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Autore: Indaco_    28/05/2020    4 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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Sonic e Dylan erano seduti sulle scale della palestra con una birra in mano e lo sguardo stanco. Entrambi erano spossati anche se tentavano di nasconderlo l’uno agli occhi dell’altro. Il cielo sgombro di nubi rivelava una fitta costellazione di stelle che rubavano gli occhi. Una serata meravigliosamente calda che invitava a star fuori e a godersi quell’estate afosa.
Dylan portò la birra alla bocca e buttò giù una sorsata per poi lanciare un’occhiata al riccio blu, il quale, seduto al suo fianco coperto di graffi e cerotti vari, era troppo occupato a guardarsi le punte delle scarpe che le miriadi di lucciole nel cielo.
< Allora? Di cosa volevi parlarmi? > iniziò con estrema pazienza il riccio nocciola. Chiamato dal figlioccio a quell’orario insolito, Dylan era balzato giù dal letto un tantino preoccupato e aveva preparato la birra. Era al corrente della giornataccia che aveva dovuto sorbirsi: gli aveva accennato qualcosa al telefono ma non era arrivato al sodo, facendogli capire che aveva bisogno di un po’ di tempo per raccogliere le idee. Sapeva quasi per certo di cosa voleva parlargli e ne era più che felice. Certo, lo sguardo assente lo preoccupava ma sapeva che, sotto quello strato di indifferenza e agli occhi bassi, c’era tanta felicità. 
Sonic ritornò in sé e sbatté lentamente le palpebre come appena risvegliato. La bottiglia tra le sue mani era intoccata, il livello della bevanda era ancora al colmo e Dylan se ne dispiacque. Un profondo sospiro accompagnò le sue parole, come se quelle pesassero all’incirca una cinquantina di chili a testa.
< sono venuto a dirti, come già saprai d’altronde, che Justin è mio figlio > mormorò con tono deciso ma molto cupo.
Dylan lo conosceva talmente bene che sentì la nota di panico in fondo alla gola e riconobbe lo sguardo corrucciato tipico di quando era piccolo e non riusciva a capire un determinato passo di danza. Non riuscì a fingere di essere sorpreso e gli scappò un sorriso veramente soddisfatto: Dio, quanto era diventato grande il suo piccolo
< heylà, benvenuto nel mondo degli adulti! > lo sbeffeggiò con franchezza rubandogli un cin-cin dalla bottiglia. Sonic non riuscì a reprimere un sorrisetto da quella frecciata per nulla velenosa ma tornò serio in pochi secondi, non aveva certo dimenticato quell’alleanza ignobile tra lui e Amy!
< Spero che i tuoi sensi di colpa siano terribili. Come hai potuto, tu, nascondermi una cosa del genere? > continuò asciuttissimo lasciando trapelare una buona dose di delusione sapientemente nascosta da un sorriso amaro. Dylan sospirò e iniziò a giocherellare con la bottiglia che teneva in mano rimanendo in silenzio per qualche secondo
< l’ho fatto perché mi ha chiesto di mantenere il riserbo. E me l’ha chiesto il primo giorno che l’ho rivista. Quando ho visto Justin entrare in quella sala mi è sembrato di rivedere te quando entrasti per la prima volta nello stesso luogo. Mi chiedo come tu abbia potuto non insospettirti a dir la verità. Credevo che l’avresti scoperto da solo > rispose con estrema semplicità.
Sonic rollò gli occhi e si inasprì,
< che strano che tu abbia parteggiato per lei > rispose con ironia inumidendosi la gola con la bevanda ambrata. Dylan sospirò,
< c’era tuo figlio e i tuoi sentimenti in mezzo. Speravo che lei riuscisse ad aggiustare la situazione senza causare altri problemi. Tutto qui. Cosa farai ora? >
< non lo so. Non riesco a togliermi dalla testa il fatto che tu, Silver e company non mi abbiate detto assolutamente nulla sul fatto che io abbia un figlio. Quando avete visto che Amy non parlava cosa aspettavate? Che passassero altri quattro anni? > rispose di malumore alzandosi in piedi.
Dylan lo imitò, comprendeva bene la situazione e per alcuni versi non poteva dargli torto.
< Sonic, abbiamo parlato tra noi su come affrontare l’argomento! Amy continuava a promettere di dirtelo in tempi brevi e noi l’abbiamo seguita! Non potevamo fare altro d’altronde. E’ vostro figlio, non potevamo metterci in mezzo > rispose dispiaciuto affiancandosi a lui. Con un movimento impaziente, il riccio nocciola tirò fuori il pacchetto di sigarette e ne bruciò una, aspirando le due prime boccate con adorazione.
< Bhe, la vostra gentilezza mi ha fatto perdere due mesi del piccolo. Se vi può confortare > rispose il riccio blu sollevando per la prima volta lo sguardo al cielo. Possibile che nessuno di loro avesse avuto l’impulso di dirgli qualcosa? Si sentiva davvero tradito e la sensazione non era per nulla piacevole.
Dylan sospirò osservando il cuore del tabacco smorzarsi sempre di più,
< hai ragione purtroppo, abbiamo sbagliato. Era giusto dirti tutto lasciando da parte Amy. Ma il fatto che tu e lei vi stavate riavvicinando, dopo i fatti che sono accaduti tra voi, insomma, non volevamo per nulla al mondo “disturbarvi”. Speravamo che tutto si risolvesse per il meglio, nessuno aveva calcolato l’udienza di oggi > concluse mesto riflettendo sugli eventi accaduti.
Si sentiva in colpa per non essere intervenuto in quella questione, col senno di poi l’avrebbe avvertito o comunque avrebbe cercato di fargli notare l’enorme uguaglianza tra lui e il piccolo tanto da insospettirlo. Il ragazzo rispose con un sospiro infelice, era così stanco di ascoltare scuse. Sapeva che Dylan diceva la verità ma, il fatto che tutti fossero a conoscenza della sua paternità e che nessuno avesse accennato alla cosa, lo faceva realmente innervosire.
< Va bene, non fa niente, ora me ne torno a casa, ho voglia di vedere il piccino e poi ho cose da fare > esclamò con i nervi a fior di pelle cercando di fingersi tranquillo. Stropicciandosi i pantaloni con fare ingenuo appoggiò la bottiglia al muretto. Non aveva voglia di discutere, in certi casi era impossibile far ragionare l’insegnante, inoltre era troppo stanco per iniziare una delle loro battaglie verbali.
Dylan lo imitò, appoggiò la bottiglia a terra e anche la mezza sigaretta,  prese un respiro come per dirgli qualcosa, ma nessun suono uscì dalle sue labbra.  Sonic ignorò volutamente il gesto.
< ci vediamo. Ah, congratulazioni per il concorso > esclamò  con poco entusiasmo incamminandosi verso il vialetto deserto. Era stato avvertito del primo posto dallo stesso Silver che, più felice che mai, l’aveva tartassato di messaggi per tutto il pomeriggio ignaro della lotta che il compagno stava affrontando.
In quel momento sentiva che l’unica persona che potesse consolarlo almeno un po’ era il figlioletto blu, sperava che non fosse ancora andato a letto per coccolarlo un po’.  < Scusami! > gridò di getto il riccio nocciola alle sue spalle. Il blu si fermò e si voltò accigliato non sicuro di aver capito bene. I tre passi che li separavano sembravano cinquecento.
Il viso dell’insegnante era sofferente rendendo le sue parole ancor più credibili
< hai ragione. Avrei dovuto dirti qualcosa, ma me ne sono accorto tardi. Speravo che un giorno arrivassi in palestra e mi dicessi che eri diventato papà. Ma non è andato come speravo. Mi dispiace, finalmente ti vedevo felice, felice davvero, credevo venisse a galla da solo! Scusa! > gridò con voce arroccata da anni di sigarette. Sonic rimase in silenzio soppesando le sue parole una ad una, lo sguardo impenetrabile verde evidenziatore lo scrutò con attenzione per un momento per poi far affiorare un sorriso beffardo.
Erano rare le volte che Dylan ammetteva di aver torto e questa volta avrebbe letteralmente sguazzato nelle sue scuse prima di concedere il suo perdono. Alzando una mano come segno di saluto sorrise grato e poi si dileguò in un batter d’occhio in una scia blu. La prima persona a cui fare la morale era stata contattata: nei giorni successivi avrebbe passato uno a uno anche i suoi presunti amici. Soprattutto Silver.

La sua corsa a rotta di collo rallentò sempre più nell’avvicinarsi verso casa, gli sembrava che quel peso dentro al petto crescesse diventando sempre più pesante. E arrivato nella sua via rallentò fino a fermarsi di fronte al cancello di casa accuratamente chiuso. Nonostante fosse presto, le luci della casa erano spente e la casa sembrava fosse stata abbandonata, neppure il bagliore della tv brillò sulla finestra. Il suo pensiero volò a Justin, forse “quella” se l’era portato già via?
Comunque non poteva rimanere al cancello in attesa di un miracolo, inoltre il vento serale era freddino e lo stava congelando. Aprì il cancello e attraversò il viale illuminato dalle luci dei piccoli lampioncini. Il rumore dell’acqua lo fece rabbrividire, soprattutto quando delle piccole goccioline gli si posarono sul viso.
Quello che doveva affrontare era talmente enorme da creargli un forte senso di disagio: non aveva la forza, la pazienza e la voglia di affrontare la ragazza, anzi, non voleva nemmeno vederla.
Sulla porta le chiavi di casa erano in bella mostra attaccate alla serratura, indicando che mamma e figlio si erano recati a dormire. Il riccio lanciò un’occhiata scrupolosa al piano superiore cercando luci o movimenti che potessero accertargli che Amy fosse sveglia. Ma il buio più  impenetrabile riempiva le stanze: di sicuro entrambi, esausti dalla giornata movimentata, erano crollati inermi sui loro letti. Il riccio girò le chiavi stando ben attento a non creare rumori che potessero svegliare i due coinquilini e si addentrò in punta di piedi nell’atrio.
Felice di essersi intrufolato senza svegliare nessuno, pochi passi dopo, inciampò su qualcosa di solido, pesante e piuttosto alto. Il tonfo che risuonò per tutto il salotto sarebbe servito a risvegliare mezza città e il blu riuscì a non sfracellarsi al suolo solamente grazie alla sua straordinaria velocità. Aggrappandosi al mobile posto accanto al muro, incredulo per la caduta miracolata, tastò tutta la parete in cerca dell’interruttore della luce. Il piede, indolenzito dallo schianto, provocò una pioggia di imprecazioni rivolte all’oggetto su cui era inciampato.
Si stupì quando trovò due grosse e grandi valigie stipate di vestiti, pronte per essere trascinate via. Pensava infatti che Amy avrebbe tentato di convincerlo a farla rimanere per amore di Justin e via dicendo, invece, di fronte a quelle, non era affatto così.
Scrollò le spalle cercando di allontanare il senso di disagio che provava in quel momento e si sdraiò, dopo ore e ore di corsa e parolacce. Per quanto il suo corpo lo ringraziasse della pausa, i suoi pensieri erano un tal groviglio di nodi che non beneficiarono di alcun sollievo. Anzi, poter riposare il corpo significò dar più spazio ai sentimenti, troppi e così opposti tra loro da non riuscire a dare un ordine logico. Passandosi stancamente le mani sul volto si chiese cosa dovesse fare adesso: Amy se ne sarebbe andata il giorno dopo e con sé avrebbe portato il figlioletto. Aveva pensato se requisirglielo o meno e per quanto desiderasse tenerlo con sé capiva perfettamente che Justin, probabilmente, avrebbe preferito rimanere con la madre che con lui. Limitare il tempo con il bambino non se ne parlava proprio, aveva già perso quattro anni della sua vita, non aveva intenzione di perdere un altro singolo giorno e l’idea di lasciare che la ragazza abitasse con lui, men che meno.
Sospirando per la decisione che doveva prendere il prima possibile, dopo essersi stiracchiato mollemente, decise di andarsene a dormire: forse, con qualche ora di sonno, avrebbe deciso più facilmente. Con un sospiro guardò tristemente le lunghe scale che portavano al primo piano, maledicendo la volta che aveva comprato quell’enorme casa. Trascinandosi al piano superiore cercò di non inciampare su nient’altro, non voleva svegliare il piccolo o disturbare il suo sonno.
Con un’occhiata prudente, vide che la porta della camera dove dormivano i due era leggermente socchiusa.
Pensieroso, si fermò e si grattò leggermente la guancia graffiata: i tagli e le punture di quel pomeriggio si erano asciugate e le crosticine formatesi prudevano all’infinito.Se avesse utilizzato la massima attenzione, sarebbe riuscito a controllare il piccino. Era davvero adorabile quando dormiva beato. Infiltrandosi all’interno della stanza, vide chiaramente i due fagotti avvolti sotto le lenzuola.
Amy, coperta come in pieno inverno, aveva i capelli sparsi per tutto il cuscino, il respiro calmo e regolare indicava chiaramente che la ragazza stava dormendo più o meno tranquillamente. Accanto a lei, il piccino blu si era scoperchiato dal lenzuolo leggero e ora dormiva scompostissimo con una gamba ancora sotto le coperte. Ma non stava dormendo tranquillo e beato, un’espressione tra l’imbronciato e l’angosciato era dipinta sul suo volto.
Il blu si piegò sulle ginocchia fino a raggiungere l’altezza del bambino e si concentrò sulle mani tese intrecciate al cuscino. Si preoccupò subito di quel sonno poco sereno, l’espressione aggrottata indicava sicuramente qualcosa che non andava.
Accarezzandogli con estrema delicatezza il viso, si accorse che le guance erano fredde e che un leggero strato di pelle d’oca si era insinuato sulle braccine.
Il blu sospirò silenzioso e stando ben attento a non svegliare la ragazza, si caricò il piccino tra le braccia con estrema delicatezza. Justin era profondamente addormentato e non si accorse di venir portato nella camera del ragazzo, dove venne avvolto con una coperta e coccolato dal padre.
Sonic non riusciva ancora a credere che quel riccetto fosse suo figlio, il cuore gli traboccava di pura gioia e non avrebbe mai smesso di riempirlo di baci e di carezze. Non riuscì a non pensare a come doveva essere stato appena nato e negli anni seguenti, sicuramente meraviglioso, iperattivo e adorabile.
Schioccò un altro bacio sulla fronte pensando a quelle fantasticherie, cosa avrebbe dato per esserci. Ma il bacio fu un po’ troppo frettoloso, tanto da destarlo e da farlo agitare. La piccola mano del bambino, liberandosi dalla coperta avvolta attorno a lui, si alzò di slancio e andò a posarsi su quella del ragazzo, stringendogliela più forte del previsto. Sonic si irrigidì temendo di averlo svegliato con la sua foga esagerata, si diede automaticamente del cretino per aver rischiato così tanto. Tirò un sospiro di sollievo quando lo vide acquietarsi e rallentare il respiro.
< Papà? Sei tornato? > mormorò con voce impastata di sonno. La mano stretta a quella dell’adulto era molto più vigile di quello che credeva il ragazzo. Il blu, stupito da quelle parole, non sapeva se ignorarlo e farlo riaddormentare dolcemente, oppure se rassicuralo in qualche modo. In quel caso, il piccino si sarebbe completamente svegliato e non sapeva quanto gli convenisse quell’opzione.
Esitò un attimo prima di decidere e poi aprì la bocca
< sì. Sono qui tesoro > bisbigliò con dolcezza ricambiando la stretta della mano. Il riccetto aprì gli occhi assonnati e verdissimi, puntandoli dritti su di lui.
L’adulto gli sorrise, dubitando realmente che il cucciolo fosse sveglio e completamente in sé. Tanto valeva rassicurarlo e rimetterlo a dormire.
< Non te ne vai più ora, vero? > lo interrogò fissandolo con una serietà inquietante. Il blu sorrise forzato,
< no, non me ne andrò più > gli rispose ben conscio di tutto quello che c’era da affrontare dalla mattina seguente.
< Lo giuri? > continuò serrando la manina su quella dell’adulto con ancor più forza, dimostrando che, diversamente da quello che credeva il padre, era ben sveglio
< lo giuro >. Un sorriso felice si allungò sul viso del piccino, che chiuse gli occhi stancamente e sembrò ritornare nel mondo dei sogni con una facilità sconcertante. 
Sonic non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto, vederlo addormentarsi serenamente  gli procurava una sensazione di benessere colossale.
Stava quasi per riportarlo a letto quando dei singhiozzi dietro di lui lo fecero sobbalzare.
Appoggiata allo stipite della porta, la rosa si copriva gli occhi con una mano, inutilmente visto che le lacrime le scivolano dalle guancie andando a cadere a terra e su quella specie di pigiama. Il blu si sentì congelare alla sua vista ma non spiaccicò parola e tantomeno gesti o azioni.
< Mi dispiace, mi dispiace così tanto! Non hai idea di quanto mi penta di tutta questa situazione > bisbigliò con la voce rotta e silenziata dai singhiozzi. La ragazza, che aveva seguito il discorso tra i due, non riuscì a guardarlo negli occhi, poteva solo immaginare quello che il riccio provava e non doveva essere piacevole.
Asciugandosi le lacrime con il dorso della mano non vedeva l’ora di allontanarsi da lui tanto era dispiaciuta.
Non sarebbe mai riuscita a fargli recuperare quei quattro anni persi ma avrebbe cercato di fargli recuperare il loro rapporto il più velocemente possibile. Con la morte nel cuore, ma sicura che fosse la scelta più corretta da seguire, decise di pagare per quell’ingiustizia che gli aveva inflitto.
< Justin resterà con te > sillabò con calma mentre il labbro inferiore gli tremava dallo sforzo.

Spazio autrice: Buonasera! Fortunatamente sono riuscita a postare con un po' di anticipo. Questo è il penultimo capitolo, fa uno strano effetto pubblicarlo, nonostante questa fanfiction sia una schiocchezza mi sembra di concludere qualcosa di grande! Spero comunque che vi piaccia anche questo e che il finale sia di gradimento. Come sempre, correzzioni, sviste etc. segnalatele! Grazie davvero! Baci.
Indaco
  
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