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Autore: angelenergy_    10/06/2020    2 recensioni
"Era così dannatamente sdolcinato, così dannatamente non da lui ed estraneo al suo essere, ma ogni volta che la guardava, con i suoi capelli rossi come i papaveri che crescevano nel giardino dietro casa sua, con quegli occhi, quello sguardo su cui riusciva a leggere così tante emozioni, così tante parole non dette, con quella pelle di un colore etereo e quelle labbra con la forma del più bel fiore, tutto quel turbine di emozioni a cui non sapeva dare nome lo investiva, e staccava letteralmente la spina dei suoi pensieri. Nella sua testa, nel suo corpo, in ogni fibra di lui, non c’era altro che lei. E questo lo spaventava, lo destabilizzava, non sapeva come gestirlo perché era qualcosa di totalmente nuovo per lui, qualcosa su cui non possedeva alcun controllo. Cosa che, peraltro, lo mandava fuori di testa, e lo spingeva a odiare quella ragazza che continuava a rifiutarlo giorno per giorno con tutto sé stesso."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: James/Lily
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CATHARSIS
2. Blazing lies

 
Sono troppo giovane per parlare d’amore
E’ per questo che ti guardo e non trovo più le parole
Quando ti vedo non trovo più la tristezza
Giuro che ti spoglierò dalla tua insicurezza
(Festa – PSICOLOGI)
 
 





 
 
Come primo giorno del suo ultimo anno ad Hogwarts, Lily Evans non avrebbe di certo potuto temere che le sarebbe facilmente scivolato via dalla memoria, o che lo avrebbe dimenticato tanto presto: la mattina dopo, infatti, la notizia del primino torturato in Sala Grande da una maledizione Cruciatus non verbale, il cui artefice molto probabilmente non sarebbe mai stato scovato proprio per la suddetta ragione, era sulla bocca di ogni studente, nessuno riusciva a parlare di altro fuorché di quello, e a maggior ragione poiché era stato un evento che avevano visto tutti coi propri occhi. Malgrado il fenomeno accaduto fosse identico a tutti gli occhi che lo avevano guardato, da quando Lily era sgusciata fuori dalla porta in legno di quercia del suo dormitorio, quella mattina, più polverosi stendardi centenari e arabeschi gotici fregianti i muri e i soffitti del castello le sfilavano sotto lo sguardo, più sentiva bisbigliate le più svariate illustrazioni dell’episodio, sottovoce, a un orecchio o dietro una mano; ognuno sembrava possedere sempre qualche dettaglio in più, magari dato dalla posizione ravvicinata, magari origliato da qualche conversazione vicina, tanto che man mano che la rossa avanzava verso la sua destinazione, la narrazione si arricchiva di volta in volta dei più variegati particolari fino ad assumere una fattezza quasi mistica, che, ormai giunta la ragazza nella stanza che tanto faceva ciarlare per fare colazione, invece che essere semplicemente avvenuta il giorno prima, pareva possedere una datazione secolare ed essere paragonabile a uno sfocato mito, o ad una novella dalla morale non poi così cristallina e legittima contenuta ne Le fiabe di Beda il Bardo
Mentre varcava in uscita l’imponente soglia della Sala assieme alle sue amiche Marlene e Emmeline, impegnate in una concitata conversazione sui compiti di Storia della Magia che non si erano date premura di svolgere durante le vacanze estive, Lily non avrebbe saputo dire se tutto quel disordine e quel chiacchiericcio che si era creato tra le mura della scuola fosse stato di natura positiva o meno: era innegabile che l’episodio sarebbe comparso sulla Gazzetta del Profeta, occupandone magari anche la prima pagina, che qualche giornalista parassita avrebbe presto pubblicato un piccato articolo sull’incapacità di Silente nel tenere a bada i propri studenti, ponendo maggiormente i riflettori sull’unico, forse, sporadico passo falso compiuto dal loro preside in tutta la sua piena carriera, quando ciò che si sarebbe realmente dovuto bene osservare e sottolineare con un’intera boccetta di inchiostro per pergamene era, invece,  l’imminente e innegabile avanzata di Tu-Sai-Chi, e il vasto potere che stava acquisendo, se era riuscito ad espugnare anche l’indistruttibile roccaforte che era Hogwarts. Era anche vero, però, che proprio tutto quel discorrere dell’accaduto, che non sarebbe di certo passato via dalla bocca degli studenti per almeno un mese, quel continuo parlare dello scandalo, della gravità della situazione, di cui i più assennati non attribuivano di certo la causa al loro preside, aveva innescato all’interno di questi ultimi un senso costante di allerta, di timore, che non gli faceva mai abbassare la guardia, che li faceva guardare alle spalle proprie e degli amici, e faceva tenere sempre le bacchette sfoderate in un qualche angolo comodo della divisa, in modo da essere tutti pronti a scattare per ogni evenienza. E Lily non avrebbe potuto esserne più fiera, perché non c’era altra cosa che avrebbe avuto più in assoluto il piacere di vedere che quelle persone, che,  malgrado lo smistamento nelle diverse casate, malgrado la differenza di sangue che tanto ad alcuni stava a cuore, erano tutte parte di quella stessa grande casa e grande famiglia che era il castello, associarsi e mobilitarsi insieme contro un nemico comune.
“Lils, ci vorresti fare la grazia di concederci di partecipare ai tuoi pensieri? Ogni tanto, mica sempre.” Asserì Marlene, e subito la bionda lì affianco le rifilò un’affilata occhiataccia accompagnata da una poderosa gomitata tra le costole. “Ahia! Ma che ho fatto di male?”
“La tua deficienza di sensibilità, ecco che hai fatto di male.”
La triade aveva da poco sormontato un alto guado dalla volta elaborata, un passaggio posto lateralmente la cui esistenza era nota a pochi, in quanto i più preferivano percorrere il sentiero che si diramava portone principale e, di conseguenza, affollavano maggiormente quel tratto, e con i piedi quasi volavano su quel prato di un intenso verde che riluceva tenuamente la luce pigra del sole settembrino, i cui bagliori, però, ancora giovavano di qualche reminiscenza estiva, alla volta delle serre per la loro prima lezione di Erbologia dell’anno.
Lily alzò lo sguardo sulle due ragazze, scostandosi la fascia della pesante tracolla su un punto diverso della spalla dolorante.
“Mi dispiace un sacco, ragazze. Sono un po’ su di giri, sapete, il nostro ultimo anno, Silente che mi nomina Caposcuola, per di più assieme a quell’idiota di Potter…” Aveva sputato fuori quel nome col solito disprezzo, come se avesse avuto sulla lingua la più amara delle caramelle, ma, anche se si rifiutava con tutta sé stessa di ammettere ciò e comprendere la natura del sentimento che le stava crescendo in petto, la verità era che dopo la conversazione della notte prima non sapeva più con che occhi guardarlo, tanto l’aveva spiazzata, tanto quelle parole erano così simili a tutti i pensieri che vorticavano in modo incessante tra le grinze della sua mente, tanto sembravano quelle di un uomo, e non di un insulso e stupido ragazzino con manie di protagonismo e un ossessione non indifferente per i suoi capelli. “E poi ieri sera. Ecco, sto cercando di digerire ogni cosa, ma non è per niente facile. Stanotte non ho chiuso occhio.”
Al contempo avevano raggiunto i pressi della serra quattro, una delle più grandi, in quanto conteneva, oltre che il lungo tavolo con sopra disposti in ordine sparso i vari vasi e attrezzature di cui avrebbero dovuto servirsi durante l’anno, anche, in una stanza sul retro, svariate file di banchi e una lavagna di carbone nero, poiché quell’anno più degli altri avrebbero assistere a molte lezioni teoriche.
Mentre varcava la soglia e si faceva strada nello stretto abitacolo, le due ragazze esaminarono per un istante la nuca della rossa, lo sguardo velato di un’impercettibile preoccupazione, poi si lanciarono un’occhiata d’intesa: la loro amica non stava raccontando loro tutta la verità, c’era ancora qualcosa che si teneva dentro, ma avrebbero trovato il modo di farla parlare.
Emmeline le fu subito dietro. “Capisco.”
Si posizionarono in modo da essere una al fianco dell’altra, vicine alla cattedra ingombrata delle più disparate cianfrusaglie della professoressa Sprout, in attesa del suo arrivo e di quello degli studenti rimanenti.
“Lily sei troppo stressata.” Fece Marlene pensierosa. “Ti serve una festa.”
La rossa si girò di scatto verso di lei, con gli occhi fuori dalle orbite. “Una festa?”
“Mai sentito parlare? Musica, alcol, ragazzi…
“So cos’è una festa, non mi sono mica rimbambita, solo cosa diavolo ti salta in mente?”
“Non è una cattiva idea, in effetti.” Aveva parlato la bionda all’altro fianco di Lily. “Per una volta sono d’accordo con Marls.”
“Visto? Ora che anche la nostra suora coi boccoli approva e abbiamo la sua santa benedizione, puoi pure macchiare la tua anima con l’onta del peccato!” Scherzò, schivando una sberla da parte della diretta interessata.
Marlene intendeva dire” Emmeline assottigliò le palpebre in direzione della mora. “che per una serata potresti semplicemente staccare la testa e basta. Abbiamo appena iniziato e già stanno succedendo un sacco di cose, devi lasciare tempo al tuo cervello di adattarsi; stai vivendo alcune esperienze, peraltro non poi così leggere, per la prima volta e devi assorbirle con calma, non puoi pretendere di entrare in questa nuova routine da un giorno all’altro, come se niente fosse. Non esiste solo lo studio e il lavoro duro, Lily, lasciati andare ogni tanto, lascia che la tua mente si rilassi. Il tuo corpo ti ringrazierà.”
La rossa fissò gli occhi sul vaso pieno di terriccio davanti a sé, meditando su quanto aveva detto l’amica. Non era del tutto falso: da circa un mese prima che ricominciasse la scuola si era appuntata su un foglio tutta una serie di abitudini che, con l’inizio della scuola, erano irrimediabilmente richieste – come lo svegliarsi presto la mattina, il ripasso di argomenti vecchi così da essere pronti per lo studio di quelli successivi, lo stare per una certa quantità di tempo stabilito sui libri – e che doveva necessariamente iniziare a praticare, al fine di adattarsi sin da subito al nuovo anno scolastico ed evitare che il contraccolpo dato da un brusco inizio le sbattesse sulla faccia come aria gelida; in fondo, una buona media non la si poteva ottenere dal nulla, se non lavorando con impegno e serietà, ma era anche vero che se continuava per questi ritmi sarebbe di sicuro collassata prima di marzo, cosa che non si poteva assolutamente permettere a causa degli esami imminenti. Forse, staccare la spina ogni tanto non le avrebbe fatto poi così male…
“E, sentiamo, quando si dovrebbe tenere questa festa?”
A quelle parole il sorriso delle due ragazze arrivò a toccare il soffitto plastico della serra, e la bionda, cacciando un urletto, batté anche brevemente le mani, entusiasta, ma non appena si resero effettivamente conto di ciò che la rossa aveva  chiesto loro, l’euforia scivolò via rapida dai loro volti proprio come era comparsa.
“Ecco, qui viene il problema.” Continuò Marlene a mezza voce, osservandosi le unghie smangiucchiate. “Assieme al chi e al dove.”
Emmeline, che aveva subito capito dove l’amica voleva andare a parare, intervenne subito. “In realtà noi non lo sappiamo ancora, d’altronde la scuola è iniziata ieri, ma di sicuro qualcuno organizzerà presto qualcosa. Tipo un festino di inizio anno, o robe simili.” Aveva fatto scorrere lo sguardo lungo tutta la tavolata, nervosa, alla ricerca delle quattro chiassose figure malandrine che si potevano ritenere autrici delle bisbocce più alcoliche, pazze, stratosferiche e decisamente illegali che si erano mai tenute nei quasi cento secoli di storia di Hogwarts, ma, con un sospiro sollevato, constatò che non avevano ancora fatto la loro comparsa.
“Ragazze, ma vi sembro forse scema? Okay che sono un po’ impegnata con la scuola e tutto, ma dove pensate che abbia vissuto durante gli ultimi sei anni? Su in montagna in mezzo ai troll?” Marlene soffocò una risata. “Lo so perfettamente che gli unici abbastanza idioti da organizzare party con fiumi di alcol sotto il naso di Silente, con la convinzione che lui e la McGranitt non se ne siano mai accorti, sono i Malandrini.”
“Meno male.” Tirò un sospiro di sollievo la mora. “Non avrei sopportato l’enorme perdita di tempo del chiudere la boccaccia a Potter e Black ogni volta che entravano nella nostra stessa stanza, per evitare di farti scoprire tutto.”
“E, anche se sai che sarà sicuramente James a organizzare quel festino, col diabolico aiuto di Black, e che potrebbe accadere qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi cosa, sei ancora disposta ad andare?” Emmeline decise che, ormai che la mano era stata mostrata, sarebbe stato meglio estrare fuori dalla manica tutto il braccio.
Lily si strinse nelle spalle. “Se questo è il prezzo da pagare per un po’ di sollievo dai miei pensieri…”
Le due amiche la guardarono strabuzzando gli occhi, incredule davanti a ciò che era appena entrato nei loro padiglioni auricolari. “Chiaro è” Si corresse la rossa in fretta e furia, con le guance color porpora. “che se Potter inizia a infastidirmi o altro, non solo levo le tende, e state pur certe non metterò più piede in qualsiasi luogo che sia anche solo nella linea d’aria dei pensieri di quello sciagurato, ma lo schianto e lo spedisco per due settimane filate in infermeria prima che possa pronunciare la prima sillaba della parola boccino.
Le due ragazze non erano ancora pienamente convinte, né credevano in tutta certezza di aver appreso correttamente, perché, beh, Lily sapeva benissimo che James, non appena l’avesse vista, non si sarebbe di certo astenuto dal correrle di fronte e saltellarle attorno come un dannato bambino di cinque anni, mentre le elencava tronfio tutte le abilità in cui eccelleva e snocciolava tutta una serie di frasi tratte dai romanzi romantici babbani da supermercato nella vana speranza di sedurla, farle sperimentare la morbidezza delle sue coperte, e poi esporla come il più splendente dei trofei. E non si sarebbe limitato solo a questo, nossignore, l’avrebbe seguita in ogni singola parte del locale in cui si sarebbe tenuta la festa, avrebbe tentato ogni minima tecnica di abbordaggio in suo possesso che non aveva già adoperato prima, le avrebbe procurato un tormento tale da oltrepassare una linea di sopportazione di suddetto spessore che la rossa avrebbe solamente dovuto essere Silente per non uscire di testa e lanciargli addosso una Maledizione Senza Perdono, e tutto ciò unicamente perché aveva acconsentito a una sua idea, stava partecipando ad una sua festa con l’intenzione di divertirsi. E lei doveva essersi davvero ammattita per assecondare un’utopia del genere.
In quell’istante la porta di legno scalfito di fianco alla cattedra si schiuse cigolando, malferma sui cardini, e rivelò la figura bassina e rotondeggiate della loro insegnante di Erbologia Pomona Sprout, tra le ciocche castane qualche riccio argenteo aggiunto in più a quelli dell’anno precedente, ma negli occhi chiari la medesima favilla luminosa di chi è immensamente devoto al lavoro che fa e alla materia che insegna. Ciò che, però, nessuno si aspettava di veder comparire da dietro lo stravagante cappello verde scuro adagiato come per miracolo sui ricci dell’ingombrante donna, furono le figure malandrine di Peter Minus, Sirius Black e James Potter, tutte con lo stesso sorriso manigoldo e pieno di segreti in volto.
“Dov’è Remus?” Scappò bisbigliato ad Emmeline, che se ne pentì nell’istante successivo, in quanto si trovò puntati addosso gli sguardi inquisitori delle sue due amiche. “Be’? Che c’è? E’ da sette anni che girano in quattro, non posso essere curiosa?”
“Coda di paglia?” ghignò piano Marlene.
“Guarda Em che nessuno ti sta accusando di nulla.” Fece Lily con ilarità nella voce.
Lei borbottò frasi incomprensibili in risposta.
“Bentornati, cari, bentornati!” La professoressa si era sistemata di fronte alla sua caotica cattedra, e nel frattempo anche i tre ragazzi stavano girando per l’abitacolo alla ricerca di posti liberi dove sistemarsi; li vide disporsi lontano da loro, in fondo alla tavolata, dove si trovavano gli ultimi rimasti, quelli che solitamente nessuno occupava in quanto, per la loro lontananza, da essi era molto difficile ascoltare di cosa stava parlando la Sprout. “Quest’anno, come avrete intuito dal vostro libro di testo, affronteremo tutte le tipologie di Pericolose…”
Quasi inconsapevolmente, la rossa prese a scrutare il gruppetto con la coda dell’occhio, distratta, senza prestare realmente attenzione alle parole della donna davanti a lei, per la cui spiegazione, prima, per poco non aveva saltato la colazione pur di accaparrarsi i posti più vicini alla sua postazione, e assicurarsi una buona auscultazione; vide James ridere per qualcosa che aveva detto Sirius, le labbra piene dischiuse e il nocciola degli occhi celato dalle palpebre premute con forza l’una sull’altra, sugli angoli tenui rughe che non vedeva ma sapeva per certo essere presenti, mentre nella mente prendeva forma il suono della sua risata vitale, spontanea, che in quel momento non riusciva ad udire a causa della distanza. Black diede una vigorosa pacca sulla spalla a lui e a Peter, lì al fianco, e mentre l’ilarità andava via via scemando dal suo volto, notò che con lo sguardo stava passando a setaccio tutto il perimetro del tavolo in ferro, senza però soffermarsi davvero su alcuno dei presenti. E improvvisamente ce li aveva nei suoi, gli occhi di James, avrebbe potuto giurarlo su qualsiasi cosa, avevano orbitato per tutta la stanza alla ricerca di lei, e Lily sapeva che avrebbe dovuto voltarsi dall’altra parte, sapeva che non avrebbe dovuto assecondare quel suo stupido giochetto, sapeva che avrebbe fatto meglio a correre il più lontano possibile da quella stanza senza guardarsi indietro, eppure, tra le sue, quelle iridi erano così luminose, così liquide, così vive, che ad un tratto le parve di trovarsi da tutt’altra parte, innalzata su un cosmo diverso, su una dimensione empirea, ampia e brillante, squarciata da quel castano che pareva volerla affogare, mentre il suo cuore pulsava fervente, pazzo, riempiendo tutto coi suoi palpiti. La ragazza si era repentinamente ritrovata, senza aver percorso neanche un metro, a corto di fiato, con lo stomaco che le ardeva, in fiamme, e in petto un dolore cocente che le impediva di fare qualsiasi cosa eccetto che continuare a sguazzare in quel castano, mentre le mani erano corse ad aggrapparsi al bordo del tavolo, poiché quel senso di vuoto che avvertiva all’interno dell’addome le aveva come fatto istantaneamente mancare la terra sotto i piedi.
“Nella nostra prima lezione ci occuperemo, però, del dittamo e di tutte le sue proprietà. Qualcuno sa, per caso, qual è la sua caratteristica principale?” A quella domanda la rossa si riscosse come da un sogno, frastornata, confusa, e si ritrovò ad issare la mano di scatto, quasi ne dipendesse la sua stessa vita, voltandosi talmente in fretta verso la donna che le sue lunghe ciocche descrissero una corolla cremisi attorno alla sua esigua circonferenza.
La Sprout, che rimase col palato spalancato, non ebbe neanche il tempo di invitarla a parlare, che Lily cominciò ad illustrare, con voce secca, tutto ciò che era in sua conoscenza su quella pianta. “Conosciuta anche con il nome di Dictamnus albus, il dittamo è una pianta magica che racchiude poteri curativi e rigenerativi. Appartiene alla famiglia delle Rutaceae, e, per quanto riguarda l’aspetto, possiede dei fusti legnosi alla base, una radice carnosa di colore bianco e dei fiori molto grandi e odorosi, dotati di cinque petali bianco-rosei venati di porpora; tutta la pianta contiene essenze volatili molto aromatiche, e se viene strofinata emana un forte odore simile al limone. Da essa si estrae, per l’appunto, la miracolosa e rara essenza di dittamo, che guarisce istantaneamente le bruciature e cicatrizza rapidamente i tagli.”
“Si…esatto, Evans.” La donna era lievemente sbalordita, ma oramai solita all’eccellenza della rossa, per cui non diede più di tanto peso alla cosa. “10 punti a Grifondoro!”
“Grande, Lils!” Le bisbigliò Marlene a un orecchio, e un sorriso gratificato si fece strada tra le sue labbra rosate. Avevano cominciato solo da ieri e già stava facendo guadagnare punti alla sua casata, peccato che essi fungessero, però, da grossolani rattoppi a tutte le bricconate dei quattro malandrini, che invece ne facevano perdere quasi il triplo di quello che lei si procurava sudando.
Mentre le due si ricomponevano e si disponevano in modo da non mancare alcuna parola della professoressa,  la bionda, distratta da un movimento verso il basso, aveva notato la mano della rossa ancora saldamente ancorata al ferro del tavolo, lo stringeva con talmente tanto vigore che sarebbe stato un miracolo se, nel momento in cui avesse tolto le dita, non fosse rimasta l’impronta dei palmi a incavarne la superficie; per di più, scostando lo sguardo di qualche metro più lontano, aveva anche osservato, e fedelmente registrato in un angolo della sua arguta mente, un paio di scintillanti occhi color nocciola fissi sulla figura rossa accanto a sé, ignari dell’ulteriore spettatore esterno, e privi della minima intenzione di scollarglisi di dosso.
 
 
 






 
*   * ⋆   .
 
 
 
 






Lily, gli occhi roventi e irritati per quante volte con le dita se li era andata a strofinare a causa la stanchezza, i capelli raccolti in un voluminoso ammasso informe su un punto imprecisato sulla nuca, diede un’ultima, lesta, spossata scorsa al foglio di pergamena su cui era tracciato l’orario delle lezioni del giorno successivo, e con un sospiro rincuorato poté finalmente constatare che quella prima, lunga, estenuante giornata nel castello era giunta al termine.
A quella prima ora a dir poco singolare di Erbologia, che la rossa aveva opportunamente stabilito di riporre in un cassettino remoto della sua memoria con il proposito di non aprirlo mai più, intenzionata in ogni modo a non fare scivolare i suoi pensieri in argomento, e a far finta che non fosse successo nulla, ne erano seguite altre due di Incantesimi con Corvonero, nelle quali aveva accuratamente evitato di lanciarsi occhiate attorno e scacciato con un brivido ogni singola percezione di essere osservata che le era calata in corpo, focalizzando tutta la sua attenzione sull’apprendimento teorico dell’Incantesimo che porta sfortuna – aveva preso un rotolo intero di pergamena di fitti appunti, completi di collegamenti e freccette, che non erano venuti fuori ordinati come avrebbe voluto, ma dei quali andava molto fiera, e sperava fossero bastati per il lungo tema che certamente Vitious avrebbe chiesto loro di elaborare tra un paio di lezioni; dopo una capatina in Sala Grande per un celere pasto senza guardare in faccia altri che il cibo e le sue amiche, era partita alla volta di una sonnecchiata lezione di Storia della Magia, per poi concludere con due colme ore di Pozioni, materia che in assoluto prediligeva, ma decisamente letale e sconsigliabile al termine di una giornata così corposa, e per di più stipata nei sotterranei tra i Serpeverde, il timore di far esplodere tutto da un momento all’altro per la stanchezza, e James Potter, senza davvero aver cognizione di quale fosse l’alternativa peggiore.
Concluse le lezioni, aveva poi dedicato il tempo che le era rimasto prima della cena affondata tra le morbide pieghe della sua poltrona preferita in Sala Comune, avvantaggiandosi con qualche compito assegnato il giorno stesso, oppure rifinendo quelli per le vacanze destinati al seguente, non badando eccessivamente all’abituale andirivieni degli studenti dal buco del ritratto o ai chiassosi strepiti delle fiumane rosso-oro alle sue spalle, che però aveva sorprendentemente notato essere di gran lunga meno assordanti dell’anno precedente. Che fossero innegabilmente permasti sul fondo del bicchiere rimasugli dell’evento della sera prima, per il quale su molti volti si era stagnata una patina di timore ben evidente, che molto spesso faceva loro mozzare in gola una risata che in circostanze normali sarebbe detonata fragorosa, o che semplicemente fosse avvenuto un ampio e inaspettato scatto di maturità durante la pausa estiva, Lily non ci aveva sicuramente prestato la benché minima attenzione né si era presa qualche momento per rifletterci, impegnata com’era a piegarsi irrigidita sopra i libri di testo, le pergamene, il calamaio e la boccetta di inchiostro ogni volta che udiva la Signora Grassa aprire il ritratto e accogliere appresso di sé uno scalpiccio sconosciuto di passi.
Questa stessa situazione, completa di libri, strepiti smorzati e rapide pedate, si era replicata nella sua interezza anche dopo che, quella sera, ebbe desinato, protraendosi esattamente fino a quell’istante, e l’aveva lasciata talmente spossata che pareva una forza invisibile tenesse incollato il retro delle sue gambe alla fodera rossiccia della poltrona, che, se fosse dipeso dalla sua volontà, sarebbe volentieri franata con la fronte sopra quel cumulo di carta, col corpo assopito fino alla mattina seguente. Ma, durante una notte al quinto anno nella quale era rimasta sveglia fino a tardi poiché non aveva terminato i compiti, aveva scoperto che, verso un orario compreso tra l’una e le tre, alcuni elfi domestici giungevano dalle cucine nella Sala Comune per rassettarla e farla trovare pulita e impeccabile il giorno dopo, perciò la sua presenza dormiente sarebbe stata loro solo d’intralcio, soprattutto perché, nonostante avrebbero sicuramente tentato in tutti i modi di non destarla, sarebbero sicuramente finiti per farlo, e ciò avrebbe comportato un maggior dispendio di tempo nello svolgimento della loro mansione.
Con la testa dolente e greve, che ciondolava lievemente dalla cervice quasi possedesse vita propria, le palpebre gonfie e l’intero corpo immerso in una tinozza di torpore fumante, la rossa costrinse a malavoglia i propri arti a riacquistare vigore e padronanza sgranchendoseli uno per uno, sentendo mano a mano le ossa rimettersi al proprio posto e il sangue fluire in ogni vena e arteria; ma quando, infine, si issò sulle due gambe, le ginocchia le cedettero di botto, piegandosi in avanti e lasciandole a malapena il tempo per aggrapparsi con una mano al tavolo, senza però prevedere il punto esatto su cui essa si sarebbe poggiata: neanche cinque secondi più tardi, infatti, il silenzio che poco prima dominava la stanza era stato squarciato dal rumore secco e cristallino della boccetta d’inchiostro schiantata sul pavimento, il liquido nero contenuto all’interno che si stava rapidamente riversando su di esso, e una miriade di libri e pergamene stramazzate al suolo.
Merda…” borbottò, grata che perlomeno fosse sola nella stanza e nessuno avesse dovuto assistere alla sua immensa disfatta.
“Evans?”
Cazzo.
“Evans, ma che ci fai ancora sveglia?”
Con la mano ancora spalmata sulla superficie di legno e la crocchia che era oramai sfatta, e che si stava gradualmente distribuendo in estese ciocche fulve lungo tutta la durata del suo mezzo braccio proteso, puntando il peso sull’arto aggrappato al tavolo, Lily voltò piano il capo in direzione delle scale che conducevano ai dormitori, che era il punto da dove proveniva la voce; gli occhi color prato lievemente appannati misero a poco a poco a fuoco una figura alta e asciutta, una chioma riccia scarmigliata all’inverosimile, un petto massiccio con la veste sbottonata abbastanza da lasciar intravedere al di sotto un torso scalpellato e maestoso, e poi un paio di intensi, chiari e assonnati occhi ambrati, che la scrutavano confusi.
Il sangue le affluì violento sulle gote, mentre cercava di ridestarsi, e mostrò innocente la sua dentatura. “Potter.” Scostò lo sguardo alle sue spalle, verso il pasticcio che aveva combinato, e, notando solo in quel momento la pozza di inchiostro in rapida espansione sul pavimento, che se non si fosse subito sbrigata a rimuovere avrebbe lasciato una perenne chiazza nera, esclamò a gran voce. “Ho fatto un casino!”
Scollò allora di scatto la mano dal tavolo, che volò ad afferrare la bacchetta in una tasca della divisa, ma così facendo, ignara della boccetta di inchiostro che teneva sempre con sé come riserva in un angolo, scaraventò a terra pure quella, assieme ad un altro paio di libri e pergamene, delle quali buona parte erano cadute sulla pozza e stavano assorbendo il liquido scuro. “Cazzo, cazzo, cazzo!” Lily cominciò a strattonarsi pezzi di chioma in preda al terrore più puro, in testa una landa desolata di polvere e rado fieno, quando le sue orecchie vennero pizzicate da una risatina leggera alle sue spalle; voltandosi, scoprì il moro appoggiato con un fianco allo stipite arabescato dell’arco, le iridi scintillanti e le labbra piegate in una smorfia divertita, mentre giocherellava con le dita con la bacchetta, quasi a volerla beffare. “Be’? Che ti ridi? Brutto stronzo, aiutami invece.” Voltasi verso il suo profilo armonico, colse gli angoli della sua bocca flettersi verso l’alto e la stanza rimbombare in breve di una sua vera risata, una di quelle che sgorgavano dritte dall’addome e che facevano correre flebili formicolii lungo tutta la spina dorsale della ragazza; ma poco dopo, staccandosi dal marmo, la affiancò con la stecca lignea sfoderata, e insieme saturarono le pareti appese di arazzi e quadri dalla foggia centenaria di Reparo, Accio e  Gratta e Netta: volteggiarono in etere cocci di vetro e pergamene imbrattate, pennini miracolosamente integri e tomi dalla copertina chiazzata, tentando i due giovani di salvare il salvabile e di ripulire ciò che poteva essere mondato, il tutto senza che ai due sfuggisse dai labbri anche mezzo verbo verso l’altro. Quando ormai il pavimento rifulgeva di lustrini sotto la luce giallognola delle lampade elettriche a muro, neanche una macchia scura sostava a inzaccherare alcuna superficie e ogni oggetto era stato riposto con estrema cura all’interno della scomoda tracolla della rossa, che puntualmente ella doveva andare a risistemare sulla spalla maculata di lividi, si scambiarono un’occhiata sfinita impregnata di una punta di timidezza, poiché, realizzò la ragazza mentre James si lanciava spossato e pesante su una grossa porzione del divanetto davanti al camino, era forse la prima volta in sette anni che i due si ritrovavano ad essere complici in qualcosa che non prevedesse il gettarsi contro oggetti o incantesimi, e che terminava inevitabilmente per entrambi con una punizione.
“Vieni?” Fu poco più di un soffio ciò che scivolò via dalle labbra del moro, che, nel centro del divano, aveva voltato brevemente il capo in modo da mostrarle solo un lato del viso, e la scrutava esitante con quell’unico occhio mezzo socchiuso, ma a Lily – che stava ancora coi piedi ancorati sul punto da cui poco prima aveva dato splendido sfoggio di esemplari doti domestiche – arrivò dritto in corpo a farla irrigidire tutta, la mascella contratta e lo stomaco improvvisamente stretto, tanto che serrò ancor più la presa sulla borsa, il desiderio impellente di fuggire a gambe levate su per le scale che le premeva addosso. “Io…starò buono, promesso.” James – vagliatala un’ultima volta con la sua iride chiara, nella quale vedeva riflessa e accaparrata tutta la luminosità della stanza – si girò nuovamente, lento, con la faccia rivolta verso il caminetto spento, e prese a giocherellare con la federa ramata accanto a sé, concedendole la visuale della sua nuca piegata.
Forse furono gli occhi con cui l’aveva guardata, insieme a tutti quegli sguardi che le aveva riservato fino a quel momento, così reconditi, intrinsechi, intimi quasi, e che lei si era ripromessa di scongiurare fino alla morte; forse fu vederlo lì, da solo su quel divano, senza che ci fossero le altre tre figure malandrine ad attorniarlo e, come aveva sempre creduto in tutti quegli anni, a gonfiare il suo smisurato ego; forse fu più semplicemente colpa di quella stanchezza che avvertiva permeata fin sopra ciascun’unghia, capello, e ogni altra estremità di sé, fin ogni suo osso, tendine e legamento, che le ostruiva la lucidità e le appannava i sensi, che, in quell’attimo, le faceva affacciare sotto una luce proficua e rassicurante ciò che, a mente coerente, non avrebbe esitato a contrassegnare come deleterio – come un marinaio che, scorgendo l’oscuro abisso che durante il giorno avrebbe saputo abilmente deviare, lasciandosi guidare dalle tenebre della notte e dal canto primordiale e chimerico, nei recessi di un fondale lontano, di una creatura fatale e ammaliatrice, bellissima, ne finisce dritto nel mezzo, e avverte il peso del tremendo errore che ha commesso solo nel momento in cui la gola gorgoglia e pizzica per l’acqua marina, le pupille sono turgide e irritate dal sale e ogni centimetro di pelle scoperta è percorso da biancastre e tenui piccole faglie.
Forse nella mente di Lily Evans c’era tutto ciò a tempestare, una matassa inestricabile di pensieri che si susseguivano senza apparente criterio razionale, talvolta addirittura frapponendosi l’un l’altro, e facendola talmente balzare fuori di testa che a un certo punto doveva aver preso la decisione di serrare ogni porta e smorzare tutte le luci del suo cervello, in modo da cessare definitivamente di pensare e lasciar pilotare solo e unicamente il suo cuore, quando gettò la tracolla su una poltrona lì intorno e sprofondò con le gambe segregate dalla gonna della divisa nell’imbottitura morbida del mobilio antiquato, di fianco a James Potter: quel ragazzo che talora le faceva provare sentimenti contrastanti a tal punto, ad alcuni dei quali non avrebbe neanche saputo che nome mettere; quel ragazzo che odiava, quello contro cui competeva dal momento esatto in cui aveva messo il piede destro nel castello; quel ragazzo che, in quel momento, stava guardando con uno sguardo e con degli occhi che un osservatore esterno avrebbe faticato davvero ad attribuire alla rossa, con il quale era situata ad una vicinanza talmente inaudita per i loro standard, per il loro semplice essere Lily Evans e James Potter, che lei, a un dato istante, dovette schiarirsi piano la voce, scostare la visuale sulla legna inutilizzata che vegetava sopra l’alare ancora privo della cenere argentea simile a brina, e distanziarsi di qualche centimetro, a malapena consapevole che anche il moro al suo fianco stava compiendo le stesse azioni.
“Prima…” Cominciò lui, rischiarandosi la voce arrochita. “Prima ridevo non perché ti volevo prendere in giro, o altro. Era la prima volta in sette anni che ti sentivo dire una parolaccia.”
Si voltò di scatto verso di lui, stupita. “Come? Davvero?” Sulle sue labbra stava nascendo un involontario sorriso, che forse era uno dei più peculiari e più sinceri che a pochi concedeva di ammirare.
“Si, davvero.” Fece lui, con il riso contagiato dalla rossa.
“Ma dai, almeno una volta di sicuro mi avrai sentito chiamarti stronzo o coglione. Ci scommetto i calzoni con le Api Frizzole di Silente.”
Lui scoppiò a ridere, genuinamente divertito. “No, ti giuro.”
“Allora mi tocca rimediare.” Affermò, lasciandosi scappare anche lei una risata, senza però appellarlo in alcun modo.
Si scambiarono una breve occhiata di sbieco, e poi, come se non avessero passato troppi anni a elargirsi disprezzo a vicenda, come se le cose che avessero entrambi detto e fatto fino a quel punto non avessero originato una frattura che difficilmente avrebbe potuto arginarsi – come se non solo al di fuori delle mura del castello, ma anche fuori da quella stessa stanza non ci fosse qualcuno che auspicava solamente nell’attimo più propizio per attentare alle loro vite e a quelle delle proprie famiglie –, esplosero insieme in un’immensa, fragorosa, vitale risata, una di quelle che quando principia difficilmente riesci a smettere, una di quelle che ti fa nascere minuscole e gaie lacrime agli angoli degli occhi, e ti fa tenere la pancia per quanto te la fa dolere; una di quelle che ti fuoriescono dalle labbra quando sai perfettamente che domani l’era del mondo così come lo conosci tu potrebbe tramontare dietro una catastrofe, che l’apocalisse potrebbe iniziare anche l’istante seguente – e tu non sei pronto, non lo sei per niente, neanche un po’, perché sei così tremendamente giovane, così tremendamente acerbo come una pesca colta dall’albero a marzo, potresti avere così tante avventure ed esperienze davanti a te che, per quanto tu cerchi di sforzarti, non riesci fino in fondo a concepire l’idea che tutto quello che oggi tieni tra le mani, che stai guardando in questo preciso frangente, che ti fa provare emozioni così acute e lancinanti, domani potrebbe già essere scivolato via, essere diventato cenere, essere scialbo e incredibilmente vuoto, morto sul pavimento di una cucina o appassito poiché esposto lungamente al sole. E allora tu ridi – le tue labbra si dilaniano in una voragine che mostra un paio di irregolari file di acre euforia –, ridi perché non sai cos’altro fare, perché non hai potere su ciò che ti accadrà tra un giorno, un mese un anno, due; e in fondo, se ci rifletti attentamente, neanche ti importa più di tanto, perché ora la vita ti riempie i polmoni di quella che a te pare l’eternità e ti fa sentire incredibilmente rigoglioso, sfolgorante, aureo, che tutto ciò che ti affliggeva l’attimo prima, quello dopo è stato già inghiottito da quel succoso albore.
Le risa scivolarono via lente aggrappandosi ai senili arazzi, dove già polvere invisibile era stagnata da immemore tempo, e si persero tra i lievi ticchettii di un orologio lontano.
“Perché non può essere sempre così? Non riesco a capire, davvero.” Adesso James la guardava con le iridi scintillanti, e tanto Lily si sentì destabilizzata che, per rispondere, fu costretta a distogliere lo sguardo.
“Perché io…io ti odio, Potter.” Fu come una scoperta che faceva per la prima volta, una rivelazione che suonò falsa persino alle sue orecchie; è così che dev’essere, pensò mentre avvertiva il ragazzo inspirare bruscamente dalle narici. Si fece coraggio e cercò nuovamente il suo sguardo, ma, con una dolorosa e inaspettata fitta al petto, notò egli aveva abbassato il suo, gli occhi nascosti dalle corte onde castane.
Le parole che si cavò di bocca in seguito le resero le pareti di quest’ultima amare e mordaci, pastose come se stesse arrancando nel mastice. “Senti…sono stata bene, ma non posso, lo sai. Stasera eravamo tutt’e due stanchi e non ci siamo resi conto di ciò che facevamo, forse entrambi avevamo solo bisogno di ridere. Ora devo…” Non le diede agio di proseguire oltre. Lo vide issarsi di scatto sui due piedi, gli occhi talmente scuri e densi da uguagliare la tonalità del suo caffè preferito, dentro di essi a imperversare c’era benzina liquida, pura, e lei avvertì il ventre contrarsi e venire strizzato, come si fa con una spugna zuppa d’acqua prima di aggiungere il detersivo per lavare i piatti.
“Dirai sempre così?” Il tono tagliente e brusco della voce, tanto dissimile a quello scherzoso e solare di pochi istanti prima, trafisse il suo corpo come miliardi di affilate frecce.
“Co- che cosa? Quando?”
“Quando ci baceremo, Evans! Quando ci baceremo e andremo a letto insieme dirai sempre la stessa cosa? Sono stata bene, ma non posso, eravamo tutt’e due stanchi e forse avevamo entrambi bisogno di baciarci e scopare?” A corto di fiato, il suo petto si alzava e abbassava rapidamente. “Vorresti neg–”
Lo schiocco di un palmo che cozzava violento contro la pelle morbida e carezzevole di un viso lacerò l’aria della stanza. Il braccio della rossa rimase sospeso a mezz’aria per qualche secondo, e allo stesso modo le espressioni confuse e stordite che erano comparse sui loro volti, mentre James, la guancia ardente e il cuore che gli martellava in petto pesto e sanguinolento, si portava un arto a coprire il tratto di cute offeso, le palpebre spalancate e le labbra lievemente schiuse.
“Come osi? Come ti permetti anche solo di…pensare certe cose?!” La rossa era sbalordita; in corpo, la benzina che prima aveva visto gorgogliare all’interno degli occhi del ragazzo, le aveva acceso una vampa al di fuori della sua padronanza e risolutezza, che presto, se lui avesse continuato a provocarla gettandole altro liquido combustibile addosso, sarebbe infuriata in un incendio deflagrante, stupefacente e letale, che avrebbe corroso e fatto strage di ogni cosa che fosse incappata nella sua traiettoria. Per un attimo, per un solo, mero palpito aveva creduto che James Potter potesse essere cambiato, potesse essere finalmente maturato; si era illusa di poter convivere con lui un’esistenza civile, di non dover più raddrizzare le spalle a tenere sempre la guardia alzata in sua presenza, come col più temibile dei nemici, ma era evidente, dallo scenario a cui aveva appena assistito, che, se possibile, la sua persona e il suo comportamento erano degenerati più di quanto già non lo fossero negli anni precedenti.
“Oh, avessi anche solo una vaga idea di quante volte la mia mente sia volata a pensarci…”
La mano di Lily fendette nuovamente quello spazio angusto che li separava, con l’intenzione di colpirlo nello stesso punto una seconda volta, e l’avrebbe certamente fatto se il moro, i riflessi lesti di un Cercatore, non l’avesse afferrata prontamente, stringendo delicatamente la circonferenza del polso con pollice e indice, in un cerchio quasi completo e rovente sulla sua pelle. “Non mi colpirai di nuovo.”
“Vuoi scommetterci, brutto maiale che non sei altro? Lasciami se ne hai il coraggio!” Mai, mai nei suoi diciassette anni un ragazzo aveva avuto quella stessa faccia tosta di Potter di rivolgere le parole che poco prima aveva udito uscire dalla sua bocca – nessun ragazzo beneducato, assennato e con un briciolo di dignità e amor proprio, tutte qualità che non rientravano nel forbito dizionario del moro, e d’altronde non avrebbe dovuto restarne stupita, visti i precedenti con esso avuti.
Ma James – oltre ogni aspettativa, oltre ogni giudizio che poteva essere balzato alla mente della rossa fino a quel preciso istante –, staccò la presa dal suo polso, all’improvviso, quasi, reggendo una pentola bollente senza un panno di ausilio, avesse dovuto mollarla di botto per il bollore, e solcò il lucido pavimento di pietra con qualche lungo passo a ritroso, in modo da distanziarsi da lei, lo sguardo basso e incerto, adombrato.
Lily, allontanatasi anche lei in direzione del varco per i dormitori, lo guardava stordita e perplessa, ma tracce del fuoco divampato poco prima ancora guizzavano su quelle iridi del colore del più florido e rigoglioso pascolo. “Prova ancora a dire porcherie del genere, Potter, o anche solo ad alzare un tuo sudicio dito su di me e ti giuro su quello che ho di più caro che ti farò ricordare per tutta la tua dannatissima vita del modo in cui te ne avrò fatto pentire. Stanne certo.”
E poi, come se non ci fosse mai stata, fluttuò via su per le scale dei dormitori femminili, lasciandolo lì, con una guancia in fiamme, lo stomaco eroso dal rimorso e gli occhi mezzi lucidi e appannati, mentre il suo cuore sfuriava impazzito tra i polmoni e le ginocchia gli cedevano per quella verità che aveva sputato fuori, che alle orecchie della ragazza pareva brutale e inaudita, ma alle sue era soltanto il grido disperato di un uomo col cuore stanco di essere tenuto a bada.
 
 



 
 
 
 
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angel’s space
Okay, sono in super ritardo e mi dispiace, avevo programmato di pubblicare prima, ma il fatto è che con la fine della scuola, le varie uscite con gli amici e il breve respiro che ho voluto concedermi per un po’ dai social, ho finito per sforare (anche se in realtà non avevo stabilito una data fissa, avevo solo detto che avrei cercato di non tardare) e mi spiace immensamente. Per quanto riguarda quel pezzo di cuore che ho inserito all’inizio, so perfettamente che tutte le persone che iniziano il capitolo con una canzone tendono ad inserirla in inglese, snobbando totalmente quelle italiane (o per lo meno io non ho mai visto qualcuno aprire un capitolo con una canzone italiana), ma a me in tutta onestà non frega molto, semplicemente la canzone è meravigliosa, il gruppo è meraviglioso (PSICOLOGI SONO LA FISSA, FISSA, FISSA)  e l’ho trovata una perfetta per descrivere ciò che realmente sentono i protagonisti, ma che ancora si rifiutano di ammettere. Per quanto riguarda il programma di Erbologia e delle altre materie menzionate nel corso del capitolo non mi sono inventata nulla, ho trovato tutto su vari siti internet, tra cui il più affidabile è il campione Wikipedia. Mentre scrivevo le ultime scene, quelle dello sbotto finale di James e la reazione aggressiva di Lily, ho come avuto l’impressione di aver affrettato un po’ le cose, e la verità è che non avevo neanche premeditato che venisse fuori dell’azione (pensavo inizialmente di restare nel fluff e chill), ma poi i personaggi hanno iniziato a muoversi da soli e, niente, non ho proprio potuto fermare la mano che correva sulla tastiera. Come sempre chi vuole lasciare una critica/commento/recensione è sempre ben accetto, non aspetto davvero altro, vorrei davvero migliorare e non mi serve altro che un parere oggettivo da chi se la senta e abbia voglia di lasciarmelo!
Alla prossima,
Baci
Angela





 
   
 
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