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Autore: fra_puf    05/06/2020    4 recensioni
[Dal primo capitolo:
< Cos’è? > Chiese con tono pacato. La sua voce era di una morbidezza disarmante.
Deglutii con fatica, per ritrovare la voce.
< È… un invito. Per una festa > Risposi, cercando di apparire il più disinvolta possibile.]
Isabella Swan, appena diciannovenne, inizia a frequentare un'Università in Alaska.
Grazie ad una borsa di studio alloggia in un dormitorio per studenti, al primo piano.
Al terzo, nella camera 3B, vive un misterioso ragazzo di cui nessuno sa quasi nulla… ed è il figlio adottivo della Rettrice.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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CAP. 5. La festa – prima di mezzanotte
 

Per quella serata, nulla era stato lasciato al caso.

Ero certa che un serial killer pianificasse i suoi omicidi con meno meticolosità di quella che Tess aveva messo nell’organizzazione della festa, pensando nei minimi dettagli ad ogni singola cosa.

Alle 20.00 in punto ci eravamo appostate alla finestra per assicurarci che la signorina Headmith lasciasse l’edificio, come faceva ogni sabato per godersi la sua serata libera.

Quindi avevamo abbassato le tapparelle, in modo da evitare che a tarda notte le luci e la musica provenienti dalla nostra camera catturassero l’attenzione del sorvegliante notturno del campus, che durante la sua consueta ronda -perlopiù concentrata attorno agli edifici principali dell’Università- di tanto in tanto passava anche sotto al nostro dormitorio. 

A sentire Tess, comunque, quel “vecchio rimbambito” non sarebbe certamente stato un problema: era zoppo, mezzo cieco e girava tutta la notte ascoltando musica e fumando sigari. 

Speravo con tutta l’anima che avesse ragione, e che tutto filasse liscio.
Ero lì grazie ad una borsa di studio, e non -come la stragrande maggioranza dei miei compagni- perché la mia famiglia era ricoperta d’oro.
Un passo falso e avrei potuto essere cacciata.
 
Dopo aver spostato con fatica letti e armadi contro la stessa parete, in modo da creare uno spazio centrale il più ampio possibile, avevamo sistemato al centro della stanza una delle scrivanie, che avrebbe funto da bar.

A quel punto, era iniziata la vera e propria tortura:
Tess, dopo avermi pettinato e piastrato i capelli, incurante delle mie lamentele, aveva persino insistito per mettermi un po’ di ombretto e di mascara; infine, mi aveva ordinato di indossare il vestitino color verde petrolio che avevamo comprato assieme il week-end precedente.

Fosse stato per me avrei indossato i soliti jeans e magari una camicia, ma, tutto sommato, ero abbastanza soddisfatta della scelta: era un vestito non troppo corto, né troppo appariscente; aveva le spalline sottili, lo scollo a cuore e un cinturino nero attorno alla vita.

In ogni caso, era di certo mille volte meglio del tubino rosso terribilmente scollato che Tessa, il sabato prima, aveva cercato in tutti i modi di convincermi a comprare, dopo avermi letteralmente rinchiusa nel camerino del negozio minacciando di non farmi uscire se non l’avessi almeno provato. Quand’ero uscita per guardarmi allo specchio, le nostre reazioni erano state diametralmente opposte: lei aveva iniziato a battere le mani presa dall’eccitazione, dicendo che sembravo una principessa; io invece -che non avrei avuto il coraggio di indossare una cosa del genere neanche se fossi stata una prostituta- due secondi più tardi mi ero già ri-fiondata nel camerino, con la faccia più rossa del vestito.

Quindi non potevo assolutamente lamentarmi dell’outfit che mi era capitato. Anzi, ancora mi chiedevo dove avessi trovato la risolutezza necessaria a vincere le insistenze di Tessa.
 
Quando mi fui vestita, Tess -non prima di avermi messa in imbarazzo, gongolando orgogliosa una serie di frasi sconnesse su ‘quanto bene mi stesse quel vestito’- mi mise in mano tre grosse brocche di plastica e mi incaricò di preparare qualche intruglio alcolico da piazzare sulla scrivania al centro della camera, accanto ai bicchieri e a due grandi ciotole di patatine.  
 
Per quanto scarse e limitate fossero le mie conoscenze in materia, accettai immediatamente, dato che l’alternativa era starmene impalata accanto alla porta, pronta ad accogliere con un sorriso ogni singolo invitato.
Quello era un compito che si addiceva decisamente più a Tess.

Lei quella sera era bellissima: indossava un abito senza spalline color ciclamino, dei tacchi vertiginosi e un trucco elaboratissimo al quale aveva lavorato per quasi tre ore quel pomeriggio.

Nonostante mi fosse stato chiaro fin dal primo giorno che le feste fossero il suo habitat naturale, sembrava stranamente agitata.
L’invito indicava come orario di inizio festa le 21.30, ma già dalle 21 lei non aveva fatto altro che camminare su e giù per la stanza, borbottando cose tra sé e sé e controllando allo specchio ogni due minuti che il suo trucco e i suoi capelli fossero in ordine.

Pareva davvero che dalla buona riuscita di quella serata dipendesse il suo futuro.

Io la osservavo in silenzio, senza fare commenti, mentre sperimentavo miscugli alcolici improbabili con la faccia di chi non ha idea di cosa stia facendo.
Non avevo nemmeno la più pallida idea di quali dovessero essere indicativamente le dosi; mi facevo guidare dall’istinto.
Il mio infallibile istinto.
 
< Voglio proprio vedere se alla fine quell’idiota di Hunter si presenterà > Sbottò Tess di punto in bianco, spiegando finalmente la ragione di tanto nervosismo.

Un po’ lo avevo sospettato che c’entrasse lui.

Continuavo a chiedermi cosa ci trovasse di tanto speciale in uno con la profondità interiore di una pozzanghera, ma forse era proprio per questo motivo che sotto sotto ero curiosa di conoscerlo meglio.
Se Tess era tanto in fissa con lui, qualcosa di più doveva esserci.
 
< Io credo che verrà > Dissi con noncuranza, mentre versavo in una delle brocche un altro po’ di vodka.

< Si, beh, tanto non mi importa > Fece lei, nel goffo e ben poco convincente tentativo di mascherare il suo interesse per la questione.
< Anzi, visto che l’ultima volta la festa è finita in anticipo per colpa del suo maledetto braccio, quasi quasi spero che non si faccia vedere >

Come no, Tess.

Cercai di nascondere il sorrisetto divertito che mi era involontariamente spuntato in viso e continuai ad occuparmi delle mie caraffe.

 
Pochi minuti dopo, ecco il primo picchiettio alla porta.

Entrarono tre ragazze, che Tessa accolse tra grida di gioia e abbracci esagerati.
Dovevano essere tutte sue compagne di corso, perché le avevo viste girare con lei per il campus almeno un paio di volte durante la settimana.

Io le salutai con un impacciato cenno della mano, per poi tornare immediatamente a concentrarmi sulle mie creazioni, mentre loro si perdevano in chiacchiere e pettegolezzi con Tessa.

Tutto d’un tratto, essere la barman della serata non mi sembrava più una cattiva idea.
Per un po’ mi avrebbe permesso di tenermi lontana dalle conversazioni, e nel frattempo -tra un assaggio e l’altro- avrei fatto in modo di diventare sufficientemente brilla da socializzare con più facilità e sopportare qualche nuova presentazione.

Sollevai la bottiglia di gin, ormai quasi vuota, per versarne il residuo nell’ultima brocca, ma improvvisamente mi bloccai.
Osservai per alcuni istanti la mia immagine riflessa nel vetro della bottiglia, ripercorrendo mentalmente i passaggi della discussione che avevo avuto qualche giorno prima con Edward Cullen.

Sentii ogni cellula del mio corpo iniziare a pulsare.

Come si era permesso, lui, un perfetto sconosciuto, di venire a farmi la predica? E soprattutto, con quale coraggio aveva potuto affermare con tanta sicurezza che io avessi intenzione di ubriacarmi a quella festa?

Sentivo la collera infiammarmi il petto.

Ma la cosa peggiore era che, sotto sotto, ero perfettamente consapevole che la mia furia nascondesse ben altro: un profondo senso di vergogna e vulnerabilità.

A sostegno della sua tesi, Edward aveva detto una serie di cose talmente tanto vere e giuste da lasciarmi senza parole.
Aveva analizzato il mio carattere e le mie difficoltà di socializzazione con estrema precisione, nonostante in precedenza ci fossimo scambiati solo un paio di frasi.
 
Il fatto che proprio lui, il ragazzo che aveva pugnalato il mio amor proprio dicendomi in faccia di non voler avere nulla a che fare con me, avesse individuato con tanta facilità i miei punti deboli, mi faceva sentire come un cerbiatto intrappolato con il fucile del cacciatore puntato addosso.

Mentre io di lui non ero riuscita a capire assolutamente nulla…

Volevo detestarlo, ma l’odio che cercavo di indirizzare su di lui per qualche ragione finiva per ricadere su me stessa.
Odiavo sentirmi così debole, fragile e patetica. 
 
Quel vortice di emozioni negative mi annebbiò completamente i pensieri.

Strinsi con più forza la bottiglia di gin e la portai alle labbra.
Incurante del sapore terribile e del bruciore alla gola, continuai a bere fino all’ultima goccia.

Non volevo più sentirmi debole, né condizionata dai giudizi degli altri.
Non sarebbe stato il suo discorso ad impedirmi di bere quella sera.
Anzi, ora ne sentivo il bisogno ancor più di prima.
 
< Piano, piano, ragazzina > Sentii ridacchiare.

Misi giù la bottiglia ormai vuota, e mi ritrovai di fronte Hunter appoggiato con una mano alla scrivania.

Con lui erano entrati anche Dominique e altri due ragazzi, ancora fermi sulla porta a salutare Tessa. Le lanciai un’occhiata e mi accorsi che, anche se intenta a parlare con loro, aveva gli occhi puntati su noi due.

< Hunter, non iniziare. Lasciami in pace > Risposi, fredda.

Lui sollevò le mani, come per dirsi innocente.
< Va bene, ho capito, stai tranquilla >

Quindi afferrò il manico della prima brocca e si riempì un bicchiere. Mi guardò, strizzò l’occhio e diede un sorso.

Una smorfia di disgusto fece di colpo scomparire l’aria beffarda dal suo viso.
< Ma che… che diavolo ci hai messo qui dentro?! > Esclamò, pulendosi le labbra con la manica della camicia.
< È come bere alcool puro >

Arrossii, sebbene quel commento non mi stupisse più di tanto.
D’altra parte, non era che l’ennesima prova che non ci fosse da fidarsi del mio istinto.
Ma il lato positivo della cosa era che mi sarebbe stato più semplice ubriacarmi.

Così mi versai anch’io un bicchiere, e lanciandogli un’occhiata di sfida commentai sarcastica:
< Cosa c’è, McDougall? È troppo per te? >

Detto ciò, presi due grossi sorsi.

Quella roba faceva letteralmente schifo.
 
Il solito ghigno spavaldo tornò ad illuminare il viso del ragazzo.
< Sei una continua sorpresa, Swan > Disse compiaciuto, e, imitandomi, riprese a sorseggiare il cocktail.  

Alzai gli occhi al cielo.

Con lui lì a provocarmi, starmene dietro alla scrivania a preparare cocktails aveva perso la sua attrattiva; così gli passai accanto senza degnarlo di uno sguardo e mi diressi verso Tessa e il gruppetto di ragazzi con cui stava parlando.

La stanza stava iniziando a riempirsi; erano solo le 21.50 e c’erano già almeno una quindicina di persone.

Quando raggiunsi la mia coinquilina, dovetti appoggiarle una mano sulla spalla per interrompere il solito energico fiume di parole con cui stava intrattenendo gli ospiti.
< Tess, finiresti tu di preparare gli alcolici? Resto io alla porta > Le chiesi, sorridendole gentilmente.

I suoi occhi saettarono verso Hunter, che era ancora appoggiato alla scrivania, e si illuminarono immediatamente.

< Sicuro, nessun problema > Cinguettò allegra, e oltrepassandomi mi diede un fugace bacio sulla fronte.

Anche se non l’avrebbe mai ammesso a parole, quello era il suo ringraziamento per averle ceduto il posto.

Mentre sorridevo tra me e me, orgogliosa di essere riuscita a fare una buona azione e al contempo liberarmi di Hunter, un dito mi picchiettò sulla spalla sinistra.

Mi voltai, trovandomi di fronte un elegantissimo e sorridente Dominique.
Indossava una camicia bianca, dei pantaloni blu da completo e una cravatta celeste a righe bianche.

< Allora, Bella > Ridacchiò, lanciandomi un’occhiata di compatimento < Hunter iniziava a diventare pesante? >

Mi strinsi nelle spalle e presi qualche altro sorso del mio cocktail infernale, per prendere tempo.
Dominique sembrava davvero un ragazzo a posto, e pareva anche consapevole di quanto il suo coinquilino riuscisse ad essere fastidioso, ma rimaneva pur sempre suo amico.
Mi chiedevo fino a che punto potessi spingermi nel parlar male di Hunter con lui.

< Diciamo che a lui piace giocare, e a me non così tanto > Risposi, tentando di rimanere sul vago.

Dominique squadrò la mia espressione con attenzione, poi annuì.
< Già, lo avevo intuito. > Disse, estremamente serio < Si vede che sei una ragazza in gamba. Qui sono quasi tutte prese dalle feste e dai ragazzi, e si divertono a collezionare conquiste come fossero medaglie al valore; sono un po’ delle Hunter al femminile. Ed è per questo motivo che lui non è abituato all’insuccesso >

Fece una breve pausa, preso da alcuni pensieri.
< Penso sia per questo che non ti molla. Ha capito che tu non funzioni così, e la cosa un po’ lo intriga >

Abbassai lo sguardo, arrossendo lievemente.

Se da un lato il suo sembrava voler essere un complimento, dall’altro aveva appena confermato le mie paure, ovvero che Hunter mi avesse presa di mira come sfida personale.
Era il genere di cosa che mi avrebbe dato fastidio in ogni caso, ma in quella specifica situazione era anche peggio: si trattava del ragazzo per il quale la mia coinquilina nonché -per il momento- unica amica, aveva una cotta. E non avevo alcuna intenzione di incasinare le cose tra di noi.
Senza contare che, se anche avessi voluto evitarlo, mi sarebbe stato impossibile, dato che avevo accettato di svolgere con lui il progetto semestrale di Chimica 1.
 
< E tu non potresti provare a dissuaderlo…? > Mormorai. Volevo suonare autoritaria, ma il tono che mi uscì sembrava più quello di una supplica.

Dominique scoppiò a ridere.
< Credimi, Bella, se provassi a farlo peggiorerei le cose. Devi pensare ad Hunter come ad un bambino: più gli dici che una cosa è vietata, più ardentemente lui la desidererà >  

Meraviglioso.

La serata era solo all’inizio, e già si stava rivelando più faticosa del previsto.

Dom si rese conto che per me quello non fosse il miglior argomento di conversazione e si sbrigò a dirottare il discorso su altro.
Anche lui era iscritto alla facoltà di scienze applicate, pur avendo un anno più di me e frequentando quindi corsi diversi.
Prese a raccontarmi degli aneddoti divertenti sui professori, e a darmi consigli di studio sulle varie materie.

Grazie a lui e ai suoi racconti, riuscii a rilassarmi e a ridere parecchio, aiutata anche dai vari bicchieri che bevvi nel frattempo; persino aprire la porta e presentarmi a decine di sconosciuti fu meno imbarazzante del previsto, grazie alla sua compagnia.

Mi stupì che fosse disposto a perdere tanto tempo lì con me, parlando di sciocchezze, quando aveva a disposizione una stanza intera piena di amici, alcool e musica; sembrava che ci tenesse a farmi sentire a mio agio.
 
< Vado a prendermi ancora qualcosa da bere > Disse ad un certo punto, interrompendo il suo discorso < Tu vuoi qualcosa? >

Osservai il mio bicchiere, ancora per metà pieno.

Finalmente la mia “ansia da folla” stava scemando ed iniziavo a sentirmi piuttosto serena; tanto valeva completare l’opera.

Bevvi in due sorsi ciò che restava di quel miscuglio vomitevole a base di vodka e succo ai mirtilli, e gli porsi il bicchiere con un sorriso.
 
Seguii con lo sguardo Dominique mentre si faceva spazio tra la calca di gente per raggiungere il banchetto dei drink, finché la mia attenzione fu catturata da due figure appostate in un angolo della stanza.

Erano Tessa ed Hunter, entrambi palesemente ubriachi.

Lei lo stava letteralmente venerando, rivolgendogli sguardi languidi e facendogli una serie interminabile di moine.
Lui, dal canto suo, non sembrava altrettanto preso dalla situazione, ma non rifiutava affatto quelle attenzioni; anzi, sembrava godersele con profonda soddisfazione.
Potevo quasi vedere il suo ego gonfiarsi gradualmente ad ogni parola pronunciata da Tess.

Il mio primo istinto fu quello di andare lì e trascinarla via, per evitare che si rendesse troppo ridicola e che lui si montasse la testa più di quanto già non facesse.
Ma in fin dei conti, stare lì con lui era ciò che Tessa voleva, forse addirittura il motivo principale per cui aveva deciso di dare la festa.
Non avevo il diritto di intervenire; e soprattutto, non ero abbastanza lucida per farlo.
 
Sentii qualcuno bussare alla porta e, con la testa che un po’ mi girava, abbassai la maniglia.

Alice Cullen, un po’ più alta del solito grazie ad un elegante paio di tacchi bianchi laccati, mi fissava con il suo stupendo sorriso carico di brio stampato in faccia.

Nemmeno il tappeto rosso più chique del mondo sarebbe stato degno di lei, in quel momento.

Indossava un tubino argentato, molto corto e senza spalline, ma comunque estremamente raffinato.
I capelli, corti e scuri, le incorniciavano perfettamente in viso pallido, e lasciavano intravedere due luminosi orecchini pendenti, anch’essi argentati, a forma di foglia. 
 
Rimasi a fissarla senza fiato, e il silenzio che man mano calò alle mie spalle mi fece capire che anche gli altri presenti si erano accorti del suo arrivo.
 
< Bella! > Mi salutò, inclinando leggermente il viso da un lato e scrutandomi con occhi gentili.  

Non appena sentii la sua voce, così vellutata e cristallina, mi tornò alla mente la discussione che avevo avuto con suo fratello e sentii tutta la frustrazione che avevo tenuto dentro negli ultimi giorni venire a galla.

< Alice. > Ricambiai, rigida < Per curiosità, cosa esattamente della mia faccia dice ‘alcolizzata’? >

Lei abbassò lo sguardo, chiaramente divertita dalle mie parole, e si morse un labbro per non ridere.
< Sapevo che mi avresti rimproverata > Ammise, lanciandomi un’occhiata di scuse; < Ma credimi, si è trattato di un malinteso. E me la sono già vista io con mio fratello; non avrebbe dovuto dirti quelle cose >

Pronunciate quelle parole, mi rivolse nuovamente il suo splendido sorriso e fece un paio di passi verso di me, per poi richiudere la porta dell’appartamento alle sue spalle.

Non ero affatto soddisfatta della risposta, e, merito anche dall’alcool che mi circolava in corpo, decisi di insistere.
< Ha detto che tu eri convinta che avrei fatto qualche stupidaggine stasera > Dissi, in tono aggressivo.

< Ma no, no… lui… Bella, lui esagera sempre! > Ridacchiò Alice, alzando gli occhi al cielo; < Volevo solo dire che a queste feste si ubriacano tutti e, beh, poi certe cose vengono da sé >

< Quali cose? > Dissi, incrociando le braccia al petto.

In quel momento, Dominique ricomparve al mio fianco, con in mano i nostri due bicchieri pieni.

Senza dire una parola fissò me ed Alice per alcuni istanti, probabilmente capendo di aver appena interrotto una discussione non troppo amichevole.
< Ciao Alice > La salutò, passandomi il mio bicchiere;
< Beh, ragazze… qualcuno mi chiama > Aggiunse sarcastico e lievemente imbarazzato.

Fece qualche passo indietro, continuando a guardarci con una punta di curiosità, ma poi si voltò e si allontanò nuovamente tra la gente.
 
< È solo che… > Mormorò Alice a bassa voce, rispondendo alla mia domanda. < Vedi, tu mi sembri una ragazza fantastica e il mio… “sesto senso” mi dice che potremo essere buone amiche, tu ed io > Si interruppe, sorridendomi.

Quelle parole un po’ mi ammorbidirono, ma ero determinata a sentire il resto della spiegazione, quindi tentati di mantenere un’espressione dura.

< E, sai… nella mia esperienza, quando persone come te, che non sembrano troppo abituate a bere, lo fanno… beh, ne viene sempre fuori qualcosa di imprevisto. > Proseguì. Sembrava un po’ in difficoltà nel trovare le parole con cui esprimersi.
< Non che la cosa mi turbi eh, anzi io adoro i drammi > Aggiunse subito, tornando a ridere, < Ma mio fratello è leggermente più catastrofista di me, e vede sempre le cose da un’altra prospettiva >

< Ma se anche facessi qualche cavolata, perché a lui dovrebbe importare? > Sbottai, chiedendole l’unica cosa che davvero mi premeva capire; < Non vuole essere mio amico. Non vuole avere a che fare con me. Me l’ha detto lui stesso >

L’espressione di Alice si incupì.

< Bella… > Sospirò, appoggiandomi con delicatezza una mano sulla schiena e portandomi con sé verso un angolo della camera.
< Non la prendere sul personale, non devi… Questo è solo il modo che ha Edward di proteggere se stesso > Mormorò.

Bastò la mia faccia estremamente confusa a farle capire che doveva spiegarsi meglio.

< Vedi, la nostra famiglia si è trasferita diverse volte per… questioni lavorative dei miei. Non rimaniamo mai più di qualche anno nello stesso posto. Edward è quello della famiglia che sente maggiormente il peso di questa situazione… forse semplicemente perché è il più sensibile tra noi > Fece una breve pausa, mentre un paio di ragazzi ci passavano accanto.
< Non vuole instaurare amicizie perché sa già che poi dovrà abbandonarle… una sola volta l’ha fatto. Vivevamo in Montana all’epoca, e lui a scuola aveva conosciuto un ragazzo, Rich. Me li ricordo ancora come fosse ieri, quei due… si intendevano alla perfezione. Poi, un anno e mezzo dopo, nostra madre ha ottenuto il trasferimento per insegnare in un’altra università, e così ci siamo trasferiti… Per Edward, che già di norma fa fatica ad aprirsi con le persone, è stato un brutto colpo >

Mi sentii morire dentro.

Per una settimana non avevo fatto altro che ripetere a me stessa quanto Edward Cullen fosse crudele, e quanto presuntuoso ed ingiustificato fosse il suo atteggiamento di distacco dal resto del mondo.

Ma la storia di Alice spiegava tutto… e improvvisamente riuscivo a provare solo un profondo senso di colpa e dispiacere.

Incapace di dire qualunque cosa, bevvi il contenuto del mio bicchiere tutto in una volta.

< Ma le amicizie… se sono vere, possono mantenersi anche a distanza. Potrebbero anche riuscire a rivedersi, in futuro > Farfugliai, sentendo il naso iniziare a prudermi, come faceva sempre prima che arrivassero le lacrime.  

< Non è così semplice per noi > Disse Alice, alzando le spalle < Noi non rivediamo mai nessuno >

< Ma per… > Tentati di dire, ma un improvviso conato di vomito mi impedì di continuare la frase.

< Cavolo, Bella, ti senti bene!? > Esclamò Alice, posandomi una mano sulla nuca.

< Tranquilla. Ci penso io, ha solo bisogno di un po’ d’aria > Disse immediatamente la voce di Dominique alle mie spalle; doveva averci tenute sott’occhio tutto il tempo.

Alice annuì, e lasciò che lui mi passasse un braccio attorno ai fianchi per sorreggermi.

Mi trascinò con lui fuori dall’appartamento. Era incredibile come di colpo non riuscissi più nemmeno a mettere un piede davanti all’altro.
Scendemmo al piano terra con l’ascensore e, dopo un tempo che mi parve infinito, finalmente ci immergemmo nel buio del cortile.

Respirai a fondo, lasciando che l’aria fredda mi riempisse i polmoni.
 
< Ma ragazzi, allora? La festa è già finita? > Sghignazzò qualcuno alle nostre spalle.

Mi voltai lentamente, ma nel farlo rischiai di inciampare sui miei stessi piedi. Fortunatamente, il braccio di Dominique attorno alla vita mi reggeva forte.

Una figura poco nitida stava percorrendo il giardino e venendo verso di noi con passo instabile, dando sorsi alterni alle due bottiglie che stringeva nelle mani.

Tra l’oscurità della notte e la vista annebbiata dall’alcool, facevo fatica a riconoscerne i lineamenti, ma dalla voce ero certa che fosse Hunter.
 
< Bella! Oh, Bella, stasera sei talmente bella > Continuava a ridacchiare, avvicinandosi sempre più.

Mi misi a ridere anch’io.

Non che facesse ridere, ma ormai il mio corpo reagiva in modo autonomo, del tutto scollegato dal cervello.
 
< Hunter, puzzi da far schifo. > Commentò Dominique, appoggiando una mano sul petto dell’amico per impedirgli di avvicinarsi ulteriormente.

< Cazzo Dom, levati > Fece lui, divincolandosi violentemente.

Una bottiglia gli cadde di mano e si frantumò al suolo, inondandomi gambe e abito di vodka.
L’odore di alcool era talmente forte da provocarmi un nuovo conato, più forte di prima.

La mano ormai libera di Hunter mi strinse con forza un avambraccio, strattonandomi verso di sé.
 
< Lasciala stare, non vedi che è ubriaca fradicia?! > Ringhiò Dominique, stringendomi la vita con più vigore.
< Anzi, a dire il vero non so chi di voi due sia messo peggio >

Io ero totalmente incapace di reagire. Mi facevo tirare da una parte e dall’altra come fossi una bambola di gomma, senza riuscire a muovere un muscolo.
Il mio cervello non faceva altro che registrare le immagini che vedevo e le parole che sentivo, con completo distacco e indifferenza, come fossi un’osservatrice esterna alla scena.

< Ma che cazzo vuoi, fatti gli affari tuoi > Farfugliò Hunter infastidito, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa.

La sua stretta sul mio braccio si era fatta più debole; pareva quasi che fosse lì lì per addormentarsi in piedi.
D’un tratto però, mi strattonò nuovamente a sé, riuscendo a staccarmi da Dominique.

< Io ti devo proprio baciare > Ridacchiò, fissandomi con gli occhi socchiusi.

Prima ancora che me ne potessi rendere conto, il suo corpo era incollato al mio e le sue labbra a due centimetri dal mio viso.

< Lasciala Hunter! > Tuonò Dominique, ma la sua voce venne sovrastata da un’altra, ben più forte e profonda, proveniente dalla strada.

< Che sta succedendo lì?! >

Sebbene i pensieri mi si agitassero nella testa in maniera del tutto scollegata e confusionaria, un improvviso lampo di lucidità mi fece capire immediatamente a chi appartenesse quella voce.
Era il sorvegliante notturno.

Ed io ero fregata.

Mi avrebbe trovata lì, ubriaca, assieme a due ragazzi, tutti e tre reduci da un festino illegalmente organizzato nel dormitorio del campus.
Potevo dire addio alla borsa di studio, all’alloggio e, forse, alla stessa università.

La luce della torcia, puntata sul prato, si avvicinava velocemente a noi, e io non riuscivo a far altro che ansimare, terrorizzata da quelle che sarebbero state le sicure conseguenze.

Improvvisamente, un braccio mi cinse nuovamente la vita, con una forza decisamente superiore a quelle precedenti, e mi sottrasse alle braccia di Hunter.

Dominique? Ma Dominique lo vedevo, era davanti a me, voltato anche lui verso il cerchio di luce che stava per raggiungerci.
Eppure, doveva essere lui. Non c’era nessun altro con noi. Poteva essere soltanto lui, Dominique.

Io ero ubriaca, non mi fidavo di ciò che vedevo.
Non mi fidavo di ciò che pensavo.

Chiusi gli occhi per un istante, cercando di concentrarmi in modo da vedere le cose con maggior chiarezza quando li avessi riaperti.
Ma quando lo feci, mi ritrovai a guardare non più il prato scuro del cortile, bensì il corridoio luminoso del dormitorio, con lo stesso braccio che mi aveva staccata da Hunter ancora stretto attorno alla vita.

Come ci ero arrivata lì?! Era passato solo un secondo, forse due… ed ero certa di non essermi mossa.
Possibile che fosse passato molto più tempo ed io fossi talmente ubriaca da non ricordare cosa avessi fatto negli ultimi minuti?

La confusione mi stava provocando una forte emicrania.

Chiusi nuovamente gli occhi, stringendoli con forza e sperando di riaprirli la mattina dopo, quando tutto fosse stato più chiaro.
   
 
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