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Autore: Urban BlackWolf    15/05/2020    4 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il prezzo di una scelta

 

 

La pigiatura dell’uva della Prima iniziò presto, praticamente subito dopo il frugale pranzo a base di panini che tutta la masseria Tenou, o quasi, si concesse prima d'iniziare l'ultima giornata di lavoro. Massacrata da interminabili telefonate e rimasta chiusa nello studio fin dall'alba, solamente Michiru non era riuscita a sedersi a tavola.

Sempre con gran parte della testa impegnata nel ricordo delle sensazioni tattili provate nel baciare Haruka, la violinista aveva cercato di concentrarsi il più possibile, il che era stato difficilissimo e per nulla redditizio.

Così dopo svariato tempo attaccata alla cornetta del cordless, vinta dall’ennesima discussione con Seiya e vogliosa di mandare tutta la U.A.F. al diavolo, sospirando si arrese all’evidenza di non avere più tempo. Terminato quel supplizio si alzò lentamente dal divano dov’era crollata con un vago senso di nausea. Eppure sia il suo ex compagno, che il signor Stern, non ultimo il Direttore della Filarmonica, negli anni addietro erano stati per lei dei punti fermi, una parte della sua famiglia. Dei colleghi rispettabili. Come poteva ora averne tanto rifiuto?

Dovrò farmela passare, si disse stirando le labbra tornando così ad indossare metaforicamente la sua bella uniforme da bravo soldatino che l'avrebbe accompagnata nei mesi successivi.

Attirata dal vociare gioioso proveniente dall’esterno, la donna cercò di rinchiudere i pensieri angosciosi di un dovere che non voleva più, nel più profondo dei pertugi e corse fuori desiderosa di godersi appieno quelle ultime ora di libertà tra coloro che meritavano veramente il meraviglioso appellativo di famiglia. Sembrava passata un’eternità da quando l’avevano presa con loro ed invece erano solamente poche settimane. Si sentiva diversa e per alcuni versi lo era, ma sapeva anche di essere un pezzo da novanta della classica che non poteva più permettersi di restarsene rintanata in quella bolla ovattata fatta di rispetto e amore. Aveva delle responsabilità, non soltanto verso il suo pubblico, ma anche e soprattutto verso i due contratti capestro ai quale Seiya per primo, tempo addietro, non aveva saputo dire di no. Ed ora era costretta a rivedere tutti i suoi piani di fuga, perché, se prima il vendere il suo Stradivari le avrebbe permesso di pagare le penali sulla rescissione dei contratti che la legavano con la U.A.F. e la Filarmonica, ora il non averlo più la costringeva ad abbassare la testa e a sottostare ai suoi doveri.

Si malediva Michiru, non certo per aver scelto d’impersonificare il donatore misterioso, lo avrebbe fatto altre cento, mille volte, ma tolta la rete di sicurezza che il suo violino le dava, adesso era alla mercé del mercato e quest’ultimo, divoratore d’anime e di vite, richiedeva a gran voce la sua dea sforna denaro e lei, ormai mero burattino senza più possibilità di parola, doveva obbedire. Era cosa di pochi minuti prima l’aver saputo che tutti i concerti improvvisamente sospesi dopo la sua sparizione, erano stati ripristinati dall’inizio di novembre fino a Capodanno. Una turnè dopo l’altra che l’avrebbero portata lontano. Tanto. Troppo.

Uscendo di casa si ritrovò inondata di colori e suoni, canti per lo più, vecchie canzoni che si tramandavano di generazione in generazione e che creavano ogni anno la colonna sonora di quell’ultimo lavoro. Salutando alcune persone, Michiru scorse Giovanna e Minako con gli avambracci poggiati al bordo del grande tino non ancora del tutto riempito d’uva. Parlottavano serene come prima della partenza per una gita e questo la invogliò ad avvicinarsi, quando vide lei, il tarlo che stava pia piano erodendo il suo cuore, venire avanti dalla parte opposta alla sua con passo più che spavaldo. Camminava lentamente e all’altra sembrò quasi che lo stesse facendo in slow motion, come nelle più classiche scene d’autore.

Quell’atteggiamento tra la guascona e la protagonista fichissima di un film, non scappò neanche alle sue sorelle che pronte, iniziarono subito a ridersela. “Giò, guarda Haruka.” Se ne uscì Mina attirandone l’attenzione.

“E si, sembra un pavone mentre sta per metter su la ruota.” Confermò la maggiore spostando lo sguardo dalla bionda a Michiru.

E brava la nostra Haru. Ti sei finalmente decisa a farti sotto sul serio, pensò Giovanna soddisfatta tra se. Era ora ed anche se non sarebbe stato affatto facile far combaciare due pezzi tanto assurdi, era convinta che questa volta Haruka sarebbe riuscita a costruire con un’altra persona qualcosa d’importante e duraturo. Le piaceva molto Michiru e quello che riusciva a dare ad ognuna di loro. Sarebbe stato un acquisto spettacolare per il clan Tenou se fosse entrata a farne parte.

Ravvivandosi la frangia, la bionda inondò i polmoni di aria buona. “Allora Michiru, sei pronta?” Disse fermandosi a un passo.

Era la prima volta che si parlavano da quando si erano baciate e Tenou sembrava aver cambiato marcia. Stirando le braccia sopra la testa sfoderò un sorriso sghembo indecifrabile.

A Michiru non sfuggì nulla; l’atteggiamento, il modo di guardarla, fino alla famosa canottiera che per sua stessa ammissione le valorizzava in maniera pressoché perfetta il seno. “Vedo che li accetti i consigli.” Provoco’.

"Su cosa?”

“Sul vestiario.”

“Hai notato?!” E posandole una mano all’altezza dei reni la bionda guidò l’altra verso il tino.

Alla violinista non rimase altro che scuotere la testa e sogghignare. Conosceva i segnali di un corteggiamento e il manifestarle nel silos di essere attratta da lei aveva portato tutto su un altro piano. Fino a quel momento Haruka era sempre stata molto discreta; le allusioni al suo aspetto fisico, all’intelligenza, alla classe o alla sua bravura nell’apprendere o fare le cose, erano sempre state rafforzate da gesti gentili e delicati, come il portarle da bere al tavolo quando andavano al pub, l’aprirle la porta per lasciarla passare per prima, o il farle un massaggio alle spalle la sera dopo una giornata di lavoro, ma mai aveva osato andare oltre. Quella donna ci sapeva fare ed era un fatto che, almeno nei suoi confronti, in quelle settimane passate sotto lo stesso tetto gomito a gomito, fosse stata anche molto paziente. Ora dopo quella mattina qualcosa era cambiato e Michiru lo aveva capito, ci aveva sperato e adesso, attratta sempre di più da quella nuova avventura, ne provava un gran piacere.

Vedendole arrivare Giovanna manifestò a Minako il sospetto che tra le due fosse accaduto qualcosa.

“Lo credo anch’io. - Confermò alzando una mano per attirare la loro attenzione. - Hei ragazze…”

“Mina…, vacci piano.”

“Ci andrò di velluto. Tranquilla. “ Ma amava troppo sfottere Haruka perché per quanto sua sorella si credesse nostra signora delle lenzuola, era di gran lunga meno maliziosa di lei.

“Michiru… Hai risolto con i tuoi colleghi?” Chiese la biondina affabile.

“Più o meno. Ma non parliamone ora, spiegatemi invece cosa si dovrebbe fare.”

“Non preoccuparti, ci penserà Haru a farti vedere come si fa. Vero?”

“Certo. Per lei è la prima volta.” Alzò il mento sicura di se.

Troppo facile. L’assist fu talmente ingenuo che Mina fece fatica a rimanere seria. “Lo immagino, ma tu… sarai paziente, giusto?”

“Ovvio! E poi per farlo bene, all’inizio bisogna andarci piano.”

“Si dice in giro che in questo… tu sia una grande.”

“Ci vuole poco! Quando uno è preso dalla frenesia, tende a farlo con troppa foga e così stai pur certa che si rischia solo di fare un gran casino.”

“Nessuna che è stata istruita da te nell’arte della… pigiatura ha mai avuto da ridire?”Chiese Minako con finta ingenuità.

“Non mi sembra proprio.”

“Il sapere insegnare è una dote che si dice porti sempre a grandissime soddisfazioni.” Continuò senza pietà prendendosi per questo un calcetto da Giovanna.

“Mina…” Riprese sottovoce.

“Per caso stai alludendo a qualcos’altro?” Non sopportava quando Minako godeva nel tirarla in mezzo a qualche assurdo doppio senso.

“Tu che dici?”

"Dico che dovresti piantarla.”

“Per me sarebbe il caso di insegnare a Michiru come si fa…”

“Credo di averne un’idea.” Intervenne la violinista stando al gioco della più giovane.

“Ma tra il dire e il fare...”

“Già Mina, in alcuni campi manco totalmente d’esperienza, ma imparo in fretta riuscendo a mettere subito in pratica le cose.” E guardando la bionda alzò le sopracciglia come a volerle dire; insegnami.

“Michi…” Dilatando leggermente le pupille Haruka cercò di uscirne illesa.

“Dunque… - Sbattendo energicamente un palmo sul bordo del tino, Minako proseguì con maggior enfasi. - … è il caso che mia sorella si dia una mossa! Avanti Haru, non startene ferma come un’allocca! Fai vedere a Michi quanto ci sai fare.”

Digrignando i denti la maggiore decretò la fine del gioco e prendendo la violinista per un polso la portò verso la pompa dell’acqua dove si sarebbero lavate i piedi. “Glielo farò vedere se e quando sarà lei a volerlo! E ora vai a sfottere qualcun’altro.”

Minako scoppiò a ridere scuotendo la testa. “Si atteggia a gran figa, ma sotto sotto è sempre la solita tordellona.”

“Dai, è tutta sotto sopra e tu non avresti dovuto metterla in difficoltà davanti alla donna che le piace.” Bacchetto’ Giovanna divertita.

"Ma se perfino Michiru è stata allo scherzo.”

“Vero. Non la credevo tanto maliziosa.”

“Meglio! Se Michiru vorrà far parte della vita di Haruka dovrà anche abituarsi ad avere delle sorelle.” Soddisfatta le diede un colpetto d’anca prima di andare a cercare Usagi.

“Tu continua così che al mondo non regalerai un bambino, ma un fauno.”

“Ha ha, buona questa.” Disse alzando l’indice mentre si allontanava verso l’ingresso di casa.

Haruka ha ragione, pensò Giovanna tornando a guardare le due parlottare insaponandosi i piedi in un bacile. Questo posto pullula d’estrogeni.

Seduta su un ciocco di castagno, Michiru prese l’asciugamano che le stava porgendo la sua insegnante personale rendendo gli occhi a due fessure. “Scusa, quante sarebbero poi tutte queste allieve che avresti avuto?”

“Ma dai retta a Mina? Si, ogni tanto capita che ci siano ragazze nuove che non abbiano mai pigiato l’uva alla vecchia maniera, ma farlo non è poi tutta questa gran difficoltà.”

Avvicinandosi ad un orecchio, Kaiou si fece seria. “Non essere elusiva. Tua sorella è stata molto chiara.”

“Già e scusala…  Alle volte tende a mettere le persone in imbarazzo.”

“Non mi ha dato fastidio, anzi, mi sono divertita. So stare agli scherzi.”

"Contenta tu.”

“E allora?”

“Allora cosa?!”

“Non vuoi proprio dirmi con quante ragazze sei stata.”

Haruka sembrò sorpresa. Davvero voleva fare quel discorso con lei? Immerse tra la gente, davanti a tutti e per di più con un calzino in mano?

“Ma ti sembra il momento di parlare delle mie esperienze?” E poi chi se le sarebbe ricordate tutte?!

“E perché non ora? Questa mattina mi hai aiutata a capire una cosa ed ora sto per entrare in un tino pieno zeppo d’uva con una bionda che i più dicono che da un certo punto di vista sia poco raccomandabile. A me sembra un momento perfetto per continuare a conoscerti.” Ammise serafica alzando le spalle.

Avvicinando il naso a quello della violinista, Haruka arrivò quasi a sfiorarlo. “Allora l’hai poi capita quella famosa cosa!?”

“Non cambiare discorso.”

“Parlare di futuro è di gran lunga più bello che rimuginare sul passato.”

“Sono d’accordo, perciò per ora sei salva dal mio terzo grado. Approfondirò in seguito. Comunque si, la cosa che ho capito è che mi piaci tanto anche dal punto di vista fisico, altrimenti… non sarei qui.”

“E non ne hai paura?” Chiese l’altra cercando di non schiudere le labbra in un sorriso beota.

“Non sono mai stata un tipo pauroso.” Mormorò modulando la voce per renderla sensuale come la sua.

Allora poggiando pesantemente gli avambracci sulle pieghe della gonna che stava coprendo le ginocchia di Kaiou, Haruka emise un profondo sospiro di rassegnazione. “Mi sa che mi sto incasinando la vita.”

“Non dirmi adesso che sei tu ad aver paura.”

Non l’avrebbe mai confessato, ma si, ne aveva da morire. “Io non ne ho mai.”

“Bugiarda.” Sussurrò strappandole il calzino monouso ormai dimenticato nella sua mano.

“Perché, non mi credi?” Spostando il busto all’indietro Haruka si batté energicamente il pugno al petto ribadendo di essere lei l’insegnante.

“Sarai anche esperta, ma assolutamente no, non mi convinci. Comunque non è certo un problema. Vuol dire che basterà il mio coraggio.”

“Ma…, sentitela. - Disse colpita a freddo da quell’improvvisa linearità. - Da dove salta fuori tutto questo?”

“Sono pragmatica, lo sai. Mi piace parlar chiaro.”

La bionda annuì. Non si sarebbe presa una tale pezza per lei se le fosse piaciuta solo dal lato fisico. Michiru era attraente da ogni punto di vista, ed il carattere era forse la cosa che le piaceva di più. Aveva il fuoco dentro, un ardore che riusciva a dominare perfettamente, mentre quello che batteva in lei era spesso disperso nel caos della sua irruenza. Aveva già capito da parecchio come quel calore avrebbe potuto soggiogarla ad ogni suo volere.

“Non venirmi a dire che non hai mai trovato una donna che riuscisse a tenerti testa.” Continuò piegando la testa da un lato.

Poche e non me le sono mai portate al letto, pensò prima d’alzarsi per porgerle la mano.

“Mia madre, Rose, Giovanna e Minako. Anche Usa inizia a darmi del filo da torcere, ma riesco ancora a tenerla a bada. Perciò come vedi…, sono un tipo tosto.”

Afferrando con forza il suo palmo, Michiru si tirò su avvicinando il contatto. “Come avrai capito lo sono anch’io ed in più sono anche molto curiosa.”

A quel cobalto tanto intenso la bionda guardò altrove. Era riuscita a tenere a freno l’animale passionale che le ruggiva dentro, a volte anche con una certa maestria e si era complimentata con se stessa per questo. Un autocontrollo degno di un asceta, che aveva sbandato solo con Bravery e nelle ore solitarie della notte, ma per la miseria, ora sentiva di stare perdendo il controllo della sua libido e quella donna terribile non stava facendo nulla per aiutarla a fare la brava, anzi.

“Sembra che tu faccia di tutto per stuzzicarmi, Michiru.”

“Siamo tra adulte… Si gioca… - E se Tenou faceva la galletta atteggiandosi ad arma letale, Kaiou era in grado di smontarla pezzo per pezzo. - Avanti. Andiamo. Vediamo la prima lezione di questa famosa… insegnante.” Disse felice saltellando sull’erba fino alle scalette di legno che portavano al bordo del tino.

Strofinandosi il collo Haruka ribadì a se stessa di esserci cascata con tutte le scarpe.

 

 

Prima delle diciotto iniziarono ad arrivare gli invitati, tutti gli stagionali e gli operatori che lavoravano alla cantina. Anche Max era stato invitato, ma con molta probabilità non sarebbe potuto passare per via del locale pieno. Erano infatti ancora molti gli stagionali che giravano nella zona scegliendo di passare le ultime ore a bere una buona birra in compagnia di un bel pezzo di manzo grigliato prima di ritornare a casa. Ad Haruka dispiaceva, ma ancor di più a Minako, che dopo la rivelazione dell’uomo al nipote, aveva visto un umanissimo raffreddamento nel loro rapporto. Non che Yaten ce l’avesse ancora con lui, ma voleva prendersi un po’ di tempo per se e la famiglia che a breve si sarebbe allargata.

“Ci ha messo ventisette anni per dirmi di mio padre, non può certo avere la faccia di bronzo d’offendersi se non gli dirò subito che diventerà prozio.” Ci aveva scherzato ridendo al disappunto della compagna.

Verso le diciotto e trenta, Yaten, addetto da qualche anno alla musica, iniziò a pompare hip hop a palla mandando Giovanna fuori dai gangheri.

“Ma che razza di musica è?! Metti roba più adatta che non sia da tossici!”

Affacciandosi da una delle finestre del primo piano, Haruka le fece eco urlando neanche si fossero date una voce. “Cambia quella schifezza! Non siamo ad un rave a calarci gli acidi!”

Guardando prima la donna con le mani sui fianchi davanti a lui e poi la sorella affacciata alla finestra con ancora la camicia mezza slacciata ed i capelli bagnati, alzò le spalle sbuffando un sonoro che strazio.

“Siete vecchie! Mi rifiuto di metter su roba da balera!”

“Ci sarà pure una sana via di mezzo, non credi? - Suggerì la maggiore. - Cambia la tua play list o la gente scapperà ancor prima che si cuocia la carne. A proposito, dov’è la tua donna? Aveva detto che avrebbe pensato lei al cibo.”

“Si, l’ho vista andare in dispensa a prendere le bistecche.”

“E tu perché non la stai aiutando? Forza, schiodati da quella postazione e vai a darle una mano. Avrai tutta la sera per divertirti a fare il ragazzino.” Ordinò mentre Haruka la chiamava in casa.

Chinata la testa e lasciati i piatti, Yaten obbedì mentre Giovanna correva verso il portoncino d’ingresso.

“Haru che vuoi?! Devo ancora darmi una lavata ed infilarmi qualcosa di decente. Sono sporca da far schifo.” Si lagnò entrando nel soggiorno.

Dalla balaustra del corridoio la bionda le fece cenno di raggiungerla di sopra. Arrivata nella loro camera chiuse la porta ed ancora mezza nuda le chiese dove fosse Michiru.

“Non saprei. Credo in camera sua a farsi una doccia. Come dovrei fare anch’io.”

“A… ok.”

Vedendola strana Giovanna le chiese cosa avesse. “Mi sembra che tra voi stia andando bene. Dov’è andata tutta la baldanza di questo pomeriggio?”

“Nel cesso. Affondo. Irrimediabilmente persa!”

“Haru…”

Arpionandosi i fianchi la bionda dondolò la testa verso il petto. “Sono nella merda.”

“Equivarrebbe?”

“Ho paura!”

La sorella sorrise. “Tu?”

“Qui non si tratta d’affrontare una curva a centottanta, ne di guidare un trattore durante un temporale o di prendersi le proprie responsabilità di fronte alla famiglia. Qui si sta parlando di sentimenti e tu mi conosci Giovanna, quando è il cuore ad essere in gioco, io scappo. Scappo sempre! - Finalmente ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. - Questa mattina mi ha baciata cercando di togliersi gli ultimi dubbi che come etero aveva nell’essere attratta da una donna e io le ho consigliato di lasciarsi andare e di fidarsi di me. Ma ti rendi conto!? Io che dico ad un’altra di lasciarsi andare quando non mi sono mai impegnata fino in fondo con nessuna. Sono un’ipocrita.”

“No che non lo sei, solo che non hai mai trovato la donna giusta che ti facesse abbassare la corazza che ti porti addosso.”

Poggiandosi all’anta dell’armadio Haruka si diede dell’idiota. “Non so neanche quante donne mi sono portata al letto o con quante ho giocato a fare la seduttrice e per la miseria, non ho rivali in questo!”

“Ma Kaiou ha alzato l’asticella…”

“Esatto! Ha capito che ho paura e mi pungola. Mi sfotte. Mi sfida. E questo mi piace. La voglio da morire, ma non solo fisicamente. Vorrei costruire qualcosa d’importante con lei.”

“E allora fallo.”

Lo sguardo della bionda divenne duro. “Abbiamo già fatto questo discorso Giovanna.”

“Si, quando scopristi che è una violinista famosa e che viveva nell’agiatezza di una villa con un compagno. Ora però quell’uomo non c’è più e la conosci abbastanza bene per sapere che del denaro non gliene frega niente, che non teme il lavoro duro, che la vita che aveva le stava stretta e, soprattutto, che è attratta da te come tu lo sei di lei.”

“Prima o poi partirà vedrai, ed io rimarrò sola senza più la mia corazza.”

Soffiando forte l’aria via dai polmoni la maggiore non controbatté subito. Michiru amava Haruka, perché altrimenti non avrebbe dato via il suo strumento per farle ridare la terra, ma di controparte, Giovanna l’aveva vista esibirsi capendo con quanta dedizione e passione si dedicasse alla sua carriera. Avrebbe davvero rinunciato a tutto per stare con sua sorella? Il palcoscenico, la ribalta, la fama, erano tarli subdoli.

“Purtroppo questo nessuno può saperlo, ma di una cosa sono certa; Kaiou non sta giocando. Tu non sei un capriccio, ne tanto meno un curioso giro a lesbolandia.”

“Praticamente devo buttarmi e stare a vedere che succede?"

“Come in ogni storia. - Si concesse una saggezza iniziando ad allacciarle la camicia. - Non ti ho mai vista rinunciare a qualcosa d’importante e non credo inizierai a farlo adesso.”

“Mmmm. Sai Giò, per me ogni donna dovrebbe avere un gettone gratis per fare un giro a lesbolandia.”

“Ed immagino che tu saresti il capo treno.”

Scansandole le mani dall’asola sorrise divertita. “Ovvio. Su, vai a farti questa benedetta doccia. Presto ci sarà il casino delle solite feste in stile Tenou.”

Pregustandosi l’acqua calda sulla pelle, Giovanna uscì fiondandosi nel bagno principale mentre Haruka finì di prepararsi a dovere. Non indossò nulla di particolare, una maglietta, una camicia, un paio di Gas neri, ma indugiò più del solito davanti allo specchio interno ad una delle ante dell’armadio, indecisa su come sistemarsi i capelli ancora umidi. Un vezzo da ragazze, tipicamente femminile, che la catturava solo se la preda che aveva nel mirino valeva l’ardua impresa di domare la sua capigliatura. Dopo un’infinità di tempo a sbuffare e ringhiare contro la sua immagine riflessa, optò per il gel e lo stile arruffato che meglio di tutti rispecchiava il suo vero io. Poi, ammettendo di essere uno schianto, afferrò un paio di braccialetti di cuoio iniziando la ricerca della bella violinista.

Scendendo giù da basso bussò alla sua porta, ma non avendo risposta e non sentendo scrosci d’acqua provenienti dal suo bagno, fece una capatina nel giardino d’inverno ed infine in cucina. Trovandoli entrambe vuoti non le rimase che uscire dalla porta sul retro. Respirando affondo rabbrividì domandandosi se non fosse stato meglio darsi un'asciugata alla testa.

“Va bene così. Ho bisogno di mantenere il motore al minimo o rischia di andare in ebollizione.” Si schernì prendendo il sentiero per l’aia.

Quella piccola collina era da sempre uno dei suoi posti preferiti, perché quando s’isolava li, in genere le sorelle o chi che sia non venivano a scocciarla. Negli ultimi giorni anche Michiru aveva preso ad usare la panchina che dava sulle valli, per ricaricare un po’ le batterie e riflettere su quella che sarebbe stata la sua vita da li in avanti. La bionda lo sapeva e di fatti la trovò li, seduta compostamente con lo sguardo fisso all’orizzonte, immersa negli ultimi raggi del giorno. Portava un vestito più pesante di quello che aveva usato qualche ora prima e che, per ovvie ragioni, si era macchiato di rosso fino all’inverosimile. Avvicinandosi con passo felpato, Haruka se la rivede ancora li, nel grande catino di fronte a lei, mentre con una mano stretta all’orlo della gonna tirato su fino alle cosce e l’altra arpionata al suo braccio cercando equilibrio, rideva fino alle lacrime.

“Michi non rimanere impalata. Muovi i piedi.”

“E’ viscido… Oddio, ho delle cose tra i calzini e le dita.”

“Sono i pezzettini dei chicchi che in teoria dovresti schiacciare…”

“Fanno il solletico…” E giù una risata inconsulta ed uno strizzar d’occhi al limite del fumettistico.

Tenou se l’era sentita addosso mentre cercava di non farla scivolare e le sue mani, volenti o nolenti, erano andate ad addentrarsi anche più su della vita.

Se soltanto sapessi che fatica l’esser tanto controllata, pensò sbucandole alle spalle.

“Dunque sei qui!” Se ne uscì vedendola sobbalzare.

“Haruka! Ma…, sotto ai piedi hai i gommini come i gatti?!” Ormai non si contavano più le volte che era riuscita a coglierla alle spalle.

Stirando le labbra soddisfatta, la bionda le si sedette accanto notando immediatamente quanto stesse bene. Si era truccata, ma non leggermente come capitava quando andavano al pub di Max, ma con più accortezza. Se possibile era riuscita a valorizzare ancor di più il colore degli occhi già di per se molto intenso, il contorno delle labbra e l’incarnato del viso. Niente da dire, quella sera Michiru Kaiou era proprio d’abbacinare la vista.

“Come mai sei qui tutta sola soletta? Aspettavi forse qualcuno che ti portasse al gran ballo?”

“Vorresti portarmici tu?” Rispose sicura ricominciando quel balletto verbale che ormai era diventata una prassi.

“Alle feste danzanti uso accompagnare solo ragazze molto belle e solo di domenica. - E quando vide Michiru aprire la bocca per controbattere, la spiazzò facendo finta di pensarci su. - E in effetti potresti anche avere avuto fortuna… oggi è domenica.”

“A, dunque lo faresti solo perché…”

“… perché sei troppo bella.” L’interruppe prendendole le labbra.

Michiru si arrese quasi subito lasciandola fare. Spegnendo il cervello ed aprendo i sensi, si lasciò guidare e guidò a sua volta, tanto che galvanizzata per questo, Haruka mandò a farsi benedire i propositi da brava ragazza. Insinuando la sinistra tra i capelli setosi che l’altra aveva deciso di lasciare sciolti, arrivò alla nuca attraendola a se con trasporto. Due mesi erano passati e quanto l’era costato starsene zitta e buona e struggersi nella sua frustrazione. Mille domande e mai una risposta, un balletto che stava continuando comunque a tenerla in tensione, ma che in quel momento, complice una serie di condizioni degne di un lungometraggio  rosa, non considerava più.

O Michiru, fanculo tutto, fu l’unico pensiero di senso compiuto che una piccolissima parte del suo cervello riuscì a partorire prima di far viaggiare l’altra mano lungo la curva della schiena fasciata dal tessuto del vestito.

Non seppe neanche quanto tempo passò prima di sentire le labbra di Michiru staccarsi a forza dalle sue ed emettere un leggerissimo sospiro rassegnato.

“Che c’è? - Riuscì ad articolare la bionda e la sua voce risultò talmente roca da stimolare nell’altra un brivido. - Hai freddo?” Se la profondità di alcuni baci l’avevano portata sulla luna, come sarebbe stato fare l’amore con lei?

Spinta da quel pensiero Haruka tornò a stuzzicarle la bocca, ma posandole delicatamente una mano all’altezza del cuore, Kaiou la fermò.

“Haru aspetta. Devo dirti una cosa.”

 

 

Intanto il casino predetto da Haruka arrivò, così come arrivarono gli invitati. Braccianti per lo più. Ma portati dalle correnti fresche della valle dove scorreva il torrente, arrivarono anche gli echi della festa gemella messa in piedi dallo sfarzo dei Kiba, tanto che a sentire riecheggiare in lontananza musica d’altri tempi, Yaten strinse le labbra concentrandosi sulla consolle che aveva finalmente la libertà di usare.

Se vogliono giocare li accontento subito, pensò come se fosse stata una sfida lanciatagli personalmente da quel padre che non lo aveva mai vouto e modulando la potenza delle casse con le dita di entrambe le mani, alzò i decibel inondando di musica l’aria della prima sera.

“Se va in competizione siamo perdute.” Disse Minako alla sorellina seduta sul muretto accanto a lei.

“Lascia che dia alla spocchia del signor Lucas quello che si merita. Mamo mi ha detto che questa sera da loro ci saranno anche i fuochi d’artificio.” Dopo aver saputo dei loschi traffici nel quale era da sempre coinvolto, la stima che Usagi aveva dimostrato sin da bambina per quell’uomo, era crollata. E non sapeva ancora della triste storia che aveva coinvolto Erika e di contro balzo Yaten.

In più era preoccupata per il suo bel moro. Vedeva come Mamoru rimuginasse praticamente ogni minuto della giornata sul come comportarsi nei confronti del genitore, ed aveva paura che prima o poi l’indole onesta che aveva sempre contraddistinto il ragazzo, lo avrebbe spinto all’ineluttabile denuncia ai danni del padre. Un effetto domino molto pericoloso che avrebbe finito per coinvolgere parecchie persone, inclusa la famiglia Tenou.

Nelle lunghe ore passate tra se e se, Mamoru aveva preso in considerazione tutti gli scenari possibili, persino un suo arresto. Era sempre stato all’oscuro dei giri del padre, perché quest’ultimo aveva sempre trovato più di un escamotage per tenere i libri contabili della masseria Kiba fiscalmente impeccabili, ma ora che sapeva delle coercizioni, dei raggiri, delle corse clandestine e dei prestiti di denaro a tassi da usura elargiti anche a persone che Mamoru conosceva benissimo, per lui si aprivano solo due strade; il silenzio omertoso, che equivaleva ad una complicità che lo avrebbe costretto a vivere nell’illegalità, o l’immediata denuncia alle autorità competenti sperando così di passarla indenne o quasi. Non era tanto sciocco da sperare in una pacca sulla spalla, un sorriso ed una stretta di mano condita da complimenti. A suo carico ci sarebbero state lunghissime e sfiancanti indagini che lo avrebbero strappato al suo lavoro e all’amore della sua piccola perla.

A guardare la cosa da un punto di vista puramente egoistico, tra le pieghe di questa umanissima rosa di scelte, si poteva intravedere anche una terza strada; ovvero la fuga. Sparire. Rifarsi una vita all’estero, magari in sud America, dove le sue competenze come viticoltore biologico sarebbero state certamente apprezzate. Quante volte in quei giorni Mamoru ci aveva pensato e quante volte si era dato dello stupido, ritrovandosi a glissare sul fatto che nonostante la sua situazione fosse al limite del dramma famigliare, non avrebbe mai potuto lasciare tutto così, scappando come un vigliacco, dimenticando le responsabilità, le amicizie, le sue viti e soprattutto Usagi.

Una Usagi che nonostante in quelle interminabili giornate d’autunno avesse avuto la mente fossilizzata su un’ipotetica gravidanza e Mamoru, per cercare di tutelarne la sua serenità, avesse a sua volta sempre glissato sulla questione del padre, aveva perfettamente inteso come qualcosa nel cervello del suo ragazzo stesse ribollendo, che le profonde occhiaie che avevano preso a scavargli il viso erano il segno certo di un disagio. E dall’alto dei suoi diciassette anni non sapeva proprio come aiutarlo.

“Avremmo dovuto portargli le casse fin sotto al sedere a quello li!” Se ne uscì con davanti agli occhi della mente il volto stanco di Mamoru.

Guardandola divertita Minako si portò il bicchiere d’aranciata alle labbra sorseggiandolo piano. Lasciando un po’ di rossetto sul bordo vetrato alzò le sopracciglia. “Alludi al vecchio Kiba?

“E a chi altri?!”

“Mamo saprà cosa fare, vedrai.”

“Speriamo in bene.”

“Avrei dovuto starti più vicina in questa storia.” Confessò con un filo di voce.

Era la prima volta che avevano occasione di parlarne. Quando Usagi le aveva raccontato del vecchio Kiba, del pensiero che Mamoru lo denunciasse e della possibilità che anche lui colasse a picco con il padre, Mina n’era rimasta sconvolta, ma a differenza del solito comportamento da saggia uditrice, aveva scelto di non metter bocca sulla questione continuando a tenersi lontana dalla sorellina. Sapeva che con il suo comportamento egoista l’aveva fatta soffrire, ma non aveva proprio avuto la testa per star dietro anche ai problemi degli altri.

“In più se ci fossi stata avremmo potuto evitare tutto il casino del falso positivo.”

Cambiando improvvisamente umore, l’altra mise su un visetto dei suoi ed avvicinandosi un po’ la guardò dolcemente. “Hai avuto anche tu il tuo bel da farsi.”

“Non mi giustifica.”

“Non pensarci più e cerchiamo invece di ricordare cosa avrebbe detto la mamma.” Suggerì.

“Un pensiero alla volta.” Ricordò guardando lontano, oltre ai balli e le bevute.

“Esatto, un pensiero alla volta.”

“Sai, in queste ultime settimane mi è mancata ancora più del solito. Sarebbe stato tutto più facile con lei al nostro fianco.”

“Vero. Per quanto Haruka e Giovanna s’impegnino a dare consigli, fanno spessissimo cilecca.”

“In effetti... fanno proprio schifo.” Sottolineò divertita.

“Tu non eri presente alla scena, ma quando Haruka ha trovato il test le stava per esplodere la vena del collo. Apriti cielo quando le ho detto che era mio. Avessi visto..." E rise irrispettosa seguita dalla complicità dell’altra.

Felici di aver ritrovato la loro solita affinità, iniziarono a spettegolare su questo e su quello, quando si videro davanti un redivivo Mamoru. Sparito nei meandri della cantina del padre per seguire le ultime fasi della vendemmia dei Kiba, apparve loro vestito da una semplice felpa ed un paio di jeans. Un po’ troppo casual per un tipo come lui. Mani nelle tasche, schiena leggermente incurvata in avanti e cappuccio scuro tirato sulla testa fin quasi agli occhi tanto che aggrottando la fronte, le sorelle si alzarono dalla seduta del muretto quasi all’unisono.

“Mamo, tutto bene?” Chiese Minako non ricordando di averlo mai visto così.

Non soltanto l’espressività del volto era tutto un programma, ma aveva anche un non so che di sciatto nel porsi che non gli era mai appartenuto, nemmeno d’adolescente. Come se non gli importasse. Tutto intorno a lui aleggiava come una sorta d’alone negativo, di sconfitta, di muta rassegnazione che scosse soprattutto Usagi e l’allarmò immediatamente.

“Cos’è successo?” Incalzò mentre gli andava vicino e lui prendeva ad accarezzarle piano il viso.

“Dove sono le altre? Devo parlare a tutta la famiglia.”

“Non fare così, mi spaventi.”

“Mamoru…” Intervenne anche l’altra.

“Mina, ti prego. Dimmi dove sono Haruka e Giovanna.”

 

 

“O mamma, in genere quando una donna dice di volermi parlare vuol dire che ho fatto danno.” Sogghignò Tenou talmente ubriacata dall’eccitazione da non rendersi conto di quanto Kaiou facesse sul serio.

Continuando ad accarezzarle il tronco con leggerissimi movimenti delle dita, Haruka la guardò dritta negli occhi cercando nuovamente le sue labbra che questa volta però si opposero.

“Haru…” Articolò scansando un poco la bocca.

“Mi devi parlare proprio adesso? Non possiamo dedicarci ad altro ancora per un pochino?” E provò a tornare alla carica.

“Haruka…, no! E’ già tutto dannatamente complicato senza che tu me lo renda impossibile.”

Cambiando l’espressività degli occhi in meno di un battito di ciglia, Haruka le chiese cosa dovesse esserci di tanto urgente per interrompere un’attività tanto piacevole. O forse doveva confessarle qualcosa?

“Perché si tratta di questo, giusto? Di una confessione!?"

Anche il timbro della voce era cambiato e questo spinse la violinista a pensare che non sarebbe stata una passeggiata d’alpeggio. Ma d’altronde lo sapeva, perché ormai il carattere di quella donna lo conosceva bene, come conosceva l’ottusità che alle volte la rendeva incapace all’ascolto. Così cercando di raccogliere tutta l’esperienza che aveva esercitato in anni di scontri con Seiya, Michiru provò a restare calma.

“Mi piacerebbe continuare ad approfondire questo tipo di conoscenza, ma non abbiamo più molte occasioni per starcene da sole e …”

“Appunto!” Esplose Haruka seccata.

Kaiou non sopportava di essere interrotta, ne che qualcun altro cercasse d’anticiparle i pensieri. “… e PARLARE.” Sottolineò.

“Da quando ci conosciamo non abbiamo fatto altro!.”

Sospirando pesantemente Michiu prese allora il toro per le corna. Troppe parole avrebbero finito per innervosire entrambe, così fu schietta. “Non t’indorerò la pillola. Non ci girerò intorno. Haru…, devo partire.” Rivelò e quando le parole arrivarono alle orecchie della bionda, quest’ultima impallidì schiacciando i denti gli uni contro gli altri.

“Partire…?!” Disse pianissimo. Un lamento doloroso simile al suono del vento attraverso una fessura.

“Non posso più procrastinare. Mi aspettano a Vienna.”

Austria. Un paese straniero a centinaia di chilometri da lei e in Haruka scattò la rabbia. Il verde delle sue viti abbattute dalla forze del bugnato dei palazzi di una grande città, il suono della natura schiacciato da quello di un violino, il suo amore scansato da quello che Michiru aveva per anni donato agli uomini. Il pensiero di Seiya fu, se possibile, ancora più devastante dell’abbandono in se, tanto che sentendo il tocco della violinista sul braccio, si scansò come se fosse stata scottata.

“Quando?!”

“Un paio di giorni. Tre al massimo.”

“Un paio di giorni?! - Scattando in piedi la guardò incredula. - E me lo dici così?! Da quant’è che lo sai?”

“Da un po’, ma ho avuto la conferma solo oggi.”

La telefonata che le aveva interrotte poco dopo il loro primo bacio.

Haruka lo prese come un affronto personale, una cattiveria gratuita e serrando i pugni glielo urlò dritto in faccia. “Se sapevi che saresti andata via, allora perché mi hai baciata?”

“Ma che domanda è, scusa.“

“A, non capisci la domanda? Mi sembra strano, perché quando ti fa comodo vedo che li sai far bene i tuoi calcoli!”

Allora anche Kaiou si alzò. “Cosa diavolo stai insinuando?”

“Che mi hai preso per il culo!”

“Perché DEVO tornare al mio lavoro?”

“No, perché se non era tua intenzione restare, avresti anche potuto evitare di venirmi sotto! - Abbaiò sentendosi un’imbecille per averle concesso tanto. - Sai, magari a te di questa campagnola non te ne fregherà niente, ma io iniziavo a crederci!”

“Ma come ti permetti! Credi forse che io sia quel tipo di persona che per farsi una…” Ma si bloccò per non cadere nel triviale.

Un’accortezza che l’altra non ebbe nel concluderne il pensiero. “Che per farsi una scopata passa sopra il cuore della diretta interessata come un tritacarne?”

“Non essere volgare.”

“Ma è quello che sono! Una volgarotta paesana lesbica che è stata tanto idiota da prendersi una sbandata per una grande dea della classica!”

“Haruka… siamo troppo grandi ormai per far finta che l’amore vinca su tutto, ma arrivare a credere che possa aver giocato con il tuo cuore dopo tutto quello che ho capito di me, è una carognata che non hai il diritto d’imputarmi. Non è giusto!”

“Non lo hai fatto forse?”

“NO e se abbassassi per un attimo la tua smisurata tracotanza, avresti sentito quando ti ho detto che DEVO tornare a lavorare. Non sei l’unica ad avere delle responsabilità e visto quanto sei brava a sputar sentenze, Dio non voglia che un giorno tu possa arrivare a capirlo! - Troppo tardi Michiru si accorse di avere le lacrime agli occhi e prendendo un profondo respiro cercò di arginare i danni così da poter continuare con più calma. - Non ti ho mai presa in giro e mi dispiace se i miei comportamenti te l’abbiano fatto pensare.”

Fissandola con una fermezza granitica, Michiru ammise che il lasciare la masseria Tenou, il lasciare lei, con molta probabilità sarebbe stata una delle cose più difficili della sua vita. “Credevo che avessi capito come sono fatta, qual è il mio modo d’approcciarmi alle cose. Non ti ho baciata per mera curiosità, non ti sto stuzzicando da giorni perché sono una ricca insensibile con una voglia matta di fare nuove esperienze. Cosa credi che non mi fossi già accorta da settimane che ti piacevo? Che ti stavi prendendo una… sbandata? E’ per questo che ci ho messo così tanto per farmi avanti, volevo essere sicura che tutte le diversità che abbiamo, allo svilupparsi di una storia non avrebbero finito col ferirti. Non sono il tipo di donna che se ne frega dei sentimenti altrui e se avessi saputo che la tua reazione alla mia partenza sarebbe stata questa, ti assicuro che non mi sarei mai esposta tanto.”

Quell’ultima frase la disse con maggior forza e dispiacere. Haruka aveva frainteso tutto ed era riuscita a trasformare una cosa bellissima come l’inizio di un amore, nell’esatto contrario. Il vento iniziò a soffiare un po’ più forte, spettinando i capelli di entrambe. Come in un duello, l’una di fronte all’altra, continuarono a guardarsi per svariati secondi prima che la bionda riuscisse a parlare.

“Non mi sono mai concessa a nessuna. Tu sei la prima a cui io… - La voce rauca la costrinse ad un colpo di tosse. - … dono il mio cuore Michiru e questo mi terrorizza. Se non mi avessi baciata me ne sarei rimasta buona buona nella mia bolla, accontentandomi di donne da poco più di un’ora, una notte o al massimo qualche mese. Invece…”

“Non sarà per sempre. - Disse l’altra avvicinandosi. - Un anno. Contrattualmente ero legata ai miei impegni per due, ma racimolando il denaro necessario, sono riuscita a pagare almeno una parte delle penali dovute per le rescissioni contrattuali che il mio avocato sta portando avanti con la Filarmonica di Vienna e laU.A.F.. Non ho potuto fare di più. Ho ceduto la mia parte di casa a Seiya e ho già un compratore per l'auto. Haruka credimi, ti prego; un anno, poi sarò libera e tornerò da te …, se ancora mi vorrai.”

Tenou sorrise divertita. “Volerti ancora? Per me sei diventata importante come l’aria. Ma in un anno le cose cambiano. Qui il tempo è più lento e di distrazioni ce ne sono poche, ma il tuo lavoro ti riporterà alla frenesia, agli impegni ravvicinati, ai jet lag, ai concerti, alle prove, alla gente. Chi mi garantisce che non mi scorderai?” Avrebbe voluto aggiungere agli uomini, ma l’orgoglio e la decenza le bloccarono la lingua.

“Continui a non ascoltare. Ti sto dicendo che ho il conto in banca azzerato ed in pratica non ho più una casa dove tornare. - Posandole il palmo della destra sulla guancia provò a non badare all’adrenalina che sentiva in circolo. - Dammi solo un po’ di fiducia e comunque vorrei ricordarti che la cattiva nomea di sciupa femmine ce l’hai tu, non io.”

Smorfiando il viso Haruka trattenne una risata. Riusciva a leggerle nella mente? Lo sapeva che lasciarsi fregare da quella donna sarebbe stato per lei un casino apocalittico e puntualmente, come una Sibilla Cumana, la sua più nefasta previsione si stava avverando.

Grattandosi il collo si staccò dal tocco dell’altra facendo un passo indietro. “Credo di aver bisogno di un buon bicchiere di vino.”

“Credo di averne bisogno anch’io.” Disse mentre lo sguardo di Haruka veniva catturato da qualcosa alle sue spalle.

Voltandosi, Michiru vide arrivare una piccola truppa composta dalle tre sorelle Tenou e da un Kiba che ne guidava le fila.

“Che succede?” Urlò la bionda notando i volti tesi di tutti.

“Haru, Mamoru ha da dirti una cosa.” Sentenziò Giovanna.

“Cos’altro è successo?” Chiese allora tra il serio ed il faceto.
Non poteva sempre abbattersi un fulmine non appena il cielo sembrava stare per aprirsi, no? Ed invece…

“Haru… - Iniziò lui spaventosamente serio. - oggi sono andato a denunciare mio padre. Sono desolato, perché con molta probabilità  faranno un controllo anche su di te.”

“La corsa clandestina?!”

“Forse. Non so. Mio padre è piuttosto bravo a nascondere quegli eventi, ma la cessione del tuo quarto è nero su bianco, perciò se fossi in te, penserei a come uscirne illesa.”

 

 

 

   
 
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