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Autore: Ghen    23/05/2020    2 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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62. Colpa 


La tigre bianca peluche non entrava sull'elicottero fermo sul tetto della Luthor Corp, e l'uomo, con il logo dell'azienda sul taschino della giacca, dovette chiedere aiuto a un collega per piegarla e farla distendere sui sedili. Indigo era rimasta indietro: mentre Lena non guardava, Lex la prese per mano per fermarla.
«Chiamami», le sorrise e le passò il suo biglietto da visita, rimettendo le mani nelle tasche dei pantaloni. «Per qualsiasi cosa. Verrò a prenderti. Sai, lo pensavo davvero quando ho detto che avrei odiato quando te ne saresti andata».
Davanti all'elicottero, Lena la chiamò e Indigo strinse il biglietto, nascondendolo in tasca e sorridendo anche lei. Non gli disse nulla e raggiunse la ragazza, così il velivolo prese quota.
Kara se n'era andata prima per accompagnare la sua amica Megan al funerale della nonna di quest'ultima e loro due decisero di tornare a National City e lasciare a Lex la decisione sull'andare a processo. Lena aveva salvato i dati rubati alla Lord Technologies che Indigo aveva raccolto dai server personali del fratello, ma non era sicura che avrebbe dovuto ma, soprattutto, voluto usarli. Se Lex non voleva andare a processo, in che modo lo avrebbe costretto a farlo denunciandolo di furto e ricatto? L'idea iniziale prevedeva la minaccia ma non aveva sortito grande effetto; ogni volta che doveva scontrarsi con lui non trovava modo per attaccarlo. Era testardo e, a quel punto, l'unica cosa da fare era confidare che quella Lane lo convincesse. Se ci fosse stato un altro modo per fermare Maxwell Lord senza violare o raggirare la legge, Lena ci avrebbe provato.
Lanciò un'occhiata a Indigo intenta ad accarezzare quella tigre, vicino al lemure che le aveva regalato Kara, cercando di distrarsi dal balzo che l'elicottero aveva appena fatto, reggendosi e irrigidendo il suo corpo dalla paura. Era stato un gesto carino da parte di Kara lasciarle quel peluche: forse aveva sperato di colpirla nel punto giusto riguardo al loro piano nei suoi confronti, e rimediare di certo alla sfuriata avuta per la storia delle pillole. Le fissò il volto serio incredibilmente sereno, date le circostanze: aveva confessato di lavorare ancora per il garante, ma non era certa che le avesse detto tutto ciò che sapeva sul suo conto. L'aveva lasciata andare, le aveva dato le sue foto per costringerla a lavorare, o così le aveva detto, e poi? Che altro? Il magazzino o garage dove diceva di essere stata prigioniera le prime volte non esisteva, aveva cambiato versione, diceva di essere stata in una casa. Una casa vuota. Lena sapeva che mentire è facile se non si punta troppo in alto, ma se ci si costruisce una storia molto vicina alla verità. Che Indigo fosse stata davvero in una casa? E se non fosse stata vuota? Se ricordava dov'era e non voleva dirglielo per non doverci andare? Voleva proteggere lei o il garante? Aveva davvero una cotta per lei, altrimenti a cosa sarebbero servite quelle foto? Lena strinse le labbra e continuò a osservare quello sguardo che, come il suo, era perso nei pensieri. Le sorrise quando l'altra posò gli occhi azzurri su di lei, cogliendola in flagrante. La vide riabbassarli e dopo trafficare col cellulare. Oh, ma certo, anche lei doveva darci un'occhiata. Aprì la sua borsa e prese quel vecchio modello di telefono che aveva inviato Alex Danvers alla Luthor Corp di Metropolis per farglielo avere, tenendolo nascosto. Accedette alla cartella degli sms, cominciando dal primo tra quelli che ancora non erano letti.
A. Danvers: Kara mi ha detto che vorresti davvero cancellare quei dati sui Luthor. Anzi, mi ha detto che non capisce se vuoi cancellarli o no. Ha usato il cellulare di Mega
A. Danvers: Megan, dicevo. Dunque non preoccuparti. Mi ha detto che è d'accordo con quest'idea e che per poco non si faceva scoprire, parlandone a voce con te con i
A. Danvers: cellulari in bella vista. Da sorella, posso capire ciò che vuoi fare per la tua famiglia e per tua madre, Lena. Ne ho letto un po' insieme a Maggie, per ora lo
A. Danvers: teniamo per noi, e abbiamo capito perché vorresti cancellare tutto. E non odio Lillian, ho accettato che sia parte della mia famiglia. Ma da agente non posso
A. Danvers: lasciarvelo fare, spero tu possa capire. Lillian ha sbagliato, è complice di crimini più o meno gravi. E verrebbe sporcata la memoria di tuo padre. Ma se tutto
A. Danvers: quello che c'è su questi dati è vero, come Indigo dice, allora la verità salirà a galla e non potrò fare niente per impedirlo. Ognuno si prenderà le proprie
A. Danvers: responsabilità. Staremo vicino a Lillian perché è cambiata e sono certa che avrà il miglior avvocato. Mi dispiace, Lena. Non avrei voluto che le cose andassero
A. Danvers: così ma devi capire la mia posizione! Affronteremo tutto insieme, come una vera famiglia. Te lo prometto. Odio scrivere su questi dannati tastierini minuscoli e
Lena sospirò, alzando il mento e socchiudendo gli occhi. Si aspettava proprio questo da parte di Alex. Né più né meno. Quando ha lasciato che Kara le inviasse una copia di quei dati, era una cosa già fatta. Eppure non poteva non pensare a Rhea Gand, dietro le sbarre della sua cella, che sogghignava soddisfatta di essere almeno riuscita nell'intento di rovinare la sua famiglia.
A. Danvers: odio il conteggio caratteri degli sms. Spero che Indigo ne valga davvero la pena, perché se non fosse così e mi ha fatto spendere uno stipendio in sms per
A. Danvers: niente, uno stipendio in sms per NIENTE, la strozzo.
«Tutto bene?».
Lena sorrise amaramente. «Sì… Sì, riflettevo», tirò in basso il cellulare dentro la borsa.
A. Danvers: Ok, non uno stipendio, ma è comunque più di quello che avrei speso a 15 anni con le amiche del cuore. Ed è abbastanza.
Lena abbozzò un sorriso.
A. Danvers: E se pensi che Indigo non ne valga più la pena, posso prelevarla io e farle sputare la verità. Conosco 100 e 1 modi, alcuni dei quali tanto creativi, per farlo.
Lena contrasse le sopracciglia, continuando a leggere.
A. Danvers: Di' a Kara di rispondere al cellulare, per favore. Sì che Indigo può spiarla, ma non le interesseranno i codici di Pizza Hit! Sono arrivati a me per email.
A. Danvers: Di' a Kara che la sta cercando Eliza! Se non la trova, continuerà a chiamare me sperando che io con una bacchetta magica la possa far parlare con Kara da qui.
A. Danvers: Glielo hai detto? Questi stupidi sms mi stanno facendo uscire pazza, ti scrivo su WhatsApp.
A. Danvers: Ho cercato di inviarti uno screen dei messaggi di Eliza, ma è lento e non ce la fa. Stupida connessione. Il mondo mi sta prendendo in giro? :(
A. Danvers: Ho usato una faccina, vero? Il mondo sta per finire.
Lena cercò di trattenere una risata, con una mano sulla bocca. L'ultimo sms glielo aveva inviato poco prima e allora si fece più seria, aprendolo.
A. Danvers: Sono qui con Maggie, lei esce tra poco. Ho provato a dirlo a Kara, ma ancora ignora i messaggi.
Astra Inze. La bocca di Lena si irrigidì. Lei stava uscendo da Fort Rozz in quell'istante e forse era un bene che Kara avesse altro per la testa. Come avrebbero fatto con lei? Cosa sarebbe cambiato per loro?
D'altro canto, Astra ci rimase davvero male quando per lei si aprì il cancello del carcere e sua nipote non c'era. Una parte di lei aveva accettato quella possibilità, ma non le fece meno male. Dru Zod la aspettava per abbracciarla e non riuscì a trattenere gli occhi lucidi, stringendosi a lui come a un'ancora. Il tempo di sbattere le palpebre pesanti di lacrime che, dietro all'uomo, Alexandra Danvers e una ragazza che non conosceva erano appoggiate contro un'automobile a lato della strada, guardando in loro direzione. Astra sorrise e richiuse gli occhi, decidendo di non dare alla loro presenza più peso del dovuto: lei era una donna libera, adesso. «Grazie, Dru».
Lui le batté altre due pacche sulle spalle e insieme si incamminarono verso la strada dov'era parcheggiata la macchina del Generale. Sarebbe stata da lui qualche giorno, il tempo di trovare una sistemazione e ricostruirsi una vita.
«Dov'è Kara?», non riuscì a trattenersi appena passarono davanti alle due ragazze.
«Non qui», rispose aspramente Alex. La studiò da capo a piedi, mettendo dritta la schiena.
«Oh, e sei venuta tu a darmi il bentornato nel mondo reale? Non dovevi disturbarti», le sorrise, prendendo tempo per asciugarsi gli occhi con un fazzolettino di carta. «Mi hanno parlato di te, sono contenta di conoscerti. Non sei mai venuta a trovarmi, ma scommetto che lo avresti voluto. Posso dire che il tuo capo è venuto spesso, al contrario», proseguì con un sospiro, ammirando il sole abbagliante e caldo come non lo ricordava. «Abbiamo… Abbiamo una persona che amiamo in comune, quindi spero che potremo andare d'accordo». Le tese la mano destra e l'altra ragazza con lei la squadrò, e dopo Zod alle sue spalle.
Alex deglutì e gliela strinse, sfidandola con gli occhi. «Si vedrà», tentò anche lei un sorriso, rigido.
Si lasciarono e Zod sorrise, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni. «Un giorno capirai, Alex Danvers, che non siamo vostri nemici. Vogliamo il bene per National City esattamente come voi del D.A.O.. Maggie lo sa», le lanciò uno sguardo, facendo un passo verso la portiera della sua auto.
«Oh, aspetta! Lei è Maggie? Mi ha parlato di te», sorrise anche lei e, mentre la ragazza le stringeva la mano, Alex al suo fianco si innervosiva, sperando non lo desse troppo a vedere. «Sono molto felice di conoscerti. Sei il futuro del distretto, da quanto ne so. Beh, ci rivedremo lì, allora».
Li tennero sott'occhio fino a quando non si allontanarono sulla berlina, contenendo i malumori. Li videro perfino salutare con una mano attraverso il finestrino, maledizione, come se si prendessero gioco di loro.
«Non dirlo», Maggie l'anticipò, chiudendo gli occhi.
«Cosa? Non devo dire che stanno gongolando alle nostre spalle?», strinse un pugno, iniziando a gesticolare. «Che ci stanno prendendo per il culo? O non devo parlare del Maggie lo sa? Che diavolo vuol dire, a proposito?», si strinse nelle spalle, «Oppure non devo far notare quanto quella donna sia sicura di riprendere il suo ruolo nel distretto di National City? Non basta Zod, Charlie Kes- Kwez-», fece una smorfia con le labbra, irritata.
«Kweskill».
Alex le puntò l'indice. «E chissà quanti altri, lei?! Quel distretto sta diventando il covo dell'organizzazione».
«E cosa dovrei fare?», scrollò le spalle. «Pensaci, Alex: cosa dovrei fare? Non vado più al lavoro? E col mio secondo lavoro come la metto? La presenza di Astra Inze al distretto non cambierà assolutamente niente», alzò le sopracciglia, portando la testa da un lato, amareggiata. «Esattamente come non ha cambiato niente venire qui adesso», andò ad aprire la portiera.
«Niente?», la raggiunse, «Sa che le stiamo addosso».
Entrarono in auto e Maggie si portò le mani sul viso. «Lo sa già», soffiò dopo, rassegnata. «Zod lo sa già, Alex».
Lei la fissò per un momento e ansimò. La rabbia accumulata fino a poco prima scomparve, piegando le sopracciglia con rammarico. «Oh, tesoro… Cos'è successo?».
Lei si appoggiò al sedile con stanchezza. «Devo ancora scriverlo sull'ultimo rapporto, ma… Ma non è cambiato niente, in fondo… Sa che sto lavorando per voi e lo ha sempre saputo, non gli importa! Ho solo avuto conferma. Lui è comunque convinto che io sia dalla sua».
Alex la vide mettere un'espressione triste e non capì come avrebbe dovuto interpretarla. Riuscì a prenderle una mano con le sue e a sorriderle dolcemente. «Ed è questo che dovevamo ottenere, no?». Era quello il suo momento? Voleva così disperatamente che Maggie lasciasse l'incarico che ora, potendo cogliere un'occasione, non riusciva. Forse doveva solo mettere da parte le sue paranoie e farle sentire la sua vicinanza e la sua fiducia, come le aveva detto John. Alex ansimò di nuovo, scrutando il suo volto tormentato. Magari era per questo motivo che aveva deciso di escluderla, perché non le dava il suo appoggio. «Ti senti in pericolo con loro? Al distretto?». Doveva essere sollevata di vederla scuotere la testa, ma il sorriso che accompagnava il gesto le metteva inquietudine, come se fosse una domanda quasi ridicola. In fondo perché avrebbe potuto essere in pericolo? Il cadavere di Faora Hui era ancora caldo.
«Me lo ha detto Charlie», sorrise di nuovo e finalmente la guardò negli occhi. «Dice che potrebbe mancare poco alla mia iniziazione».
«Anche se lavori a un'indagine contro di loro?».
«Non gli importa. Te l'ho detto». Lasciò le sue mani e si avvicinò svelta per rubarle un bacio, mettendo in moto l'auto.
Erano così sicuri di loro?
Il volto di Charlie Kweskill era di certo così sicuro. Le raccontava del suo ultimo appuntamento andato in bianco con una schiettezza disarmante, come se si conoscessero da sempre, tanto da farla sentire… in colpa. E allora lui doveva averlo avvertito, ovviamente. «Lo hai detto al D.A.O. che ci vogliamo bene? Che siamo amici?», aveva riso, perfino arrossito, bevendo poi dalla sua borraccia. «Ancora poco e ci siamo, Mags. Il Generale dice che apriremo le iniziazioni per la fine dell'estate. Ci sarà una cerimonia».
«Iniziazioni?», il suo sguardo si era adombrato e lo stomaco aveva preso a farle male. Non sarebbe stata l'unica? Lo aveva visto mettersi a ridere.
«Sì! Altri stanno aspettando, come te. In parte… sai chi?», le aveva puntato un dito, «I nuovi al distretto. Abbiamo bisogno di omega dopo la faccenda con Gand, quindi... Oh, omega, cioè soldati», le aveva spiegato brevemente, «Una specie. All'iniziazione lo saprai. Beh, comunque tu sei sei diversa… voglio dire, per via del D.A.O., gli altri al confronto sono solo… nuovi del campo, gente che vuole fare di più».
«È questo che credete di fare? Di più?».
Lui aveva annuito, entusiasta. «Ti mostrerò, a tempo debito».
Alex si passò una mano sulla fronte, esasperata. «Lo sai che… puoi contare su di me, vero?».
Maggie portò la testa da un lato. «Sempre», rispose. Sempre, ripeté nella testa. Ci credeva. Ma con quale faccia avrebbe rivelato alla donna distrutta per non aver salvato Faora Hui di aver pensato di mollare l'indagine che avrebbe portato i suoi assassini a Fort Rozz? Di averlo pensato perché voleva bene a quelle persone? Guidò l'automobile lontano dal marciapiede e non riprese l'argomento.

Tigre bianca tra le braccia e lemure attorno al collo, Indigo seguì Lena dietro la porta della biblioteca in villa. Avevano visto la macchina di Eliza parcheggiata in garage e, prima di entrare, la ragazza le aveva raccomandato di non farsi fregare sulla sua identità. Credevano che le donne fossero a casa Danvers-Luthor, non se le aspettavano in villa. Appena le vide, Eliza corse ad abbracciare una e l'altra, chiedendo loro dove fosse Kara. Lena trattenne un sorriso e le ricordò che era andata con l'amica Megan al suo paesino; naturalmente Alex glielo aveva detto, ma sembrava avere la memoria corta.
La donna sospirò seccata. «Peccato, dovevo proprio parlarle di una certa cosa…». Il suo sguardo si smarrì e poi riguardò entrambe: «Che bei peluche! E quanto è grande quella tigre». Sorrise nel vedere la ragazza portarsela meglio contro il petto. «Allora, considerato che siete qui-».
«Non ho trovato l'ombrellone da giardino, mia cara», la voce di Lillian, appena rientrata da fuori, la interruppe. «Ero sicura che ce ne fosse uno di riserva. Vorrà dire che ci fermeremo a comperarne uno nuovo». Non le notò, trascinando uno scatolone all'interno del salotto.
Eliza le disse che andava bene e si voltò di nuovo verso le due. «Dicevo, considerando che siete qui almeno voi», si strinse le mani, sospirando, «vorrei chiedervi se poteste almeno concederci una cena».
«Credevo le volessi con noi dei giorni, mia cara». Lillian le passò alle spalle con in braccio lo scatolone, salutandole con fretta per passare alla porta alle loro spalle e arrivare al garage.
Eliza fece una smorfia. «Sì, mi sarebbe piaciuto, ovviamente, ma so che avete i vostri impegni e così… Cara, quello è pesante», allungò le mani verso di lei e sentirono Lillian emettere un cenno di disapprovazione.
«Sono invitata anch'io?», Indigo guardò Lena al suo fianco e di nuovo la donna che, insieme a un gran sorriso, si permise di avvicinarle una mano per toglierle un ciuffo biondo appiccicato a un ciglio.
«Ma certo», intonò gioviale, stringendosi di nuovo le mani. «E lo chiedi pure? Non ti lasceremo mica sola».
Lillian passò alle loro spalle in quel momento, rientrando. «Preciso che l'idea è di Eliza e che, se fosse stato per me, non nascondo che lasciarti sola e fuori di qui sarebbe stata una possibilità». I loro sguardi si incrociarono e a Indigo, per lo sforzo, le scivolarono gli occhiali dal naso: Eliza glieli sistemò subito. Lillian non doveva aver preso bene quella chiacchierata nel cuore della notte.
«Va… bene. Ne parlerò con Kara appena è di ritorno», esclamò Lena, annuendo con un sorriso. «Sono certa che dopo gli esami che dovrò sostenere e la partita…».
«Sì, certo».
«Saremmo felici di stare con voi qualche giorno», concluse.
Eliza sorrise di nuovo e per poco non la videro dondolare sui talloni dalla contentezza. «Parli proprio come parte di una coppia».
Lena arrossì e abbassò lo sguardo, mentre Indigo alzava gli occhi al soffitto, ed entrambe si allontanarono per salire di sopra.
«Tesoro». Poco dopo sentirono Eliza gridare. «Ero sicura fossero in un armadio, ma devo essermi sbagliata; hai per caso visto dove ho messo l'acqua aromatizzata?».
Lena spalancò gli occhi e Indigo la vide sbiancare, infilandosi velocemente dietro una porta prima che la donna potesse notarla, ancora troppo vicina.

E così, gli ultimi giorni di giugno trascorrevano in fretta e la festa a casa di Maxwell Lord per l'accordo delle pillole con il generale Lane si avvicinava. Lex non aveva ancora deciso cosa fare, ma sapevano che si stava tenendo in stretto contatto con Lucy Lane che aggiornava costantemente Kara che, da parte sua, aggiornava Lena che le dava l'impressione di essere sempre più infastidita. Non era certa che il fratello avrebbe seguito la ragione quanto invece lo era Kara, che era certa anche di un'altra cosa: di tutta quella situazione, non era esattamente quello a dare fastidio alla sua ragazza. Intanto, come avevano stabilito, Kara decise di tornare a vivere al campus con Megan; un modo per riappropriarsi di una parte della sua vita. E di certo all'amica una mano faceva comodo ora che avevano scelto di accogliere una coinquilina.
Megan tranquillizzò sua madre al telefono confermando di poterla tenere con loro e la fecero entrare all'interno di un borsone per accompagnarla dentro. Aspettarono il turno di un custode in particolare e si avvicinarono con un borsone a testa, salutandolo e augurandogli buon lavoro. Ormai erano certe che la cosa si sarebbe conclusa lì, liscia come l'olio, ma perché doveva andar bene quando poteva andar male?
«Stupida legge di Murphy», bofonchiò Megan a denti stretti ed entrambe si voltarono, sorridendo al custode e rispondendo alla sua domanda: «Era il funerale di mia nonna».
«Mi dispiace… Oh, ma sembra pesante. Lasci che la aiuti», lui scattò in avanti e le ragazze si tirarono indietro all'unisono, scuotendo la testa.
«Ehi!», Kara frappose una mano tra loro e lui. «Sta cercando di insinuare che, come donne, abbiamo bisogno dell'aiuto di un uomo?».
«No».
«Sì».
«No, è che-».
«Ha mai sentito parlare di emancipazione?».
«Ma io non- Ma- Ma si muove?!».
«Sono giocattoli a carica», rispose prontamente Megan.
«… Li aveva al funerale?».
«I giocattoli a carica della nonna di Megan. Vuole cercare di offendere anche la sua memoria, adesso?».
«No».
«Io mi sento offesa», ribatté Megan vedendo l'altra annuire. Adocchiò attraverso la cerniera aperta: Nana era tranquilla, ma se avesse spinto per tirare fuori la testa arruffata proprio adesso… Potevano cavarsela con i giocattoli a carica a forma di cane della nonna? Si sforzò per non mollare la presa e, come avesse potuto farlo apposta per metterle in difficoltà, abbaiò. Megan e Kara si ghiacciarono. Abbaiò. Aveva visto una mosca? Non abbaiava mai e aveva scelto proprio… Scattante, Kara si lasciò andare a uno starnuto. E a un altro. Un altro, girandosi per scambiare uno sguardo disperato con l'amica alle spalle.
«Era un cane?».
«Scusi? Mi sta dando del cane?». Kara starnutì di nuovo, tentando con ogni mezzo di renderlo simile al verso della cagnolina. «Dev'essere l'allergia! Ci offende come donne, la nonna di Megan morta e ora sentenzia sui miei starnuti. Si vergogni».
«È fortunato se non faremo reclamo in direzione», spuntò sdegnata anche Megan. «Andiamo, Kara». Entrambe se ne andarono, tenendolo d'occhio da lontano fino a sparire dietro gli alberi del parco e così iniziare goffamente a correre. Kara inciampò e il borsone le finì sul sedere; rimessa in piedi, la raggiunse.
«Nana, monella». Erano appena entrate nell'edificio quando Megan la sgridò, infilando la testa verso la borsa: quando una ragazza del dormitorio che passava per uscire la guardò, lei parlò ancora a bassa voce, fingendo di farlo con Kara e voltandosi. Lei toglieva la posta dalla cassetta. «Andiamo, comincia a essere pesante e non vorrei abbaiasse di nuovo e farci scoprire… non già oggi; non ho nulla per corrompere qualcuno. Non so ancora come abbiamo fatto a scamparla».
«Ha una cotta per te».
«Cosa?».
Kara emise un brusio a bocca chiusa, controllando la posta. «È per questo che non dice mai niente: tu pensavi fosse un po' toccato, ma ha solo una cotta per te». La consueta lettera da parte di sua zia non c'era, ora che era uscita di prigione, ma ce n'era una da parte di Mike e una busta di un bianco candido che prese la sua attenzione. Il suo nome era stato scritto con una calligrafia a mano particolare, molto elegante. Voltandola, trovò il logo impresso della Lord Technologies. La aprì subito, scoprendo un biglietto morbido al tatto, anche quello bianco e con studiati decori celesti ai lati. «Mi ha invitato ufficialmente», soffiò e Megan allungò lo sguardo.
«Oh! Io non ci sarò? E dire che lo avevo perfino shippato con Alex». Avrebbe scrollato le spalle se non fosse stato per il borsone pesante. «Sai cosa penso? Che dovresti chiedergli i danni morali, con quello che stai passando a causa di quelle pillole».
«Lui non ha colpe. O così mi ha detto», gonfiò le guance e il suo sguardo si posò in basso.
Megan la seguì.
Nana le guardò, naso bagnato all'insù per odorare.
«Nan-», Megan le spinse la testa dentro con delicatezza, prendendosi una leccata, e Kara si piazzò davanti per coprirla.
Lena continuò a studiare sodo. Passato un esame ne diede un altro, non fermandosi. Durante quei giorni camminava per casa parlando da sola per memorizzare meglio il tutto, facendosi domande a cui rispondeva poco dopo e chiedendo al lettore in salotto di riprodurle delle tracce caricate appositamente.
«Musica. CD E, traccia uno».
Indigo era in sala da pranzo per non disturbarla, iniziando una nuova pista a un videogioco. Si era scoperta molto brava ai videogiochi da quando Winslow gliene fece provare uno online al lavoro. Se non altro, tutto quel vincere riusciva a distrarla abbastanza: il suo angelo custode le aveva inviato vari messaggi da quando gli disse di aver confessato a Lena di lavorare ancora per lui e aveva provato a chiamarla tre volte. Lo ignorava e sapeva di non doverlo fare, rischiava grosso. In più, la sua preoccupazione aumentò quando non vide arrivare Noah verso le prime ore del mattino: niente più foto inquietanti? Aveva deciso di metterle paura e apprensione in altro modo? Avrebbe scommesso che fosse troppo occupato per incaricare Noah se non spendesse tutto quel tempo per cercare di parlare con lei di persona. Forse, e deglutì, anche lui aveva deciso di cambiare piano quando si era messa a farlo lei. Distratta, arrivò seconda e si trattenne dallo sbattere il joypad sul pavimento, sentendo il campanello della villa suonare. Che lui avesse inviato Ferdinand? Il cuore accelerò i battiti, preoccupata. Si affacciò al salone ma tirò un sospiro di sollievo vedendo entrare Alex Danvers. Lei e Lena si guardavano appena negli occhi e Indigo si morse un labbro. Quanto di vero c'era in quella discussione che avevano avuto al telefono per la cancellazione dei dati? Alex Danvers sembrava davvero nervosa e- oh, guardò in sua direzione e allora si nascose.
«Indigo», Lena la raggiunse. «Alex ed io dobbiamo parlare, saliamo di sopra. Va bene?».
Lei scrollò le spalle, scivolando con le calze ai piedi fino al joypad. «Non mi occorre nulla, vai pure. Sono al boss e devo concentrarmi».
Lena adocchiò la televisione e di nuovo lei, sorridendo mestamente prima di andarsene.
Le sentì sulle scale e lasciò il gioco in pausa, prendendo il cellulare. Loro l'avevano scoperta, ne era ormai sicura, ma questo era avvenuto prima o dopo la cancellazione dei dati? Lei e la sorella Danvers erano davvero ai ferri corti?
«Dovevate dirmelo! Ma cosa vi è saltato in testa?», Alex strinse le labbra, fissando Lena che si rintanava vicino alla porta del bagno. Il cellulare di quest'ultima era poggiato sul comodino e Indigo, se in quel momento le stava spiando come credevano, poteva sorprendersi della performance attoriale di Alex, al limitare della videocamera. «Kara mi ha detto che non lo sapeva. È così?».
«Sì. Sì, non lo sapeva. È stata una mia idea».
Alex si passò una mano sulla fronte, prendendo fiato. «Sei la sua ragazza e la stai trascinando in questa storia! Deve proteggerti come io adesso devo proteggere voi con il mio capo, è assurdo. Capisci quanto lo sia?».
«L'ho fatto per la mia famiglia. Tu non hai idea di-», Lena deglutì e lo sguardo di Alex si fece più intenso, «di cosa significhi essere una Luthor».
Lena aveva gli occhi lucidi e puntò lo sguardo altrove, notò Alex. Lo fece nonostante la videocamera non la potesse riprendere. Non fingeva? Allora aveva ragione Kara? Avrebbe seriamente cancellato quei dati per loro. «Allora spiegami. I Luthor sono anche la mia famiglia, adesso», borbottò.
Lena temporeggiò. «Non è… Non è affatto lo stesso e tu lo sai», formò un breve sorriso, freddo. «Se dovessi scoprire domani che la tua nonna materna ha rapinato una banca, come ti sentiresti? Se scoprissi che tuo padre ti ha nascosto di essere corrotto e che lavora nell'organizzazione? Tua madre ha sposato la mia, ma non ha sposato i Luthor. Loro restano un mio problema, non tuo. Le colpe di mio padre sono la mia eredità, non tua. Non di Kara», annuì convinta, «Né di Eliza. Mia», si rimise dritta con la schiena, fissandola negli occhi mentre Alex restò in silenzio, a bocca aperta. «Capisci?». Si guardarono e l'altra finì per sospirare debolmente.
Alex scese le scale poco dopo e Indigo riprese a giocare, cercando di battere il boss prima che Lena venisse a vedere. La loro discussione sembrava vera ma, che lo fosse o meno, Lena stava proseguendo la strada battuta fino a quel momento come previsto. Se non altro, ora aveva qualcosa da riferire al suo angelo custode per evitare che la facesse uccidere. Le serviva e, fino a quando era così, poteva stare tranquilla.
Da X a Me
Liet* di risentirti, non mi piace essere ignorat*. Grazie per l'aggiornamento. Mi pare di essere sempre stat* gentile con te, Indigo, ma la mia pazienza non è infinita e ringrazia che sono una persona impegnata: sparisci di nuovo e invierò Carol invece di Noah. Non accetterò altri passi falsi da parte tua, è un avvertimento.
Lei deglutì, spegnendo il monitor. Le era appena arrivato anche un messaggio da parte di Winslow che le chiedeva a quale livello era arrivata, ma in quel momento non le interessava rispondere. Si affacciò verso il salone, osservando Alex e Lena, ad almeno un metro e mezzo di distanza, che camminavano verso il portone.
Lo sguardo di Alex si posò sulla posta lasciata su un mobiletto all'ingresso, spostando due carte per osservare la busta bianca già aperta con su scritto il nome Lena Luthor con una calligrafia particolare. «È arrivata anche a te».
«Questa mattina».
Alex si voltò. «La mia è un po' diversa», azzardò un cenno con il movimento del capo, «Un invito a me e a… alla mia collega bionda con gli occhiali. Non conosce il suo nome. Gli avevo detto che Indigo lavorava in segreteria, non sa altro».
«Linda. Useremo questo, si sta abituando anche con le nostre madri», precisò Lena, ma il suo sguardo si fece più serio di colpo. «Perché l'ha invitata? L'ha vista una volta sola».
Alex scrollò le spalle, rassegnata. «Maxwell Lord vuole pubblico, in realtà non mi sorprende affatto. Ha invitato anche una mia collega, mi ha fatto sapere che le è arrivato in un… messaggio», per poco non si confondeva con gli sms e Lena le lanciò un'occhiata. «Beh, diglielo. Dovremo inventare una storia e che sia credibile».
«E funzionerà?», domandò, arcuando un sopracciglio. «L'ha vista una volta di sfuggita, ma se si fermerà a parlare con lei… Indigo è brava, in realtà, nelle discussioni, ma-».
«Oh, lo sappiamo», aggiunse velocemente Alex.
«Ma è sempre un rischio. Confidiamo nel fatto che, essendoci molte persone, le probabilità che parli proprio con lei sono ridotte?».
«Dovesse succedere, accorreremo in suo aiuto», finì, annuendo. La guardò un'ultima volta e aprì il portone per uscire. Si fece vedere da lei mentre prendeva da un taschino il piccolo cellulare vecchio modello, iniziando a digitare. Poi salì in auto mentre il cancello si apriva.
A. Danvers: Mi piacerebbe parlare con te senza il tuo telefono a riprendere, un giorno di questi.
Lena prese fiato, poi chiuse la porta. Determinata, non avrebbe lasciato che quel pensiero e quella faccenda rovinassero i suoi buoni propositi di finire con gli esami da sostenere: riprese subito a studiare.

Tra le prime cose che fece Kara, invece, fu andare a parlare con Cat Grant come le aveva suggerito Leslie Willis. Si presentò lì prestissimo e seguì la donna da quando uscì dall'ascensore, ma lei non la degnò di sguardo come di parola, entrando nel suo ufficio e chiudendole la porta sul naso. Leslie Willis rise e Kara sbuffò, fregandosi il viso. Per prima cosa iniziò a bussare nonostante la segretaria le avesse caldamente consigliato di non farlo. E bussò più volte. Si fermò a uno sguardo concitato della segretaria che, a ogni colpo della mano sulla porta, muoveva la testa un po' più in là per scuoterla. Per seconda cosa, allora, pensò bene di telefonarle nell'ufficio proprio attraverso la segretaria. Non rispose. Come terza cosa convinse la donna ad annunciarla ma, appena davanti alla porta, lei si tirò indietro e tornò a sedere, impaurita. «Potrei aprire la porta e… A-A quel punto sarebbe costretta a-».
«Sbatterti fuori».
«Ascoltarmi».
«Non ci credi nemmeno tu, cucciolo».
Leslie Willis non la stava aiutando per niente. «Beh», iniziò a camminare intorno alla scrivania della segretaria, tirando in su gli occhiali dal naso. «Qua-Quanto pensi possa arrabbiarsi, se lo faccio?».
Leslie tolse la penna dalla bocca, pensandoci. «Intendi in una scala da esci fuori da qui di corsa a non mettere mai più piede alla CatCo? Mmh, fammici pensare».
Kara gonfiò le guance e si arrese, sedendo di peso su una sedia. Accidenti. Lo sapeva, lo sapeva qual era il problema: Cat Grant aveva creduto in lei e per ripagarla di quella fiducia era uscita quella storia sulle pillole. E la signora Grant sapeva che era vera poiché era in gamba e non credeva alle voci di corridoio. Si chiese come le fosse arrivata, ma aveva davvero importanza, allora? Però non se ne sarebbe andata: era lì per parlare con lei e chiarirsi e costi quel che costi- La porta si aprì. Cat Grant la fissò con severità e le fece cenno di accomodarsi; Kara sbiancò.
«Su, muoviti. Veloce».
Kara deglutì, si allisciò i capelli sul capo fino allo chignon, sistemò gli occhiali e deglutì ancora, che non era abbastanza. Ora sì che la colazione le stava ballando in pancia: perché aveva cercato con ogni mezzo di farsi ricevere e non credeva, a quel punto, che il momento sarebbe arrivato così in fretta. Stava per rilassarsi e non aveva più le parole. La segretaria le mostrò il pollice all'insù, Leslie Willis alzò la penna mangiucchiata per aria e lei si sentì un guerriero giunto al fronte, chiudendo la porta alle sue spalle. «Signora Grant, oh la ringrazio, la ringrazio per avermi ricevuta», camminò rapida fino alla scrivania, gesticolando. La vide sedersi e forse non la stava guardando, no, non la stava guardando, si era messa a controllare il perché la sua sedia si era bloccata o cosa stava schiacciando, non lo sapeva, ma sperava almeno che la stesse ascoltando dietro quell'aria altezzosa cui niente sembrava scalfire. «Non sa quanto io sia felice di-di sapere che non abbia proprio scelto di ignorarmi, perché mi dispiace, mi dispiace e devo assolutamente spiegarle la situazione! Io…», si fermò intanto che lei si sedeva di nuovo, dopo aver trovato una moneta sul tappeto. Kara deglutì. Spiegarle…? «Io… sono colpevole», la notò lanciarle un'occhiata, finalmente. «Ho assunto quelle pillole e mi piacerebbe dire che mi hanno ingannata o… Ma niente del genere. L'ho fatto e», raggrinzì le sopracciglia e la scrutò odorando la moneta e contrarre il viso schifato, per poi tenerla con le punte di due dita e schiaffarla dentro un cassetto, «non ho scuse al riguardo. Ho commesso un errore, un grave errore, e mi prendo la totale responsabilità di que… quell'errore. E mi ha licenziata, quindi… forse dovrei», stralunò gli occhi, «a-accettarlo perché è la giusta conseguenza, e lo accetto, o meglio no, non lo accetto, ma lo capisco, ecco, volevo dire che lo capisco. Lo capisco, signora Grant», annuì. La donna si appoggiò sullo schienale della sedia e alla fine la inquadrò, restando immobile e in silenzio. Tanto silenzio. Così tanto che Kara pensò che sarebbe svenuta dall'ansia. Aveva senso ciò che aveva detto? Sperava di far partire una discussione e-
«Hai finito?», si passò due dita sul mento. «Sei venuta fin qui solo per dirmi che capisci perché ti abbia licenziata? Mi aspettavo una qualche scusa patetica come no, signora Grant, c'è stato un malinteso, o al limite che ti saresti prostrata ai miei piedi per chiedermi una seconda occasione, che avresti fatto qualsiasi cosa e allora io avrei accettato con riserva a patto che avresti fatto da babysitter a mio figlio novenne con la passione di smontarmi l'ufficio, perché la scuola è chiusa e perché la terapista dell'istituto ha pensato bene di dire davanti a lui che passare più tempo con me avrebbe fatto bene a entrambi, e ora non vuole più andare al campo estivo, sconvolgendo i miei piani e… il mio ufficio», sospirò, fissando un portapenne.
Kara non capì cosa ci fosse di sbagliato, fino a quando non la vide dividere le matite dalle penne. «Vuole… Vuole che faccia da babysitter a suo figlio?», tentennò.
«Certo che no, Keira. Dovessi chiedere a ogni persona che lavora per me di guardare il bambino dovrei rivedere le buste paga. Che comunque mi stresserebbe meno del dover passare ore», la fulminò, «al telefono con i responsabili del reparto finanziario che mi chiedono di spiegare loro come mai una ragazza che fa uso di droghe fa un tirocinio come reporter da noi», la vide deglutire e, sospirando, Cat Grant si appoggiò alla scrivania, giocando con gli occhiali da vista. «Mi hai messo in una bella situazione, Keira. Parlavo con loro e il bambino mi smontava l'ufficio, ma non è per quello che ti ho fatto venire qui».
«Fa-Fatto venire qui?», indicò alle sue spalle e dopo lei, socchiudendo le labbra.
Cat Grant si alzò e fece il giro, appoggiandosi alla scrivania sventolando gli occhiali in mano e sorreggendo un gomito su un fianco. «Tu ci tieni a questo lavoro, Keira? Sì o no, non ho tempo da perdere».
«Sì! Sì, sì, ci tengo, signora Grant», strinse i denti. Stava per aggiungere un ma ma i suoi sensi di ragno, o meglio ancora la colazione che girava vorticosamente in pancia, le suggerirono di tenerlo per sé.
«C'è una cosa che i miei dipendenti dovrebbero sempre tenere a mente per avere un futuro roseo alla CatCo e con me», la fissò, «Dirmi. Sempre. Tutto. Voglio sapere se fai tardi la sera, voglio sapere cosa mangi per pranzo e per cena, voglio sapere con chi vai a letto… e qui ci sarà da fare una piccola parentesi, a proposito», la indicò con gli occhiali in mano. «Voglio sapere se hai allergie, se hai passato il morbillo e la varicella, se al liceo hai pestato il piede al compagno sbagliato. Voglio sapere se sei Marvel o Dc, se preferisci dolce o salato, alba o tramonto, Jess o Logan. Voglio sapere quali persone di spicco conosci e, soprattutto, voglio sapere se hai mai fatto uso di droghe».
Kara ingurgitò rumorosamente, stringendo le labbra. «Sì… ha-ha ragione, signora Grant-».
«Ah-ah! Non interrompermi, Keira, so di aver ragione, grazie per la tua opinione non richiesta». Si allontanò dalla scrivania con un colpo di fianco e si rimise gli occhiali, pensando di andarsi a riempire un bicchiere dall'altro lato dell'ufficio. «La trasparenza è un elemento fondamentale. Non vuoi dirmi qualcosa? Sei fuori, tanti cari saluti e chiudi bene la porta. Ma se vuoi restare», la guardò negli occhi, accompagnandola con lei a sedere sul divanetto, «pretendo di sapere tutto, ogni particolare della tua piatta vita prima che qualcuno là fuori me lo venga a dire e io debba tenere lunghe discussioni al telefono con il reparto finanziario mentre mio figlio, qui da solo, distrugge l'ufficio».
Kara provò un brivido e iniziò a sudare freddo, annuendo lentamente.
«Non sei un cavallo: puoi dirmi a voce di aver capito?».
«S-Sì», arrossì dall'imbarazzo, «Signora Grant. Ho capito. Quindi… mi riprende a lavorare per lei…?».
«No», bevve un sorso, «Non ci penso neanche. Fino a quando questa storia non si sgonfierà, Keira, non ho intenzione di prendermi questa responsabilità». Finì il contenuto del bicchiere e lo tenne vuoto in mano, incrociando le braccia sul petto. «Sarebbe cattiva pubblicità. Devo pensare prima di tutto al mio nome», la indicò con un cenno, «Ma tu puoi, frattanto, impegnarti affinché il tuo venga ripulito. So perché hai preso quelle pillole, conosco tutta la faccenda e non spetta a me giudicare, questo è un aspetto che riguarda solo te. Ma se vuoi essere Supergirl, allora dovrai fare meglio di così».
Quando uscì dall'ufficio si sentì svuotata di un peso non indifferente, anche se le gambe erano ancora pesanti dall'agitazione provata. Cat Grant era capace di metterle paura allo stato puro e, allo stesso tempo, di guarirla. Era una strana combinazione.
«Dunque ti permetterà di tornare quando le acque si saranno calmate?», le domandò Lena al cellulare e Kara si morse un labbro, attraversando la strada a fianco di altri pedoni.
«Mmh… Mi ha chiesto di tornare quando sarò pronta per fare domanda di assunzione».
«Beh, ma è ottimo».
«… se ci sarà posto».
«Ouch… Ti assumerà, Kara. Se così non fosse non avrebbe perso tutto questo tempo con te».
Non che avesse torto, in fondo lo pensava anche lei. Si prendeva così tanta cura di ogni suo aspirante reporter? Era stata così anche con Leslie Willis all'inizio della sua carriera? E con Siobhan Smythe? A volte le passava per la testa che la donna fosse così attenta nei suoi riguardi per quello che era successo ai suoi genitori, per l'organizzazione o perché non voleva lasciarsi scappare l'occasione di avere qualche esclusiva. Allora perché dirle di fare esperienza e ricordarle che dovrà presentarle un articolo soddisfacente per avere il lavoro? Il tirocinio era ufficialmente finito, o passava la domanda di accesso o non la passava. «E c'è un'altra cosa, Lena», si fece più seria, guardando distrattamente le vetrine illuminate dal sole. «Le pillole non sono l'unica cosa che è arrivata alle sue orecchie. Per ora dice che non ci sono prove ma solo voci: noi. Qualcuno deve averci visto o riconosciuto… e-e com'è arrivata alla signora Grant… Dobbiamo essere più prudenti».
Lei sospirò. «Ce la siamo presa alla leggera, non giriamoci intorno… Sì, dobbiamo esserlo».
Lena tornò a studiare e Kara ricominciò a leggere i messaggi arrivati al suo telefono. Doveva farlo per affrontare quella storia e lasciarsela un giorno alle spalle, anche immaginando che Indigo potesse leggerli e diffonderli al suo garante, chiunque fosse. Probabilmente, a lui interessava comunque più Lena e i Luthor, rispetto a lei. Ne aveva molti anche da parte di Alex…
Sia lì che sui social erano ancora in tanti a chiederle delle pillole e perché lo avesse fatto, temendo che la signora Grant avesse ragione a tenerla distante. Dopotutto, non era nemmeno ancora riuscita a riconquistare le sue compagne di squadra. Ex compagne di squadra: ora non aveva più una squadra.
A ogni istante libero lasciava le coccole alla cagnolina Nana e si piazzava davanti alla porta dell'ufficio di George Millard. Megan ogni tanto riusciva a farle compagnia; era quasi diventata una manifestazione di resistenza.
Il giorno tanto atteso infine arrivò e la squadra cercò di visualizzare la vittoria della finale senza di lei sul campo. Senza di loro, veramente: dare dell'idiota al proprio coach a quanto sembrava non era considerato goliardata pre partita. Ma Megan lo domandò lo stesso, per esserne sicura.
«La prego, non mi faccia giocare, va bene, non entrerò in campo, ma non mi cacci», Kara puntò i piedi, impedendogli di passare verso lo spogliatoio.
«Può stare con me in panchina», pretese Megan a fianco. «Farà bene alla squadra saperci entrambe lì a dare consigli! Per favore».
Lui le fissò con aria palesemente annoiata, ma doveva sapere che non se ne sarebbe liberato. «E va bene», roteò gli occhi e brontolò del loro sospirato entusiasmo. «Ma non giocherete e tu sei ancora fuori dalla squadra, signorina», le puntò sul viso un indice cicciotto particolarmente rosa, per poi passarle avanti con una spinta e aprire la porta.
Appena entrarono, Kara sentì una ventata d'aria gelida che le avvolse le ossa del corpo in un secondo: tutte si girarono a guardarle con espressione sconfortante o tra le più arrabbiate. Il coach batté le mani provando a spronarle e continuarono a cambiarsi, ma la solita euforia sembrava oramai un ricordo.
Millard scrollò le spalle abbozzando una risata, riguardando verso le due. «Ho cambiato idea, Danvers: riconquistale e giocherai la prossima stagione. Hai un'opportunità, sei contenta?» .
Si allontanò dando uno sguardo a una cartella in mano e Kara, volto smarrito, provò ad annuire, inumidendosi le labbra.
«Pezzo di merda…», bisbigliò Megan accanto a lei. «Vuole divertirsi alle tue spalle».
«Ce la posso fare».
«Che?», Megan diede un'occhiata alle ragazze, una delle quali picchiò l'armadietto con forza apposta per attirare l'attenzione, e dopo lei, che pareva più pallida del normale. «Ammiro la tua ritrovata speranza, ragazza, ma qui ci serve più un miracolo». Cominciarono a camminare e la numero quattro andò loro addosso di proposito, spingendo Kara con una spallata e chiedendo fintamente scusa. Si fermarono a guardarla e, mentre l'amica gonfiava le guance dal fastidio, lei si limitò a uno sguardo truce. «Ci parlerò io».
«Adesso pensiamo alla partita», si tolse gli occhiali, fregandosi gli occhi. «John verrà a vederci… mh- vederle?».
«Spero di sì… Non mi ha risposto. Forse non poteva. Richiamerà o lo rivedremo direttamente dopo».
Si scambiarono uno sguardo e, prendendo fiato, cercarono di parlare con le ragazze sulla strategia da adottare solo per sentirsi rispondere che avevano già una strategia che oggi non le avrebbe incluse. Nessuna era pronta ad ascoltare Kara sui consigli che era solita dare loro a ogni partita e il coach Millard, in fondo allo spogliatoio, ogni tanto pareva ridacchiare. Sarebbe stato un lavoro lungo e difficile e forse quell'oggi non sarebbe riuscita a risolvere né a cercare di spiegarsi con loro, ma era davvero sicura di farcela perché, semplicemente, non si sarebbe arresa al contrario. Lei e Megan si andarono a sedere in panchina con le riserve e tentò, per tutto il corso della partita, di mettere da parte il pensiero che ce l'avessero con lei e gridare in supporto e dare talvolta suggerimenti utili. Quella partita era importante per tutte e sperava che avrebbero messo da parte anche loro ciò che provavano per provare a vincere. Ma forse si sbagliava:
«Smettila», mormorò la riserva al suo fianco destro, seduta in panchina. «Stai zitta, non ti vogliono sentire! Rischi che facciano il contrario e perderemmo per colpa tua. Siamo già sotto».
Kara stava per aprire bocca che Megan, al fianco sinistro, la interruppe: «Zitta tu. Se perdiamo sarà solo colpa loro che non sono capaci di scindere e mettere da parte l'orgoglio. Siete arrabbiate? Chi se ne frega».
Intanto, sugli spalti, sia Alex che Lena erano preoccupate per l'atteggiamento che sembravano tenere verso Kara. Non potevano sentirle ma, da come si comportavano, era evidente che non l'ascoltassero. Separate da Indigo che beveva un succo di frutta, non parlavano spesso tra loro, continuando la loro farsa.
Ma quella situazione e la partita non era la sola cosa a dare a Megan da pensare: John non appariva da nessuna parte e non le aveva scritto né telefonato. Non era da lui, non dopo aver parlato a Marsington al funerale della nonna. Non si sarebbe mai perso una loro partita e di certo non la finale. Tuttavia, se di John Jonzz non c'era traccia, un'altra figura aveva deciso di mostrarsi sugli spalti e sia Alex che Lena, e così Indigo, si erano alzate in piedi, incredule di vederla lì: Astra Inze e la sua aria da Alice appena atterrata nel Paese delle Meraviglie cercavano la nipote con una mano sopra gli occhi per ripararsi dal sole. Alex pensò di raggiungerla e loro la seguirono, anche se Indigo con molta meno voglia.
Si stava allontanando verso il cancello aperto e si fermò quando udì i passi dietro di lei. Sapeva già chi si sarebbe trovata di fronte e si assicurò che vedessero un sorriso radioso pronto sul suo volto. «Volevo aspettare la fine della partita per vedere Kara, non stavo scappando», si girò. «Mi sarei aspettata di vederla giocare, ma… Volete farmi compagnia? Vi offro un drink da qualche parte?».
Teneva i capelli mossi all'indietro con delle forcine, era truccata, indossava un completo blu con giacca e scarpe con tacco alto; era strano vederla in quel modo, come se non fosse mai stata la stessa Astra Inze di Fort Rozz e Alex scrollò gli occhi. «Dovresti andartene», ammonì, seccata. «Lascia Kara in pace».
Astra aprì piano la bocca, tinta di un rossetto rosso brillante. «È mia nipote, non potete tenermi lontana da lei per sempre». Solo allora, sforzando la vista, notò Indigo Brainer poco più lontano da Lena Luthor, nell'ombra degli spalti. «Un vecchia conoscenza, e chi l'avrebbe mai detto».
Alex e Lena si voltarono a lei d'istinto ma, lontano solo qualche metro, Kara era lì, vicino a Megan. Dovevano averla vista, accidenti.
Il viso di Astra si sciolse come un pezzo di ghiaccio dalla commozione. Ebbe le lacrime agli occhi non appena Kara posò i suoi su di lei, avanzando qualche passo; il labbro inferiore iniziò a tremare.
Sua zia era lì, a pochi metri, fuori da Fort Rozz che gliel'aveva tenuta distante per dodici anni. Nel frattempo era cresciuta, aveva imparato a odiarla ed eppure a ritrovarsi in pena per lei, per poco. Non sapeva cosa aveva passato e mai se lo era chiesto; si era sempre sforzata affinché la tenesse distante anche dal suo cuore, ignorando quelle lettere che continuavano ad arrivarle ogni giorno, ma adesso che era lì… non lo sapeva. Forse non cambiava niente o cambiava tutto, poiché camminò da lei senza neanche rendersene conto.
La donna le prese il volto con entrambe le mani e le lacrime le rigarono il suo. La guardava e sfiorava come avrebbe fatto con qualcosa di fragile; ma non sua nipote, era il momento a essere fragile, che poteva rompersi da un attimo all'altro e lei sarebbe scappata via dalle sue cure. Non voleva che accadesse. Kara non riusciva a dire una parola, incantata, e Astra sorrise di gioia. «Quanto sei bella… Sono così fiera, così fiera di te».
Fiera? Era la parola che meno si aspettava nel periodo attuale e, di certo, non aveva alcun diritto di dirglielo. Sapeva che non ne aveva. Ma il cuore le batteva impazzito: rivedere quegli occhi azzurri così familiari a un palmo dal naso la riportava a una casa che non esisteva più. Che strana sensazione sulla pelle, spiacevole e piacevole al tempo stesso, verso una felicità non piena, nostalgica che le bucava il ventre. Faceva male, ma le erano mancati.
«Anche tua madre lo sarebbe stata».
No. Non avrebbe dovuto. Kara s'imbrunì e tornò un passo indietro, staccandosi dalla sua presa. Si voltò e scoprì Lena, Alex, Megan e Indigo che squadravano Astra e allo stesso tempo, senza una parola, la invitavano a venire verso di loro. Così la ragazza tornò indietro ancora, riguardando sua zia.
«Non preoccuparti, Kara», iniziò a dire, tamponando gli occhi con i polpastrelli. «Avremo tutto il tempo, adesso, per parlare. Tutto quello che ci occorre. Non dobbiamo fare tutto subito», sorrise, prima di allontanarsi verso il cancello. Si assicurò che loro non la stessero guardando o seguendo, spiando attraverso due sbarre della palizzata d'acciaio, e si appoggiò, prendendo fiato un momento. Sua nipote, non poteva crederci. Aveva potuto toccarla e parlarle dopo così tanto tempo, tante lettere inviate, tante ore a immaginarla crescere lontana da lei, alle discussioni che avrebbero avuto, a tutto quello che si stava perdendo, stretta in quattro mura. Ora le cose sarebbero andate diversamente. Era stato così intenso il loro incontro… Non l'avrebbe più lasciata andare. Aprì bocca e prese un'altra grande boccata d'aria, spostandosi. Allora puntò una macchina parcheggiata e attraversò, lasciando la sua espressione commossa per una più dura. Aprì la portiera posteriore destra e si sedette, salutando un uomo che la stava aspettando, mani intrecciate sulle ginocchia.
Sembrò turbato, ma le diede il bentornato con un sorriso e le alzò una mano per stringerla, che lei nemmeno guardò. «Sono felice di vederti! Di vedere che stai bene! Sei-Sei uscita da poco, giusto? Quando mi hanno detto che volevi parlarmi…», l'uomo si tolse un ciuffo castano dagli occhi: l'ansia lo stava facendo sudare più del necessario. «Ho saputo che sei… sei una beta, adesso. Metteresti una buona parola per me?», si sforzò per ridacchiare.
Lei lo guardò a stento. «Sapevi che esiste, a Fort Rozz, un reparto in isolamento che i detenuti chiamano la Zona Fantasma?», fece una breve pausa. «Sai perché lo chiamano così? Mettono lì le persone che vogliono punire, o quelle che devono essere interrogate a lungo termine e vogliono indebolire. Ti senti sola, inizi a sentire voci che esistono solo nella tua testa, lo scorrere dell'acqua e non sai se c'è davvero o è immaginazione, rumore di passi ma non c'è nessuno, non puoi dormire e non sai se è giorno o è notte. Mi hanno tenuta chiusa lì quasi un anno intero», piegò una smorfia, simulando un sorriso. «All'inizio della mia detenzione. Poi per mesi che sembravano altri anni. È stata dura prima che l'organizzazione prendesse il controllo».
«Mi dispiace…», mormorò lui e la donna incurvò la testa, trattenendo le lacrime. «I-Io non sapevo…».
«Certo che non lo sapevi: non sei venuto a trovarmi neanche una volta in dodici anni», lo informò e lui deglutì. «Ho pensato a così tante cose, quando ero lì dentro… Hai saputo di Lionel, invece? A lui è andata peggio. Quand'è stata l'ultima volta che lo hai visto?». Lo vide balbettare.
«B-Beh, credo… Credo quando ci siamo messi d'accordo per portare te e tua nipote via da National City, quindi-».
Astra annuì. «Sai cosa si pensa all'organizzazione? Che sia morto per aver cercato di aiutare gli El. A distanza di anni, qualcuno deve aver saputo che Lionel stava aiutando me a scappare con mia nipote». L'uomo scosse la testa e dopo scrollò le spalle; lei socchiuse gli occhi, affranta. «Tu ne sai nulla?». Era stanca di vederlo agitarsi senza saper dire niente di utile e si inchinò per prendere un guanto infilato nella tasca della portiera. «Da qualcuno devono averlo saputo».
«No, no! Non da me, Astra, io non- non lo avrei fatto mai, lo giuro! Ero fedele, sono ancora fedele», deglutì, portando le mani in avanti. «L'unica cosa che volevo era lavorare con voi! Un giorno avrei voluto-».
«Cosa?».
«Essere dei vostri! Un omega, iniziare dal basso, lo giuro! Mai ti avrei tradito, o tradito Lionel Luthor».
Lei chinò la testa, prima di riguardarlo negli occhi. «Tutto quel tempo nella Zona Fantasma e non ho mai, mai tradito nessuno», biascicò, smettendo di ascoltare l'uomo al suo fianco.
«Ti prego».
Afferrò una pistola dalla borsetta e, in silenzioso, gli sparò in pieno petto. Uscì e lasciò la pistola sul sedile, togliendosi il guanto e gettando anche quello. Dopodiché batté il vetro dalla parte del guidatore. «Andate», ordinò. «Ho bisogno di distendermi».
Col vetro abbassato, l'impacciato Larry le diede l'okay e la berlina si allontanò.


***


«Ehi». Lena le si avvicinò. Avrebbe tanto voluto darle un bacio, ma anche se si trovavano all'interno del locale di lusso, sarebbe stato meglio non attirare troppo l'attenzione, considerando la voce che girava. Anzi, rifletté, proprio perché si trovavano lì sarebbe stato meglio non farlo. «Come ti senti?».
Kara era appoggiata al bancone, il bicchiere vicino, ancora intatto. «Bene», le sorrise, «Siamo qui per festeggiare, quindi… Perché così seria? Hai finito con gli esami, e col massimo dei voti. Stamattina hai consegnato la tesi e ti sei tolta un peso. Al posto tuo starei gridando di gioia». Le prese le mani e, sentendosi osservata, le lasciò, abbassando lo sguardo. Dei signori più in fondo alzavano i bicchieri in continui brindisi, altri due parlavano come loro davanti al bancone, lontani: nessuno sembrava considerarle, perfino il barista risciacquava i bicchieri canticchiando, ma lo avevano pensato anche altre volte e sentivano che non era ancora arrivato il momento per fare un bel coming out pubblico. «Perché Lillian ha scelto di vederci proprio qui?».
Lena si guardò attorno, sedendo anche lei. «I miei frequentavano questo posto», assottigliò lo sguardo. «Nostalgia?».
«Solo questo bicchiere costa più della mia istruzione», lo osservò Kara, mandando giù il contenuto d'un sorso.
«Andrà bene, Kara», attirò la sua attenzione. «Si sistemerà tutto».
Si tirò gli occhiali sul naso, formando un lungo sorriso. «Lo so. So che si sistemerà tutto ed è davvero», annuì, «la prima volta sono sicura che succederà. Ero soprappensiero, forse, un po'», gesticolò, «sì… ma è diverso. Dopo ciò che è successo, ho smesso di piangermi addosso».
«Non lo hai mai fatto».
«Forse sì. Ma so che se anche mi ritroverò a sentirmi giù per qualunque motivo, o arrabbiata, e mi andrà di rifugiarmi lontano dal dolore… sarà momentaneo. Perché non lascerò che queste cose mi consumino di nuovo com'è successo con le pillole», la guardò dritta negli occhi. «Non lascerò che le cose cattive o sbagliate che succedono si alimentino di me e di ciò che sono». Per un attimo, fu come rivedere suo padre, nella sua cameretta intento a spiegare a una bambina di dieci anni come funzionava la rabbia. Ora lo capiva come mai prima. «E so che ci sarai anche tu, con me. Qualunque cosa la affronteremo insieme perché sei mia complice e…», i suoi occhi si allontanarono, guardandosi di nuovo attorno, «la cosa più bella che mi sia successa».
Lena aprì la bocca, avvampando lentamente. «Sì… Andiamo in bagno».
«Cosa?».
«In bagno. Adesso», propose, «Prima che arrivino Lillian ed Eliza. Qui ci sono le telecamere, lì no».
Kara aprì la bocca pian piano e infine si alzò di fretta, mettendo male un piede dietro un gambo dello sgabello e raschiandolo sul pavimento, facendo girare tutti. «Scusa-Scusate». Scorse Lena coprire una risata con una mano, alzandosi anche lei, più pacata. «Non è successo niente…», intonò, rimettendo a posto.
Lena le si aggrappò sulle spalle, sbattendola contro le pianelle lucide del muro appena chiusero la porta, affondandole la lingua in bocca. Kara la strinse per i fianchi e tastò energicamente, fino a che non sentì che la borsa le scendeva da una spalla e gliela acchiappò al volo.
«Ops», Lena rise e solo un attimo più tardi incrociò lo sguardo allarmato dell'altra. «Cosa-?». Oh, il cellulare. Già, era acceso e lo aveva in borsa. Anche lei lo teneva in borsa, ma sembrò essersene resa conto solo ora. Si avvicinò a un orecchio, dopo averle lasciato un bacio sul collo. «Non ci sentirà. Non le importerà se ci coccoliamo un po'».
Rossa dall'imbarazzo, Kara balbettò: «È-È che-che, sì… sta squillando».
«Oh». Sospirò subito e lo cercò in borsa. «Lillian… Sono arrivate, dobbiamo andare. Salvata dal cellulare», si morse un labbro e le catturò un bacio.
«Avremo dei giorni per recuperare».
Quasi aperta la porta, Lena si voltò, scrutandola negli occhi intanto che l'altra, passandole il braccio a un palmo dal naso, richiudeva. Si lasciò mettere una mano sul viso e spalancò di nuovo le labbra, chiudendo gli occhi. Un bacio lungo, pieno. La guardò con intensità quando si lasciarono. «… sì», non riuscì a dire altro, in un sussurro. Oh, se solo Kara non volesse dormire al campus quella notte, accidenti. Si risparmiò dal dirle quanto la desiderasse, non voleva che si sentisse soffocata: aveva ragione dopotutto, avrebbero avuto dei giorni, anche se sotto lo stesso tetto delle loro madri.
Lillian ed Eliza stavano ordinando da bere e, appena le videro, la seconda corse ad abbracciarle. Prima Lena, sfiorandole una guancia arrossata, e dopo la figlia, staccandosi il tanto per scrutarle gli occhi.
«Cosa… c'è? Che succede?». Oh, lo sentiva, lo sentiva: non riuscì a fare a meno di arrossire maggiormente.
Eliza la riabbracciò. «Non volevamo interrompervi», mormorò divertita. «Senza imbarazzo, piccola mia: devi ricomprare l'acqua aromatizzata».
Quando l'abbracciò Lillian, Kara aveva ancora gli occhi sgranati, immobile come una statua di cera.
Si sedettero attorno a un tavolino e si fermarono a parlare. La Luthor Corp stava lavorando a un nuovo progetto e presto ci sarebbe stata una nuova mostra, simile a quella dello scorso anno, ma stavolta incentrata sull'immigrazione e sugli ostacoli dati dai confini. Lena disse che avrebbe iniziato a lavorarci in quei giorni, ora che era libera dallo studio. Nominarono anche il lacrosse ed Eliza si stupì molto di sentire che il coach non avesse voluto farla giocare. Nessuno le aveva detto ciò che era successo e Kara sentì l'impulso di vuotare il sacco, se non fosse che Lena, sotto gli occhi in panico di Lillian, le strinse una mano per fermarla. Non adesso, le soffiò all'orecchio. Eliza sorrise a entrambe, mentre la donna a fianco a lei sembrò assentarsi con la mente e con lo spirito. Con la conseguente sconfitta alla finale, le ragazze l'avevano incolpata per la sua assenza in campo e Kara non se l'era presa, al contrario di Megan: sarebbe stata pronta a strigliarle, se non fosse stata troppo occupata a preoccuparsi per la mancata presenza di John Jonzz.
Eliza colse un momento di pausa per ricordarle della cena a cui le avevano invitate. Dissero di poter restare dei giorni, non c'era bisogno di sottolineare una cena in particolare, finché non sputò il rospo, con palese nervosismo:
«Volevo parlartene prima ma… e possiamo sempre annullare se non ti va, non voglio farti pressioni! Ho invitato tua zia, Astra… per quella cena».
Le loro espressioni si freddarono, scambiandosi uno sguardo.





























***

Bentornati, people!
Vero, vero, questo è un capitolo di passaggio, ma tutte queste cosettine dovevano pur trovare una collocazione :3
Kara che va a parlare con Cat Grant, Lena che studia, la finale della stagione senza Megan né Kara in campo, zia Astra che uccide un tizio in auto, la discussione tra Alex e Maggie sull'organizzazio- oh, sì, ha proprio ucciso un tizio in auto. Dunque, un tizio che avrebbe dovuto aiutare lei a scappare con Kara dodici anni fa; abbiamo saputo che anche qui abbiamo un'interpretazione della Zona Fantasma e che Astra laggiù se l'è passata poco bene; che ha sparato al tizio perché pensa che abbia potuto tradire Lionel. Dopotutto, se Lionel Luthor è morto, qualcosa è andato storto e Astra pare intenzionata a scoprire cosa.
Ah, e l'autista era Larry! Non un Larry a caso, ma l'unico Larry della fan fiction, il ragazzo- no, fidanza- ah, ma che dico, scherzavo, il tizio con cui Leslie Willis ama uscire ogni tanto, ma solo per il sesso, così dice lei. Non voglio incorrere nelle sue ire XD
Che altro? Oh, sì: continua la farsa tra Lena e Alex che fingono di aver avuto una discussione, l'iniziazione di Maggie nell'organizzazione pare avverrà per la fine dell'estate, Eliza ha capito che fine ha fatto l'acqua aromatizzata, ops, e Kara proprio ora si è ricordata che deve ricomprarla, infine… infine le lettere di invito con il logo della Lord Technologies, perché Max non ama passare in sordina. Ha invitato le nostre eroine, ma anche Carina Carvex e Indigo, che mi sa dovrà proprio fingersi Linda ancora un po'. Sappiamo che Maxwell sa chi è, ma loro non sanno che lui sa, eh. Ma no, niente invito per Megan, anche se lo shippava con Alex, cosa che gli farebbe piacere sapere, senza dubbi.

Note? Nah, stavolta credo che passerò, ci sarebbe da fare una piccola parentesi per la sola Zona Fantasma ma credo che tutti, o quasi, sappiano già cosa sia. L'ho introdotta “per caso” in realtà, mi è venuta in mente mentre scrivevo il dialogo e l'ho lasciata, perché in fondo questo spiegherebbe, o almeno in parte, le motivazioni che spingono Astra Inze a fare quel che fa.

Detto questo, ci ritroviamo qui per il prossimo capitolo, che mi piace particolarmente, e si intitola Lemuri al buio. Titolo curioso. Ah, sì, lo pubblicherò sabato 6 giugno! Non mancate!

   
 
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