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Autore: LysandraBlack    19/06/2020    2 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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Ostwick II

Era del Drago, 9:35



 

Il giorno dopo, si ritrovò col resto della famiglia sugli spalti, intento ad osservare l'ennesimo cavaliere venire disarcionato dal cavallo a colpi di lancia.

Quando ricomparve l'Orlesiano che l'aveva sconfitto, non si trattenne dallo sbuffare pesantemente in una smorfia di disgusto mentre quello si pavoneggiava per tutto il percorso, salutando la folla lì per la finale della Giostra.

La tenente Marian, seduta accanto a lui, sembrava condividere i suoi sentimenti, anche se per motivi diversi. Sebastian le indirizzò un sorriso divertito, senza scomporsi, mentre Andrew e Garrett si misero a scimmiottare la postura pomposa del Marchese, scoppiando in una risatina divertita che contagiò immediatamente anche Isabela.

«Orlesiani...» Commentò la donna, scuotendo il capo. «Tutti uguali.»

Garrett diede di gomito all'amico. «Sono molto geloso di quelle piume... dici che saprà fare pure la ruota come un pavone?»

«Sicuro, guardalo lì!»

Gli parve che ad un certo punto Courtemance avesse fissato proprio lui, un sorrisetto derisorio a comparirgli sul volto prima di calarsi l'elmo piumato in testa, ma l'attenzione di Macsen venne sviata sulla cugina, annunciata in quel momento.

«Ser Mordred Trevelyan, il Toro Rosso, figlia di Ser Arthur Trevelyan di Ostwick!»

La donna spronò sicura il gigantesco purosangue nero, l'elmo con le corna di toro sottobraccio, al quale lei e la sua compagnia dovevano il nome. Si avvicinò agli spalti, recuperando qualcosa dalla gualdrappa del cavallo e lanciandolo con grazia nella loro direzione. Macsen si ritrovò a ridacchiare divertito guardando Alexander arrossire un poco, un fiore di Grazia Cristallina tra le mani. Non gli sfuggì nemmeno lo sguardo che Marcus lanciò alla sorella, quasi offeso. Anzi, conoscendo Marcus, aveva decisamente preso come un affronto personale che non ci fosse un fiore anche per lui.

Mordred sembrò non badarci, ma poi all'ultimo fece indietreggiare il cavallo, lanciando con precisione alle proprie spalle un altro fiore in grembo al fratello. Si girò per un attimo, un sorriso sulle labbra mentre si abbassava la visiera dell'elmo.

«Fallo finire faccia a terra!» Esclamò entusiasta Domhnall, dalla fila di fronte. Si voltò poi verso il fratello, strizzandogli l'occhio. «Dobbiamo rifarci, vero?»

Max sbuffò infastidito. «Vedrai domani nella mischia, come lo riduco...»

«Macsen, dovresti pesare meglio le tue affermazioni.» Lo rimbeccò tranquillo Bann Trevelyan, senza nemmeno girarsi a guardarlo. Sedeva accanto al fratello, entrambi avevano gli occhi puntati sui due cavalieri che si affrontavano per la seconda volta. Il punto andò a Mordred.

«Ah, lascialo fare, l'umiltà non è mai stata neanche il tuo punto forte, da quanto ricordo.» Commentò Arthur ridacchiando serafico a spese del fratello, che gli scoccò un'occhiata gelida.

«È “modesti nel carattere, audaci nelle azioni”, non il contrario,» ribattè Bann, citando il motto di famiglia «non ho cresciuto figli presuntuosi, né stupidi.»

Macsen si morse la lingua per non rispondere a tono, intercettando lo sguardo ammonitore di Dom. «Avete ragione, padre, mi dispiace.»

«Non ho chiesto delle scuse, Macsen, ma dei fatti.» Il padre si girò finalmente verso di lui, l'ombra di un sorriso a distendere i lineamenti severi. «Limitati a fargli vedere cosa succede a sfidare un Trevelyan in un combattimento vero, domani.»

La risata piena di Arthur a quelle parole si interruppe bruscamente quando Mordred venne colpita dall'Orlesiano, che conquistò il punto. Sentì Marcus ringhiare qualcosa di molto poco gentile.

I due incontri successivi li vinse ancora l'Orlesiano, portandolo in pari con la Trevelyan. Mentre i cavalieri si allontanavano di nuovo per l'ultima volta, raggiungendo il lato opposto del tracciato e facendo voltare i cavalli, il Marchese sollevò la visiera dell'elmo, lanciando uno sguardo proprio verso gli spalti dove sedevano Macsen e gli altri, prima di piegare il capo come a sgranchirsi le spalle e stringere nuovamente la lancia sotto il braccio.

Quando le aste si incrociarono di nuovo, e quella di Mordred mancò di un soffio il bersaglio, Macsen trattenne il respiro, per poi farsi sfuggire un'imprecazione colorita, che avrebbe certamente trovato migliore pubblico nelle taverne peggiori di Kirkwall che sugli spalti della nobiltà, quando invece la lancia di Courtemance andò a segno.

Mordred rimase in sella, ma l'alloro sarebbe andato all'Orlesiano, e i Trevelyan non poterono far altro che mettere su un'espressione neutra e applaudire compostamente mentre lo Chevalier riceveva le acclamazioni di pubblico e si complimentava con l'avversaria, inchinandosi cavallerescamente nella sua direzione, la corona di alloro sistemata con cura sul capo. Macsen, il sapore amaro della bile in bocca, osservò la cugina stringere cortesemente la mano del Marchese.

«Vado a fare un giro.» Sbuffò una volta che si furono alzati, facendo segno ad Andrew, che l'aveva guardato in maniera interrogativa, di stare pure a bazzicare per i padiglioni con Garrett. «Tanto qui non abbiamo più nulla da vedere. Non aspettatemi per cena, ho intenzione di trovarmi qualcosa da fare fino a domani mattina.»

«Vedi di non esagerare, che domani-»

«Lo so, Dom, lo so!» Alzò la voce, indispettito. «Non ho cinque anni.»

Ignorò le parole successive del fratello, tagliando per il prato e infilandosi tra una piccola folla di curiosi che si era radunata per ammirare dei mabari interamente dipinti col kaddis, la pittura che i Fereldiani usavano per scendere in battaglia al fianco dei loro mastini. I rispettivi umani portavano sul volto e sulle braccia gli stessi simboli e scrutavano torvi gli astanti, borbottando a bassa voce e cercando di tenere buoni gli animali, che avevano le orecchie all'indietro e le tozze code tese.

Assetato, si spostò alla ricerca di un padiglione che servisse birra di qualità, trovando un nano dall'aspetto poco simpatico che gli servì una delle birre scure più buone che avesse mai assaggiato. «Venite a trovarci ad Hasmal!» Tuonò il compare, un altro nano con vistosi tatuaggi sulle braccia e una miriade di treccine nella barba, che invece gli sorrise affabile.

Con l'umore un po' più in alto, decise di andare ad esplorare ulteriormente gli eventi di quella giornata, imbattendosi prima in un piccolo torneo di lotta a mani nude, dove i partecipanti gareggiavano indossando solo i pantaloni e si oliavano tutto il corpo per sfuggire più facilmente alla presa dell'avversario, dove Macsen si fermò ad osservare per un po' fino a quando qualcuno non gli chiese se volesse partecipare, allontanandosi con una scusa e finendo poi per fermarsi ad assistere ad un'asta di cavalcature di ogni tipo.

Un grosso purosangue fereldiano venne aggiudicato ad un Antivano vestito con colori sgargianti, una miriade di medaglioni d'oro ai lembi degli scialli che indossava che tintinnavano ad ogni passo, che facevano a gara con gli orecchini e gli anelli d'oro che aveva sulle orecchie, su gran parte del viso e tra i capelli. Quello che sembrava un nug, solo che addirittura più imponente di qualsiasi cavallo Max avesse mai visto, venne acquistato da un Tal-Vashot in armatura pesante, interamente dipinto di bianco e rosso con le corna che ricordavano quelle della cavalcatura che aveva appena comprato. Due Avvar si contesero un cavallo dal pelo lungo, particolarmente adatto per i climi rigidi di casa loro, mentre tre Orlesiani vennero quasi allo scontro per un maestoso destriero da guerra, la criniera color crema accuratamente intrecciata.

Venne poi presentato un dracolisco albino, le squame sul dorso screziate di rosa e due brillanti occhi scarlatti che sondavano l'ambiente: tirò nervoso le redini, schioccando le fauci irte di denti aguzzi verso l'uomo nerboruto che lo stava facendo sfilare per il piccolo recinto. Il banditore iniziò ad elencarne le qualità e la discendenza di razza.

«Seicento pezzi!»

«Settecento cinquanta!»

«Ottocento!»

Poco più avanti rispetto a Max, due Tevinter in armatura lucida confabulavano tra loro. Uno di loro scosse le spalle, alzando la voce e facendo un passo verso il dracolisco. «Milleduecento.»

Il banditore sgranò gli occhi ma si affrettò ad annuire, afferrando quasi al volo la piccola sacca con parte del pagamento che uno di loro gli aveva allungato con sdegno.

Quello con l'armatura più decorata, chiaramente un capitano, fece un cenno del capo all'elfo al suo fianco, che Macsen non aveva notato. Quello schizzò in avanti, il capo chino rivolto a terra, prendendo il dracolisco per le redini e riuscendo a calmarlo con qualche parola per portarlo verso i due. Uno dei soldati rimase presso il recinto, probabilmente per saldare la vendita.

Quando gli passarono davanti, allontanandosi dall'asta, Max non potè evitare di notare i segni sul collo dell'elfo, pieno di cicatrici ormai vecchie.

«Un buon acquisto, non credi?»

Si voltò di scatto, sorpreso, incrociando lo sguardo del Tev che aveva conosciuto al ricevimento di apertura del Gran Torneo. «State parlando dell'animale, o dell'elfo?» Gli chiese in tono tagliente.

Cornelius non parve fare una piega. «Del dracolisco, ovviamente, la famiglia di mia madre li alleva da generazioni.» Gli fece cenno di seguirlo, scostandosi dalla folla. «L'elfo non è altrettanto di valore, ma è sufficientemente bravo ad occuparsi di loro. Sono animali nervosi.»

«Per questo preferite tenere lui al collare piuttosto che i vostri animali?»

Il Tev si fermò ad osservarlo, divertito. «È la sua mansione badare ai dracolischi, non vedo perché ve la prendiate tanto per qualche vecchia cicatrice. Ma se può consolarvi, non abbiamo più bisogno di mettergli il collare da un pezzo, è sicuramente più addomesticato degli animali di cui si occupa.»

Macsen lo guardò in tralice.

«Non venitemi a fare uno sterile discorso sulla schiavitù degli elfi, Ser, perché sono abbastanza sicuro che nemmeno nelle enclavi qui a Sud stiano esattamente una favola.» Inarcò un sopracciglio, facendo uno svolazzo con la mano come a disinteressarsi dell'argomento.

Chinò il capo in segno di resa, non voleva nemmeno mettersi a discutere, soprattutto non sugli elfi.

«Ser Trevelyan!»

Con una smorfia, vide il Marchese Courtemance venire verso di loro: aveva abbandonato l'armatura pesante da torneo e ora indossava un ricco farsetto imbottito color rosso cupo, la corona di alloro ancora sul capo. Gli si fece incontro con un sorriso aperto, tendendogli la mano. «Volevo congratularmi con voi, siete stato un degno avversario ieri.»

Con la coda dell'occhio, Macsen vide il sorrisetto di Cornelius acuirsi impercettibilmente e represse l'istinto di spaccare la faccia allo Chevalier, stringendogli la mano con forza. «Siete stato bravo.»

«Per forza di cose, qualcuno doveva vincere oggi... ma non preoccupatevi, ci saranno altre occasioni per conquistarvi la gloria del Gran Torneo.» Ribattè serafico l'altro, volgendosi poi verso Cornelius come a soppesarlo. Fece un mezzo saluto, chinando di poco il capo nella sua direzione. «Ser Etienne Courtemance...»

«Lord Cornelius Nerva.» Rispose asciutto il Tevinter, limitandosi ad un piccolo cenno del capo.

Il Marchese assottigliò lo sguardo, spostando poi gli occhi nuovamente su Macsen. «Spero di trovarvi sul campo di battaglia domani, la Mischia è sempre stata la mia prova preferita.»

«Non so se lo sarà ancora.» Ribattè tagliente il Trevelyan con un sorriso.

Gli occhi chiari dell'altro si strinsero a due fessure. «Oh, lo vedremo immagino... non credo che voi parteciperete, invece?» Chiese rivolto a Cornelius.

«Preferisco guardare i soldati che si rotolano nel fango, piuttosto che unirmi a loro.»

Macsen dovette nascondere una risata dietro un colpo di tosse, la mano davanti alla bocca.

«Tipico di un Tevinter...» Si limitò a rispondere l'altro, senza scomporsi troppo. Tuttavia, Max notò che aveva serrato il pugno per un attimo, alle parole di Cornelius. «A domani, Ser Trevelyan.»

Lo guardarono allontanarsi, prima di scambiarsi uno sguardo divertito.

«Non c'è niente da fare, con gli Orlesiani.» Commentò Macsen mentre riprendevano a camminare.

«Oh, non saprei, conosco parecchie persone che lo farebbero sembrare un umile agnellino.»

«Facile, quando possono usare la magia del sangue.» Si lasciò sfuggire Max, mordendosi subito la lingua dopo aver parlato, notando come l'altro si era irrigidito. «Ah, non volevo suggerire-»

L'espressione tesa di Cornelius si mitigò quasi immediatamente, mentre si spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Non fa niente, sono luoghi comuni.»

Lo squadrò di sottecchi. “Luoghi comuni un accidenti...” sapeva cosa accadeva nell'Imperium, non era un templare mica per niente. «Che ne dite per quel giro della città?» Chiese per cambiare argomento. Non era in servizio e, soprattutto, in quel momento non gliene fregava un accidente né dei maghi né dei templari, inoltre non voleva che l'altro si sentisse in soggezione con lui.

Cornelius sollevò un sopracciglio, il sorrisetto divertito che tornava a distendergli i lineamenti. «Mi pareva che le condizioni fossero che avreste dovuto prima conquistare l'alloro del vincitore.»

Gli lanciò un'occhiataccia, scrollando le spalle. «Come volete, siete voi a perderci.» Fece per allungare il passo, quando l'altro sospirò platealmente, fermandolo.

«D'accordo, Trevelyan, basta che ce ne andiamo da qui prima che qualcuno dei miei compatrioti ci fermi.»



 

Si infilarono tra le vie trafficate della città, in un caos di colori e lingue diverse, imbattendosi in una serie di spettacoli di strada e bancarelle che offrivano ogni genere di chincaglieria, tra cui un pacchianissimo set di piume di fenice decorate, che Macsen comprò per Quinn, e un bel taccuino rilegato contenente tutta una serie di scorci a carboncino dei Liberi Confini e delle loro città, che Cornelius sfogliò con particolare interesse chiedendo al compagno l'effettiva accuratezza dei luoghi ritratti prima di comprare.

Fecero una pausa per mettere qualcosa nello stomaco, trovando una piccola taverna di lusso dove Macsen assaggiò un intruglio orlesiano dal sapore disgustosamente dolce e un liquore di licheni nanico che rischiò di mandargli a fuoco le budella, mentre Cornelius si limitò a sorseggiare elegantemente un calice di rosso di qualche cantina pregiata delle pianure di Antiva, davanti ad un piatto di crostacei e frutti di mare pescati nella baia.

Un bardo si mise a decantare incautamente la città di Starkhaven, scatenando l'ira di un gruppetto di avventori di Tantervale che decisero di cantare a loro volta la grandezza della loro città, seguiti a ruota da altri cittadini dei Liberi Confini, ognuno più agguerrito degli altri.

«Direi di levare le tende...» Suggerì Max, dopo che lo spettacolino iniziava a farsi doloroso per le orecchie.

«E di corsa.» Concordò Cornelius, che tuttavia sembrava alquanto divertito dalla cosa. «Ho avuto il dispiacere di subirmi cornacchie più intonate.»

Si imbatterono infine nella corsa dei formaggi, trovandovi Andrew e Garrett ad assistere esaltati e parecchio allegri.

«Ho scommesso su quel formaggio!» Gli urlò il Campione, offrendogli una bottiglia di idromele mezza vuota e scuotendogliela davanti al volto, per poi scoppiare a ridere come un matto.

Andrew si chinò verso Max, la voce alta nonostante stesse cercando di non farsi sentire dall'altro. «Pure io ho scommesso, sul quel tizio là però... e coi suoi soldi!» Ridacchiò, fiero dell'idea.

Stava per chiedere a Cornelius se gli interessasse restare per la gara, quando notò che il ragazzo aveva gli occhi puntati su Hawke, come ad esaminarlo attentamente.

Quello, sentendosi osservato, si passò una mano tra i capelli, spettinandoli ulteriormente. «Ci conosciamo?» Chiese allegro, tendendogli la mano sinistra, libera.

«No, ma io conosco voi...» rispose il Tev, ricambiando la stretta e curandosi bene di non fare menzione del titolo del Campione, per non attirare l'attenzione. «La vostra fama vi precede.»

Garrett si lasciò sfuggire un sorriso tirato al riconoscerne l'accento. «È arrivata fino al Tevinter?» Sputò il nome come se fosse un boccone particolarmente amaro.

Il sorrisetto di Cornelius non vacillò nemmeno un istante. «Eravate sulla bocca di tutti, vi assicuro. Uno dei pochi col Dono, qui a Sud, a non essere rinchiuso in una gabbia per uccelli e oltretutto in grado di uccidere l'Arishok? Sareste il benvenuto nell'Imperium.»

Il Campione perse completamente la facciata di benevolenza, un'ombra scura sul volto. «Un amico mi ha parlato dell'Imperium, non credo proprio mi troverei a mio agio.»

«Magari il vostro amico non ha saputo apprezzare tutto quello che offre il nostro paese.»

«No, non credo ne abbia avuto la possibilità, tra l'essere comprato come schiavo e torturato per i sadici esperimenti di uno di voi Magister.»

Cornelius accusò il colpo, sbattendo le palpebre un paio di volte e assottigliando le labbra prima di rispondere in tono affettato. «State inveendo contro la persona sbagliata. Non tutti i Tevinter che incontrate sono Magister, come non tutti i maghi praticano arti proibite. L'Imperium è vasto e ricco di diversità, Serah Hawke.» A Max non sfuggì come avesse calcato sull'onorifico, come a sottolineare la propria superiorità di lignaggio rispetto a Garrett.

«Per il momento ho incontrato solo schiavisti, maghi del sangue o stronzi che erano entrambe le cose, e ne ho ammazzati parecchi. Perdonatemi se non vi credo granchè, quindi.»

Max si scambiò uno sguardo preoccupato con Andrew, affrettandosi a mettersi in mezzo prima che tra i due scoppiasse qualcosa. «Non facciamo di tutta l'erba un fascio, Hawke...»

«Non fa niente, ognuno ha diritto alle proprie opinioni.» Lo condì via Cornelius con un gesto della mano. «Spero possiate ricredervi, Serah.» Lanciò uno sguardo di sufficienza verso la fila di persone pronte a far rotolare le forme di formaggio verso il porto. «Non ho mai gradito particolarmente il formaggio, proseguiamo oltre?» Chiese a Macsen, che esitò un attimo prima di annuire, lanciando uno sguardo confuso ad Andrew prima di salutarlo con un cenno e guidare il Tev verso una strada laterale per uscire da quella calca.

«Riguardo a prima, Hawke non intendeva...»

«So benissimo quello che intendeva dire.» Lo fermò Cornelius una volta che ebbero raggiunto una delle terrazze rialzate, con una bella vista sulle mura e il porto sottostante. Decine e decine di barche piccole e grandi erano illuminate da centinaia lanterne di carta, che venivano fatte galleggiare sull'acqua dando l'impressione che la baia fosse invasa da lucciole.

«Non dovreste fargli una colpa per-»

«Ripetere quello che pensate tutti, qui a Sud?» Lo interruppe nuovamente l'altro, appoggiandosi alla balaustra di pietra. «Figuriamoci, non sono affatto sorpreso. No, forse un poco, ma solo per il fatto che il famigerato Campione di Kirkwall frequenti schiavi fuggiaschi.» Sbuffò sonoramente, sistemandosi il colletto della veste. «Un talento sprecato.»

«Talento? La magia, intendete?»

Si voltò a guardarlo, le braccia conserte e la schiena contro il parapetto. «Ovviamente.»

Macsen ridacchiò, nervoso. «Sapete che sono un templare, no? Non sono discorsi che sono solito affrontare, almeno da questo punto punto di vista. Il termine più usato è “maledizione”, o alla meglio “seccatura”, come la definisce Quinn.»

Cornelius sembrò infastidito. «Ripetete anche voi a pappagallo ciò che pensano tutti? Vostro fratello è un mago, e non mi sembra sia molto diverso da voi. Il Campione ha salvato una città, eppure avete tutti paura che improvvisamente i maghi possano impazzire facendo una strage. E allora li richiudete preventivamente in una cella dorata per il resto delle loro vite, ad aver paura della loro stessa ombra.»

«Un po' di paura fa bene, altrimenti potrebbero pensare di prendere il controllo e assoggettarci tutti.» Ribattè Macsen, pensando che dopo un discorso del genere Meredith sarebbe già saltata alla gola dell'altro. Probabilmente, si corresse, l'avrebbe fatto al solo sentirne l'accento.

«Chi non ha un po' di paura è uno sciocco montato, ma vivere nel terrore non fa che renderli più deboli e vulnerabili.» Lo guardò negli occhi, scuotendo poi il capo. «Ma da noi non abbiamo i coraggiosi templari andrastiani a proteggerci da tutti quei pericolosi abomini, ce la dobbiamo cavare da soli.»

«Noto della forte ironia in questa frase.» Commentò divertito.

«Perspicace.»

«Comunque, il dovere dell'Ordine dovrebbe davvero essere quello di proteggervi.» Quando l'altro assottigliò lo sguardo, si morse la lingua, dandosi dello stupido. «Intendo, proteggerli.»

Un sorrisetto divertito ricomparve sulle labbra del Tev. «Beccato.»

Cercò di ricambiare. «Non ci voleva molto a notarlo.»

«Non ho fatto molto per nasconderlo.»

«Fortunatamente non siete nemmeno andato in giro a sparare fulmini dal culo.»

«Trucchetto interessante, anche se temo sarebbe piuttosto doloroso.»

«Come mai avete accettato di passare la serata con me? Insomma, sapendo che sono un Templare.» Gli chiese, dando voce al dubbio che l'aveva fatto arrovellare dal pomeriggio.

Cornelius si strinse nelle spalle. «Curiosità, perlopiù. Non siete tutti spaventosi come raccontano. E avete un fratello mago quindi ho pensato che, se non voi come esperimento, chi?»

«Oh, la mia Comandante è assolutamente spaventosa.»

«Ne ho sentito parlare, il suo nome è comparso una volta o due nella conversazione tra l'Ammiraglio e vostro padre. Fortunatamente non le assomigliate.»

«Siamo in pochi.»

«Pochi è meglio di nessuno.» Si voltò nuovamente a guardare la baia sotto di loro, assorto in qualche pensiero, il vento che gli scompigliava i capelli biondi. «Vuol dire che c'è almeno una remota possibilità di dialogo.»

Quasi scoppiò a ridere, affiancandosi a lui. «Da quando il Tevinter è interessato al dialogo?»

«Potreste stupirvi.»

Rimasero per un po' ognuno perso nei propri ragionamenti, finché Max non ruppe il silenzio col suo solito tatto. «È solo al dialogo che siete interessato, oppure potremmo...?»

La risata di Cornelius echeggiò genuina per la terrazza, mentre il Tev si copriva la bocca nel tentativo di non far cadere la sua maschera di eleganza. «Non rovinate il momento, Macsen.»

Max gli lanciò un'occhiata offesa. «Eppure avevo capito che non eravate proprio contrario all'idea.»

Gli occhi azzurri dell'altro incontrarono di nuovo i suoi, brillando divertiti. «Mi state troppo simpatico per farla finire in un modo così banale.»

Scosse la testa, sbuffando sonoramente. «Per una volta, la banalità non mi sarebbe dispiaciuta.»

«Siete sempre così diretto?»

«Almeno non lancio il sasso per poi nascondere la pietra...»

«Lord Cornelius!»

Il sorriso dell'altro si congelò all'istante, spegnendosi e trasformandosi in una smorfia di cortesia mentre si voltava a salutare i nuovi arrivati: tre soldati Tevinter in armatura e lance, uno di loro a chiamarlo nuovamente per nome, accompagnavano un uomo sulla cinquantina, i capelli grigi tirati all'indietro su un viso dai lineamenti marcati e segnati dal sole, una cicatrice sulla mascella e occhi di ghiaccio mentre scoccava uno sguardo irritato verso di loro. «Non ti ho portato qui perché ti perdessi nei tuoi giochetti, Cornelius.» Non indossava un'armatura ma non ne aveva bisogno, data l'aria di saper usare perfettamente la spada lunga che portava al fianco nonostante le vesti riccamente decorate che sfoggiava. «Ser Trevelyan.»

Macsen ricambiò il saluto, irrigidendosi. «Ammiraglio, immagino...»

«Siamo qui per instaurare un rapporto diplomatico con Ostwick, non è forse vero, Ammiraglio?» Chiese Cornelius in tono piatto e distaccato. «È quello che sto facendo.»

«So cosa stai facendo, e non c'entra niente con la diplomazia.»

Il tono disgustato dell'uomo gli si rovesciò contro come una secchiata d'acqua gelida, e Macsen gonfiò il petto, punto sul vivo. «Stavamo solo camminando per la città, era un peccato non vedere il resto dei festeggiamenti prima che ripartiste per-»

«Quello che fate voi del Sud non mi riguarda minimamente, Ser, ma lasciate mio figlio fuori dalle vostre assurdità.» Lo interruppe l'Ammiraglio, facendo un cenno imperioso al figlio. «Ce ne andiamo.»

Cornelius si limitò ad inspirare ed espirare profondamente, abbassando le spalle prima di rivolgere un sorriso di scuse verso di lui. «Alla prossima, Macsen. Mi ha fatto piacere, davvero.»

«Ah, sì, anche a me.» Si ritrovò a dire, guardandoli allontanarsi con una punta di tristezza. Non sembrava uno abituato a divertirsi, e lui si era goduto una serata diversa, con un compagno tanto improbabile quanto interessante.

Scosse la testa, incerto se tornare a cercare Garrett e Andrew oppure tornare a casa e farsi una bella dormita in vista della Mischia del giorno dopo, optando alla fine per la seconda.



 

Il sudore, la calca, la foga del combattimento, il sangue che gli pulsava nelle orecchie e il sorriso feroce stampato in faccia nonostante l'armatura ammaccata e le braccia indolenzite, quella era vita!

Macsen roteò la spada, spostandosi dietro il grosso scudo e colpendo di piatto, caricandolo poi di peso con lo scudo, schivando la mazza da guerra e mirando alla giuntura dell'armatura dell'uomo di fronte a lui, colpendolo sul fianco e facendolo andare giù con un gemito strozzato, mentre passava al successivo. Era a dodici cavalieri sconfitti, e dei cento partecipanti iniziali alla Grande Mischia, ne rimanevano in piedi appena una dozzina.

Qualcosa si mosse al limitare del suo campo visivo, ma venne ingaggiato e abbattuto prima che potesse avvicinarsi a lui.

Si scambiò un cenno d'assenso con la cugina, che sapeva se la stesse godendo quanto lui sotto quell'elmo cornuto, prima che quella tornasse a malmenare avversari con la stessa eleganza con cui le dame si lanciavano in qualche passo di danza.

Macsen quel giorno voleva vincere, certo, ma il suo obbiettivo era un altro.

Precisamente, uno Chevalier che ora distava solo una ventina di metri da lui, l'elmo piumato e lo stemma coi gigli gialli ben visibili nonostante la polvere che aveva addosso.

Ghignò, scansandosi appena in tempo per evitare che lo spadone a due mani di un grosso Fereldiano gli piombasse sulla testa e sfracellandogli poi sull'elmo il pomolo della spada, finendolo con un colpo di scudo a lato del capo e superandolo senza staccare gli occhi dal Marchese Courtemance.

Aspettò che si liberasse di un'Avvar gigantesca, che mulinava un'ascia alta quanto lui, salutandolo con un lieve cenno del capo mentre sollevava la spada nella sua direzione, lo scudo ben fermo sul braccio.

«Marchese, vedo che avete ancora tutte le piume in ordine.» Lo sbeffeggiò mentre iniziavano a girarsi attorno come belve feroci, in attesa che l'altro facesse la prima mossa.

«Ci vuole ben più di qualche zuffa per infastidirmi, Ser.»

Prima che potesse rispondergli, l'Orlesiano gli si fece incontro come un fulmine, sorprendentemente rapido nonostante l'armatura. Macsen riuscì appena in tempo a frapporre lo scudo davanti a sé, ricambiando il colpo e cozzando a sua volta contro lo scudo dell'altro.

Si scambiarono una serie di fendenti, potenti e precisi, finché non furono costretti a separarsi per riprendere fiato: Macsen zoppicava leggermente da una botta particolarmente forte alla gamba, e lo Chevalier aveva l'armatura ammaccata su un fianco.

«Niente male.» Dovette ammettere il Trevelyan con un piccolo cenno del capo.

Courtemance ricambiò il gesto, le piume variopinte che fluttuavano ad ogni minimo movimento. «Anche voi ve la cavate discretamente.»

“Discretamente un corno” pensò Max, gettandosi all'attacco e mirando proprio al copricapo, riuscendo a bloccare la spada dell'avversario con lo scudo e farla scivolare nell'impeto verso l'esterno, dandogli modo di superarlo e di tranciargli di netto le piume sull'elmo.

E, per non farsi mancare niente, cercò di attaccarlo alle spalle, ma quello roteò la spada vicino a sé, frapponendola appena in tempo e facendo un affondo verso di lui, che lo costrinse ad indietreggiare nuovamente. Fece qualche passo per allontanarsi da lui, un sorriso soddisfatto sotto l'elmo mentre ammirava le piume nel fango. «Oh, quanto mi dispiace...»

Courtemance lo caricò senza nemmeno rispondergli, in una serie di colpi precisi e letali che riuscirono a scalfirgli l'armatura più di una volta mentre cercava di ritirarsi e riprendere il controllo dello scontro. Mise il piede in fallo, perdendo l'equilibrio e sentendosi cadere all'indietro, buttandosi di lato per evitare un colpo dello scudo e trovando la spada dell'altro pronto ad attenderlo.

Riuscì a parare, maldestramente, ma finì quasi col culo a terra. Si riparò dietro lo scudo, spostandosi di lato e dovendo fare forza sulle gambe per resistere all'attacco dell'altro e spingerlo all'indietro, mentre si rimetteva in posizione a fatica, il fiato mozzo e la visuale appannata, il sangue che gli pompava nelle vene con violenza mentre lo caricava di nuovo.

Dopo un'altra serie di scambi, sempre più imprecisi dati dalla stanchezza di entrambi, si trovarono in un impasse: le else delle spade allacciate, gli scudi bloccati l'uno contro l'altro.

Max si lasciò sfuggire un ringhio, mentre Courtemance liberava il proprio scudo con uno strattone e una spinta, cercando di farlo barcollare di lato. Sentì le lame scivolare l'una sull'altra e, a discapito di anni di combattimento che insegnavano esattamente l'opposto, invece che fare un mezzo giro su sé stesso per svicolargli al fianco, ritirò lo scudo contro di sé, portando all'indietro il braccio e, spostandosi di poco dietro la spada tenuta in posizione di difesa, lo colpì al lato del capo con tutta la forza che aveva ancora.

Lo scudo cozzò con un clangore assordante contro l'elmo del Marchese, che barcollò all'indietro con un'imprecazione soffocata, la guardia aperta per un attimo mentre cercava di riprendersi e parare con la spada, sbilanciato. La lama di Macsen incontrò nuovamente la sua, impedendogli di sfuggirgli e, sollevando nuovamente lo scudo, caricò un montante che si schiantò violentemente sull'armatura dell'altro, mandandolo definitivamente a terra con un'imprecazione soffocata.

Si concesse un secondo per tirare fiato, scandagliando il resto dell'arena e notando che erano rimaste ormai solo quattro persone, oltre a lui: Mordred, il terzogenito del Visconte di Markham, un bel ragazzo di nome Dominick che frequentava abbastanza la famiglia Trevelyan, un cavaliere di Nevarra la cui armatura era ormai talmente ammaccata che Max si chiese come facesse ancora a respirarci dentro, e un Fereldiano che sembrava a malapena reggersi in piedi, il braccio della spada che tremava incontrollabilmente dalla stanchezza.

La cugina sembrava stanca ma ancora in vena di combattere. Si voltò verso il Fereldiano accanto a lei, facendo un piccolo cenno del braccio come a chiedergli se fosse davvero sicuro. Mentre l'altro accettava la sfida, Macsen osservò gli altri due, in attesa. “Quattordici”.

Ghignò, mentre il cavaliere di Nevarra si faceva avanti baldanzosamente: dopo un serrato scambio di colpi stanchi, mirò alle giunte dell'armatura già quasi a brandelli, infilandogli la spada spuntata nel fianco quel che bastava per fargli abbastanza male e passare la voglia di rialzarsi dal fango dov'era caduto.

Nel frattempo, Mordred si era liberata del Fereldiano senza grandi sforzi, ma ora stava indietreggiando sotto i colpi di Ser Dominick Knight, la cui tecnica con spada corta e scudo era chiaramente superiore in un duello a quella della donna: lo spadone a due mani che reggeva si faceva sempre più impreciso e i fendenti si infrangevano sulla difesa del cavaliere, mentre più volte venne costretta a schivare per un soffio, la spada dell'altro che graffiava contro l'armatura.

Con un gesto rapido che sorprese entrambi i Trevelyan, Dominick riuscì a superare la guardia di Mordred, gettandola a terra con un tonfo metallico.

Sentì la cugina bofonchiare qualcosa, cercando di rimettersi in piedi mentre ammetteva la sconfitta. L'altro le allungò cavallerescamente la mano, aiutandola a rialzarsi e poi voltandosi verso Macsen, accennando un inchino.

«Calzante, che restino soltanto due cavalieri dei Liberi Confini.» Lo apostrofò Max, ricambiando il gesto e sollevando la guardia. Avevano due stili abbastanza simili e anni di allenamento sulle spalle, e non sapeva davvero chi avrebbe potuto vincere. Era stanco, i muscoli indolenziti gli lanciavano fitte ad ogni movimento, i capelli erano impiastricciati del sudore che gli colava sugli occhi e sentiva scorrergli qualcosa di viscoso sul fianco sinistro, probabilmente uno dei colpi era penetrato abbastanza in profondità da scalfire l'armatura e ferirlo superficialmente.

Anche l'altro non sembrava fresco come un fiore di campo, ma non pareva farci caso, quindi Max strinse i denti e cercò di apparire quanto più baldanzoso gli riuscisse.

«Peccato che ne possa restare solo uno.» Rispose Dominick, avanzando verso di lui.

Le spade cozzarono violentemente, e per un po' si ritrovarono in una situazione di stallo, girandosi attorno lentamente scambiandosi colpo dopo colpo, sempre più stanchi.

Ad un tratto, Knight tentò un affondo basso e Macsen credette di avere la vittoria in pugno, sfruttando lo scudo per spostare la spada dell'altro e farlo sbilanciare in avanti. Il piano funzionò a metà, in quanto Dominick sfruttò l'impeto del colpo per caricare indietro con lo scudo, deviando la lama di Max e colpendolo al fianco, sbalzandolo indietro e liberando la spada.

Macsen cercò di fare un quarto di giro a sinistra, coprendosi il fianco contuso e riparandosi dietro lo scudo, ma l'altro lo incalzò senza dargli tregua. Il braccio era sempre più difficile da alzare, la spalla dove era stato colpito formicolava dolorosamente, lo scudo sembrava ormai un macigno: presto i suoi colpi si fecero più goffi, le sue parate più lente e, inevitabilmente, dopo una manciata di scambi finì a terra con un grugnito, la vista annebbiata per un secondo quando l'elmo impattò col terreno.

Rimase per qualche attimo a fissare il cielo sopra di loro, frastornato, per poi tirarsi seduto con qualche difficoltà, litigando per rimuovere quella ferraglia ammaccata dal capo.

«Andraste baldracca, che botta...» Bofonchiò sottovoce, massaggiandosi il collo e rimettendosi in piedi traballante, rinfoderando la spada. Si asciugò il sudore dalla fronte, la gola riarsa. Aveva bisogno di un paio di birre. E magari qualcuno che gli lenisse i lividi.

«Non fatevi sentire, Ser Trevelyan.» Lo canzonò Dominick, mentre la folla esultava in attesa della proclamazione del vincitore. Si tolse l'elmo a sua volta, liberando i capelli biondi e suscitando un piccolo coro di approvazione da parte di parecchie dame.

«Non possiamo essere tutti a modo come voi, Ser Perfettini.» Ribattè piccato Max, cercando di tenere a bada l'onta di essere stato battuto e afferrando il braccio dell'altro, sollevandoglielo sopra la testa e causando un'altra ovazione di popolo.

Guardò verso gli spalti: Quinn sembrava parecchio annoiato mentre Domhnall applaudiva composto, Marcus aveva l'aria di chi avrebbe volentieri vendicato la sorella a colpi di palle di fuoco e i due Trevelyan più anziani avevano entrambi un'espressione tranquilla, eppure Max temette di aver scorto un barlume di rabbia negli occhi del padre, quando incrociò il suo sguardo. Andrew aveva una smorfia che lasciava poco all'immaginazione, mentre i loro ospiti battevano cortesemente le mani. La tenente chinò un poco il capo nella sua direzione, e Max si sentì un poco più sollevato.

Il Siniscalco, un ometto grassoccio e unticcio che presenziava al Gran Torneo al posto del Teyrn, troppo malato per uscire dalle sue stanze, si fece avanti con un colpetto di tosse, alzando la voce e apostrofando la folla riunita dal palchetto d'onore, i grandi stendardi di Ostwick e dei Liberi Confini che svolazzavano dietro di lui sotto il sole. Uno squillo di trombe segnalò di prestare attenzione.

«Miei Signori e Signore!» Iniziò ad elencare tutte le varie provenienze dei partecipanti dell'anno, con un tono pomposo e la vocetta nasale che ebbe come unico effetto il fargli pregare che quello strazio finisse in fretta. Cos'erano cinque anni, dopotutto, doveva solo riprovarci...

Si trattenne dal lanciare una stilettata di rancore in direzione di Ser Dominick, aveva vinto lealmente, era semplicemente stato più bravo di lui.

Certo, ammettere la sconfitta non gliela faceva certo bruciare di meno.

«... ed è con immenso onore che ci accingiamo ora a salutare il Quarantasettesimo vincitore del Gran Torneo dei Liberi Confini,» Max roteò gli occhi al cielo, sbuffando in attesa che si decidesse a tacere «con quindici avversari sconfitti,» “...aspetta, che?!” «ecco a voi Ser Macsen Áedán Trevelyan, Caporale dell'Ordine Templare di Kirkwall, figlio di Lord Bann Trevelyan di Ostwick e Campione del Gran Torneo di Ostwick!»

Sbattè le palpebre, accorgendosi solo dopo un istante di essere rimasto a bocca aperta, richiudendola di scatto e guardandosi attorno confuso, incrociando lo sguardo del cavaliere accanto a sé.

«Mi hai battuto di un punto.» Commentò Dominick, e nonostante l'espressione cortese dipinta in volto era chiaro che la cosa gli desse non poco fastidio. «Complimenti.»

Max si riprese in fretta, scrollando le spalle e gonfiando il petto mentre saliva i gradini di legno verso il palchetto, inginocchiandosi di fronte al Siniscalco mentre questi si voltava a prendere la corona di alloro e gliela poneva sul capo, prendendo poi un cuscino di velluto rosso sul quale poggiava una spada lunga dall'aspetto antico, puramente cerimoniale. Mentre Macsen si alzava lentamente, il cuore che batteva a mille, quello gli offrì la lama con un gesto plateale: le dita del ragazzo si strinsero sul metallo, smettendo di tremare e estraendo la lama da fodero decorato, sollevandola sopra la testa in modo che tutti potessero vederla, tra le ovazioni della folla e altri squilli di trombe.

Si voltò raggiante, incontrando lo sguardo del padre e dei fratelli, i Trevelyan si erano tutti alzati in piedi per congratularsi, e Macsen si sentiva il petto gonfio di orgoglio mentre sorrideva verso di loro, la spada dei Campioni stretta in pugno.



 

«Sei stato bravo, Trevelyan.»

Rimase abbastanza sorpreso dalla stretta della donna, ricambiando con un cenno del capo e un ringraziamento bofonchiato, l'alcol che gli era già salito alla testa. «Grazie, Tenente Hawke...»

«Non montarti la testa, però, caporale.» Gli lanciò un sorrisetto divertito, prendendo qualche sorso dal suo boccale e scambiandosi un cenno d'intesa con Andrew. «Quell'alloro non ti aiuterà molto con la Comandante.»

«Ah, non smetterà più di vantarsi!» Lo prese in giro l'amico, dandogli un pugno sulla spalla e strappandogli un grugnito di dolore. «Sarà più insopportabile di prima.»

«Fatemi almeno godere il momento...» Borbottò risentito Max, buttando giù quel che restava della birra e reprimendo un rutto. «Non sono ansioso di ritrovarmi con Meredith e il suo cane col fiato sul collo, per niente.»

«Sì, scommetto che preferiresti il fiato di qualcun altro, da tutt'altra parte.» Lo punzecchiò Andrew indicandogli Isabela, che per tutto quel tempo stava flirtando senza pudore con una coppia di Antivani di bell'aspetto, facendolo arrossire di colpo mentre incrociava lo sguardo della tenente.

«Drew!»

Marian scoppiò a ridere di gusto, scuotendo il capo. «Bela fa quell'effetto a tutti.» Max sgranò gli occhi, una domanda a salirgli alle labbra, quando la donna sollevò il boccale davanti a sé scolandoselo senza troppi complimenti. «Non una parola.» Li ammonì, le guance arrossate.

Entrambi giurarono solennemente che avrebbero mantenuto il silenzio, sforzandosi di assumere un'espressione neutra che non lasciasse trapelare le risate che stavano trattenendo a stento.

«Su che cosa?»

La tenente si voltò di scatto, arrossendo ulteriormente alla vista del Principe Vael, che le sfiorò il fianco con un gesto affettuoso. «Sebastian, tutto bene?»

L'uomo annuì. «Abbiamo fatto bene a venire ad Ostwick. Grazie alla vostra famiglia, Ser Macsen, e ai vostri alleati, avrò forze sufficienti per riprendermi Starkhaven senza spargimenti di sangue.» Spiegò con un sorriso, tirandosi indietro i capelli color ruggine. «L'ultima cosa che vorrei è causare la morte dei miei concittadini per colpa di una manciata di stolti che hanno usurpato il mio trono.»

«Beh, nel caso vi servisse una spada in più, sapete a chi chiedere.» Sorrise Macsen a sua volta, godendosi la vista degli occhi blu dell'altro.

La musica cambiò di nuovo, le note allegre e vibranti si trasformarono in un ballo lento, e il Principe afferrò delicatamente la mano della Tenente, sfiorandola con le labbra mentre si chinava ad invitarla a ballare.

Macsen scosse il capo, osservandoli allontanarsi.

«Non sembra possibile che sia la stessa persona che falciava Qunari come fossero alberelli, vero?» Commentò divertito Andrew, appoggiandosi alla sua spalla col gomito e guardando nella stessa direzione.

«Erano più querce dalla stazza, ma sì, fuori dall'armatura non è proprio niente male con quell'abito.»

«Potrebbe spezzarti le gambe solo per averlo detto ad alta voce.»

«E dai, so che stai pensando esattamente la stessa cosa... che altro nasconde, tolto anche quello?»

Drew si lasciò sfuggire una risata, recuperando altri due boccali da un servitore di passaggio. «Da ragazzino avevo una cotta assurda per lei, sai? Garrett mi dava del pazzo.» Fecero scontrare i boccali, prendendo qualche sorso. «Aveva proprio ragione.»

Macsen si strinse nelle spalle, adocchiando da lontano il Marchese Courtemance che civettava come un pavone in mezzo ad un gruppo di dame in adorazione. «Che ne dici di andare a pescare nella pozza di qualcun altro?» Propose all'amico con un ghigno, scostandosi i capelli all'indietro.

«Ah, non credo di avere speranze...»

«Sciocchezze, sei con il Campione del Gran Torneo... si butteranno letteralmente ai nostri piedi.» Lo spinse un poco in avanti, affiancandolo e raggiungendo a falcate disinvolte il gruppetto.

«Marchese, che piacere rivedervi!» Lo salutò giovialmente, godendosi come l'attenzione era stata calamitata dall'Orlesiano a lui in pochi attimi. «Vi siete ripreso in fretta.»

«Era solo un graffio, Ser. Anche voi vi siete rialzato quasi subito dopo l'ultimo scontro, no?» Ribattè serafico Courtemance, gli occhi ridotti a fessure.

«Sì, beh, c'è una prima volta per tutti.»

«Allora forse avete una speranza di vincere la Giostra, la prossima volta.»

Si fronteggiarono per un attimo, gli occhi color miele del Marchese che lo fissavano senza battere ciglio. Macsen rispose con un sorrisetto affettato. «Se la competizione ne varrà la pena... sapete, ultimamente sono molto impegnato a proteggere il Thedas da invasioni Qunari o pericolosi maghi del sangue, non ho molto tempo per dare spettacolo.» Ammiccò con un cenno ad una bella ragazza lì vicino, che arrossì dalla punta del naso alla punta delle orecchie, la pelle pallidissima in contrasto con i capelli scuri, iniziando a farsi aria con un largo ventaglio.

Courtemance arricciò un angolo della bocca. «Oh, sono sicuro che ne varrà la pena... anche solo per tenervi stretta la vostra spada. Sempre che vi ricordiate di non portarla anche in battaglia, altrimenti potreste non arrivare al prossimo Torneo tutto intero.» Accennò alla spada cerimoniale che Macsen teneva alla cintura. «Sarebbe un vero peccato non rincontrarci.»

Max sogghignò. «Oh, non temete Marchese, ci saranno tante altre occasioni spero... ma ora,» riportò lo sguardo sulla ragazza dalla pelle diafana, dai ricami dell'abito probabilmente di Nevarra «è il momento di goderci la vittoria, non pensate anche voi?»

La dama gonfiò il petto, mettendo in mostra il seno sodo e rotondo stretto nella scollatura squadrata, squittendo una risposta entusiasta. Max si voltò verso Andrew, sollevando appena il sopracciglio, divertito. «Permettetemi di presentarvi il mio fido compagno, Ser Andrew Loth...»

Drew rivolse un sorriso disinvolto ad una ragazza dai capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, il corpo un po' in carne avvolto in morbida stoffa ricamata. Quella sembrò deliziata, e quando l'altro si inchinò per chiederle cortesemente un ballo, accettò prima ancora che potesse finire la domanda.

«Buona serata, Marchese...» Gli strizzò l'occhio Macsen, limitandosi a tendere la mano con un gesto elegante alla ragazza di Nevarra, che la afferrò senza esitare facendosi guidare verso la pista da ballo, volteggiando aggraziata tra le sue braccia.

Non si sorprese di venire affiancato da Mordred e il marito, e alla fine del ballo la cugina gli si accostò per scambiare le coppie.

«Tieni gli occhi aperti, a Kirkwall.» Lo ammonì mentre lui la sollevava di poco da terra in una piroetta, avvicinandoglisi di poco. «Mio padre dice che Meredith ha chiesto alla Divina di stringere ulteriormente la presa sui circoli.»

«Ah, non preoccuparti, la terremo a bada...»

Mordred lo guardò con occhi di ghiaccio, l'abito color crema che frusciava mentre ruotavano. «È proprio per questo che ti sto avvertendo, Macsen, temiamo possa sfuggirci di mano.»

Max fece due passi indietro, sollevando la mano mentre si giravano attorno seguendo la musica. «Mano nostra, o della Divina?»

«C'è differenza?»

Aggrottò la fronte, facendola ruotare su sé stessa con grazia. «Devo tenerla d'occhio?»

«Sii discreto, non intrometterti a meno che la situazione non sia disperata.» Si separarono di un poco con un piccolo inchino, la musica che rallentava. «Quando sarà il momento, lo saprai.»

Max voleva chiederle cosa intendesse dire, ma Alexander era rispuntato al fianco della moglie, cingendola per un fianco e portandola a volteggiare lontano da lui, lasciandolo ad arrovellarsi per qualche istante ancora prima che venisse acciuffato entusiasticamente dalla ragazza di prima, che gli si strinse addosso per un attimo in più di quello che prevedeva l'etichetta, mandandogli il sangue dal cervello in altre direzioni.

Non era il caso di rovinarsi la serata pensando a Meredith e alla sua sete di sangue, no?



 

Il giorno dopo, un gran mal di testa e un leggero senso di nausea dalla baldoria della sera prima, si appoggiò stancamente al fratello, seguendolo in salotto. «Non ho voglia di tornare a Kirkwall.»

Quinn sbuffò divertito, scostandolo in malo modo cacciandogli il gomito tra le costole. «Hai festeggiato abbastanza, è ora di tornare al lavoro.» Si sistemò gli occhiali sul naso, un sorriso tranquillo mentre si spolverava le vesti immacolate.

«Non vedi l'ora di tornartene a parlare coi tuoi amichetti luminosi?» Lo prese in giro Max, ricambiando la spinta.

«Ahia!» Gemette l'altro, scostandosi offeso. «E no, voglio solo tornare ad avere un po' di quiete, penso di averne avuto abbastanza fino al prossimo Gran Torneo.»

Abbozzò un sorriso. «Non me la ricordo così tranquilla, la Torre...»

«Lo è decisamente di più, da quando non ci sei più tu.»

Si morse la lingua, piccato. «Allora ho fatto un favore a tutti.»

Quinn si grattò l'interno dell'avambraccio, abbassando il capo. «Non avresti comunque dovuto farlo.»

Max gli mise una mano sulla spalla, stringendolo un poco. «Sai che lo rifarei mille volte, vero?» Lo costrinse a guardarlo negli occhi, per una volta serio. «Se ci sono altri problemi...»

«Arriverai di gran carriera da Kirkwall per proteggermi dai Templari cattivi?» Il fratello scosse il capo, sospirando. «Me la so cavare da solo, Max, stai tranquillo. È stato un caso isolato, e comunque non valeva la pena di sollevare tutto quel polverone per una manciata di commenti fuori luogo.»

«Fuori luogo un cazzo, Quinn, ha insultato te e tutta la famiglia, qualche dente e un paio di ossa rotte è pure poco.»

«Non ti ho mai chiesto di metterti in mezzo...»

Max lo guardò dritto negli occhi, la voce ferma. «Sei mio fratello, Quinn, ammazzerei il Lord Cercatore in persona se ti minacciasse.»

Quinn sbiancò, voltandosi dall'altra parte e sistemandosi di nuovo gli occhiali. «Speriamo non si arrivi mai a tanto...»

Prima che potesse ribattere, vennero stretti in un poderoso abbraccio dal fratello maggiore. «Mi mancherete entrambi, piccoletti.»

«Sta' zitto, gigante.» Si offese Max, tirandogli un pugno che l'altro accusò senza quasi notarlo. «Sarai abbastanza impegnato da non accorgerti nemmeno della nostra assenza.»

Domhnall gli scompigliò i capelli, come quando era bambino, un sorriso gioviale sul volto. «Vienici a trovare per la nascita della pagnottina, d'accordo?»

«Chéri, lascia in pace tuo fratello...» lo richiamò una voce dolce dall'altra parte della stanza, dal marcato accento orlesiano. «Inoltre, ci vorrà un po' di tempo prima che il piccoletto qui possa impugnare una spada.» Disse la donna, accarezzandosi il ventre rigonfio con un gesto affettuoso e lanciandogli un'occhiata divertita. Era indubbiamente bella, la pelle chiara e i riccioli castani ad incorniciarle il volto dai tratti morbidi e delicati, occhi chiari sormontati da lunghe ciglia. Lady Juliette DuRellion sarebbe sembrata una bambola, non fosse stato per la lingua tagliente e i commenti arguti. Accanto a lei, e Macsen si ritrovò a sorridere di gioia nel vederla in piedi che camminava senza doversi appoggiare alla nuora, Lady Trevelyan ricambiò il saluto, avvicinandosi ai figli e allargando le braccia in direzione di Domhnall.

«Non merito anche io un abbraccio?» Chiese con un sorriso furbo, mentre il maggiore dei tre fratelli la stringeva a sé quasi nascondendola alla vista. Non gli arrivava neppure alla spalla, eppure lo sguardo fiero che rivolse a Macsen e Quinn era quello tipico della famiglia. «Allora?»

«Sono contento di vederti così bene, madre.» La cinse tra le braccia Max, inspirando il profumo di olii e fiori che la donna si portava sempre appresso, accarezzandole i capelli scuri senza nemmeno un filo bianco, senza stringerla troppo.

«Non sono fatta di cristallo, pulcino!» Lo rimbeccò lei, cingendolo sotto le ascelle e stringendolo con più forza, suscitando le risate di Quinn.

«Madre, state attenta a non-»

Dolores gli lanciò uno sguardo imperioso da dietro il figlio minore, allungando una mano e facendo un cenno. «Vieni qui e saluta tua madre, prima di tornartene tra quei libri polverosi, niño.» Il tono non ammetteva repliche, l'accento Antivano che tornava a farsi sentire.

L'altro arrossì un poco, imbarazzato, mentre cedeva e si lasciava stringere in un abbraccio da tutti e tre. «Non sono polverosi.» Ribattè con un filo di voce quando finalmente lo lasciarono andare, raddrizzandosi gli occhiali che gli erano scivolati sul naso. «Sono allergico alla polvere.»

«La polvere sarà il minore dei tuoi problemi se non ti metterai a fare un po' di esercizio!» Lo rimbeccò la donna, accomodandosi su una poltrona morbida accanto alla nuora e facendo segno ai figli di fare altrettanto. «Gila, portaci un tè e qualcosa di dolce!» Alzò la voce, e in un fruscio di vesti la cameriera si affacciò dall'uscio, inchinandosi ossequiosamente prima di sparire alla vista.

«Non mi sono ancora congratulata di persona con il mio Campione...» riprese a parlare Lady Trevelyan, rivolgendo a Macsen un sorriso compiaciuto. «Tuo padre dice che hai combattuto bene.»

«Non quanto sperasse...» Si lasciò sfuggire Max. «Ser Knight mi ha battuto, non pensavo avrei vinto l'alloro.»

«Ah, sciocchezze!» Esclamò la madre, muovendo la mano come a scacciare una mosca. «Bann può essere un po' rigido, ma lo fa per spronarvi a dare il meglio. Era davvero fiero di te, come lo siamo tutti.»

Sentì un piacevole calore al petto, e non potè fare a meno di sorridere. «Grazie, madre.»

Dolores spostò lo sguardo sui tre figli, soffermandosi infine su Domhnall, mano nella mano con la moglie. «Siamo fieri di tutti voi, ricordatevelo sempre.»

Dopo poco, Gila tornò con un vassoio carico di pasticcini, appoggiandoli al centro del tavolino da tè e servendo loro un infuso di foglie pregiate, che Macsen riconobbe come quelle che aveva chiesto a Garrett tempo prima. Ne inspirò l'aroma, rimpiangendo di dover partire il giorno seguente.


























Note dell'Autrice: ed ecco che si conclude la parentesi del Gran Torneo di Ostwick! Spero che i nuovi personaggi vi siano piaciuti, personalmente trovo Macsen un narratore divertente in cui immedesimarsi. Dal prossimo capitolo si torna a Kirkwall e ai suoi intrighi, a presto! :D  

  
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