Anime & Manga > D'Artagnan
Segui la storia  |       
Autore: zorrorosso    02/06/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 15

 

The Tower

 

St.Paul rintoccò l’ora, duomo maestoso e ruggente su tutta la città.

 

Così il mattino giunse sulle grate oscure, sulla pietra grigia della fortezza e le torrette degli edifici più interni. Spie, traditori e mogli ripudiate dentro quelle mura non avevano avuto più speranze.

 

I campanili St. Dunstan e St.Helen, suonarono con più vigore, le loro guglie, altrettanto alte alla loro vista, toccavano un sole coperto da nubi, sotto un cielo torvo. Era tutto ciò che i tre moschettieri potevano notare dalla grata sulla finestra della loro cella.

 

I bagni di Southwark, dall’altra parte del fiume, aprivano ai versi e agli odori di persone ed animali.

 

“Voglio un avvocato!”- esclamò Aramis per l’ennesima volta, nel silenzio e l’indifferenza degli uomini e delle guardie.

 

“E che pensate di fare con un avvocato? Siamo prigionieri politici e non sappiamo neanche il perché...”- Porthos si risvegliò alle parole dell’amico e protestò con la stessa rapidità.

 

Al suono nasale della sua voce, il giovane, già sveglio e sull’attenti, si voltò e abbandonò le mani dalle sbarre. 

 

Si avvicinò alla sua panca, utilizzata come un letto e lo guardò dall’alto, le sopracciglia aggrottate e denti stretti. La capigliatura sempre impeccabile incominciava a mostrare i segni della frustrazione, il farsetto di lana pesante era sparito alla caligine, la camicia inamidata e le belle mani mostravano le macchie di sangue e inchiostro, il percorso che lo aveva portato tra quelle strette mura di pietra, dietro le sbarre di legno e acciaio. 

 

Passeggiò avanti e indietro per la lunghezza della cella e si fermò sulla figura di Athos, addormentata nel suo giaciglio.

Notando che l’uomo non era ancora sveglio, incrociò le braccia ed esitò. Quello che doveva essere un gesto di decisione e comando si trasformò in un vago tentennamento.

 

Aramis si appoggiò con la schiena al muro, incrociò gli occhi sonnolenti di Porthos e sospirò amaramente.

 

Athos aprì gli occhi in silenzio, ma non gli fu data la vera possibilità di svegliarsi.

 

“Ricordate di quel Marchese di cui parlavate?”- chiese Aramis, immediatamente.

 

L’uomo allungò gambe e braccia, stirandosi in un lento sbadiglio.

 

“Certo...”- rispose con insicurezza. 

Gli occhi ancora chiusi.

 

“Ricordate di quell’attentato?”

 

L’uomo prese tempo. 

Mentre il giovane stava lentamente arrivando ad una conclusione, lui non era ancora sveglio.

 

“Certo. Decise il mio destino.” - rispose lui, alzando leggermente la testa.

 

“Non solo il vostro.”- mormorò il giovane, in un sospiro quasi udibile.

 

“Ricordatemi ancora di quella notte... I ladri entrarono nella dimora, uccisero chiunque fosse in grado di ostacolare, donne e combattenti, uccisero...”- incalzò lui, ma si interruppe colto da quei pensieri.

 

Il pugno teso, lo sguardo ravvivato da un ricordo lontano, Aramis stentava a pronunciare le parole. Sembravano dolorose e concitate, sembravano scaturire da un dolore che lui stesso aveva provato.

 

“Uccisero il suo erede.”- concluse Athos con più distacco. 

Quegli eventi erano stati solo un monito per lui, non un’esperienza.

 

Aramis trattenne il respiro, strinse il pugno tremante, quasi come se lui stesso avesse attutito quel colpo, chiuse gli occhi per un attimo, ma dopo un altro, profondo respiro di coraggio, continuò con estrema cautela.

 

“Cosa successe... Dopo. Ricordate?”

 

“Incendiarono quasi tutto, con uno stratagemma antico, in uso proprio qui, tra queste mura. Bottiglie e fiaschi riempiti con... Non saprei. Quasi tutto bruciò.”

 

“Usarono qualcos’altro.”- disse il giovane, i nervi tesi.

 

I due uomini scambiarono con il loro amico uno sguardo vuoto, ignaro delle sue interne discussioni, come se stesse parlando di una rara fantasia. Lui era incendiato di una strana luce, ma loro avevano passato la notte in una cella buia ed umida, provati da un lungo viaggio, rinchiusi senza motivo. 

 

La loro mente non era pronta a ragionare alla stessa velocità del giovane.

Lui però non si perse d’animo, alzò il pugno ancora stretto e con la stessa mano, cominciò a contare.

 

“Usarono olio, brandy, polvere da sparo e stoffa.”- i suoi occhi azzurri furono pervasi dalla stessa intensità e il furore dei più folli condottieri.

 

“Ho con me l’olio per accendere il fuoco, la polvere da sparo, per caricare i moschetti...”- ragionò apertamente, nel silenzio degli altri due.

 

E, al contrario del folle condottiero, le sue schiere non erano altrettanto numerose, attente e neppure sveglie. Athos inspirò con il naso, Porthos sbadigliò nel tentativo di capire.

 

“Voi avete altrettanta polvere da sparo!”- disse Aramis rivolto a Porthos. 

 

Lui annuì e mostrò il carico che aveva avuto modo di trattenere nei pressi della cella, ma ancora a portata di mano. Erano prigionieri politici: anche se privati delle loro armi, alla Torre di Londra era loro concesso di avere un carico di bagagli.

 

“E sono pronto a scommettere la mia camicia che Athos ha il brandy...”- disse Aramis senza guardare il compagno.

 

Alle orecchie di Porthos sembrava quasi che, di tutto quello che aveva appena detto, quella forse fosse stata la più grossa stranezza. Allo stesso modo in cui la sua bocca avesse appena assaporato caffè o brandy, si spalancò. Il suo corpo intorpidito si risvegliò completamente. Certo, Athos aveva sempre avuto con se una bottiglia, quasi sempre già iniziata o mezza vuota. Lo aveva sempre visto bere l’ultimo goccio, ma mai il primo. 

 

L’audacia di pensare che ci fosse davvero ancora qualche cosa in quelle bottiglie: quella per lui era la vera follia di Aramis.

 

“Athos non ha il brandy.”- disse con sicurezza, puntando sull’amico.

 

“Se lo avesse da quando siamo partiti, a quest’ora l’avrebbe già finito. Invece non l’ho visto ancora bere!”- continuò Porthos, scambiando quello sguardo con un amaro sorriso.

 

Aramis ricambiò il gesto, con altrettanta confidenza. Anzi alzò la schiena ed incrociò le braccia con fierezza.

 

“Invece nutro speranza nel nostro compagno. Io ho l’olio, lui ha il brandy. Voi, la camicia.”- disse ricambiando quel sorriso, i suoi occhi illuminati da un’idea che, a quel punto, i suoi compagni avevano imparato a temere.

 

Il respiro di Porthos si fece più pesante: in quei pochi giorni aveva già messo in gioco, e perso, fin troppi dei suoi preziosi averi. Ricami inestimabili e vere perle. Non poteva permettersi altre perdite e colpi di mano.

 

“Per carità! Vi ho già donato la cravatta! Ho perso il mio cavallo! Ora volete anche la camicia? Usate la vostra!”- disse alzando la voce.

 

Il giovane si impettì di un orgoglio ancora più vivo.

 

“La mia camicia contro la vostra! Athos ha la bottiglia piena, la camicia la darò io, Athos ha la bottiglia vuota, la camicia la darete voi!”- disse Aramis senza quasi pensare.

 

Porthos si volse alle sue spalle, verso Athos a gambe incrociate, mento nel palmo della mano. Stava contemplando la scena senza ascoltare veramente il discorso dei suoi compagni.

 

“Athos, mostrate la bottiglia. Non avete ancora bevuto da quando abbiamo lasciato Château  Gaillard!”- disse Aramis.

 

“Athos, non c’è bisogno di mentire. A giudicarvi ci penserà Dio! Per adesso voglio solo la camicia di Aramis!”- esclamò Porthos.

 

“Mi fido di voi! Mostrate la bottiglia!”- disse Aramis.

 

“La vostra brucia meglio!”

 

“La vostra ha più stoffa!”

 

“Neanche per sogno! Non sapete quanto mi è costata!”

 

“Avanti! Vediamo questa bottiglia...”- dissero infine tutti e due all’unisono.

 

Sembrava quasi di assistere ad un torneo, dove la palla che rimbalzava da una sponda all’altra della corda erano i loro continui rimbecchi, mentre Athos si sentiva definitivamente la corda, in mezzo ai due battitori. 

 

Al pari della corda, anche lui seguì la discussione attentamente e con altrettanta inanimata pazienza. Una delle più famigerate e antiche prigioni conosciute, sale di tortura da quasi quattrocento anni. Consiglieri, amanti e politici avevano letteralmente perso la testa tra quelle spesse mura. 

 

Eppure i suoi compagni si stavano litigando la camicia. 

 

Preso dalla stessa soddisfazione e potere che la corda avrebbe potuto avere su di loro e il loro gioco assiduo, Athos agguantò il collo della bottiglia nel tascapane, ma la lasciò nascosta sotto la falda di apertura.

 

Aramis emise un sospiro così profondo da scostare una ciocca di capelli dalla fronte, alzò lo sguardo e affondò le spalle, pocoprima così orgogliose.

 

Allo stesso tempo, di rimando, Porthos sorrise, incrociò le braccia e raddrizzò la schiena, assumendo la posizione dell’amico, in segno di vittoria.

 

“E va bene, si vede che la mia speranza e la mia fiducia sono state tradite. Come volete Porthos, la mia camicia è la vostra!”- disse il giovane slacciando lentamente i primi nastri.

 

Il sospiro di Aramis fece su di Athos lo stesso effetto dei giudici che, durante la partita, erano d’uso tirare la corda, puntarla tesa ed aspettare che la palla rimbalzasse su di essa, facendo perdere uno degli avversari. Sempre al momento meno opportuno, presi dalla noia di battitori troppo abili, un turno troppo lungo o un prezzo appena pagato.

 

“Affatto! Ecco il vostro brandy! Ecco la vostra bottiglia! Mi credete un ubriacone? Forse. Un malfidato? Mai! Con me, vi sbagliate! Vi sbagliate di grosso!”- Athos appoggiò la bottiglia piena sul pavimento, di fronte allo sguardo stupito di Aramis.

 

“Non-Non era mia intenzione insultarvi...”

 

I due si guardarono per un lungo momento, dal quale Athos si ritrasse, più rattristato.

 

“Ho tenuto il brandy per la ferita. Sia la mia che la vostra. Vi ringrazio per quello che avete fatto per me”- i suoi occhi mostrarono tutto il suo orgoglio messo alla prova.

 

“Sono sicuro che, al posto mio, avreste fatto lo stesso”- rispose Aramis.

 

Altro silenzio. I loro sguardi fermi l’uno sull’altro. Athos abbassò lo sguardo verso il torace del giovane, ma lo rialzò immediatamente, dritto negli occhi.

 

Porthos si avvicinò ai due con curiosità. I suoi occhi notarono qualcosa di strano.

 

“Se vi possiamo essere d’aiuto...”- disse poi, con voce più incerta. 

 

Il giovane abbassò lo sguardo nella stessa direzione e notò il collo della camicia slacciato su una sorta di fasciatura, lo riallacciò immediatamente, rosso d’imbarazzo.

 

“Oh... Oh. No, non c’è bisogno, non sono ferito gravemente. Vi ringrazio”- rispose, come distratto.

 

“Non mi riferisco alle ferite del corpo, ma a quelle dell’anima. Chevreuse vi ha rifiutato. Mi dispiace, non volevo deridervi. Voi non avete mai parlato di...”- disse Athos, ma il giovane lo interruppe.

 

“Chevreuse ed io non... Oh. Ooh!”- Aramis si voltò di nuovo su lui e Porthos, le guance se possibile ancora più rosse, la voce tremante, come colto di sorpresa.

 

 “S-Scuse accettate.”- continuò, districandosi in fretta al di fuori di quel discorso spinoso.

 

“Se avete bisogno di confidarvi con qualcuno, sappiate di poter contare su di noi...”- disse Porthos, facendosi serio.

 

“Voi?”- chiese Aramis con stupore.

 

Ricordo quel giorno. Nel monastero della chiesa a Beaugency. Accettammo quella sconfitta, tornammo a Parigi. Insieme. L'errore è stato il mio, ma lo subimmo tutti e tre. Insieme. E voi mi avete ascoltato, avete cercato di curarmi. E non sto parlando delle ferite del corpo...”

 

Lo sguardo del giovane si impietosì, il rossore dell’imbarazzo si dileguò nel roseo delle guance ed accennò un’espressione vagamente trasognata.

 

“Porthos, la camicia.”- disse Athos

 

“Maledizione!”

 

***

 

St. Mary, sul molo, accompagnava i fedeli del quartiere più povero di Southwark. 

 

Per quanto non fosse una zona adatta ad una dama di Corte, D’Artagnan e Constance avevano trovato l’area della città molto più utile in quel momento, l’acqua dei bagni permetteva loro di compensare alla sete di una città per lui fin troppo arida e dava la possibilità alla bellezza di Constance di rifiorire e mantenere la sua immacolata e femminile perfezione senza fare altre imbarazzanti e umane richieste.

 

Soprattutto, da quel punto della città, potevano osservare sia la Torre, che il Ponte, che il Temple Bar.

 

Qualsiasi insorgenza e distrazione, qualsiasi sommossa la Guardia Reale avrebbe dovuto quietare, sarebbe dunque passata facilmente sotto i loro occhi attenti. I cortei ed i processi che accompagnavano le condanne a morte sarebbero passati proprio di lì. 

 

Avrebbero potuto attendere e sperare il rilascio dei tre e pianificare un ritorno ed una nuova strada alla ricerca di quella misteriosa collana. Magari la fortuna lo avrebbe assistito ed avrebbe potuto incontrare il suo mostro alato! 

Se fosse riuscito a catturarlo e guidarlo come una nave, sarebbero potuti ritornare a Parigi in un solo giorno!

 

D’Artagnan sospirò e si soffermò di fronte all’entrata di Temple Bar, notando le teste in mostra dei prigionieri della Torre di Londra impalati: teste bollite e coperte di catrame, esecuzioni che avvenivano regolarmente, per la giustizia e l’ingiustizia dei voleri del Re. 

 

Non riconoscendone chiaramente i tratti, le contò di nuovo. Nessuna nuova testa era stata bollita e impalata nell’ultimo giorno: una vista lugubre, terribile, la prima cosa che un viaggiatore entrando nella città avrebbe visto ed avrebbe trattato come un monito: il sovrano avrebbe cacciato tutti i suoi nemici e non li avrebbe mai perdonati. 

 

Tuttavia il fatto che fossero le stesse teste dei giorni precedenti donava in lui la speranza che i suoi compagni di ventura fossero ancora vivi da qualche parte... 

 

Compagni. 

 

Dopo quel viaggio in barca non li poteva considerare in altro modo.

 

Non sapendo cos’altro fare, D’Artagnan prese il braccio di Constance e i due ragazzi entrarono dentro le silenziose navate di St. Mary. 

 

I due si inginocchiarono e sussurrarono insieme una preghiera alla Santa Vergine. 

D’Artagnan accese un cero e consegnò un pegno di preghiera.

 

Constance ruppe presto quel silenzio mistico.

Si voltò solo leggermente verso il ragazzo.

 

“Dobbiamo cercare di ritornare in Francia”- disse sottovoce.

 

“Cosa?! E lasciare qui i nostri amici?”- chiese lui, in un indignato stupore. 

 

“Per trovare un ambasciatore e un avvocato in grado di tirarli fuori!”- lo corresse lei.

 

D’Artagnan si sciolse da quel sospetto e sospirò serenamente: la giovane aveva un cuore onesto, solo il suo modo di agire differiva così tanto dal suo modo di pensare.

 

La giovane lo guardò e sospirò profondamente, mormorò un’ennesima e noiosa Ave Maria per la sua stessa sorte e pensò che il ragazzo aveva bisogno del lume di molti, molti più ceri.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D'Artagnan / Vai alla pagina dell'autore: zorrorosso