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Autore: Elbeth    30/05/2020    0 recensioni
Era un vecchio personaggio che avevo creato per un GDR, che non ho mai finito di approfondire. Una grifondoro, scozzese, purosangue. Sono una serie di "ricordi" legati alla sua storia in anni diversi della sua permanenza ad Hogwarts.
Edit: aggiunti come pg altri della serie post HP.
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Dal 4° capitolo
Sbadigliò ancora, mentre sentiva ridacchiare qualcuno al suo fianco. Elbeth si girò e gli lanciò un’occhiata curiosa, mentre lo squadrava. Era un serpeverde, o avrebbe dovuto dire il serpeverde. Il secondogenito di Harry Potter aveva fatto scalpore al suo arrivo ad Hogwarts e – come sempre – non era da solo. Scorpius Malfoy era immancabimente con lui.
“Non fare caso a loro…” le mormorò un’altra ragazzina passandole veloce accanto e notando il suo sgaurdo fisso sui due “Amano darsi delle arie!” affermò a voce più alta, in modo che sentissero anche loro.
Rose Weasley. Era sua la voce e ultimamente aveva iniziato a prenderla in simpatia, nonostante l’ormai nota ritrosia di Elbeth in dormitorio.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nuova generazione
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Di vacanze estive 
(tra il 3° e il 4° anno ad Hogwarts)


Fissavo con le braccia conserte le dolci colline che si stendevano davanti ai miei occhi, come un immenso mare di verde, mosso appena dalla brezza del vento estivo.
Le vacanze stavano quasi terminando, i mesi estivi erano passati velocemente.
Ed io ero triste.
Immensamente triste.
La mia casa, il mio castello erano sempre stato il mio rifugio, ma in quei tre mesi quella che era la mia protezione si era rivelata la mia prigione. Così mi ero sentita in quei tempi. Chiusa in un gabbia dorata, dalla quale non potevo uscire, le cui mura mi impedivano di guardare oltre e di andare dove avrei desiderato. Londra in quel caso. In fondo la Scozia non era molto distante e avrei potuto chiedere a Richard di accompagnarmi.

Tante volte in quei lunghi giorni il vecchio maggiordomo m’aveva interrogata su cosa avessi, ma mi ero chiusa nel mio solito silenzio. Non mi accorgevo dello sguardo preoccupato con cui mi fissava, quando non lo vedevo, né che preparava ogni sorta di manicaretto che potesse farmi piacere.
Riuscivo solo a sentire quella strana sensazione di vuoto, che neanche lui riusciva a colmare.
All’inizio era andato tutto bene. Mi aveva scritto, quasi un gufo al giorno.
E non erano solo lettere, ma anche poesie: c’era tutto di lui in quello che scriveva, c’era tutto di noi.
Ce lo eravamo promesso, che quei giorni di separazione sarebbero passati in fretta e che ci saremmo rivisti presto, che nulla sarebbe cambiato in quella magica alchimia che si era venuta a creare tra noi.
Quando era diventato una presenza importante nella mia vita?
Non me ne ero neanche resa conto. Era successo e basta. Con semplicità, con naturalezza.
Sorrisi, mentre fissavo l’erba muoversi lentamente accarezzata dal vento.
Alla lezione di Pozioni, con l’Amortentia, lì avevo capito, per la prima volta, quanto in realtà tenessi a lui. Molto più di quello che dimostravo. Molto più di quello che gli dicevo e che già per i miei parametri era tanto!
Così mi ero sentita. Accarezzata dal vento. Lieve e dolce allo stesso tempo. Mi ero sentita protetta e amata in un luogo ostile e quel luogo, lentamente, era cambiato, diventando accogliente e felice.
Poi i gufi avevano iniziato ad arrivare qualche volta in meno, dopo i primi dieci giorni.
Poi, sempre meno.
Il sorriso morì sulle mie labbra.
Nelle ultime lettere era freddo, distante. E niente più poesie.
Ovviamente.
Certo, mi raccontava quello che faceva, ogni tanto coglievo qualcosa di diverso, ma non osavo chiedere. In fondo, non avevo alcun diritto di chiedere, né di pretendere.
Ed ora mi chiedevo se non fosse stato meglio per me rimanere nel mio guscio.
Ritornare ad essere un riccio e non un colibrì.
Chissà perché mi venne in mente quel ricordo, il primo legato a lui, nell'aula di Trasfigurazione per quella lezione speciale del nostro preside, la professoressa McGranitt. Forse perché un uccello aveva interrotto il flusso dei miei pensieri attraversando il cielo terso di agosto.
Sospirai vistosamente, mentre Richard silente alle mie spalle mi osservava con sguardo teso.
Iniziavo a crescere. E crescere non sempre era sinonimo di felicità e spensieratezza.
Poteva essere anche altro. Come in quel caso, per me.
Ormai era quasi da un mese che non si faceva più sentire e iniziavo a pensare che anche tornati a scuola, non sarebbe stato più come prima.
Abbassai la testa affranta.

Affrontare di nuovo Hogwarts con quel peso dentro al cuore: ce l’avrei fatta? Di nuovo?
Un bacio fugace poggiato con dolcezza sul mio capo, fece pizzicare i miei occhi dalle lacrime.
Non volevo che Richard mi vedesse piangere. Lo avevo fatto, certo. Ma la notte, nel buio della mia stanza, singhiozzando silenziosamente. Quando nessuno poteva vedere, quando la mattina avrei potuto negare che fosse successo, come se ogni giorno che il sole sorgeva il mio oggi fosse uguale al mio ieri e fossi sempre felice e spensierata.
Mi poggiai all’indietro, contro il mio vecchio amico, e mi lasciai avvolgere dal suo abbraccio.
“Sei forte. Qualsiasi cosa ti sia accaduta, piccola mia, passerà”
Mi irrigidii. Volevo che passasse? Volevo che il ricordo degli occhi, del sorriso, delle risate, si cancellasse? Volevo che quella carezza lieve che aveva invaso - non richiesta e non voluta - la mia anima non ci fosse più?
Accennai di sì con il capo.
Non riuscivo a parlare senza scoppiare a piangere.
Senza che quella sensazione di vuoto e di silenzio mi invadesse di nuovo. E la malinconia…
Non volevo si preoccupasse per me.
Ero forte. Ovvio che ce l’avrei fatta.
Ero vissuta senza l’affetto dei miei genitori, avevo sopportato la lontananza da Richard, l’unico che mi avesse mai dimostrato amore e dolcezza, ero vissuta senza di “lui” per così tanto tempo. Cosa mi avrebbe impedito di farlo di nuovo?
Il mio sguardo si indurì un po’.
La mia determinazione era pari alla mia impulsività: Richard lo sapeva bene. Sapeva che quando mi mettevo qualcosa in testa, nulla mi avrebbe mosso dalla mia posizione, finchè non avessi ottenuto ciò che volevo.
E quello che volevo, ora, era semplicemente dimenticare.
“E se non voglio che passi?” osai chiederglielo, quasi temendo la risposta.
“Vuoi soffrire ancora?”
“No… ma non voglio dimenticare!”
 
  
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