CAPITOLO SETTE
“Chi è felice nella
solitudine,
o è una bestia
selvaggia
o un Dio”.
Aristotele.
“Come sta andando il
nuovo incarico, papà?”
Jason è sempre curioso,
ed essendo cresciuto con le serie tv poliziesche in sottofondo è davvero molto
attratto dal mio lavoro, soprattutto dai suoi recenti risvolti.
“Non c’è male” gli
mento, secco. Non mi va di scendere nei dettagli inconcludenti, d’altronde per
il momento il mio impiego non sta dando tanti frutti.
“Spero che farai un
ottimo lavoro” replica allora mio figlio minore, che si fida ciecamente delle
mie parole.
“Magari un giorno
vedrai tuo padre al telegiornale” aggiunge mia moglie, sorridente, mentre
allunga una dolce carezza al figliolo, che si ritira riluttante.
“Mamma, non sono più un
bimbo piccolo” le ricorda, sull’attenti quando gli viene riservata un po’ di
dolcezza materna. Mi viene da arrossire, all’improvviso.
“No, vostro padre sta
per ritirarsi, ragazzi. Non finirà mai in tv” affermo, conscio dei miei limiti.
Mi rivolgo anche al
silenzioso Leo, che a tavola non dice mai una parola. A volte mi chiedo da chi
abbia preso tutta quella tristezza esistenziale che si porta appresso.
Lo osservo, immerso nel
suo mutismo; a volte mi dà come l’impressione che non segua neanche i nostri
discorsi, eppure è sempre svelto nel rispondere se interloquito. Voglio
tantissimo bene ai miei figli, però il mio preferito resterà sempre lui, con
quella sua aria da personcina riservata e fragile…
Jason invece non mi
preoccupa, sono sicuro che avrà un futuro radioso di fronte a sé, con la sua
parlantina e la sua vitalità. Forse anche Leo l’avrà, anche se sta continuando a
perdere molti possibili treni.
In effetti la mia
affermazione profonda ha lasciato anche gli altri in silenzio, sembra che
nessuno abbia voglia di aggiungere qualcosa alle mie parole. È vero, lo so
bene; non sono un grande uomo, né mai lo sarò, tantomeno ora che la mia
carriera lavorativa giunge alla fine. Non sarò mai memorabile, ma per la mia
famiglia voglio essere una roccia, lo scoglio a cui aggrapparsi e in cui
riporre le migliori speranze; per loro, ci sarò sempre e sarò disposto a tutto,
a ogni sacrificio possibile, per il loro bene.
Mi alzo e mi allungo
verso i miei figli, sfiorando le loro teste con le mani.
Essi si riscuotono da
quell’innaturale torpore e non si fanno pregare, lasciandosi sfiorare dal loro
genitore.
Mia moglie si alza a
sua volta e viene ad abbracciarmi forte.
Sì, loro sono il mio
tesoro. Al diavolo tutto il resto. Vivrò nei loro cuori e questo mi basta.
Forse il mio vorticare di pensieri è generato costantemente
dal concetto di tempo e da quello di solitudine. Solo che penso che sia molto
filosofico, o che servano lucidi ragionamenti per riuscire a trarre conclusioni
quanto meno verosimili.
D’altronde la verità assoluta può conoscerla solo Dio,
sperando che esista, altrimenti sarebbe una bella fregatura.
Ma, ecco, il tempo cos’è, se non lo scandire graduale della
mia solitudine? Mi basta pensare che esiste quasi la certezza da parte degli
astrofisici che all’interno di un buco nero il tempo si fermi. Un punto in cui
il tempo non fluisce più, per via della distorsione della materia; io purtroppo
non sono un buco nero, ma se ce ne fosse uno qui vicino mi ci butterei a
capofitto, a costo di venire distorto a mia volta, magari anche distrutto.
D’altronde è tutto molto meglio che restare su questa
panchina, immobile, con un profondo silenzio che mi circonda.
Avverto il suono costante dei secondi scanditi dalle lancette
degli orologi, sinonimo del fatto che il tempo scorre e ognuno di quei secondi
è un istante di vita che mi viene sottratto. L’inevitabilità della morte.
Adesso, in tutto questo caos di pensieri, mi viene da
chiedermi se sarei disposto a desiderare per davvero che il tempo si fermi, per
vivere in eterno così.
No, forse è meglio spegnersi gradualmente, come accade per
ogni componente dell’Universo; la materia è mortale, nulla sopravvive in
eterno. Nemmeno ciò che riesce a fermare il flusso costante del tempo, che può
essere bloccato per un periodo più o meno lungo, ma pur sempre limitato.
Vorrei però avere il dono di saperlo bloccare, anche se ciò
mi farebbe più male che bene.
“Ancora, ti prego”.
La voce di Mario è soffusa, eppure allo stesso tempo profonda
e supplichevole.
Percepisco la sua brama, il peso del suo desiderio.
Ecco, se anche desiderassi di fermare il tempo, non lo vorrei
mai fare in momenti come questo.
Infatti sono tornato a casa, e me lo sono trovato di fronte
all’ingresso. I miei sono usciti, se n’era già accertato. Così adesso se ne sta
disteso a gambe larghe sul mio letto, voglioso e pieno di idee perverse.
È semplicemente fatto così; quando i sensi prendono il
sopravvento, diventa alquanto ingestibile.
Per farlo contento gli passo le mani sulle natiche, con
lentezza e delicatezza, poi però le ritraggo e mi metto a sedere sul bordo del
letto. Ho già fatto quello che dovevo fare, e adesso non ne ho più voglia.
Lui nota la mia mossa, smettendo di fare il gatto morto.
“Mi ami?”
La sua fastidiosa domanda viene posta con un tono mellifluo,
quasi sorpreso, sicuro in un certo senso di ricevere un fatidico sì.
“No” invece gli rispondo, di getto e con sincerità.
Mario si mette a sua volta a sedere sul letto, allungando le
gambe verso di me e appoggiando la schiena alla spalliera.
“Io sì, invece, e mi fa male ascoltare i tuoi no” afferma, un
po’ ferito, “perché io per te darei tutto, ma proprio tutto, eh”.
Sì sì, domani.
Non so se nota il mio sguardo scettico, che per un attimo lo
fulmina, prima di spostarsi altrove.
Mi ritrovo a guardare il suo riflesso sullo specchio, in
tutta la sua volgarità. Un uomo come lui, ricco e potente, che diventa così
piccolo senza i vestiti.
Mario ha avuto la fortuna di avere ogni cosa dalla vita; una
famiglia perfetta, un posto da dirigente presso la prestigiosa fabbrica
ereditata dal padre, una macchina da duecentomila euro e una villa da sogno. E,
come se non bastasse, pure un altisonante titolo nobiliare. Di mezza età, è
autorevole con tutti e simpatico con nessuno.
A prima vista si direbbe che non sa più amare, come molte
persone a quell’età, che hanno seppellito il loro cuore per dare la precedenza
ad altri aspetti della vita. Invece eccolo qui, spinto dall’impellente bisogno
di godere.
È nudo, i suoi abiti da parata sono a terra, sul mio umile
pavimento. Il suo corpo è adagiato con mollezza sul mio povero giaciglio, che
si porterà dietro l’odore della sua pelle per almeno un paio di ore.
Abbiamo fatto tutto, ed io mi sono impegnato per renderlo
felice almeno per un po’, sapendo bene che per lui la felicità più pura è
essere a letto con qualche ragazzo.
“Sei il giovane più bello che io abbia mai visto, Alex, tu mi
hai fatto perdere la testa” prosegue, notando l’insistenza del mio mutismo,
“anche quando sono dietro la scrivania, o quando metto in riga qualche operaio
disattento, penso a te. Conoscerti mi ha reso un uomo migliore”.
Io, invece, sono diventato peggiore.
Da quando le sue mani hanno iniziato a scivolare lungo la mia
pelle, violando gli abiti, provo sempre un brivido freddo quando lo vedo, ma
soprattutto quando si avvicina a me. Eppure lui mi vuole, ed è così tanto
bigotto da non accorgersi nemmeno che non mi ama, bensì mi sta solo
utilizzando.
Sottovaluta anche il fatto che io a mia volta lo stia
utilizzando, semplicemente perché… si assomiglia a G. A quel mio sogno che non
diverrà mai realtà.
“Pagherei per poter passare una sola notte con te. Pagherei e
venderei anche tutti i beni di mia proprietà” prosegue, imperterrito, nella
ricerca disperata di volersi dimostrare pazzo d’amore. Così tanto che mi
ritrovo a desiderare di metterci un freno.
“Smettila di dire stronzate, per favore” lo interrompo
infatti con notevole maleducazione.
Che abbia notato la mia nuova ondata di disgusto? Non lo so,
ma non mi piace proprio quando inizia a lasciarsi andare così. Perché se fosse
come dice e afferma, non avrebbe mai permesso che io restassi intrappolato
nella mia vita di merda. In quella stazione, a fare i funghi su quella panchina
che ormai mi è pure scomoda.
Se per lui contassi così tanto, mi avrebbe portato via. Mi
avrebbe salvato dall’inerzia e dalla morte d’inedia che mi attende.
Invece sono ancora qui a morire piano, lentamente.
Gli volgo le spalle e avverto il calore familiare delle
lacrime che premono con impazienza, vogliono conquistare il mio viso, rigandolo
e turbandolo.
Per fortuna, o per sfortuna, Mario si muove verso di me e
senza che io possa sottrarmi mi abbraccia con forza e mi stringe a sé, cercando
le mie labbra e premendo di nuovo la sua pelle contro la mia. Dopo la prima
sensazione impellente di allontanarlo, vedo le sue labbra e il suo profilo in
controluce, così simile al suo… al mio G. Ed ecco che un qualcosa si muove
dentro di me.
Avverto una nuova pulsione che brucia forte, così tanto che
mi spinge ad avvicinarmi a quelle labbra e a farle mie, conquistandole con la
mia lingua. Mario pare felice di tale dimostrazione e le dischiude, invitandomi
così tacitamente a far entrare il mio organo sensoriale ancora più in
profondità nel suo cavo orale.
Quando il bacio si scioglie, un sottile filo di saliva unisce
le nostre labbra. Lui la lecca, bramoso di ingoiarla, mentre io lo lascio fare
e continuo a osservarlo.
“Io posso darti tutto quello che desideri, Alex, tutto…
lavoro, case, soldi, viaggi, macchine… il mondo ai tuoi piedi… ma baciami
ancora, ti prego…” mugugna eccitato, dopo aver ingoiato il miscuglio di saliva,
“sarò il tuo genio della lampada, strofinami e ogni tuo desiderio diverrà
realtà”.
Le ultime parole mi restano impresse, mentre il resto già me
lo dimentico. In effetti è proprio così, ogni mio desiderio diverrà realtà; e
dato che per ora ne ho uno solo, irrealizzabile, quel porco mi sta offrendo
l’opportunità sul piatto d’argento. Quella anche solo d’immaginare di poter
essere con G, di poterlo baciare, di averlo tutto per me.
Forse nemmeno si accorge che, nella sua certezza di avere
tutto sotto controllo e di essere lui il vero padrone della situazione, in
realtà sta accontentando me. Appunto, perché mi sto accontentando in qualche
modo, poiché la vita non mi ha offerto altro.
Forse è vero che non esiste il punto di non ritorno e che da
ogni occasione si può far germogliare qualche seme nuovo…
Intanto lo lascio così, tra le mie braccia a mugugnare di
piacere, quell’essere tanto potente quanto fragile; si crede una divinità
quando è anch’egli uno zerbino. Forse è uno zerbino dalla stoffa più raffinata,
ma zerbino resta.
Nella mia disastrata e confusa vita, riuscirò mai a trovare
una roccia, uno scoglio a cui aggrapparmi e a cui affidarmi per poterla
scegliere come esempio di vita?
NOTA DELL’AUTORE
Vorrei buttare via questo racconto. La parte riguardante Alex
è confusa, disgustosa, a mio avviso. Però a tutto c’è una spiegazione, credo
che lo vedremo solo più avanti, ma ho la convinzione di dover aiutare questo
protagonista schietto, eppure così fragile e meschino.
Volevo andare verso nuovi orizzonti, con questo protagonista?
Eccoli, sono proprio i suoi. Circondato da pessimismo e da personaggi davvero
squallidi. In effetti, un filo di speranza non c’è. Ma… Alex capirà, prima o
poi. Perché la speranza non è distante, nemmeno qui, nemmeno in questa parte di
trama.
Mi ha sorpreso una cosa importantissima, tramite le
recensioni; che di questo racconto avete già capito molto più voi lettori di me
che l’ho scritto. Mi complimento perché già dallo scorso capitolo avrei potuto
buttare via tutto, che in fondo i vostri pareri sono andati oltre la trama,
oltre le riflessioni di base, oltre me stesso… e di questo vi ringrazio; come
sempre, siete voi a insegnare a me, tantissimo.
Grazie quindi a voi, da cui traggo forza. E spero di
migliorare ancora e di fare bene in futuro.