strabuzzando gli occhi e guardandomi come fosse un ragazzino allo zoo e io l’esemplare di una specie in via d’estinzione.

Scoppiai a ridere.
Non riuscivo esattamente a capire dove finisse la vera Tessa e dove iniziasse il teatro, ma le sue palesi esagerazioni mi divertivano.

< Eddai Tessa, piantala > Ridacchiai, dandole un colpetto scherzoso sulla spalla.

Chiuse la valigia e scosse la testa, sospirando.
< Fortuna che ti hanno messa in camera con me. Qualcuno doveva pur salvarti da te stessa > Sbuffò, alzandosi di scatto.

< Di buono c’è che sappiamo cosa fare oggi. > Aggiunse, lanciandomi un’occhiata eloquente.  

Stupendo, shopping.
Alzai le mani in segno di resa < Sei tu il capo >.

La mia obbediente capitolazione la tranquillizzò; forse pensò che in fondo non fossi una causa del tutto persa.

Tornò a sfoggiare lo stesso sorriso raggiante con il quale mi aveva accolta la notte precedente.
< Ma prima… > Disse, sollevando un dito < Colazione! Ricordi i muffins di cui ti parlavo? Devo proprio farteli assaggiare >

 
Una decina di minuti più tardi eravamo pronte per uscire.
Chiudemmo la porta dell’appartamento a chiave e percorremmo il corridoio fino a raggiungere le scale.
Due ragazzi in tenuta sportiva, intenti a chiacchierare e ridacchiare tra loro, stavano scendendo proprio in quel momento dal piano superiore.
Erano entrambi piuttosto carini; alti, in forma, uno castano/biondo e l’altro moro.

Non appena ci videro, smisero di parlare.

< Tessa Price! > Esclamò il moro con un sorrisetto strafottente, chinandosi in una sorta di riverenza.

Una smorfia si fece strada sul viso della ragazza.
< McDougall. > Commentò in risposta, passando oltre senza degnarlo di uno sguardo < Chi non muore si rivede >.

Io la seguii senza aprire bocca.

 < Avanti Tess! È così che si salutano gli amici? > Insistette quello, correndoci dietro lungo la rampa di scale che scendeva al pian terreno.

D’improvviso sentii il suo braccio avvolgermi le spalle.

< E questa bella ragazza non me la presenti? > Mi strizzò l’occhio.

Forzai un sorriso, cercando di scivolare via dalla sua stretta.
< Sono Bella > Mormorai a denti stretti.

< Lascialo perdere Bella, fa’ come se non ci fosse > Disse Tessa, alzando gli occhi al cielo.

Lui la ignorò completamente, e con due lunghi passi si portò di fronte a me, costringendomi a fermarmi per non finirgli addosso.
< È un piacere, Bella. Mi chiamo Hunter McDougall > Fece, sempre con quel sorriso impertinente stampato in faccia. < Camera 3F. > Aggiunse, ammiccando.

Sollevai un sopracciglio, colpita da tanta sfacciataggine.
< Lieta di saperlo > Replicai, risultando più acida di quanto avrei voluto.
Non era mia intenzione farmi dei nemici il primo giorno, ma neanche lasciarmi trattare da stupida.

Tessa scoppiò a ridere, soddisfatta della mia risposta, e si voltò verso l’altro ragazzo:
< Ma Dominique, seriamente. Tu perché giri ancora con quest’idiota? >

< Su, non essere crudele Tess > Sghignazzò Hunter.
Quei due si punzecchiavamo come bambini.

< Che posso farci > Sospirò il biondo, dando una gomitata all’amico < Continuano a metterci in camera assieme. Sono condannato >.

Tessa gli lanciò un’occhiata di ironica compassione, e voltandosi verso di me mi fece cenno con il capo di riprendere a camminare.
Ma proprio quando stavamo per voltarci, Dominique -con una manovra piuttosto furba- disse l’unica cosa che avrebbe certamente convinto Tessa a trattenersi ancora un po’.  

< Ma quindi questa festa, Tess? >

Mi voltai a guardarla, e vidi i suoi occhi illuminarsi come quelli di un bambino di fronte a un cesto di cioccolatini.
Era cascata dritta dritta nella trappola.

Si voltò nuovamente verso i due ragazzi, improvvisamente allegra.

< Im-per-di-bi-le, assicurato > Disse, scandendo le sillabe una ad una.

< Oh, Dominique, a proposito > Aggiunse frettolosamente, < Avremo bisogno del tuo aiuto per comprare gli alcolici >.

< Li ho anche io 21 anni > Fece notare Hunter, evidentemente infastidito per non esser stato preso in considerazione.

< Ma nessuno lo ha chiesto a te > Ribatté lei.

Seguì un breve ma intenso silenzio, durante il quale ci fu un ricco scambio di sguardi d’odio tra i due, e di occhiate di reciproco compatimento tra me e Dominique.
Sembrava sentirsi a disagio quasi quanto me.

< In ogni caso, non credo che verrò alla festa > Disse Hunter, ostentando indifferenza < Non ho voglia di trovarmi circondato da matricole >
Tessa annuì, sorridendogli maliziosamente.

< Certo, le matricole > Fece, con un tono di pungente sarcasmo.
< Tranquillo, lei non è invit… > Stava continuando, ma Hunter, visibilmente infastidito, si affrettò ad interromperla:

< Dai Dom, dovevamo allenarci o sbaglio? > Sibilò tra i denti, e senza nemmeno salutare partì di corsa verso l’uscita del dormitorio.

Dominique alzò gli occhi al cielo, leggermente imbarazzato per il comportamento dell’amico, e ci sorrise con gentilezza.
< Ragazze > Ci salutò con un cenno del capo, e anche lui prese a correre.
 
Per quanto incuriosita da quelle bizzarre dinamiche, preferii non chiedere nulla a Tessa; ero certa che se avesse voluto, non si sarebbe fatta problemi a parlarmene lei.
E infatti solo dopo qualche secondo di silenzio, non appena fummo uscite in cortile sotto il cielo grigio di quel sabato di settembre, lei esplose.
Era chiaro che avesse provato a trattenersi, ma il desiderio di lamentarsi ebbe la meglio.  

< Ignora quell’imbecille, Bella. Fa il cascamorto con qualsiasi ragazza gli capiti a tiro, davvero disgustoso. > Fece una breve pausa, ma io non parlai; se c’era una cosa che avevo capito di lei, questa era che ogni suo discorso non poteva durare meno di due minuti.
Infatti riprese immediatamente a parlare, più infastidita di prima.

< E credi davvero che il suo problema con la mia festa siano le matricole? Come no, ridicolo. La verità è che non si è ancora ripreso dal party di fine anno dello scorso giugno, quando il suo ego è stato fatto a pezzi da Alice Cullen >.

Non appena pronunciò quel nome, mi ribalenarono in testa i ricordi della notte precedente e del ragazzo del pianoforte.
Sentii il sangue infuocarmi le guance, mentre ripensavo alla colossale figura di merda che avevo fatto facendomi trovare accovacciata davanti alla porta di uno sconosciuto alle due di notte.

< Immaginati la scena: Hunter ubriaco che cerca di baciare una ragazza alta 30 cm meno di lui, e questa che lo scansa e gli sloga una spalla. Involontariamente per giunta, almeno a sentire lei. Mi chiedo cosa sarebbe successo se ci fosse stato anche Jasper > Tess fece una risatina nervosa, < In effetti sì, ripensandoci è piuttosto imbarazzante; e il risultato è che ora Hunter non vuole più mettere piede ad una festa. Ma non ti sembra tutto un po’ patetico? > Sbottò.

Non riuscivo a capire cosa la innervosisse tanto; in fin dei conti la storia era divertente.

Sebbene l’idea di una ragazza che per evitare una molestia di Hunter gli aveva spaccato il braccio mi avesse fatta ridere, la mia testa era rimasta ancorata al ricordo della notte precedente.
Era riemerso tra i miei pensieri, anche se in modo tutt’altro che nitido, il viso di quel ragazzo, talmente perfetto da renderlo quasi inquietante.
Mi resi conto di non conoscere ancora il suo nome, e improvvisamente sentii la necessità di scoprirlo.

< Alice Cullen hai detto? Cioè, la sorella di… > Chiesi con fare ingenuo, sperando che Tessa completasse la frase.

< Di Edward, esatto. Sorella adottiva >
Edward. Bingo.
Era un nome piuttosto desueto, ma per qualche motivo trovavo che gli calzasse a pennello.

Ma Tess non si limitò a dirmi quello, naturalmente. Bastava darle un leggerissimo input perché si buttasse a capofitto in un nuovo soliloquio.
< Sono 5 fratelli, tutti adottivi, tutti più o meno coetanei. E te l’assicuro, se già è dura incontrarne uno, vederli tutti assieme ti sotterra l’autostima. Non so come facciano ad essere tutti così belli. Anche se in realtà una o due teorie ce le avrei >

Improvvisamente Tess si fermò.
Mi resi conto che avevamo già percorso tutta la via e che ci trovavamo di fronte ad una piccola pasticceria super affollata.
Mi avvicinai alla vetrina per spiare all’interno, stupendomi di quanta gente riuscisse a stare lì dentro. Dovevano essere veramente speciali quei muffins.

< Aspettami qui solo un secondo. Prendo due muffins e arrivo > Disse Tess, per poi aggiungere con un sorrisetto presuntuoso < Conosco il proprietario >.

Iniziavo a capire quali fossero i veri vantaggi della popolarità.
Ed effettivamente, poco più di un minuto più tardi Tess uscì dalla pasticceria stringendo tra le mani un sacchetto di carta e due bicchierini di caffè take-away.
Ci sedemmo su un muretto lì accanto e spartimmo la colazione.
Aveva proprio ragione: quei muffins erano la fine del mondo.

< Quindi, queste teorie sui Cullen? > La incalzai dopo un po’, decisa a non lasciar cadere nel nulla la conversazione.

< Ah, già! > Esclamò lei, con la bocca ancora piena. < Dicevo… per me le opzioni sono due: o signore e signora Cullen hanno appositamente adottato i bambini più belli, magari per tirare su un pool di modelli e farci soldi >

Soffocai una risata, curiosa di ascoltare anche la seconda teoria.

< Oppure sono già tutti rifatti. Dopotutto il dottor Cullen è un medico, sarà pieno di amici chirurghi plastici >

Non mi trattenni più e scoppiai a ridere.
La fantasia di quella ragazza non aveva confini.

< Ma sei seria Tess? > Ridacchiai, notando la sua espressione perplessa.

< So che può sembrare stupido, ma quando li avrai conosciuti vorrò sentire le tue di teorie > Bofonchiò offesa.

Uno in realtà lo avevo già ‘conosciuto’, e in effetti la sua bellezza andava decisamente oltre l’ordinario.

< Per questo sono stufa di invitare Alice alle mie feste. Tutti si innamorano di Alice > Disse frustrata, < Perché lei, a differenza di suo fratello, oltre ad essere incredibilmente bella sa anche stare in mezzo alla gente >.

Ed eccolo lì, limpido come il sole, il vero motivo di tutto quell’astio: Tessa era gelosa.
E qualcosa mi faceva sospettare che anche Hunter avesse un ruolo nella faccenda, visto il modo in cui lei l’aveva trattato poco prima, ma erano solo teorie.
 
Finimmo di mangiare e, mio malgrado, Tess insistette per portarmi un po’ in giro per negozi. Diceva che se non mi fossi trovata un bel vestito da indossare il sabato seguente, mi avrebbe tenuta chiusa a chiave in bagno per tutta la durata della festa.
L’idea in realtà non mi dispiaceva affatto, ma questo certamente non glielo potevo dire. E poi, in fondo, non mi avrebbe fatto così male coltivare la mia vita sociale una volta tanto.


Dopo aver camminato per circa dieci minuti, Tessa – che in quel breve lasso di tempo era riuscita più o meno a raccontarmi la sua vita intera –, si fermò per indicarmi un negozietto dalla parte opposta della strada.  

< Ti prego Bella, piccola sosta fuori programma! Lì ho comprato il profumo più buono della mia vita l’anno scorso > Gongolò, e senza lasciarmi il tempo di rispondere aggiunse a bassa voce:
< La proprietaria è un’altra dei fratelli Cullen, Rosalie. Finito il liceo boom, ha abbandonato gli studi e ha deciso di aprire una sua attività qui in città. Non so come l’abbiano presa i suoi, ma avendo come madre la Rettrice dell’Università non penso che sia stata una scelta facile. La ammiro molto per questo; è sicuramente la Cullen che preferisco. >

Da come l’avevo sentita parlare poco prima, sospettavo che tale preferenza avesse anche un altro fondamento: a differenza di Alice questa Rosalie, non frequentando l’Università, non poteva rovinarle la piazza.

Attraversammo la strada, e un attimo prima di entrare nella piccola profumeria Tess mi bisbigliò all’orecchio:
< Guardala bene. Poi mi dirai se la teoria della plastica facciale è davvero così assurda >

Sorrisi divertita e la seguii all’interno.
 
< Buongiorno > Ci accolse immediatamente una voce radiosa.
Una ragazza dalla folta chioma bionda, spaventosamente bella e senza un capello fuori posto, ci sorrideva da dietro il bancone.
Perfino il modo in cui stava ferma in piedi esprimeva eleganza.
E, così come lei, anche il suo negozio era estremamente curato, quasi fiabesco: era pieno di mensole e di scaffali dalle tonalità color pastello e le pareti interne erano per buona parte ricoperte da piante rampicanti.
 
Mi sentivo decisamente fuori posto.  

Mentre Tessa si fiondava tra gli scaffali alla ricerca del suo profumo, io rimasi colpita da una piccola vetrinetta sistemata contro la parete, accanto all’ingresso.
Al suo interno, in perfetto ordine, erano posizionate sei piccole boccette.

La prima riportava sull’etichetta il nome di ‘Alice’.
La seconda quello di ‘Esme’.
Certo, Esme Cullen, la Rettrice.
Rimasi affascinata nel rendermi conto che ognuna di quelle boccette doveva essere dedicata ad uno dei membri della sua famiglia.

Automaticamente, quasi senza accorgermene, cercai con lo sguardo la boccetta di Edward.
Feci scorrere lo sportello trasparente della vetrina e la presi in mano, quindi svitai il piccolo tappo nero e mi portai la boccetta all’altezza del viso, per sentirne l’odore. Era un profumo squisito, perfettamente equilibrato. Chiusi gli occhi per alcuni istanti, respirando a fondo.

Quando li riaprii sobbalzai, accorgendomi di avere Rosalie a poche spanne di distanza.

I suoi grandi occhi scuri mi scrutavano con curiosità.
< Posso aiutarti? > Chiese.

< Oh… no, grazie, stavo solo… che odore è questo? > Chiesi, arrossendo.

Rosalie mi rivolse un sorriso angelico:
< È un’essenza a base di lavanda e cannella. Sono gli aromi preferiti di mio fratello > Rispose; si interruppe un momento, come sovrappensiero, e rise tra sé e sé di qualcosa che non potevo capire < Ha un debole per le fragranze dolci >

Di colpo il suo viso si illuminò e, con la mano, mi prese un polso. La stretta era delicata, ma la sua pelle talmente fredda da provocarmi un brivido.

< Permetti che ti consigli qualcosa? > Domandò, con un tono di voce talmente zuccherato e suadente che mi fu impossibile non annuire, nonostante fossi entrata lì dentro senza la minima intenzione di cercarmi un profumo.

Lei chinò il viso sul mio braccio e per alcuni istanti aspirò l’odore della mia pelle; sentii la sua mano stringere la presa, arrivando quasi a farmi male.
Dopo un momento, la ragazza si scosse leggermente e tornò a guardarmi con un sorriso vagamente imbarazzato.

< Perdonami. Hai davvero un buon odore. > Disse, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Poi, gentilmente, mi sfilò di mano la boccetta e la ripose all’interno della vetrina.

< Questo non è adatto a te. L’odore del tuo… della tua pelle è già estremamente dolce. Ti consiglierei una nota più agrumata > E senza esitazioni si diresse leggiadra verso un altro scaffale.

Rimasi immobile a fissarla, incantata e colpita dalla semplicità con cui era riuscita a decifrare il mio odore in una manciata di secondi.
Quella ragazza doveva avere un dono.
 
   
 
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