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Autore: Fleurs Captives    15/05/2020    1 recensioni
La storia ripercorre in parte alcuni degli avvenimenti originali che vengono mostrati nell'anime (NB: non ho ancora letto il manga) dal punto di vista di un personaggio originale: la mia protagonista, Lydia. Si tratta, però, ugualmente di un universo alternativo.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Wounded Wings

Capitolo 3 – Rinascita
 
« Allora buon viaggio, Askeladd! Spero che la permanenza sia stata soddisfacente per te e i tuoi uomini! »
« Puoi giurarci, Jorgen, erano mesi che non mangiavo così bene! Beh, allora grazie e arrivederci. »
Askeladd e i suoi soldati erano in procinto di lasciare quel luogo che era stato per loro fonte di ristoro e di divertimenti, anche se solamente per una notte. O forse lo era stato per quegli ignari uomini, ma meno per il loro capo.
Due penetranti occhioni lo fissavano dall’uscio del palazzo. La figura di Lydia era parzialmente celata, ma ciononostante il leader vichingo poté percepirne lo sguardo puntato su di sé. La guardò anch’egli, un’ultima volta. Probabilmente non l’avrebbe rivista per un bel po’, o forse mai più.
L’esercito di Askeladd lasciò il palazzo e da quel momento la vita sembrò tornare quella di sempre. Fatta eccezione per un particolare: nelle settimane successive, Jorgen iniziò a manifestare strani sintomi. Tossiva spesso, era debole, malaticcio. Pareva addirittura essersi rabbonito nei riguardi della fanciulla dalla chioma ramata. O forse, semplicemente, non aveva la forza necessaria per tormentarla come solitamente avrebbe fatto. Lydia non poteva saperlo. Ciò che sapeva per certo, tuttavia, era che i frequenti episodi di violenza non si erano più verificati, da quella notte nelle cucine. Il vecchio nobile passava ormai la sua vita costretto a letto, con la febbre costantemente alta ed una tosse abbaiante, ad inveire contro l’infausto destino che gli era toccato. Che stesse giungendo la sua fine? Lydia sperava fervidamente che così fosse. Periodicamente le tornavano alla mente le parole che Askeladd le aveva rivolto. Prendere in mano la situazione e reagire, così da diventare sua pari, sarebbe stato eccezionale, ma come avrebbe potuto, una come lei, riuscire a ribellarsi davvero a quella tremenda realtà? Sperava solamente che l’improvvisa malattia agisse al posto proprio.
In quelle giornate sembrava tutto più semplice, con Jorgen confinato a letto, debilitato e perennemente stanco. Lydia aveva senza dubbio ricominciato a respirare e le continue visioni dell’angelo dai capelli rossi sembravano essere del tutto svanite.
Trascorsero all’incirca dieci giorni quando, una sera, la giovane serva si trovò a varcare, per la terza volta nell’arco di quella giornata, la soglia della camera da letto del proprio padrone. Recava con sé un vassoio, contenente la cena destinata all’infermo. Lo posò sul letto.
Quella sera Jorgen pareva più vivace e reattivo rispetto ai giorni precedenti e ciò non fu propriamente di conforto per la fanciulla.
« Finalmente, ce ne hai messo di tempo. Stavo morendo di fame. » grugnì aspramente egli, sistemandosi come meglio poté sul materasso, così da permettere alla piacente schiava di imboccarlo.
« Di’ la verità, farmi morire di fame era il tuo obiettivo, ah? Oppure dentro queste brodaglie che puntualmente mi propini sciogli ogni giorno qualcosa per accopparmi? » bofonchiò l’anziano padrone, pur ospitando tra le proprie labbra il primo boccone della liquida pietanza. Lydia non rispose, come suo solito. Neppure lo guardò, era convinta che non fosse serio in quelle accuse. Se ella avesse realmente avuto tra le mani una qualsivoglia sostanza in grado di uccidere un tipo come Jorgen, non avrebbe certo atteso che lo spedisse all’altro mondo con cotanta lentezza.
Nonostante ciò, fu quello sguardo evasivo che insospettì maggiormente l’uomo, il quale, con un rapido scatto, bloccò bruscamente l’avanzata del braccio di Lydia verso la propria bocca, afferrandole con forza l’esile polso. La morsa attorno ad esso fu tanto energica e dolorosa da indurre la giovane a lasciar andare la presa sul legnoso cucchiaio, che finì inesorabilmente a scontrarsi col pavimento. Ora la rossa lo guardava, la propria espressione appariva allarmata. Lord Jorgen aveva ottenuto finalmente la sua attenzione.
« Guardami, stronzetta. E’ quello che stai facendo o no? »
La situazione stava divenendo preoccupante. Sentì i propri muscoli irrigidirsi. Era come se la quiete di quei giorni si fosse improvvisamente dissolta davanti ai propri occhi. La dolce e confortante illusione che tutto stesse andando nel verso giusto scomparve così con essa. Il proprio cuore martellava insistentemente nel petto.
Con lentezza e quel briciolo di audacia che pareva esserle rimasto, scosse appena il capo, in segno di negazione. Non aggiunse altro, taciturna come suo solito.
In quell’istante, uno strano sorriso si dipinse sulle labbra secche e pallide del più anziano. Un sorriso indecifrabile, sinistro. Questi lasciò andare d’improvviso il polso della fanciulla, smorzando una risatina.
« Ha! Sto delirando. Non lo faresti mai, non è vero? » le domandò egli, ma era convinto di conoscere già la risposta. Lydia lo guardava, temeva ancora il peggio, mentre con le esili dita di una mano massaggiava appena l’area del proprio polso che era stato stretto con tanta veemenza, e che ora riportava i segni rossastri delle dita di Jorgen.
« Non faresti del male ad una mosca, tu… sei un agnellino. Un piccolo, insignificante agnellino di fronte ad un lupo in procinto di divorarlo. » e ghignò a quelle parole, mentre tese un braccio nella direzione altrui.
« Su, vieni incontro al tuo destino, agnellino. »
Si sporse appena verso di lei, la stava invitando ad avvicinarsi a lui senza ricorrere alla violenza, gesto che egli ritenne estremamente magnanimo. Ma Lydia non pareva essere della stessa idea. L’insolita generosità dimostrata dall’uomo non fu che un pretesto per arretrare di un mezzo passo da lui. Tale risposta non venne accolta di buon grado da quest’ultimo, il quale inarcò un sopracciglio a quell’inattesa trasgressione.
« Che c’è, hai perso anche l’udito, oltre che la parola? Ti ho detto di avvicinarti. » la esortò una seconda volta, ma neppure quella sollecitazione parve sortire l’effetto sperato. Stava perdendo la pazienza.
Lydia arretrò ancora, mentre il palpitare nel proprio petto si faceva sempre più incalzante. Trattenne il fiato.

« CHE PROBLEMA HAI, PUTTANA MALEDETTA?! » esplose. Jorgen scoppiò in quel collerico ruggito, qualche secondo dopo, squarciando il silenzio. Con un violento gesto del braccio sinistro, allontanò da sé e gettò via il vassoio contenente il suo pasto, che finì rovinosamente al suolo, provocando un fracasso terribile. Il tutto indusse la rossa a sobbalzare dal terrore, indietreggiando ulteriormente. Sul volto di Jorgen un’espressione intrisa di ferocia era dipinta. Si sollevò dal letto, la furia che provava gli conferì la forza necessaria per schizzare fuori dalle coperte. Tentò di avventarsi contro l’inerme e terrorizzata preda, ma in quel momento un forte senso di debilitazione colse impreparate le sue membra e dovette reggersi alla pediera del letto, accasciandosi contro di essa.
La fanciulla schiuse le labbra per lo stupore. Egli era davvero tanto indebolito da non riuscire a raggiungerla? Non fece in tempo neppure a terminare tale quesito nella propria mente, che l’anziano signore aveva già ritrovato lo slancio necessario per risollevarsi. Lydia retrocesse ulteriormente ma, a pochissimi centimetri di distanza sé, un divampante fuoco ardeva alle proprie spalle, nel caminetto della stanza. Se avesse indietreggiato ancora, il proprio abito sarebbe andato a fuoco istantaneamente. Ciò diede adito a Jorgen di raggiungerla e, con un rabbioso e violento schiaffo, atterrarla. Ella finì in ginocchio, ai suoi piedi, ma non soddisfatto, l’uomo la colse in pieno volto con un brutale calcio, che la fece stramazzare al suolo.
« Cagna schifosa! Ti distruggo! » sbraitò contro il corpo inerte e disteso della giovane, per poi iniziare freneticamente a liberarsi degli abiti che lo coprivano.
Frattanto, in procinto di perdere i sensi, Lydia parve scorgere qualcosa di familiare di fronte a sé. Jorgen sembrava essersi dileguato, ora era l’angelo dai capelli rossi a fronteggiarla. Il suo volto era costellato di lividi, nei punti esatti in cui ella stessa era stata colpita. In quel frangente l’angelo era triste, ma non piangeva. Con esitazione, sembrò porgerle qualcosa: un arco ed una freccia, che le venivano offerti.
Fu in quel momento che comprese. Qualcosa nella propria mente scattò.
 
« Prendi in mano la tua vita. Solamente tu sei in grado di farlo. Se non farai al più presto qualcosa per afferrarne le redini… sarà la tua vita a manovrare te. »
 
Quelle parole le rimbombarono nella testa e d’un tratto tutto parve più chiaro.
Sgranò le palpebre. Lord Jorgen era piegato verso di lei, le aveva disgiunto le cosce, pronto ad insinuarsi tra di esse. Il suo viso trasudava lurida eccitazione, la sua mente era annebbiata dalla libidine, il suo sguardo inchiodato sulle forme gentili della schiava che egli tanto bramava. Fu allora che, con adrenalinico ardore, quest’ultima trovò il coraggio di afferrare l’attizzatoio per il fuoco, posto a pochi centimetri dal proprio capo e fermo lì, accanto a lei, come un dono divino. Senza lasciargli neppure il tempo di realizzare quanto appena accaduto, ella gli piantò l’acuminato oggetto dritto nell’occhio destro, senza alcuna remora.
I successivi istanti, Lydia li vide passare davanti ai propri occhi come a rallentatore. Alcune gocce di sangue colpirono la propria gota, poco prima che un urlo straziante riempisse le mura di quell’umida stanza. Le grida disperate e raggelanti di Jorgen furono tutto ciò che colmò l’atmosfera per i secondi successivi. Questi inarcò il busto all’indietro e si lasciò cadere al suolo, mentre agonizzava dal dolore. La giovane scattò all’impiedi ed afferrò nuovamente l’appuntito aggeggio per il manico, tirandolo a sé con forza e liberando l’occhio del proprio padrone, il quale reagì con un ulteriore strillo, ancor più assordante. Un getto di sangue zampillò dalla ferita, ora esposta, che l’uomo coprì disperatamente con ambo le mani, mentre si contorceva per l’estrema sofferenza che stava provando.
Lydia rivolse lo sguardo alle proprie mani, intrise del sangue di colui che fino a qualche attimo precedente temeva. Era stata realmente lei a ridurlo in quelle miserevoli condizioni? Le risultava davvero difficile avvezzarsi a quell’idea. Eppure l’angelo dai capelli rossi era lì, di fronte a lei, e per la prima volta le sorrideva genuinamente, sembrava orgoglioso. In quell’istante parve muoversi, avanzare con lentezza verso di lei, fino a raggiungerla. E come in un caldo abbraccio, il suo corpo etereo avvolse quello della fanciulla, fondendosi con esso. Fu una sensazione tiepida, accogliente, docile. Qualcosa che non provava da lungo tempo. Qualcosa che rasserenò il proprio animo per una breve manciata di secondi.
 
Sì, io… ora comprendo. Questo angelo in realtà è…
 
« DANNATA PUTTANA!!! »
Un ringhio spietato la fece tornare alla realtà e distrusse quell’apparente quiete in pochi attimi. Lord Jorgen aveva strisciato verso di lei, con l’esigua forza rimastagli in corpo, tentando di riacciuffarla per l’orlo della sua gonna. Ella, approfittando dell’evidente debolezza dell’altro, se ne liberò con un calcio in pieno volto, ricambiandogli il favore di poco prima. Questi finì nuovamente disteso al suolo, stremato. La rossa lo guardò un’ultima volta e chinò appena il busto verso di lui. Forse egli non riusciva a guardarla ma di sicuro poteva sentirla.
« L’agnellino manda i suoi saluti. » sibilò, rivolgendogli la parola per la prima ed ultima volta. Il moribondo spalancò le labbra per la sorpresa, ma fu l’unica reazione che ebbe il tempo di manifestare. Con un gesto secco, rapido e mirato, la giovane puntò al suo addome, trafiggendolo con l’arma che ancora stringeva tra le mani. Accompagnò a quel colpo un grido liberatorio, molto simile ad un ruggito, che esorcizzò tutto ciò che fino a quel momento aveva trattenuto dentro di sé. Il ruggito di una combattente che con le unghie e con i denti si stava battendo per rimpossessarsi della vita che le era stata portata via.
Un rantolo di dolore seguì da parte della figura lesa, ma la schiava non sembrò soddisfatta. In quel momento le tornò alla mente tutto il male che quell’uomo era stato in grado di infliggerle, derubandola dell’innocenza, della dignità e della libertà.
Lo colpì ancora, ancora e ancora. Lo colpì complessivamente quattro volte, in punti disparati dell’addome, fino a togliergli la vita. Fu feroce, incontrollabile, brutale come non lo era mai stata. Fu ciò che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
A fatto compiuto, trascorse interi minuti immobile, a fissare il vuoto. Il proprio viso, pervaso di sangue non proprio, era illuminato scarsamente dalla fioca luce proveniente da quel camino che le aveva salvato la vita. Il proprio respiro era pesante.
D’un tratto, si risollevò gradualmente. Con passi lenti e di piombo si approssimò ad un vecchio specchio presente nella stanza, dall’aspetto consumato e con delle macchie scure sulla superficie. Guardò la propria immagine riflessa in esso e quasi faticò a riconoscersi. In preda ad un improvviso sbigottimento tentò di ripulire forsennatamente con le proprie mani le tracce di fluido ematico presenti sul proprio volto, ma ciò non fu particolarmente efficace. Accortasi dello scarso successo di quel gesto si fermò, avvilita.
 
« Combatti per la tua libertà, riprenditi la vita che ti spetta. Se sarai in grado di farlo, se sarai capace di afferrare con le tue mani il timone della tua esistenza, allora ti considererò mia pari. »
 
In quell’esatto istante, le parole di Askeladd, che tanto l’avevano colpita la prima volta, le tornarono alla mente, come di punto in bianco. Fu allora che si rese conto che quell’immagine proiettata nello specchio, infondo, non faceva poi così paura.
Un repentino sorriso sorse ad agghindare le proprie labbra. Il primo, vero sorriso da quando la propria prigionia aveva avuto inizio. Successivamente, un solo ed unico sibilo fuoriuscì da quelle labbra distese ed appena dischiuse:
« Aspettami. »
  
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